Alfabeta - anno III - n. 26/27 - lug.ago. 1981

Massimo Bassoli Rock and RoUMan: Milano, Gammalibri, 1980 Roberto Anioni Stagioni del Rock Demenziale Milano, Feltrinelli, 1981 pp. 133, lire 3.800 Renato De Maria,Saint Mark's Piace, angolo Piau.a Maggiore, e GianniEmilio Simonetti, Gli scemi e il furore, su Masiat 80, n. 13, aprile 1981 Autori Vari The Great Complotto Pordenone ltalian Records Autori Vari Rocker '80 EMI Italiana Maurizio Marsico Monofonic Orchestra ltalian Records A nni fa usci negli Stati Uniti un volume di un tal Richard Meltzer, The Aesthetics of Rock. Si trattava del primo tentativo, cosi almeno il giudizio «ufficiale», di leggere in chiave cculta» il fenomeno della musica giovanile; in realtà, quel sinistro pamphlettino abborracciava risapute citazioni marxiane con il Platone dei «bignamini» e quei francesismi che son la spezia preferita di certi manicaretti «culturali» d'oltreoceano. Ci tornano alla mente, quelle pagine, a sfogliare il Rock ami Roll Marx che abbiamo messo in epigrafe. Un portavoce della «lega degli ex sessantottardi» riesce finalmente ad arrivare a pagina centoquaranta delle sue memorie; con l'aria più determinata che ha in repertorio scriveche la musica pop/rock è nata a San Francisco nel 1965 ed è morta a Chicago nell'agosto di tre anni dopo, salutata dai randelli e lacrimogeni di certi «democratici». Si premura poi di spiegare convincenJemenJe come Io «sfondamento» ai concerti rock non sia mai stato mezzo di sabotaggio rivoluzionario né manovra di reale liberazione della musica («Si dovrebbe sapere che una merce non può essere 'liberata' fino a che esiste il suo circuito di produzione: si dovrebbe inoltre sapere che la legge del valore scomparirà solo con il rovesciamento dell'ordine esistente»). Arriva finalmente alla formulazione di un vero e proprio teorema: la musica rock è stata rubata dai Bianchi ai Neri (cosi, in maiuscolo). Il resto sono «buone citazioni» ed hegelianità. on ci interessa saggiare più tanto le piccole miserie della «letteratura rock» italiana; di un simile libro si può dire, come minimo, che arriva curiosamente tardi (non a caso, forse per coscienza dei riflessitardi da parte dell'autore, l'indagine si arresta al calare degli anni '70). Ci preme piuttosto notare come i riti degli operatori rock csu carta», in Italia, continuano a essere immutabilmente gli stessi. I trentenni han l'occhio umido di nostalgie e son fiaccati da cento visite e cento, sulle ali del ricordo, ai giorni magici della loro gioventù, quando «qualcosa accàdde»; i più giovani hanno cosi voglia di imporsi alla ribalta («si parli delle cose nostre, non di altro!») che han già imparato perbene ilmestiere, e procedono con la testa rivolta all'indietro, e usano gli stessi «collanti per imbalsamazione» per dire di quello ch'è successo l'altroieri. Gli sforzi di memoria degli uni e l'ansia di protagonismo degli altri stanno generando quel flussodi «onde mitologiche» che sta muJamio (nel senso genetico del termine: il «cromosoma in più» dei Devo) le nuove tribù giovanili. In mezzo alle due correnti (o alle due bande: non è fuor di luogo usare il linguaggio della malavita) si situano i mezzi di comunicazione «ufficiali», i panorama e le repubblica, che banalizzano, infarinano con costume & cultura, tolgono il succo del fenomeno e il resto lomettono a surgelare. Nuove frontiere della gastronomia musicale: il precotto rock, su carta stampata. Non dimentichiamo il sale del paraLa mortedell'Aida dosso. Al pubblico, cioè, ai destinatari delle nostalgie e delle informazioni «surgelate», tutto ciò interessa punto o poco. Le ricerche, azzardate o bugiarde, di una qual tendenza, le visioni a trecentosessanta gradi, i riassunti «sociologici», i nuovi fans Ii hanno in uggia; proprio in quanto sono fans, dunque semplicemente deèlitial culto. consapevoli e onorati del proprio ruolo. Ora, lasciamo pure da parte i sospiri lamentosi e i «come belli eravamo!»; si dovrà pur notare, tuttavia, che solo qualche anno fa tirava ben altro vento. Il rockofilo giovane della passata civiltà, in Italia, almeno, aspirava a essere intenditore di musica: gourmet e non gourmand, per usare il linguaggio della gola, quello si proponeva di avere ben chiaro il quadro della situazione, per usare in singolare maniera (creativamenJe, era l'avverbio allora in voga) le nozioni acquisite. Ancora, meditava sul concetto di eclettismo e si proponeva di sostituirvi quello di diagonalità: navigare per sbieco, dunque, per i diversi «generi», con la pia intenzione di rifar le carte di quei mari perché, appunto, di «generi» non vi fosse più traccia. Può bastare il ricordo dei molti peccati d'ingenuità e «dismisura», che quelli commisero, per salutare con gioia l'avvento della razza dei «cultori»? I nuovi predicano una pigrizia che, presa per l'altra faccia,si dimostra una sottile forma di intolleranza. Siam miopi, essi dicono, quindi non costringeteci a vedere di lontanto, e abbiamo le ossa peste fin dalla nascita, cosi che non ci riescono agilimovimenti. E, per soprammercato, ci sono cresciuteorecchie di foggia insolita; i suoni vi entrano solo se inclinati per un certo verso, cosi abbandonate le trasmissioni stereo ad ampio raggio e sintonizzatevi sulla nostra lunghezza d'onda, se proprio volete comunicare. Però: però del quadrato che abitiamo, del nostro fazwletto di terra sappiamo dire ogni cosa; e del nostro santo protettore, e dei beati che a lui si collegano, abbia:: mo cura e amore come nessuno. Si noterà senz'altro che per una tribù cosi curiosamente «de-evoluta» occorre ben altro che non la consueta «rivista d'informazione e cultura» o la raccolta di saggetti su base storiografica. L'industria del libro ha già provveduto da tempo: agiografie, bestiari favolosi,tomi di cappa e spada musicale, atlanti geografici rock, perché quel che ruba il cuore ai nuovi fans sono l'intreccio e l'avventura, pur se improbabili e mitologici. Della medesima fatta cominciano a essere i mensili specializzati, convinti finalmente a colmare il gap, come dagli stolti auspicato, con le riviste d'oltremanica e Riccardo Bertoncelli Francesco So/imena d'oltreoceano. Sono fanzines o meglio, una via di mezzo fra il ciclostilato «povero» (la fanzine vera e propria) e la rivistina amatoriale «di settore», di cui in Italia esiste una lunga e buffa tradizione. Quei fogli di «vita parrocchiale», che al di là dei diversi ambiti specificimostrano medesimo spirito goliardico e perfetta identità di linguaggio, si spartiscono buona parte del mercato della «musica giovanile scritta» in Italia; e anche le riviste conformate come tali si piegano per necessità a imitarli ché altro, più che istruzioni al culto del «santo patrono» o qualche dispensina di «sociologia a fumetti». altro non riscuote gradimento. La presunta anarchia della nuova scena, come ben si vede, si dimostra quella risibile menwgna che sempre abbiamo sospettato. In effetti, i rockisti e rockofili d'Italia aspirano a una confederazione di parrocchie sul modello di quella che il Giobertì ideò ai tempi del «rock risorgimentale». Per amore della gioventù, il papa si metterà '!Olentieri alla loro testa. D icevamo al principio della rapida fissione del neorock italiano; fissione voluta, per troppo amore di sé, dagli stessi protagonisti. A dispetto del titolo, Stagioni del rock demenziale non va considerato in quel senso un materiale coagulante: un manualetto d'illusionismo, piuttosto, un esercizio di elusività. Più di quello ch'è stato, Anioni ama raccontare quello che potrebbe essere stato o, ancora, quello che forse avrebbe dovuto essere; dalle sementi non proprio nobili dell'«orto botanico bolognese» può nascere anche questo, qualcosa che vagamente somiglia all'arbusto jarryano: voglia di un «mondo supplementare». Naturalmente è tutto piccolocosi. E i complessi, le vicende che s'intrecciano, con ritmo frenetico perché si perda in fretta l'orientamento, e non si ricordi più da dove si è partiti né di cosa davvero si tratta, rispondono alla semplificata logica della «demenza».: i Korrosives cantano L'acido brucia, i Krackers sono un gruppo «friabile e salato», i Kraters nascono dalle ceneri dei Vulcans e gliAtronauts progettano un «suono stellare». Confortevole sicurezza: nomen est omen. Viene da pensare che questo modo di riguardare le cose, e la « filosofia della demenza» in generale, è il massimo di sensibilità che il rock italiano ha mai sviluppato e può permettersi. Ingenuo stratagemma per uscire dall'impasse: estrema radio per continuare a vivere sul pelo della banalità, «facendo il morto», appena a galla, per dimostrare che tutto, anche quello, ha un senso e un'energia, e li puoi sfruttare. Naturalmente solo gli inventori di quel brevetto, gli Skiantos, per dirla in soldoni, hanno diritto agli alibi del caso: di questo loro dire tutto e il contrario di tutto, della monosintonizzazione di vita, come rinuncia ad avere qualsiasi cosa da dire e di cui essere responsabili, della moltiplicazione del possibile come parodia di una «discoteca di Babele» (a Borges unamamber card di «Pistone Rovente»?), di tutto ciò si può dire spicciativamente: fa tenerezza. Ai molti contraffattori e ai «dementi» di riporto, non concederemo tanto, nemmeno l'illusione, (ché altro non è) che «il posto della cattiva musica sia immenso nella storia sentimentale della società», come recita il Proust messo a suggello delle Stagioni - un po' di unguento per non leccarsi invano le ferite. N on abbiamo ancora speso parole sulla «materia prima» in argomento: il rock '80 italiano, i suoi protagonisti alla ribalta, la sua fenomenologia più recente. In effetti non abbiamo smania di scriverne: la scena cambia, sì, ma è un mutamento di facciata, sotto le cui ceneri covano le buf- . Je ambiguità di sempre. Il revivalismo «tambroniano» riesce sempre uno dei giochi preferiti ma non riscuote il successo, non mostra !'«aura commerciale» che solo pochi mesi fa avremmo detto. C'è ancora chi vi si diverte e parla, al proposito, di «garbatiremakes». Si soppesino bene le parole! [I «garbo» è materia attraente' e preziosa, specie di questi tempi, a cui si giunge per prolungato e discreto esercizio di disciplina. Se l'Astro Vitelli di Love In Portofino o gli Skaters di Saint Tropez Twist davvero ambissero a riuscire «garbati», con più zelo, allora, dovrebbero dedicarsi alla «alchimia deculturale». Non bastano un fornelletto a gas e la buona volontà per far decantare certi sinistri fumi che esalano dal canzonettismo del miracolo economico. C'è però di peggio. Per esempio le ultime voghe: il rockabi/ly e l'heavv mewl. La prima è una sofisllcata forma di «dietrismo» a uso degli anglosassoni: certe chitarrine vivaci, le vocette con l'eco valgono, in termini di «commedia nostalgica», i twist italiani e le «canzoni della spiaggia» del 1962. Importata in Italia, quella moda assume tratti vagamente allucinati: una grottesca appendice al «rock demente», un ballo dell'estate in più. Quanto all'heavy metal, la sua novità è palesemente falsa. Quel genere, in verità, basato sul culto del superomismo rock e sulla misticadel sudore in scena, esiste da sempre; se oggi ritorna, dopo un lustro di eclisse, vuol dire semplicemente che nemmeno il neo rock, con tutto il cinismodi cui era accreditato, è riuscito a sabotare la perversa ruota dei «cicli giovanili». Le avanguardie rockiste d'Italia che vorrebbero cimentarsi con quel genere facciano però attenzione. L'heavy è come il sesso dei cartigli Perugina, si riesce a farlo bene solo dopo i trenta; e poi quel territorio spettacolare, fatto di strumenti al «calor bianco», di amplificatori a muraglia, di personaggi che sono mostri o giganti o gli eroi nordici di Frazetta, è da sempre un feudo controllato dalle tribù giovanili di destra. Heavy e rockabilly, ad ogni buon conto, segnano un significativo«ritorno a casa,.: i metalli e i circuiti elettronici del «rock '80» non sono riusciti a convincere appieno le nuove generazioni, che ancora temono il «salto nel buio». Si noti ancora: il rockabilly si rivolge ai giovani fauti ballerini, l'heavy a coloro che nel fare i conti del rock non vanno più in là della tabellina del sette. D'altro canto i «futuristi» hanno sempre a disposizione le elettro bande bolognesi o furlane e i più intellettualizzati, con amore-di-Eno, possono trovare alla bottega di sotto un autarchico surrogato «ambientale», come l'extended play di Maurizio Marsico. Questo vogliamo dire: che l'unanimismo rock del '77 è bell'e morto, che la scena rock italiana forse non è solida e forse nemmeno esiste ma offre una serie di prodotti «differenziati» per i diversi gusti musicali e, perché no?, per i diversi ceti sociali. Non troviamo che tutto ciò abbia meravigliose analogie con certe forme di vita elementari: così i protozoi, che son tanto piccoli che nessuno li vede ma sanno riprodursi vertiginosamente, per scissione. Si può finire dall'inizio, spiegando il titolo. Non è che Verdi stia così bene con gli Skiantos o i Gaznevada: ma l'Aida dei teatroni di provincia, quella sì, le filodrammatiche e i dopolavoro con l'abito bello su fondali di cartapesta. Quei miti coi «popolari» e così «italiani», la musica che si fa subito fumetto e il dramma che diventa melodramma (i rockisti di buone lettere correggerebbero: mellodramma: perché, passata la misura, ci sono il miele, il caramello, il rosolio dolci insopportabili), abbiamo sempre pensato che tutto ciò fosse nel fondo del «rock italiano», nel suo corredo genetico. La «demenza» ha provato l'ebbrezza di un paradosso spettacolare, ribaltando esattamente i termini del discorso; riconoscendo certe volgarità, accollandosi certo spocchioso provincialismo e provandosi a cavarne qualcosa - un buon combustibile può pur sempre venire dai detriti. Quella sorta di omeopatia in musica, la stupidità che cura la stupidità, non ha sortito effetto; anziché guarire per via di revival, sciocchezze e bonbon, le nuove generazioni hanno mostrato nuovi e più spaventevoli segni di male. Diabete di musica, se non peggio. D'ora innanzi, mancherà anche quel dito per nascondersi. Le banalità mercantili, le avanspettacol-arità, i fumismi da salotto, tutto riprenderà il suo misero nome. Ai giovinastri del «rock '80», che risaliranno disordinatamente le valli che con tanta baldanza avevano disceso, l'estrema onta di essere riusciti soprattutto a perpetuare le solite, meschine, italiche cosucce.

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