G li interventi di R. Canosa ed A. Bevere più avanti pubblicati fanno parte degli atti di un seminario organizzato in maggio a Modena dalla rivista Critica del diritto in collaborazione con l'Istituto Giuridico della Facoltà di Economia e Commercio di Modena (gli atti completi saranno pubblicati dalla stessa rivista nel n. 21-22 previsto per l'autunno). L'incontro (con titolo «tendenze fondamentali dell'ordinamento giuridica italiano in particolare nei settori costituzionale-amministrativo, penale e del lavoro•) rispondeva a/l'esigenza, avvertita dagli studiosi ed operatori del diritto che collaborano alla rivista, di fare il punto sull'oggetto delle loro attenzioni, di indagarne le tendenze nei vari settori, di provare a misurarne il «peso specifico» rispetto agli altri strumenti di regolazione del conf/itto di classe, oggi. Ciò è sembrato essenziale per continuare ad esercitare la critica del diritto e dello stato, appunto. Il problema è naturalmente più ampio, non si esaurisce nella ridefinizione de/l'oggetto. In una parola, abusata ma utile per intendersi, è la questione del referente di classe, del soggetto collettivo al quale ricondurre leproprie elaborazioni teoriche. La consapevoleua del importanza il fatto che una politica di contenimento del costo del lavoro non può essere scissa da una politica di programmazione e che essa perde di mordente e di significato ove la seconda venga meno•). Per quanto concerne il comportamento delle corti, la stabilizzazione relativa continua nella forma dolce degli anni precedenti. Va notato tuttavia che, in alcune pronunce, soprattutto della corte di cassazione, si riscontrano delle opzioni garantistiche insolite per questo organo giudiziario. La stessa corte costituzionale, investita del problema della legittimità delle norme relative al congelamento della contingenza, pur riconoscendo valide le norme impugnate, non ha esitato a metterne in luce il carattere «eccezionale» e la necessità che esse siano seguite al più presto da contropartite a favore dei prestatori di lavoro, sotto «pena» di un «riesame», da parte sua. della questione. Per ciò che concerne la teoria giuridica, sembrano ibernate le teorie partecipazionistiche, diffuse nella seconda metà degli anni settanta (coloro che se ne erano fatti promotori, Amato. Giugni, Mancini, da qualche tempo tacciono sulla questione). La prudenza con la quale erano state accolte, allora. sia dai sindacati dei lavoratori che dalla Confindustria, spiega il loro «malinconico» destino attuale. La novità, se di novità può parlarsi. è data dalla proposta approvata dal Consiglio generale della Cgil nel 1979 di una riforma del sistema delle imprese basata sull'obbligo di predisporre e comunicare un piano di impresa pluriennale. Espressione, anche se vaga. di una linea partecipazionistica, sia pure a livello di sistema economico globale (e non di impresa singola. come i modelli classici di cogestione) è stata anche la proposta, poi decaduta. di costituire un fondo di solidarietà. composto con una trattenuta sui salari pari allo 0,50 per cento, per la durata di un quinquennio. Il fondo avrebbe dovuto essere istituito presso l'Imi nella forma di una gestione speciale autonoma, amministrata da un consiglio a composizione statale-sindacale ed il suo intervento per il primo anno avrebbe dovuto essere diretto allo «sviluppo dei settori economici», mentre per gli anni successivi avrebbe dovuto avvenire secondo scopi ed ambiti rimessi alle scelte del Cipe, confortate dai pareri delle organizzazioni sindacali. Se, sul piano delle leggi e dei contratti collettivi nazionali (le due grandi Diecainni carattere non contingente della mancanza di questo soggetto e della non proficuità del « fermar tutto» ne~'attesa che qualcun altro (ma chi? e quando?) ne proclami la nascita, impone che si continui ad esercitare la critica assumendo in pieno la responsabilità individuale di quanto si affermq, seni.aparlare a nome di altri, sperimentando anche tutta I' ampieua degli strumenti teorici e dei possibili punti di vista. Con due soli limiti: I) evitare la scorciatoiadi reperire, in assenza di meglio, un referente partitico già dato (l'inconsistenza della politica istituzionale, del Pci ad esempio, e la profonda dannosità della sua politica del diritto penale sono sotto gli occhi di tlltti); 2) evitare che la critica del diritto sia fatta «solo dal punto di vista del diritto», come pure spesso è accaduto negli anni di dibattito sul garantismo (chi pensa più a/l'utilità di appellarsi al testo costituzionale per denunciare l'illegittimità di una legge o anche per contenere una prassi giudiziaria prevaricatrice?). Ma torniamo al dibattito di Modena. Si è potuto constatare ir1primo luogo l'impossibilità di una periodizzazione comune a tutti i settori considerati. Infatti r1elsettore penale il punto di svolta è individuabile nel '74, con la legge che «fonti» del diritto del lavoro) non si notano (ancora), negli anni ottanta arretramenti del sindacato analoghi a quelli operati negli ultimi anni del decennio precedente, un discorso diver- <;0 va fatto per quanto concerne un"alAnto11el/oDa Messi11a aumenta i termini di carcerazione preventiva, mentre la fase allora aperta è ancora in corso. Nel diritto del lavoro invece gli interventi legislativi a favore dei lavoratori durano fino al '75, quando si apre la serie di misure a loro svantaggio in coincidenza con i primi governi di unità r1azionalenei quali ilpartito comunista, in cambio di riforme e della partecipazione alla maggioranza, si fa garante di una sostanziale tregua sociale (linea EUR). Tra il '76 e il '79 vi è ir1fa11uin certo attivismo istituzionale rimasto però solo sulla carta. Segue im periodo di ristagno a/l'interno del quale non sembra visiano tendenze chiare e nette. Se questi sor10 schematicamente i mutamenti «interni» ai vari settori, più in generale sembra esservi una perdita di incidenza globale del diritto come regolatore sociale «neutrale». La rivendicazione generalizzata dellagiustiziabilità dei diritti ha fatto il suo tempo, e nessuno parla più di programmazione e partecipazione come procedure legittimami le decisioni. A guardar bene lo stesso dibauito sul garantismo è stato l'ultimo momento in cui si sono concentrate sul diritto le aspellative, le più disparate, per una mediazione del conflitto sociale anche tra delle fonti non legislative di questo diritto, vale a dire gli accordi aziendali relativi ad imprese di grandi dimensioni e che si trovano (o affermano di trovarsi) con un numero di dipendenti superiore alle necessità della produnelle forme più eterodosse. Oggi di garantismo non si parla più né, per altro verso, si parla più di democrazia autoritaria, mentre le prassi giudiziarie, in nuova alleanza con la stampa, obbediscono sempre più a spregiudicati criteri di effettività della repressione, secondo una logica tipicamente amministrativa che di «terzietà» ha ben poco. Analogamente nel diriuo del lavoro lo stallo legislativo lascia il campo alle più pesanti manovre di accordi sindacali a danno dei lavoratori (egli esempi possono continuare: cfr. l'editoriale del n. I 8-19 di Critica del diritto). Pure la corposità, disordinata ma pesante, degli interventi statali a/l'interno di forme che permangono giuridiche indica la necessità di un approfondimento ed ampliamento della critica del diritto, piuttosto che di un abbandono di essa. Amedeo Santosuosso zione. Qui la disponibilità del sindacato di fronte alle richieste delle aziende è stata negli ultimi tempi pressocché totale. Se si tiene conto del fatto che si tratta di una materia nella quale poco contaPer Cesare Donati Di lui, morto improvvisamente ai primi di maggio, la rivista Critica del diritto dice: «personaggio difficile e dal sarcasmo talora irritante, era uno studioso lucido e raffinatissimo dei problemi istituzionali. Cesare non credeva nel garantismo e nella potenzialità democratica di questo Stato. Si può essere o meno d'accordo con lui: noi continueremo a studiare e analizzare Stato e diritto anche per accertare se, e in che limiti, il suo pessimismo era fondato». • Avevamo insieme stabilito un incontro al convegno di Modena a metà maggio; volevamo anche discutere di un questionario di Alfabeta sulla crisi delle istituzioni in Italia. Egli riusciva a dire il suo furore in termini di paradosso: come col concetto di «crimine di lesa maestà» proposto a interpretare l'imputazione del 7 aprile, accanto alla tesi di un ritorno inquisitoriale di Ferrajoli, e a poche altre tensioni esplicite sul tema. Accanto ai suoi articoli per Alfabeta, i suoi scritti più recenti in Criticadel diritto riguardano: la nuova costituzione cinese, la nuova costituzione dell'Urss, Esser e Edelman, il diritto in Cina. Francesco Leonetti no le norme garantistiche previste per i licenziamenti individuali e che l'unico mezzo di opposizione alle scelte del padronato è costituito dalla capacità di resistenza delle organizzazioni sindacali, ci si rende conto subito della gravità dell'atteggiamento rem1ss1vo adottato. Non si tratta di critiche gratuite. La curva ascendente della disponibilità sindacale risulta infatti in iutta la sua evidenza sol che si esaminino alcuni degli accordi più importanti conclusi nel settore in questi ultimi anni. Il primo di questi accordi è quello relativo alla Unidal dell'inizio del 1978. Di fronte allo stato di crisi del gruppo industriale nato dalla fusione tra la Motta e l'Alemagna, l'assemblea degli azionisti della società aveva deliberato lo scioglimento anticipato di questa. I liquidatori nel contempo avevano dato inizio alla procedura di dichiarazione di crisi aziendale in base alla legge 675/77 (questa legge era allora considerata il fulcro, in positivo, del diritto del lavoro dell'emergenza da tutta la sinistra: all'inizio degli anni ottanta se ne è constatato da tutti il decesso per totale assenza di funzionamento!). Veniva raggiunto un accordo con i sindacati in base al quale tutto il personale veniva posto in Cassa Integrazione Guadagni. Una società di nuova costituzione, la Sidalm, si impegnava, dal canto suo, ad acquistare dalla liquidazione Unidal i «cespiti industriali» necessari per consentirle un «utile avviamento della .attività produttiva» e ad assumere circa cinquemila dipendenti della Unidal entro il febbraio 1978. Per il personale non riassunto dalla nuova società, avrebbe continuato ad operare la Cassa Integrazione. Per evitare, tuttavia, che, alla scadenza della Cassa, le sospensioni si trasformassero automaticamente in licenziamenti, veniva inserita nel protocollo di accordo una clausola in base alla quale, «allo scopo di agevolare il collocamento delle unità esuberanti», le aziende Iri si impegnavano a mettere a disposizione nell'area milanese circa mille posti di lavoro distribuiti negli anni 1978 e 1979. Dopo lunghe traversie soltanto due-trecento ex dipendenti venivano sistemati in questo modo, mentre per gli altri, alla fine della Cassa Integrazione si prospettava inevitabile il licenziamento. onostante le molte concessioni fatte dal sindacato (qualche volta anche incontrasto con le leggi esistenti, ilche aveva reso necessaria addirittura la emanazione da parte_del parlamento ..... 00 °'
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