IlPiccolo Hans ril'ista di analisi materialistica 31 luglio/settembre1981 Che cosa succede lungo il conrme tra due organi, tra due corpi, tra due nazioni? Il tema della frontiera, del viaggio e della fobia, nella psicoanalisi, nell'arte e nella letteratura Direttore Sergio Fjnzi Un fascicolo L. 4.000 Abbonamento L. 14.000 Edizioni Dedalo, Bari 1pnma1 MENSILEDI EDITORIA Informarsi per capire' meglio l'informazione In edicola a metà mese Abbonamento: 27.500 (undici numeri); estero 55mila. Indirizzare assegno sbarrato intestato a Nuova Società s.r.l. via Boccaccio 35 - 20123 Milano oppure servirsi del conto corrente postale n. 38329207 intestato a Prima Comunicazione via Boccaccio 35 20123 Milano nuova serie autaut 184-185 luglio-ottobre 1981 NUOVE ANTICHITÀ METAFORE DELL'IMMAGINARIO, PRODUZIONE DI SAPERI, FIGURE DEL SACRO Vemant, Lanza, Sircana, Casagrande, Vecchio, Repellini, Ferrari,Vegetti, Crisciani,Detienne, Burkert, Sissa, Le Goff a cura di M. VEGETTI ~ Mensile a cura del Comitato Regionale Lega Cooperative de~Emilia Romagna Cooperazione. Tanti ne parlano a sproposito. Noi no! Abbonamenti per il 1981 11 numeri Lire 15.000 Inviare assegno o vaglia postale a: Comitato Regionale Lega Cooperative Via Aldo Moro, 16 • 40127 Bologna Cfr. Vittorio Sereni Omusicante di Saint-Merry e altri versi tradotti Torino, Einaudi, 1981 pp. 216, lire 12.000 Scrive Vittorio Sereni nella premessa: «Mi è capitato più di una volta di richiamarmi a una frase di Sergio Solmi: ' La traduzione nasce, a contatto col testo straniero, con la forza, l'irresistibilità dell'ispirazione originale. Alla sua nascita presiede qualcosa come un moto di invidia, un rimpianto d'aver perduto l'occasione lirica irritornabile, di averla lasciata a un più fortunato fratello di altra lingua.' » Ora a me pare che si possa condividere appieno la prima parte delle affermazioni di Sergio Solmi, perché tradurre, per un poeta, significa partire da un testo come si parte da un'esperienza, da una visione, da un miraggio, con una sola facilitazione: che certi limiti del discorso poetico sono già stati tracciati nel testo «originale». Da questa facilitazione deriva quel sentimento di sicurezza «in più» _aparagone del momento in cui si scrive partendo dal vuoto assoluto (che non è poi quasi mai tale, in verità, perché ho l'impressione che un testo sia sempre in qualche misura preceduto da un pre-testo ). Ma non è questa «facilitazione» un punto fondamentale. Il discorso teorico va ancora articolato a partire dal dissenso sulla seconda parte delle affermazioni di Solmi (e va articolato anche se Vittorio Sereni schiva elegantemente il problema pur restando tutto immerso nella stessa problematica...). Infatti, se c'è esperienza allora anche l'invidia fa parte dell'esperienza del testo originale, senza però essere caratteristica peculiare dell'esperienza del tradurre (il confronto con i testi degli altri poeti rimane a fondamento del linguaggio poetico e naturalmente questo confronto avviene anche con quelli della propria lingua ...). A conferma lo stesso Sereni scrive: «Esiste poi, o almeno è esistito per me, un momento ulteriore nel quale non si traduce più, semplicemente, un testo, bensì si traduce l'eco, la ripercussione che quel testo ha avuto in noi.» Siamo al «tradurre senza tradurre» (come al «tiro con l'arco senza l'arco») che presuppone un certo tipo di «fedeltà» all'originale (ma a volte anche certi errori o fraintendimenti possono essere produttivi) ma che ha come fine una nuova opera di poesia (in questo caso una nuova opera di Sereni, che, infatti, firma il libro come autore). A questo punto le reazioni, di quel co-autore che è sempre un lettore si possono confrontare con quelle dell'autore con una facilitazione in più: il testo a fronte. Avere a disposizione il punto di partenza di una poesia lì sulla pagina (s<;nzadovere fare un viaggio fino a Recanati per cercare la famosa siepe ...) significa, per il co-autore, raddoppiare la propia esperienza linlCO gmst1ca, perché certe soluzioni del «traduttore» possono essere delle autentiche scoperte, delle «genialità», analoghe alle varianti di un testo (prendiamo le varianti leopardiane: è in quei punti che si capisce come una frase enunciativa si trasforma in linguaggio poetico ...). C'è da aggiungere che per un italia-· no l'esercizio del tradurre è indispensabile: non possiamo infatti restringere le nostre esperienze linguistiche e poetiche in un ambito così ristretto (e per numero di parlanti e per importanza politica ...). Scrive ancora Sereni: «Tradurre non è mai stato per me un esercizio. Qualche volta una fatica, più spesso un piacere.» Mi pare che intenda la parola «esercizio» quasi come «esercitazione» mentre io do a questa parola un senso più largo, di confronto linguistico. Fatica sì, sempre, ma quale piacere anche per il lettore quando si arriva a soluzioni creative... • Un solo esempio (per ragioni di spazio di rubrica consensi e dissensi cercherò di riprenderli in uno scritto più ampio), dall'amato Apollinaire: _«Un oiseau chante ne sais où»; Sereni: «Un uccello chissà dove canta». Quel «chissà dove», che è di D'Annunzio, viene radicalmente trasformato, da slontanante si fa attuale, drammatico, tagliente, è uno dei punti più incisivi della poesia di Sereni. È anche una questione di collocazione: provate a mettere quel «chissà dove» dopo il verbo «canta» e tutto tacerà ... Antonio Porta Analisi e riflessione di un collettivo operaio nel tempo dei 61 licenziamenti (e nei 35 giorni) Milano, Tipografia Botti, 1981 pp. 32, lire 2000 È appena uscito un numero di Classe (19) che, mentre contiene una serie di testimonianze e cronache degli operai genovesi, e articoli sul taylorismo, apre con «I 35 giorni» di Angelo Dina. Comincia solo ora un'esame abbastanza spregiudicato dell' «ambiguità» dell'accordo ... Ai 35 giorni arrivano, invece, vertendo sull'analisi della produzione e sulla composizione operaia, i giovani operai di Torino che in un piccolo collettivo hanno pubblicato un opuscolo sulla Fiat, raro oggi da parte della base (e risulta il n. 1 di «Interventi analitici marxisti»). Sono .operai connessi a Lingotto, dove ci fu la resistenza più tenace; forse operanti con l'Flm; si dichiarano provenienti da «organismi con riferimento leninista» nel decennio della nuova sinistra. I materiali prodotti sono vari, in una scrittura limpida; il metodo è oggettivo, oggettivante, come in Braverman; ma ci sono anche rilievi della «soggettività», con lo stesso timbro. Della discussione politica e sindacale, in fine, è interessante l'attenzione ai rapporti ora modificati del «delegato di area», che rivelano la prospettiva più probabile. In tutta la parte prima che riguardale generalità della «holding» Fiat, con riassunti da tesi e da seminari, e con verifica dei manuali di Bonazzi e di Graziosi, figura una valutazione precisa dalla robotica alla Fiat e particolarmente delle sue conseguenze («è la macchina stessa a determinare il controllo»). Fermiamoci su questo punto. Che cosa di fatto avviene oggi, con lucidità derivante dall'esperienza diretta, risulta soprattutto dalla «inchiesta sulle Presse di Mirafiori», che contiene grafici originali relativi al «passaggio dalla linea tradizionale alla linea transfertizzata». Quest'ultima, introdotta cinque anni fa, «si presenta, più che un sistema di macchine concatenate, come una macchina sola, controllata a distanza»: «il computer, anch'esso collegato al centro meccanografico, trasmette tramite l'introduzione di una scheda in possesso del capo macchina il motivo delle fermate, la durata, permettendo così alla direzione di avere sempre sotto controllo, dagli uffici, l'andamento della linea» (p. 17). Si comincia così a sapere qualche cosa del nuovo processo di lavoro, che non è più tayloristico ma «divisionale»; e in cui «la tendenza in atto è quella di incorporare ulteriormente dentro la macchina il sapere dell'operaio», come già. L'opuscolo si trova nelle librerie della rete dei «punti rossi» che, pur non arrivando mai all'articolazione distributiva famosa della Germania federale, c'è anche in Italia. Francesco Leonetti Pietro Basso Disoccupati di Stato (Il movimento dei disoccupati organizzati di Napoli, 1975-1981) Milano, F. Angeli, 1981 pag. 223, lire 9000. Scritto da un sociologo che è stato anche protagonista non secondario delle lotte e che tale partecipazione ha pagato con il carcere e discutibili imputazioni, è questo lo studio più completo sul movimento napoletano dei disoccupati organizzati, cronaca e insieme analisi delle sue tre principali fasi: quella del 1975-76, che trova il suo manifesto nel programma di vico Cinquesanti e che si interseca con la vittoria elettorale delle sinistre e relative illusioni, quella del 1977-78, che ha la sua avanguardia nella lista dei Banchi Nuovi e che si scontra anche con la giun'ta di sinistra nel clima dell'unità nazionale e del movimento del 1977, quella che si è aperta dopo il terremoto del 23 novembre 1980 e dura tuttora. Basso esclude radicalmente qualsiasi lettura in chiave di «marginalità» e riconduce il movimento di lotta alla crisi dello Stato assistenziale e al suo pressante imperativo, a partire dalla seconda metà degli anni '70, a ridurre l'incremento della spesa pubblica e ad accrescerne la produttività, diminuendo le spese per la riproduzione e i bisogni del proletariato. Lo Stato si pone così, nel declino del keynesismo, come il soggetto principale della riconversione territoriale e della redistribuzione del proletariato nello spazio urbano. Napoli non è quindi episodio di arretratezza e sfascio, ma momento di un programma internazionale di ri- • strutturazione che investe aree di relativo sviluppo industriale (sommerso e non) e soprattutto il rapporto istituzioni/assistibili, secondo una linea di tendenza che ha evidenti riscontri negli Usa. Locali sono i tempi, legati alle crisi congiunturali nazionali e a occasioni «naturali» (il colera, il terremoto, in alto contesto che qui non si esamina il bradisismo di Pozzuoli, ecc.), generale è il programma di razionalizzazione con cui si mette in gioco la permanenza stessa di un modo di produzione che ormai deve prevedere una quota crescente di disoccupati e insieme deve evitare un'assuefazione al non-lavoro pericolosa socialmente quanto economicamente gravosa. Basso conclude molto giustamente che la lotta napoletana in primo luogo è rivolta contro il rischio specificamente proletario della disoccupazione, pur integrando in misura crescente dal 1975 al 1978 altre tematiche legate specialmente ai settori giovanili (rifiuto del lavoro); in ogni caso si pongono complessi problemi di stratificazione e alleanze, più che una spontanea tendenza ali' «autovalorizzazione». Augusto JJ/uminati Luigi Manconi, Vittorio Dini O discorso delle armi Roma, Savelli, 1981 pp. 157, lire 6.000 Dini e Manconi si collocano in un'area di riflessione critica che assume il terrorismo come fenomeno squisitamente politico, rifiutando l'alibi della presunta «irrazionalità» dell'azione terroristica nelle società democratiche e pluralistiche. Gli Autori invitano a prendere «in parola» l'ideologia terroristica: la pubblicistica del «partito armato» và interpretata come discorso, elaborazione linguistica fondativa di una prassi politica, e non come delirio propagandistico, coacervo di pretestuose motivazioni a posteriori di azioni delittuose. Un simile programma di ricerca avrebbe potuto suggerire una puntigliosa esegesi dei testi; fortunatamente Dini e Manconi hanno intuito lo scarso interesse di questa impostazione, riducendo il materiale documentario ad una scarsa Appendice e alle citazioni strettamente necessarie al loro intento, che è quello di ripercorrere il nesso fra ideologia delle Brigate Rosse e di Prima Linea e determinati processi di codificazione culturale messi in atto dalla tradizione del movimento operaio. In tal modo viene nitidamente delineata la differenza di identità e di percorso storico fra Brigate Rosse e Prima Linea: le prime, impegnate nello sviluppo di un «contropotere» concepito soprattutto come produzione di diritto alternativo- dalla applicazione esemplare delle norme della «giustizia proletaria» alla costituzione di un apparato burocratico-militare che dovrebbe applicarle sistematicamente; la seconda, ossessionata dal tema della «controinformazione», per ::ii l'azione terroristica è concepita éome uno dei media che le classi antagoniste sfruttano sul piano della lotta per la «formazione» propagandistica delle masse. Meno convincenti le conclusioni, dove si analizza l'impatto fra politiche terroristiche e politiche dello Stato. Oscillando fra il desiderio di offrire indicazioni immediate per una opposizione al processo di imbarbarimento della vita sociale e la tentazione di intervenire nel complesso dibattito teorico sulle trasformazioni dello Stato, gli Autori si muovono troppo sbrigativamente in quest'ultima direzione e cadono spesso nelle petizioni di principio nella prima. Si fa inoltre sentire la mancanza di una riflessione sulle dinamiche di scambio simbolico che pure incidono pesantemente nella fenomenologia del terrorismo. Malgrado questi limiti, mi pare che il lavoro sia una utile base di discussione in un momento di frammentazione del dibattito su questo scottante tema. c.f
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