Alfabeta - anno III - n. 26/27 - lug.ago. 1981

-.. oc, °' surréaliste, Fellini non si perdeva un. numero del Marc'Aurelio. Dunque La ciuà delle donne. Snaporaz incontra sul treno una donna seducente e un po' volgare e subito la segue nel W.C. del treno. Lei va a una sorta di congresso femminista che, visto da Fellini, diventa il regno dei luoghi comuni. Snaporaz segue la donna al congresso e cerca di sedurre una qualsiasi delle partecipanti. Poi se ne va in una sorta di no men's land (nelle uniche sequenze di buon livello del film) e finisce nella villa di Sante Katzone. Qui tra le altre chicche visive, ci sono dialoghi in puro stile Harold Pinter, che è necessario citare ampiamente: «La sgrufona: Che animaletto sono io? Dillo alla tua ciccina, che animaletto sono, dimmelo, se no non vengo. E dimmelo!/Voce Katzone (affannata): La puledrina, sì/La sgrufona (con un grido): No, non sono la puledrina!/Voce Katzone (roca, mugugnata, spazientita): La cavallina! La cavall ...ina...sei .../La sgrufona (il grido diventa d'arrembaggio): No! No! No! Sono la tua scrofona ...scrof ...ona ...dimmi che sono la tua scrofona, senti come sgrufo? (grugnisce) Sgrufa anche tu. / Voce di Katzone che sgrufa / Una di Bergamo: Ma che barbaccia hai! Ma che dico a mio marito se mi vede le guance tutte rosse, con questi pelacci duri? Pazzo, porco! Porc...azzo» (cito dal Brogliaccio Scalettone Note Appunti Traccia di sceneggiatura de La cillà delle donne scritto da Fellini con la collaborazione di Zapponi e pubblicato da Garzanti, p. 74). La citazione potrebbe continuaJe a lungo sul medesimo registro. Ma non è tutto così. C'è anche la via del poetico. «Katzone: Amici, questa celebrazione si veste di malinconia. / E indicando con un gesto plateale la torta aggiunge in tono retorico: Questo dolce sa di amaro. / Voce di vecchie110arzillo: È perché ci hai pisciato sopra, porcaccione!/ Karzone (con un sorriso mesto scuote la testa amaramente): No, non è per questo! I Una voce stupita: E perché allora? Karzone (con grave solennità): Perché è ormai tempo di dire addio alle donne, anzi, alla 'donna', in generale, alla Donna con la D maiuscola! / Tra gli invitati di nuovo il vecchietto rubizzo dice ridacchiando: Vecchie/lo rubizzo: Parla per te, mio caro! / Katzone (senza farvi caso continua in tono ispirato): Addio Donna! Sposa, sorella e madre, creatura dei cinque sensi, tatto, gusto, olfatto, vista, udito! Noi palpavamo la tua carne. ascoltavamo i tuoi sospiri, ti assaporavamo, ti annusavamo! Non c'era parte di te che non fosse parte di noi: le tue cosce guizzanti, la dolcezza dei seni, la sicurezza dei tuoi abbracci, la ruvidità dei tuoi peli arricciolati: ansia e stanchezza, tenerezza e furore, baci e lacrime: addio! Conosco il. tuo corpo come il contadino conosce la terra. come un astronomo scruta le stelle; io so tutto dell'aureola dei tuoi capezzoli. ho esplorato la collina del ventre, ho gustato i tuoi liquidi acri, l'asprezza delle dita dei piedi succhiate ad una ad una» (p. 80/81). li Kitsch domina incontrastato. E ppure la letteratura del Novecento (e non solo del Novecento) ci offre un'interpretazione ed una scrittura dell'eros che non ha nulla a che vedere con l'ottica del bordello. Ma il linguaggio di Fellini e del suo brillante sceneggiatore in che cosa differisce dal vaniloquio del bar (come sempre per soli uomini), tra un flipper e un caffè corretto cognac? Grandi capacità mimetiche di Fellini? No, Fellini non è mai uscito dalla redazione dei giornali satirici e sboccati degli Anni Trenta, e dai" bar di Rimini, e ~ crede che le idee, Io sguardo, le osses0 sioni che dominano laggiù siano tutto. ~ (Prendete la sequenza della scuola in -9 Amarcord. Poi andate a vedere qual- °" -:: che film della serie L'insegnante ci sta con tutta la classe ecc. ecc. Che differenza c'è?) Ma, si dice, c'è un altro livello nei filmdi Fellini. I filmdi Fellini sono sogni, avventure oniriche, in cui proliferano figure ed esseri «che portano messaggi, che nascondono nei loro rebus, nelle loro sciarade, nei loro anagrammi i soliti sottofondi dei quali da gran tempo si parla .... La città delle donne sarà più che mai coagulata secondo una sintassi onirica» (Zanzotto ). L'instaurazione del sogno, dunque. Certo il sogno può essere la via per la rivelazione di un orizzonte segreto o può essere la riproposta di codici diffu- 'si, che semplificano l'eterogeneo e Io riportano al già conosciuto. La dimensione onirica di Fellini dà proprio questa impressione: di essere la riduzione al linguaggio comune della sintassi onirica, la semplificazione «televisiva», per tutti, dei procedimenti del sogno, la trasformazione dell'allucinazione onirica in paccottiglia Kitsch. Si potrebbe dire: un'occasione perduta. In realtà è peggio. Perché il Kitsch onirico elaborato da Fellini e autenticato da tanti critici, di fatto comincia ad occupare l'immaginario diffuso, diventa una forma sterotipata che si sovrappone alla dinamica immaginativa e cerca di nasconderla o di frenarla, costruisce un'apertura sul non conosciuto, che invece di favorire l'emergenza di un altro linguaggio, gli sostituisce una versione volgarizzata e caotica del linguaggio della subcultura visiva. I sogni di Fellini non rappresentano l'irruzione del linguaggio dell'inconscio. Sono sogni in romagnolo che semplificano la sintassi onirica, la riducono ad una caricatura e rafforzano il provincialismo della nostra cultura. Ma ridurre tutto Fellini alla filosofia del bordello è inesatto. In realtà ci sono due filosofie nell'immaginario cinematografico di Fellini. Una è la filosofia del bordello, l'altra è la filosofia dell'avanspettacolo, o più esattamente delle sue quinte. Quando non ha Io sguardo «corto» del bordello, Fellini ha Io strabismo teso ed eccitato di chi segue e organizza da dietro le quinte una rivista di avanspettacolo. Le cose migliori di Fellini vengono di Il: la scoperta della vita come spettacolo collettivo ed allucinato de La dolce vira. il moralismo straniato che <lisso!- Umberto Boccio11i ve la mascherata dei Vitelloni, l'apologo risentito di Prova d'orchestra. Ma poi, com'è ovvio, la filosofia del bordello e la filosofia delle quinte si unificano nella medesima dimensione espressiva del Kitsch. Se Visconti rappresenta la faccia • ovvia e stucchevole del Kitsch (tanta accumulazione di buon gusto, di lenzuoli ricamati, di mobili d'epoca, di opaline, che assorbono e prosciugano tutta la povera intelligenza inventiva dell'autore), Fellini ne rappresenta la faccia polimorfa ed eterogenea, barocca ed inventiva. Fellini non è privo di originalità inventiva (anche se ormai ripete soltanto se stesso), ma di misura stilisica, di rigore immaginativo, di gusto, di capacità selettiva: ac- /. r 1 , .1·, , r>A, 1. / .I JI !<, r, Adolfo Wildt cumula materiali eterogenei, trasforma Io sguardo strabico delle quinte in voyeurismo divagante o in appagata contemplazione dell'avanspettacolo. Piace ai vecchi che hanno visto i bordelli e l'avanspettacolo. E il suo apparente ipersoggettivismo barocco e. visionario, esemplato sui linguaggi bassi della letteratura popolare e del fumetto, garantisce il successo dell'oggetto più Kitsch prodotto da Fellini: il personaggio Fellini, ovvero l'artista spiegato ai poveri. G li ex giovani, ora generazione di mezzo. Bellocchio, Salto nel vuoto. Ex enfant prodige, giovane turco dislocato nel cinema dalla famiglia piacentina, baciato in fronte giovànissimo dalla gloria, Bellocchio ha seguito una parabola discendente esemplare, senza incertezze e senza tentennamenti. Ogni film che ha fatto era più brutto del precedente. Per lui, come per tutti gli altri, invecchiare è difficile. Schatzmann ante Iitteram (la famiglia uccide) Bellocchio non è mai uscito dalla sua sacra famiglia: e ne è morto. I suoi film prima andavano bene alla sgangherata percezione del cosiddetto movimento, adesso piacciono al santone laico dei reduci, quello specializzato nella posta rosa, Massimo Fagioli. Su richiesta dello stesso • Bellocchio (è una richiesta che dice tutto) Fagioli scrive la prefazione a Salto nel vuoto (Feltrinelli, 1980). È un capolavoro. Vale la pena di citare ampiamente. «1975; dieci anni. Giunge invecchiato con quel solo se pur robusto bastone de / pugni in tasca. Edipo a Colono? Forse. E il bosco sacro alle Eumenidi, vietato ma riposante, è difficile da vedere nel pur numeroso gruppo di persone che si riuniscono a fare psicoanalisi. Gruppo informe, annullante, dissociato, è più di una madre cieca e un fratello scemo che una sorella con cui stabilire un'alleanza. Ma questa origine materiale fa nascere poi la realtà psichica nel momento in cui, in ogni modo, una carica sessuale di rapporto immediato si è riusciti a non farla annullare. «Nel momento in cui, in ogni modo, esistevano tre bambini che, se pur reinfetati, dati per non esistenti, con la loro esistenza materiale frustravano l'onnipotenza del'istinto di morte. Nel momento in cui in ogni modo, la crescita numerica delle persone, che rappresentava un pene andato materialmente in erezione per violentare, trovò una recettività che ebbe il potere di trasformare il masochismo in creatività nella nascita di altri seminari. Perché questa volta ha lavorato e imparato, non ha adorato la buona novella del profeta di Londra. Si è fatto prima il bambino Salto nel vuoto, poi uccide 'il padre'. Anche se, avendo subito il poi di un certo caso clinico, a tutt'oggi si rompe la testa a cercar di capire 'il padre' che è poi la madre. Eppure è semplice: il fratello scemo non ucciso, non reinfetato nell'acqua della vasca da bagno, non fatto sparire nella propria masturbazione, dopo essere rientrato nell'utero materno, diventerà un padre come il giudice» (pp. 19120). Tutto chiaro, no? È proprio quello che ci vuole per Bellocchio. Non si possono naturalmente imputare a Bellocchio le distonie discorsive di Fagioli, ma Fagioli non arriva a caso: il livello del film, più o meno, è quello lì. Invero qualche differenza c'è. Bellocchio è un po' meglio. Dopo due film veramente mediocri (Sbatti il mostro in prima pagina e Marcia trionfale) costruiti sui fumetti e sulle campagne-stampa di Lotta Cominua e dell'Unione dei marxisti-leninisti (Marcia trionfale era un film molto al di sotto di Castellano e Pipolo: eppure Einaudi ne ha pubblicato la sceneggiatura), e l'esperienza meno significativa de La macchina cinema, Bellocchio tenta con Salto nel vuoto il recupero di una scrittura filmica più personale. claoorando un discorso che,nelle intenzioni, dovrebbe dialettizzare un orizzonte tematico legato all'attualità, e all'analisi di un microcosmo sociale con il permanere di alcune ossessioni personali (sempre le stesse, è ovvio). Progetto non originale, ma, con l'aria che tira, ancora sostenibile. E il plot ha, in fondo, qualche elemento suggestivo, anche se non nuovo: la follia normale del giudice, il grado zero dell'esistenza della sorella e la sua disperazione. Ma non appena Bellocchio comincia a lavorare su quel materiale, a ordinarlo linguisticamente, a inserirlo in un sistema di connotazioni, saltano fuori le magagne. L'immaginazione di Bellocchio si incontra con un pattern ideologico che non è solo ovvio, ma sembra tratto pari pari dalla demagogia e dallo schematismo del volantino. Già all'inizio ( cl titoli di testa in caratteri bianchi scorrono in sovraimpressione su fotografie di classi maschili e femminili, di diversa età, di scuole religiose. Sono accompagnati da un commento musicale cui si intreccia un delirio indistinto del fratello pazzo») lo spettatore è percorso dal brivido di rivedere per l'ennesima volta un film di Bellocchio sui guasti dell'educazione religiosa: come se non lo avessimo ancora capito. (Ma Bellocchio ha la mentalità di un maestro elementare o di un organizzatore di cineclub: repetita iuvant.) E poi arrivano a mitraglia tutti i luoghi comuni della cultura e dell'immaginario della nuova sinistra: ce n'è per tutti igusti: la famiglia uccide, i valori e i modelli di comportamento borghesi sono antivitali, distruggono l'individuo, l'irregolare è più libero ed autentico, ma è oggetto della violenza delborghese frustrato, i personaggi popolari hanno un senso più immediato della vita, la cameriera e il figlio costituiscono un esplicito modello positivo (un po' di Solochov e di Ciaureli non guasta ami) ecc. ecc. E, com'è ovvio, nell'incontro tra la «zitella> frustrata e l'irregolare nasce una nuova possibilità di vita. Ma tutto questo l'abbiamo già visto o sentito, no? Possibile che Bellocchio non sappia pensare per conto proprio, e sia ingrado di assorbire soltanto gli sterotipi alla Lotta continua di una volta? Ma i critici amici dicono che Bellocchio ha un senso immediato del cinema. Vediamo. Bellocchio dice di aver costruito un film «fatto di niente, senza fatti (che) procede secondo dei tempi dilatati, antispettacolari al massimo. Antitelevisivi. Fuori della convenzione di un certo modo di fare cinema». Lavorare sui «piccoli segni>, sui «piccoli mutamenti>, cercare di elaborare una scrittura neutralizzata, svuotata dalle classiche attrazioni spettacolari, estremamente dilatata, è certamente un progetto interessante. Ma in che senso il film è senza fatti? Cè un suicidio, una follia strisciante che esplode, un'altra follia dispiegata, la costruzione di un inganno, la progettazione dell'assassinio della propria sorella tramite un sicario ricattato, e il ,-aggetto di questa macchinazione è un magistrato, c'è un omicidio. E questo sarebbe un film senza fatti? I fatti ci ,ono e non sono nemmeno neutraliz7..atie sdrammatizzati come facevano i registi della nouvelle vague sulla scia del nouveau roman, o Wenders sull'onda di Handke. Non sono fatti destituiti di valore e disposti uno accanto all'altro come entità omogenee, private di-pathos. Ogni evento ha il proprio ruolo e una propria riconoscibilità e una funzionalità nel racconto che non ,-ano diversi da quelli del cinema con- ,ueto. Non c'è dunque, in questo sen- "°, nessuna pratica innovativa da parte di Bellocchio. Quello che invece è diverso da «un certo modo di fare cinema> (?) è la dilatazione dei tempi all'interno della sequenza, l'apertura ai tempi morti, ai gesti, ai segni dell'irrilevanza quotidiana. È la cosa più interessante del film (unitamente all'alternanza -troppo poco sfruttata-di momenti di montaggio rapido con momenti di montaggio lento). Ma questo tipo di scrittura è aperto ovviamente ad un pericolo che, al cinema, in fondo, è mortale: la noia. Una scrittura filmica dilatata, costruita sui segni filmici, con una durata che si avvicina al tempo reale, costituisce una possibilità linguistica estremamente significativa di disgregazione della convenzione filmica. Ma dev'essere un'operazione radicale, che investe l'ordine della rappresentazione e lo dissolve dall'interno (come in Jeanne Dielman o in /m Laufder Zeit; o, in un contesto linguistico diverso, in Warhol e in Arakawa); o deve costruite una trama più segreta di fascinazione, assorbendo lo spettatore in una dinamica nascosta incui l'attrazione spettacolare funziona sui segni minimi o, proprio, sulla dilatazione estrema (come nel Cassavetes di Faces, o nelle prime opere ungheresi di Jancso, in certo

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