Alfabeta - anno III - n. 29 - ottobre 1981

Gotha li 3 Oct. 1869 Sor Lisandro mia! Eccheve quà uno de queli sonettacci der nostro povetone romanesco, er quale ho trascritto pe davve gusto. / Bellinedito L'abbagnatura Accidentacci! Sora Caterina! Rotto de collo! eh! statece un po' atten1i! Eh c'av,ele, ve pijja 'n acciden1i? M'ave/e fracicala co l'urina. Propio? Davvero? Eh, povera sguardrina, Che ave/e perzo già li sen1imen1i! Vorrebbia cascà moria qui a momemi Si nun è acqua de la conculina! Sine?!! acquaccia de fregna riscalla1a, Acqua de quel corpaccio de puttana, Che puzza de pulen1a, c'arifta1a. No, ri1ellucciade li mii cojjoni, Su s/0 buco de ciccia fresca e sana Ce se ponno magnà li maccaroni. Eppoi diteme un po' sur serio si ve cricca quell'ideaccia mia che snodai l'antro giorno quanno che stamio insieme, ciovene della confundimentazione de la razza gerlanica co la razza lattarina. Enbé, pe fa coraggio a li antri, bigna che noi ce spignemo innanzi. Sarebbia a dine che voi ve fermate, 'ndove mo sete, e ve pijjate na rigazza simpatica che ve coscerà propio a quer mi fone e ve aricomoderà le porpose rutte; e miodine arzerà la farda, e de là de le montagne, sia puro in culibus nonni, se farà professore de la lingua tedesca o de quarc'antrl! sciaparia, ché, corpo d'un gattuccio! non fo pe dine, sto fusto ci à la pagnotta a ritoccà propio ar bionno, senza tanti discurzi. Allora, in cuscenza mia me vojjo aritrovà na ciumachella, me vojjo·, na paciocca co li ciurli ricciarelli, co le lanterne friccicarelle, co la boccuccia piccinina, col corniscione tonno tonno e cusì via discorrenno. Pe crillona che cuncubinamento badiale! che belli pupi che vierranno coli perzichini taliani eco li fischietti (a bon gioco) todeschi! Dunqua, je la famo? Si no, abbozza Pompeo! Caso che mai nun vorressivo restà quine e aritornà insurbito ~nnelvos~rofaes~, ar!Gordatevearmanco de meme: fatene er porta pollastri e capateme na bella donna (cor busiilise; •fape?); pe via che lo sciurcio in sti paesi che quì nun me va a fascicolo, nun me vane. Me pare proprio mill'anni d'aribeve er sugo· romanesco e d'arzà er gomito co queli massiccioni de Tristevere. Der resto me buggiaro. Me sprofonno, sor professore, e ve dico: A rivedemosce! 00 ..... N emo propheta in patria. Il motto evangelico calza perfettamente a Giuseppe Gioachino Belli, la cui grandezza fu riconosciuta prima e meglio in Europa che non da noi, a partire da quel prodigioso talent scout che fu Gogol'. Tra i nostrani (Carducci e Croce compresi) si preferì il patriottico Pascarella, e persino Trilussa. Certo chi aveva orecchio fino non si lasciò sfuggire la grandezza limacciosa di sor Peppe. Verga, ad esempio, di cui il sottoscritto potè recentemente scovare le pezze d'appoggio per una sintonia già divinata dal Contini (cfr. Notizie su Belli e Verga, in «Otto/Novecento», 1980, 1 e Contini, Varianti e altra linguistica, Torino, Einaudi, 1970, p. 570). O Dossi, che nelle Note azzurre (a cura di Dante !sella, Milano, Adelphi, 1964), informato di prima mano dallo Gnoli che Belli comprò le poesie del Porta, ne annotò subito contatti e scarti. Ne echeggiò poi più d'un passo nella Desinenza in «A» (ora riproposta dall'Isella per l'Einaudi di Torino con una cura che manca alla ristampa Garzanti presentata da Laura Barile), e ne segul tempestivamente la fortuna: «Sul Belli scrisse anche lo ·t Schukardt [sic] due articoli sull'Allgec,, meine Zeitung: ne scrisse il Morandi ma imperfettamente ecc.» ..... ~ Dossi allude a due dei quattro pezzi ~ del grande glottologo tedesco apparsi .e:, nel 1871 sulla rivista di Augsburg, poi ~ v uniti nel volume di saggi Romanisches ..... ~ und Keltisches (1886) senza troppa i:: organicità, avendo dovuto lo Schul:! chardt aggiustare il tiro man mano che ~ si stampavano cose di e su Belli. Certo ~ esagera l'anonimo del prestigioso «Giornale storico della letteratura italiana» quando, nel 1913, scrive: «Sinora (è quasi vergognoso il dirlo) chi vide più addentro nella satira del Belli è uno straniero di vasto e penetrante intelletto, lo Schuchardt». Non pochi sono i meriti del saggio schuchardtiano: la polemica contro l'oleografia pietistico-edificante che dei Trasteverini offriva il gesuita Antonio Bresciani col suo Edmondo o i costumi del popolo romano; la «naturalezza» documentaria dei sonetti del Belli (che nel '98 lo svizzero Bovet assume senz'altro come fonte per un saggio storico-etnografico) coesiste con la poesia, di fronte a cui la maniera di un Berneri appare goffa. Altri punti, invece, sono più datati: come la presunta assenza di toni tragici, congrua all'inclinazione satirico-retorica dei Romani cui si opporrebbe l'inclinazione elegiaco-riflessiva dei Tedeschi. Ma la lettera ora pubblicata (di cui Piero Cudini ci ha cortesemente procurato la fotocopia) tratta dal carteggio ancora inedito tra Schuchardt e Alessandro D'Ancona conservato alla Normale di Pisa e all'Università di Graz, consente di irrobustire il ruolo dello studioso tedesco entro l'équipe .dei bellisti d'oltre frontiera di cui un lavoro a più mani (di Damiano Abeni., di Cesare G. De Michelis e dei d'ué • sottoscritti) fornirà presto, ce lo auguriamo, un quadro ragionato. Il carteggio corre dal 1868 al 1891. Schuchardt è giunto a Roma nel gennaio '68 attirato dal «più antico monumento» del romanesco, la Vita di Cola, capofila di una schiatta da cui rampollano Peresio, Berneri e Belli. IUI IVV Dietro il dialettologo sta in agguato il critico, che solo al capolavoro antico e •al moderno dedicherà amorevole attenzione. Scrive in aprile: «Da due mesi un signore e una signora mi danno lezioni d'italiano; innanzi appena ho detto tre parole italiane. Studio un poco il dialetto romanesco». Un poco? L'allievo è eccezionale: suoi maestri il Belli, che fa continuamente capolino nella lettera del '69, e fors'anche certi trasteverini d'osteria, di cui sente nostalgia: «Me par proprio miJJ'annid'aribe.ve er sugo romanesco e d'arzà er gomito co queli massiccioni de Tristevere. Der resto me buggiaro». Madietro la letteratura c'è anche la vita. Si parla, con allegria goliardica, di donne e di matrimoni. E anche di politica, se sotto l'idea di un doppio connubio matrimoniale latino-germanico si vagheggia un'unità spirituale tra due culture complementari. Siamo, del resto, sulla scia della terza guerra d'Indipendenza, che ha visto le armi prussiane e italiane alleate contro l'Austria. Le cose cambiano quan- . do Bismarck nel '70 costruisce il Reich attraverso la guerra alla Francia, che • consente ai bersaglieri di romper Porta Pia senza rischiare le palle degli chassepo1s, ma che in Italia piace poco. Nel gerinai.Q,pel'71 Schuchardt, scrivendo a D'Ancona, Io-lascia intendere: non gli parlerà di politica, indovinandolo dissenziente in virtù dei vincoli del sangue latino. Ma la lettera porta af\Cheun sonetto del «nostro povetone romanesco», non documentato tra. gli autografi e non accolto perciò, dagli editori del Belli, perché apocrifo. Certo, tra gli Vostro milissimo disubbidientissimo apocrifi beiliani, il sonetto spicca per una singolare vivacità espressiva. Sarà davvero tale? Il sonetto compare,_.eol titolo Il bagno dalla ftnes1ra, nei 51 Sonetti umoris1ici stampati alla macchia forse nel '64 e con forti varianti nelle terzine; lo ritroviamo col titolo Dialogo sporco fra Ca1erinae Nena in una raccolta apografa posseduta da Ceccarius e, col titolo Unadisgrazia, in un'altra posseduta da Livio Jannattoni e studiata da un bellista omniscente come Roberto Vighi, che propende per un'attribuzione al Belli (S/udi belliani, Roma, Colombo, 1965). Gli è che la raccolta Jannattoni contiene 47 sonetti: dei 37 romaneschi, 32 son certo di Belli, 2 sono di altri ma da lui rifatti, e solo tre incerti (ma che il copista attribuisce al Nostro); dei 10 in lingua, 7 sono certo suoi, tre adespoti ma di sapore belliano. La raccolta si distingue dunque dalle altre apografe, manoscritte o a stampa, in virtù di una quasi totale attinenza alla paternità belliana. Dei tre sonetti non attribuiti, infatti, Pela morte de papa Grigorio (che compare in una bene informata plaquette losannese del '46, oltre che negli Umoris1ici, in una copia di Domenico Biagini, amicissimo del Belli, e nell'antologia Morandi 1870) sarebbe del Belli, a detta di David Silvagni, nipote del pittore Giovanni che fu amico del poeta. Il secondo, Cencio er ladro e Lisandro su'compagno (presente negli Umorislici e nella raccolta Ceccarius) pare al Vighi «attribuibile al Belli». Dal terzo si aggiunge ora la testimonianza e l'attribuzione autorevole dello Schuchardt, confemata dal D'Ancona (è un Hugo Schuchardt sonetto, risponde, «che però già conoscevo»). Stringenti, poi, i contatti tematici che L 'Abbagnatura intrattiene con due altri sonetti del Belli, 'Na precavuzzione, del 1835 («Pe strada ogni bagnato c'ha figura/d'un fonn<Jde tinozza o d'un rotino,/quello, Giot'anni mio, nun è mai vino, Ima acqua, e pe lo più piscio addirittura») e soprattutto L'accoppatura, del 1844 («Rotta de collo, carognaccia strega!/Co chi l'ho? l'ho co voi, sora sciuerta./Chi ariserrava la finestr'uperta?/Sta lùscia qua, chi l'ha buttata? Brega?») Belliano poi il lessico e il repertorio espressivo, ove si scrostino patina e sviste (rollo per rotla, conculina percunculina ecc.), e belliano soprattutto il piglio. Il dialogo delle «donne litichine» de L'abbagna1ura ha un'energia superiore al monologo de L'accoppalUra, a tacer degli scialbi apocrifi che s'appiccicarono al corpus dei sonetti autentici. Certo, finché non salti fuori l'autografo, la curiosità resta inappagata. Ma a proposito di curiosità, Belli ammiccava a chi volesse conoscer l'autore dei suoi sonetti: • Si vonno indovinà come se chiama/lo vadino a cercà ner frontispizzio»). E «ner frontispizzio» della sua raccolta autografa aveva cifrato- è il caso di dirlo- le sue iniziali: Il 996 ovvero ggb. Nel frontespizio della raccolta· che ci dà L' abbagnatura campeggia, perentorio: cdi Giuseppe. Gioachino Belli». Anche la cabala incoraggia il filologo all'agnizione. Raffaella Bena.zo/i - Pietro Gibellini

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