t Le precedenti puntate del dibattito sul tema posto da Alfabeta con il titolo Posrmoaerno/Moderno sono apparse nei numeri: 22, Marzo (Habermas); 24, Maggio ( Lyotard, Ferraris,1lluminati-Montuori, Tanca, Bari/li, Bolelli); 26(27, Luglio/Agosto (Veca, Maldonado, Berardi Bifo, Formenti) Andrea Branzi «E se non ha più stile si chiamerà postmoderna», in Modo, N° 28. 1980 Ada Louise Huxtable «Achitecture at the Crossroad•, in Dialogue 53, 1981 Lodovico B. di Belgiojoso «Considerazioni su 'modem' e 'postmodem'•, in Città e Società, 1981. I. J.F. Lyotard La condizione postmoderna Feltrinelli, Milano, 1981 Charles Jenks & G. Baird Meaning in ."ucbitecture trad. it., ILsignificato in architettura Bari, Dedalo, 1974 Charles Jenks Bizarre Arcbitecture London, Academy, 1979 The language or Postmodern Arcbitecture London, Academy, 1978 N ella nostra (italiana) metodologia didattica, l'insegnamento che . va sotto l'etichetta di carte moderna• (anzi di «arte medievale e moderna») comprende di solito un periodo storico che non si estende. come sarebbe logico attendersi, dal medioevo ai nostri giorni; ma che s'arresta all'ottocento, spingendosi tutt'al più fino alla metà del secolo scorso. Tutto quello che vien dopo appartiene all'arte contemporanea. Sarebbe più giusto far coincidere arte moderna e arte contemporanea; e abolire - prima ancora di vederlo nascere- il ridicolo e presuntuoso aggettivo di postmoderno. Ma, dato che ormai di postmoderno si ragiona à tort et è travers ubiquamente, accettiamo pure questa dizione, limitandola a quei fenomeni artistici che si sono andati verificando negli ultimi dieci o quindici anni, e che probabilmente continueranno a svolgersi anche negli anni immediatamente futuri. Che hanno di caratteristico questi fenomeni rispetto ai «paleo-modem?» Meritano di essere considerati una categoria a se stante? Se lo chiede anche una critica americana molto acuta come Ada Louise Huxtable, che afferma: «Sotto la bandiera del postmoderno esiste un gran numero di campi differenti, dai formalisti che riducono ogni cosa alle astrazioni universali della tipologia e della semiologia, sino agli inclusionisti che abbracciano l'intero ambito della storia, compresa la sua componente bassa». Credo che buona parte degli equivoci e delle incomprensioni sorte recentemente ed eccessivamente sbandierate a proposito di opere architettoniche (ma anche pittoriche, musicali, teatrali), postmoderne sia dovuto a una ragione molto elementare: di non aver applicato quelle regole che in un antico mio volumetto definivo: «Le oscillazioni del gusto•. Mi sforzavo allora di spiegare come mai nel periodo tra le due guerre fosse cosi difficile da parte del pubblico l'approccio a certe forme d'arte-allora d'avanguardia - come la musica dodecafonica, la pittura astratta, l'architettura funzionalista. Ora, non si dovrebbe dimenticare che sono passati quasi cent'anni dalle, per quei tempi, rivoluzionarie teorie e operazioni dei Mies, dei Schoenberg, dei Mondrian. È, dunque, non solo comprensibile, ma inevitabile, che almeno a partire da una ventina d'anni in qua, si stia assiPostmoderno/Moderno (12) Ossia ntimoderno stendo a un «revirement», nei gusti e nei costumi artistici. Si obietterà che già per passare dal cubo-futurismo, all'astratto-geometrico, dall'informale al pop dal liberty al razionalismo, gli sbalzi sono stati forti. Ma bisogna convenire che sono stati meno forti di quanto di solito si afferma. Tra l'astrattismo d'un Mondrian, e quello d'un Bill o d'un Dorazio; tra il protorazionalismo d'un Loos o d·un Oud. e quello degli SkidmoreGilio Dorfles alla realizzazione di molte pessime costruzioni vuoi sperimentali che revivalistiche. Per cui, per tagliar corto su questo argomento, potrei concludere affermando: è giusto sollevarsi contro le schematizzazioni dell'lnternational Style (che, a torto, è spesso confuso con quello che, inizialmente, era il M.M.), ed è altrettanto giusto andare alla ricerca di forme nuove, magari balsfeme, magari riscoprenti il valore della decorazione. ma occorre giungecercene: in un paesaggio urbano o extraurbano come quello, inondato di Kitsh, degli USA simili «ironizzazioni» dell'architettura in quanto mass medium possono essere accettabilissime. Tanto più se connotano un'evidente transitorietà ed effimerità delle loro strutture. (Saranno certo abattute o modificate nel giro di un decennio, a dir molto.) E lo stesso possiamo dire dei molti- assurdi per partito preso ma .--,----------------- Owcn-Mcrrill. il passo non è poi tanto lungo. Che intendo affermare con ciò? Che il pubblico - e la critica - si sono adagiati nella convinzione di essere up to date senza accorgersi di essere ormai desueti; si sono adagiati nella convinzione che certe formule dovessero durare per sempre mentre non potevano durare che qualche decennio. Q uando alcuni anni fa Charles Jenks (oggi considerato uno dei profeti del Post-modem, del Latemodem, nonché della bizzarre architecture) mi invitò a scrivere un saggio per il suo volume antologico Meaning in Architecture cercai di sostenere soprattutto un'esigenza: quella di «resemantizzare• l'opera architettonica. Era un principio che avevo già individuato un paio d'anni prima quando cominciarono a moltiplicarsi gli interventi semiotici attorno a quest'arte edetto in soldoni - il mio suggerimento consisteva in questo: l'architettura contemporanea (ossia quella derivata dal funzionalismo del Movimento Moderno (M.M.) e poi cristallizzatasi nell'Intefnational Style) aveva perduto buona parte della sua carica semantica. Era fondamentale, dunque, che il singolo edificio riacquistasse quell'efficacia significativa che in passato aveva e che doveva ritrovare. In altre parole, di fronte all'evidente aisi delM.M. con i suoi lugubrie monotoni parallelepipedi di acciaio e di vetro, bisognava recuperare il gusto del diverso. Il che non doveva significare un ritorno al passato e tanto meno un rigurgito stilistico, ma solo una maggior libertà compositiva che permettesse di uscire da certi schemi razionalistici divenuti ormai inattuali, (come le curtain-walls, e il pian-libre, impiegati anche quando non era necessario). Oggi molta acqua è passata da quelle mie affermazioni, mentre il grande brusio che si sta facendo attorno al postmoderno ha acquistato toni apocalittici e, quel che è peggio, ha portato re alla creazione di configurazioni autenticamente «semantiche» del loro contenuto, e non solo parodistiche. Se l'ironia d'un Hollein o d'un Venturi può essere spesso apprezzata e giustificata; questo non significache si debba plaudere ad ogni curiosità revivalistica o ai molti neo-accademismi ecclettici. Lo afferma anche un architetto quanto mai equilibrato come -Belgiojoso in un suo recente articolo: proprio Belgiojoso, l'ideatore - insieme ai suoi colleghi Rogers e Peressutti -, di quella Torre Velasca, che rimane uno degli esempi meno tipici del M.M. di cui l'Italia possa vantarsi; e anzi, come afferma Branzi: «se sembra un chiodo piantato nel centro di Milano, ciò esalta il suo segno senza ridurne la validità architettonica.» Quando un architetto geniale e scanzonato come Robert Venturi, propone i suoi «decorated shells• - scatoloni bianchi rivestiti di banali decorazioni a fiorami - per un supermarket - non possiamo che compiaspesso giocosi e <ld resto funzionalissimi - esperimenti SITE; anch'essi destinati all'architettura del consumismo e della comunicazione di massa. Ma se, invece, volgiamo la nostra attenzione a opere meno transeunti come il grattacielo AT e T di Philip Johnson o come la Piazza d'Italia di Charles Moore, il discorso cambia; e molte delle accuse mosse a queste architetture (come a molte- non tutte - di quelle esemplate dalla ormai leggendaria Strada Nuovissima biennalesca) diventano legittime. ' E a questo punto che entra in gioco un approccio più dilatato del concetto stesso di postmoderno; esteso non solo all'architettura, ma alle altre arti e agli altri settori della cultura contemporanea. Quando, infatti;Lyotard (nel suo intervento su Alfabeto) affe·rmache: «se si considera il lavoro delle scienze o quello delle arti ci si accorge che il problema consiste ancora [come ai tempi di Aristotele e dei Sofisti] nel produrre frasi paradossali», ossia frasi inedite, frasi che inizialmente almeno siano «inaudite» e permettano quindi un genere di comunicazione solo in parte decriptabile, afferma probabilmente qualcosa di molto giusto. La «stranezza» di certe opere, infatti, «consiste esclusivamente nello sperimentarne le regole». Gli ultimi eventi pittorici, «transavanguardisti» lo hanno ben evidenziato: non è un male se si assiste al recupero della figurazione, del «dipinto a mano», alla ricomparsa dell'elemento fantastico (o magari «fantasmatico») dopo tanto rigore e spesso tanta noia (si pensi ai Reinhardt, ai Lewitt, e prima ai cinetici, ai programmati. .. o pegMan Ray. lv,•.,·Tanguy. Juun Mirò, Max Morise, cadavere squisito, 1928 • gio alla schiera dei presuntuosi e vacui concettuali, alla Art Language). Ma è anche troppo facile credere che un eventuale postmoderno pittorico consista soltanto nell'andare contro-corrente, nel «non saper disegnare», nel rovistare nei meandri d'un superficiale neoromanticismo - neo naif - neoimagismo... E che dire delle posizioni neo-mistiche, e neo-mitiche di molta critica e di molta ermeneutica? Non è un caso se, nelle sue predicazioni un neo-romantico come Beuys, si rifà alla Dreigliederung steineriana; ossia se tenta di coinvolgere, nelle sue elucubrazioni estetiche, anche delle più o meno scientifiche argomentazioni socio-politiche. Ma è proprio a proposito di mitos e di logos, di razionale e irrazionale, che oggi sorgono i maggior equivoci in nome d'un postmodernismo mal inteso. È stato affermato più volte (si veda l'articolo di Habermas su questa rivista dove si parla di vecchi conservatori, giovani conservatori e neo conservatori; indudendo tra costoro Bataille, Foucault e Derrida; e si veda anche quello molto acuto di Formenti) come spesso le accuse rivolte ai «Nuovi Miti», a una risorta attenzione per il pensiero mitico, siano da associare a posizioni di «nuova destra», di nuovo razzismo, o di rivalutazione di quello vecchio. La assimilazione di tendenze cosl divergenti (come quelle citate da Habermas che includono anche Wittgenstein e Gottfried Benn) risulta troppo elementare: che i neo-nazismi e i neorazzismi riprendano in considerazione squallidi luoghi comuni derivanti da antichi materni mal intesi (si veda il volume di Christopher Lindenberg, Die Technik des Bosen; La tecnica del male; -politiche di crisi e avvento del Nazismo, Filadelfia Ed., Milano 1981) non significache si debbano tacciare di neo conservatorismo gli autori più sopra citati anche se può essere pericoloso lasciarsi invischiare in talune impostazioni socio-politiche talvolta agitate da alcuni di questi autori, cadendo nell'ambito d'una spesso ingenua adorazione del Pensiero Negativo, della Crisi delle Idee. Ma esiste ancora un vasto campo di indagini sull'attuale e futura mitopoiesi, che meritano d'essere esaminate con serietà e senza compiacimenti misticheggianti e che possono portare a una rivalutazione di alcuni strumenti del pensiero immaginario, capaci di essere fonte di nuove e inattese conoscenze. . In altre parole, il valore gnoseologico dell'elemento mitico- e questo vale per le arti visivecome per la poesia o la musica - può essere oggi molto più efficace di quanto non sia quello iperrazionale e neo-illuministico di cui s'ammantavano ancora ieri i seguaci di certe correnti artistiche legate ai feticci della razionalità (architettura funzionale, arte programmata, musica dodecafonica). Ecco perché, se cerchiamo di precisare alcune analogie tra arti diverse legate da una comune volontà di impadronirsi di elementi che trascendano la realtà e anche la razionalità, possiamo forse rinvenire alcuni fattori - chiamiamoli neo-barocchi o neoespressionisti, o anche neo-mitici-che saranno comuni alle architetture d'un Scharoun come d'un Bruce Goff; d'uno Sterling come d'un Hollein; alle opere letterarie d'un Burroughs come d'un Bataille; e magari ad alcune recenti visioni utopistiche (ma neppure tanto) come quelle d'un McHale, d'un A. Toffler, d'un Gilbert Durand, e che possono racchiudere dei germi - non post-modernistici, ma neo-modernistici-tali da permettere all'arte di oggi e di domani, di essere ancora, e nonostante tutto, semplicemente moderna e non post-modeffia (ossia anti-moderna).
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