Alfabeta - anno III - n. 30 - novembre 1981

Gliocchia,.[delslpoort Uwe Baur «Sport und subjektive Bewegungserfahrung bei Musib, in Kobert Musil. Unteisucbungen Edito da Uwe Baur ed Elisabeth Castex, Konigstein, 1980. (Ripreso nella relazione di Uwe Baur. Musil und der Sport, Roma, Istituto italo-austriaco di cultura, 27 novembre 1980) Bernard Jeu Le sport, la mort, la violence Paris, Editions universitaires, 1972 M.l. Finley - H.W. Pleket I giochi olimpici Roma, Editori Riuniti, 1980 pp. 132, lire 3.600 Yves Pierre Boulogne La vie et l'oeuvre pédagogique de Pierre de Coubertin. 1863-1937 Ottaw~ Le méac, 1975 11 tempo in cui scrive Musil è quello in cui, tra gli apparati prodotti dalla società europea, c'è l'apparato sportivo. Il tema dell'esercizio sportivo, del movimento fisico, della sua istituzionalizzazione in regole ed apparati, ricorre in tutto l'arco della riflessione musiliana, fin dai primi del '900, in parallelo con le trasformazioni dell'epoca, in coincidenza con l'influsso crescente del fenomeno sportivo sulla cultura di massa, sul costume, sui consumi. ell'intreccio labirintico dei temi trattati da Musi!, Uwe Baur, docente di germanistica a Graz, si è occupato di questo filo. «Allo sport Musil attribuiva un ruolo centrale nella vita sociale del suo tempo, lo chiamava - naturalmente in modo ironico - lo 'spirito del tempo': era inevitabile che anch'egli si abbandonasse a questo spirito•. Lo sport fa parte dell'esperienza biografica di Musil come di Ulrich. Nella sua scheda militare lo scrittore indicava nel suo elenco di qualifiche quelle di «schermidore, nuotatore, fondista, ciclista, disegnatore edile•. Ulrich si allena «un'ora al giorno, cioè un dodicesimo della vita cosciente, ed è quanto basta per avere un corpo allenato, nella condizione di una pantera pronta ad ogni evenienza•. Un'esperienza diretta che conta, se torna tanto spesso e se è descritta come esempio di esperienza «pre-logica»: «L'essenza dell'Io splende nelle esperienze dello sport, fuori dall'oscurità del corpo, come fuori da ogni specie di oscurità» (A/s Papa Tennis /erme, 1931). Per questo Baur non cerca tanto i numerosi brani in cui Musil affronta tematiche collegate allo sport, ma considera quella dell'esercizio sportivo come «un'importante zona dell'esperienza dell'Io, un incontro con la propria corporeità, con l'ignoto»: lo sport come sottosistema, come occhiali attraverso cui guardare il mondo (Auraverso gli occhiali dello sport è il titolo di un brano non contenuto nei Diari). « ella spiritualizzazione della sensualità - scrive Musil - (non nella sua ingegnosa motivazione e abbellime,1to) si è prodotto davvero molto poco•. Alla sensualità, all'esperienza pre-logica dell'io, alla conoscenza della propria corporeità l'esercizio sportivo apporta un contributo essenziale. E in quell'ambito per Musil esso deve restare al di fuori di ogni possibile logica di prestazione, di risultato oggettivo. «Tali possibili esperienze di lotta - dice Ulrich - non vanno giudicate secondo l'esito. La loro attrattiva sta nel fatto che in un brevissimo spazio di tempo, con una rapidità mai ricorrente nella vita borghese, e sotto la guida di segni appena percepibili, bisogna compiere tanti movimenti diversi, e tuttavia strettamente coordinati, che è impossibile sorvegliarli con piena coscienza». Diventando «spirito del secolo• lo sport assume invece un ruolo sociale che oscura quest'esperienza soggettiva positiva. Tanto che lo stesso Ulrich ricava dal «geniale cavallo da corsa• arrivato prima di lui la prova definitiva di non poter diventare un uomo notevole. Ciò che Musil non accetta è che quell'esercizio sportivo che può illuminare l'oscurità dell'io venga poi regolamentato, razionalizzato, sfrutta• to ai fini necessari alla «società del rendimento•. In questo è in piena sintonia col Brecht di quegli anni, che si dichiara «contro ogni tentativo di fare dello sport un valore culturale, proprio perché so tutto ciò che questa società mette in moto con i valori culturali. Sono per lo sport finché è rischioso (insano), non coltivato (e non adallo alla vita sociale), fine a se stesso•. (Ma Brecht - a differenza di Musil - evidenzia anche quanto della stessa «insanità» c'è nell'assistere agli spettacoli sportivi). La sua cnt,ca allora colpisce non tanto gli sportivi quanto chi, occupandosi di sport, «si risparmia gli esercizi•: «Cosi nasce lo spirito dello sport. asce da un vasto giornalismo sportivo, da uffici sportivi, scuole sportive, istituti superiori di sport, dalla scienza sportiva, dal fatto che esiste un ministro dello sport, che gli sportivi vengono esaltati, diventano una legione d'onore, sono continuamente menzionati dalla stampa. (...) Si avverte un vuoto, in cui lo sport si getta a capofitto. on si sa esattamente che cosa vi si gelli a capofitto, ma tutti ne parlano, e allora qualcosa ci deve essere: è sempre così che arriva ad avere autorità qualcosa che si chiama un bene superiore». Lo spirito del secolo trasforma dunLJ • ..., I 1""__ '-A G """..., 1 a ..,.., que lo sport da esperienza pre-logica illuminante in un movimento generalizzato, razionalizzato, che produce sull'individuo alienazione. provoca un io fortemente passivo. avvizzito. «come un pezzo di carne estranea»; e ne produce un 'ideologia per «il rinnovamento dell"uomo». L'esercizio sportivo si pone «non più come il vile talento di un corpo, ma come un trionfo della morale e dello spirito• (dove, come ricorda Baur, la morale è per Ulrich «come tulli gli altri ordinamenti, tra la costrizione e il potere! Un gruppo di uomini giunto al dominio impone semplicemente agli altri le prescrizioni e i principi attraverso cui rafforza il proprio dominio•). • La boxe e altri sport analoghi, che introducono (lo sport) in un sistema razionale, sono una specie di teologia, - spiega Ulrich - anche se ancora non si può pretendere che ciò venga universalmente riconosciuto•. E «non è sorprendente cercare di spiegare la teologia mediante lo sport, e magari abbastanza interessante, perché lo pori è un fallo contemporaneo, mentre la teologia è una cosa di cui non si sa niente, quantunque esistano innegabilmente ancora moltissime chiese». Il Pitagora, interrogato da Leone, '' tiranno di Flionte, sul ruolo e la funzione della filosofia, rispose che la vita degli uomini somiglia a ciò che accade nelle grandi manifestazioni sportive. Alcuni vengono a procurarsi la gloria: sono gli atleti; altri vogliono comprare e vendere: sono i mercanti. Altri infine non ricercano né il piacere né il profillo; vogliono sapere chi li avrà e in che modo: sono i filosofi». L'analogia, riportata da Cicerone nelle Tusculanae, è citata da Bernard Jeu per dimostrare come; nell'antichità, il fallo sportivo potesse validamente servire da modello esplicativo per indicare al non filosofo il ruolo del filosofo nella società e come contribuisse efficacemente a riassumere in modo più' concreto e comprensibile l"organizzazione della società. La realtà sportiva è più evidente della realtà filosofica e l'uso di analogie tra realtà sportiva e filosofica è molto diffuso nella storia della filosofia classica. Dunque, ne ricava Jeu, «dobbiamo trarre qualche insegnamento tanto per la comprensione della stessa filosofia (perché può essere conosciuta a partire dallo sport) che per la determinazione della realtà sportiva nella catena delle realtà ideologiche». Lo sport sorge prima della filosofia, le olimpiadi hanno inizio circa due secoli prima dell'esistenza di quello che è considerato il primo filosofo, Talete di Mileto che - coincidenza simbolica narrata da Diogene Laerzio - muore assistendo a una gara sportiva: «il rito sportivo -scrive Jeu -gioca nell'aneddoto il ruolo di mediazione tra il filosofo che si interroga sulla realtà, che guarda gente che si fa violenza, e la morte dello stesso filosofo». La scansione del tempo della storia dell'uomo si fonda sul «periodos» (letteralmente il «circuito» delle manifestazioni sportive della Grecia classica, i giochi olimpici, pitici, istmici e nemei); «in un certo senso, lo sport caratterizza la conquista del tempo naturale da parte della storia». Con la comparsa della filosofia lo sport, nato direttamente dal mito religioso, viene privato della sua origine, si riduce a rito. E può seguire un corso suo proprio, anche perché sparisce il significato del simbolo. Resta in accordo con le sue origini per i modelli che veicola, acquisisce nello sviluppo storico strullure originali. La sua portata ideologica e la sua popolarità sono tali da permellere un uso ampio dello sport per le analogie tra realtà sensibile e realtà intelligibile. Da Senofane, assertore della dicotomia nella tra le due realtà e radicalmente contrario allo sport sulla base del criterio dell'utilità sociale, a Democrito che stabilisce l'analogia tra il comportamento dell'atleta e quello del filosofo (che deve vincere nel convincere); dallo stoicismo (il filosofo deve essere coraggioso come un atleta) a S. Paolo (occorre condurre bene la gara e riportare la vera corona). In tulio il mondo antico dunque lo sport ha un intreccio profondo con le strullure della società. La sua fine si determina proprio sul piano delle ideologie, dei valori. I legami con dèi, santuari e riti pagani ne determinano un'impossibilità di convivenza con un mondo che si cristianizza. Si può forse considerare simbolico il fallo che a rilanciare i giochi olimpici in un momento difficile sia - lo rilevano Finley e Pleket - Erode, re di Giudea. Quest'intreccio tra sport e società è, rispetto alla funzione svolta dai giochi olimpici, dall'atletica, dal ginnasio nel corso di un millennio, pochissimo studiato e conosciuto. Finley e Pleket osservano che nel nostro tempo «il rifarsi alle antiche olimpiadi ha prodo110 calliva storia e callivi argomenti». Non è vero ad esempio che nell'antichità esistesse il «vero dilellante». Il denaro per cui gli atleti gareggiavano consisteva in sussidi direlli, forniti in primo luogo da cillà e sovrani, ma anche da ricchi patroni privati. Altrettanto infondato l'argomento dei «giochi che promuovono l'amicizia internazionale• come retaggio delle olimpiadi antiche. «La tregua non interrompeva mai una guerra, né gli elei erano davvero così scioccamente utopisti da credere di poter ollenere tanto». La tregua serviva semmai ad ollenere salvacondolli per le decine di migliaia di persone che viaggiavano da e per Olimpia. Di fallo i giochi proseguivano anche durante le guerre e solo le ostilità aperte contro gli elei che organizzavano igiochi erano proibite e punite. Dunque. avvertono gli autori, Coubertin nel fondare alla fine del secolo scorso le olimpiadi moderne fece una scelta realistica adeguata agli interessi dei suoi giorni, non a quelli di una civiltà morta da tanto tempo. «Ai suoi intenti doveva servire lo 'spirito' olimpico, l'ideologia olimpica così come egli la concepiva, non l"antica realtà olimpica». Anche Bernard Jeu denuncia come la nozione di Giochi olimpici si basi su tre grandi mistificazioni: la nostalgia di un paradiso perduto, corrispondente all'età dell'oro dello sport e della società schiavista, l'affermazione della purezza di intenzioni dei partecipanti, lo sfrullamento commerciale del mito del dilellantismo. Le olimpiadi moderne, il Comitato olimpico internazionale, i comitati olimpici nazionali sono le strullure, gli apparati su cui si è fondato, dopo quindici secoli di assenza, il rilancio dello sport moderno. Lo sport rappresenta senza dubbio un'espressione dello «spirito del secolo». È una leva fondamentale della società dello spettacolo, svolge, forse più di altre forme di comunicazione, una funzione di omologazione di diverse culture. Anche lo sport moderno rappresenta un universo chiuso in se stesso, con il proprio sistema di rapporti internazionali - il primo codificato nell'epoca moderna, prima ancora della Società delle nazioni, - il proprio diritto, la propria legislazione, un monolitismo e una coerenza interna a cui la dizione «mondo sportivo» ben corrisponde. Nel giro di pochi anni dall'inizio del secolo si è ristabilito in modo profondo l'intreccio tra strullura della società e sottosistema sportivo. Il volume di Boulogne su de Coubertin rappresenta per ora il tentativo più completo di lettura e di analisi dell'opera del barone francese. Lo sviluppo dell'apparato sportivo moderno ha messo in ombra le lucide teorizzazioni e intuizioni da cui quello stesso apparato prendeva le mosse. Come nell'antichità sparirono i miti da cui traevano origine le olimpiadi, così nel nostro secolo sono state cancellate le tracce da cui muovono i nuovi riti e le forme delle olimpiadi e dello sport moderno. (Nulla si rintraccia in Italia, ad esempio, degli oltre trenta libri scrilli da de Coubertin.) Il merito maggiore di Boulogne sta forse, oltre che nel reperimento di una gran quantità di inediti, nell'indicazione della filiazione culturale di Coubertin da Le Play, sociologo francese anch'egli sottovalutato rispello al peso esercitato dalle sue teorie. Questo collegamento può essere utile per comprendere soprattutto l'etica dell'universo sportivo, l'insieme coerente di valori aristocratici e borghesi, l'alleggiamento ambivalente nei confronti dei processi di industrializzazione, la centralità del piccolo gruppo (famiglia e comunità locale) nel rapporto tra individuo e società, ecc. Il successo dell'etica sportiva resta però saldamente collegato alla costruzione coubertiniana più originale, l'ammodernamento cioè di quel sistema di regolazione e di regolamentazione che ha permesso l'affermarsi di un 'estetica sportiva, che ha visto uno sviluppo parallelo all'evoluzione dei media e ha determinato, sul piano della diffusione di massa, il successçi, il suo divenire «spirito del secolo».

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