Le precedenti puntate del diballito sul tema posto dal/' Alfabeta col titolo Postmoderno/Moderno sono apparse nei numeri: 22, Marzo (Habermas); 24, Maggio (Lyotard, Ferraris, Illuminati-Montuori, Tanca, Barilli, Bolelli) H abermas ha distinto tra coloro che continuano, anche se in modo incrinato, a rimanere fedeli al progetto dell'Illuminismo e coloro che danno come perso il progetto moderno. Mi schiero senza esitazione tra i primi (malgrado le opportune contiguità semantiche tra il secolo dei Lumi e delle sette e i giuramenti della più recente mafia P2). J-F. Lyotard sostiene che il moderno coincida con il doppio discorso della razionalità, tra etica e scienza (vero e giusto sin da Platone sono in qualche modo associati). Il primo si fonda sul criterio della giustizia, è legato all'idea di stabilire ciò che è giusto e ciò che non lo è, non riguarda la verità, ma l'etica e trova il suo paradigma nel modello classico del contratto sociale. Il secondo consiste, nella sua versione «narrativa», nella costruzione di una filosofia della storia pregna di teleologia, finalistica, abitata da spiriti del popolo, classi generali, imperativi oggettivi di progresso universale. Di nuovo, avendo spesso criticato questo secondo discorso e questa narrazione, sono fortemente interessato al primo discorso, quello che si definisce alle origini della tradizione contrattualistica in filosofia morale e in quella sezione della filosofia morale che si occupa della dimensione «pubblica» dei nostri criteri di demarcazione tra ciò che è giusto e ingiusto, la filosofia politica. Inoltre, ritengo interessante porre una domanda che sembra essere inutile, fuori luogo o fuori moda, di fronte alla ricorrente dichiarazione che viviamo in un'epoca o in società post-moderne: che cosa- vuol dire «moderno»? Siamo veramente così tranquilli sul fatto che il moderno, più che essere un dato, non costituisca un problema? Mi sembra naturale che solo una buona e profonda comprensione di ciò che vuol dire «moderno» ci consente di datarne l'estinzione o di decretarne o meno il superamento. Lo stesso Lyotard deve ammettere che l'espressione «post-moderno» implica un soggiacente ricorso a una smania periodizzatrice. Essa suggerisce infatti esplicitamente una periodizzazione. Ma periodizzare vuol dire ricadere inevitabilmente nel tic «moderno» per eicellenza: quello che ha a che vedere con il nostro modo di concettualizzare una storia, un prima e un dopo; con il nostro fissare o identificare punti di non ritorno; con il nostro maneggiare il calendario; irreggimentare il rapporto tra passato, presente e futuro; infine, trattare una nozione cosi compromessa come quella di «progresso» e Postmoderno/Moderno (8) l'eticadelmoderno altre associate, ovviamente, come programma, progetto, disegno, ecc. Anche un bambino sa che drastici mutamenti hanno investito, nei due secoli che ci separano dai Lumi, la costellazione in cui presero forma le idee guida del «progetto moderno». (Osservo di sfuggita che «anche un bambino», formulazione classica che ba una celebre esemplificazione nella ancor più celebre lettera a Kugelmann di Marx, è forse un'espressione da abbandonare: essa riflette il modo corrente con cui un adulto pensa un bambino come un adulto minorato. Ma non è il caso di approfondire qui.) Bambini a parte, possiamo dire che nessuno sosterrebbe che le trasformazioni delle società industriali (più o meno) di mercato non abbiano alterato i lineamenti della scena primitiva del progetto moderno. Tuttavia, sostengo che, almeno in un senso particolare, questo non implichi alcunchè per coloro che continuano, anche se in modo incrinato, a rimanergli fedeli. li progetto moderno coincide con una particolare combinazione, in un 'etica razionale, dei termini base «libertà, eguaglianza, fraternità». Questa combinazione, che si è affermata nel conflitto con il modello delle società. dell'autorità e della legittimità tradizionale, costituisce a tutt'oggi il nodo dei problemi da cui nascono i nostri grattacapi. H o accennato a questo, della rottura delle legittimità tradizionali. come a uno dei problemi più complicati per la spiegazione o la comprensione delle «modernizzazioni> (cfr. Alfabeta, 23). Suggerisco orn di riformulare molti dei nostri problemi o contraddizioni o tensioni nei termini degli arrangiamenti possibili tra i tre principi dell'89 (più l'efficienza). Sostengo che il compito principale di una buona filosofia pubblica sia quello di una profonda comprensione dei difficili rapporti tra libertà, eguaglianza e fraternità. (Ciò dipende dal fatto elementare che non c'è accordo nel modo di indendere questi rapporti e che le differenti versiom sul tappeto sono in conflitto tra loro.) Riconosco che una tradizione che aveva cercato di incollare il discorso della «emancipazione» (giustizia) su quello della «speculazione» {filosofia della storia e teSalvatore Veca leologia) e che ha per lungo tempo identificato il progetto rivoluzionario, progressista, riformatore (l'idea di «sinistra»), è finita, ha consumato il suo ciclo e il tempo della sua crescita. Affermo che ciò non implica il collasso del discorso (o del progetto) della «emancipazione». Ciò richiede soltanto che il progetto moderno si svincoli del tutto da qualsivoglia filosofia della storia. Questo equivale, come ho recentemente sostenuto, a un'inevitabile riabilitazione dell'etica (consapevoli di quello slittamento nel linguaggio che contraddistingue l'elemento contemporaneo nella filosofia). Naturalmente, un'etica indipendente dal discorso della «speculazione» ci induce a essere, anche in questo campo, dei buoni costrullivisti. Voglio dire che il progetto moderno ha trovato una sua complessa e insoddisfacente applicazione nel tentativo di derivare le nostre scelte (i nostri valori) dai fatti. Il marxismo, in tutte le sue varianti, ne è l'esempio più importante e influente. Alla fine del secolo. sullo sfondo di A111011ioMoro processi inediti di trasformazione delle società post-moderne, la ripresa del progetto moderno come progetto «incompiuto» implica che le nostre costruzioni in etica rispondano al problema centrale della giustificazione razionale di assetti sociali o carte di società «giusta» che risultino tali in qualche senso indipendentemente da Postmoderno/Moderno (9) fatti e dipendentemente dalle scelte degli individui o dei gruppi che interagiscono in società complesse. In ogni caso, non deriviamo i nostri standard da alcun destino della società, da alcuno stato di cose o legge di movimento della storia: soltanto dalla giustificazione delle nostre scelte e delle nostre opzioni. Compiere il progetto moderno significa allora rispondere alla crisi dei rapporti tra etica e politica aperta con i principi dell'89,entro il quadro di società modernizzate. E questo può coincidere con l'elaborazione di una profonda e soddisfacente «teoria della giustizia». Come ha mostrato nella sua influente opera (A Theory of Justice, l971) John Rawls, una teoria della giustizia sociale capace di rispondere ai nostri genuini problemi (nel contesto di società a tradizione democratica) riabilita l'approccio contrauualista (della tradizione del contratto sociale) che è grande parte del progetto moderno. E ciò in conflitto sia con l'approccio utilitarista sia con quello storicista (di cui, soprattutto da noi, il marxismo è l'esemplare più rilevante). li punto centrale dell'approccio contrattualista coincide con la nozione di società che gli è sottostante. Si tratta di una nozione molto diversa da quella sottostante a entrambi gli approcci (utilitarista e marxista) che senza dubbio costituiscono due tra i maggiori tentativi di portare a compimento il progetto moderno dell'89. Mentre lo schema di società di questi ultimi non riesce, per motivi diversi, a render conto in modo soddisfacente della pluralità, della cooperazione e del conjli110 o divergenza che caratterizzano le società moderne, lo schema di società soggiacente alla teoria contrattualista enfatizza opportunamente la compatibilità tra pluralità, cooperazione e conflitto. Viene meno in tal modo la mutua esclusione tra questi termini chiave (in particolare, tra cooperazione e conflitto). E si determinano naturalmente le circostanze che danno luogo a genuini problemi di giustizia sociale; mentre ciò non ha senso nel programma marxista, nè in quello utilitarista classico, per quanto per ragioni e presupposti differenti. (Un discorso analogo vale per il caso del funzionalismo, per riprendere le schematiche osservazioni in merito di Lyotard in La condizione postmoderna). La giustificazione· (o meno) di un assetto base delle istituzioni deve fondarsi sulla scelta di principi di giustizia sociale da parte di una pluralità di individui (e gruppi) differenti, divergenti o confliggenti, considerati come eguali. I valori collettivi non dipendono da qualcosa che stia al di sopra o che sia «più» che la somma dei gruppi o degli individui: essi sono riconosciuti tali dal punto di vista degli individui e dei gruppi che interagiscono. 11 modello del contratto comporta una particolare enfasi sulla scelta e sul consenso razionale che individui e gruppi, intesi come «persone morali eguali», esprimono nel loro schema di ingresso in società. La società, da fatto o caso storico e naturale, deve tradursi in uno schema volontario. Dalla storia naturale, viene da dire, al programma llrtificiale. Certo, Rousseau pernsava alle piccole città. Kant, alla censura prussiana (Locke, un po' prima, alla proprietà produttiva). Difficile confutarlo. Ma ciò è semplicemente irrilevante. A due secoli e più di distanza, la posta in gioco per compiere il progetto moderno sembra richiedere una generalizzazione e una sofisticazione del modello contrattualista, formulato nel lontano processo di formazione della legittimità politica non-tradizionale. Mi si obietterà che la scena post-moderna ha reso prive di senso queste categorie ormai «classiche» e che la complessità del presente elude e frustra l'efficacia di qualsiasi concettualizzazione o teoria.o modello razionale. Questo, ripeto, non è molto interessante. Vuol solo dire che là sfida, come sempre, è difficile. Ma, d'altra parte, se così non fosse,. non avremmo alcun problema. Le sfide difficili non sembrano essere una novità. Il trauma della diversità e del decentramento del XVI e del XVII europei ha prodotto i grandi programmi metafisici e scientifici della ragione moderna. Il XVIII ha conosciuto rotture cruciali nella legittimazione politica e nell'organizzazione economica: questo ha dato luogo alle teorie del contratto e del mercato. Un gigantesco effetto di discontinuità, di «post», accompagna tra XIX e XX il lungo, secolare, conflitto per la ciuadinanza sociale delle nuove classi «laboriose» escluse, dando luogo al programma di Marx e ai paradigmi della scienza sociale. Non si vede francamente perchè l'età «tecnotronica» debba vietare per principio che si tentino programmi, soluzioni, che si abbozzino disegni, progetti. In fondo, se non tentiamo di risolvere i problemi che fanno veramente problema,-che ci stiamo a fare? Unaricerc1,.r@.t,r.~spettiv D. Nel mese di dicembre tu hai dedicato un numero di Casabella al «Dibattito sul Movimento moderno». E in quell'occasione hai pubblicato un editoriale sulla «questione 'post'» che conteneva fra l'altro alcuni riferimenti al testo di Habermas con il qualeAlfabeta ha aperto il presente confronto di idee. Vorrei sapere se hai qualche osservazione in più da aggiungere. R. In quella sede, effettivamente, ho cercato di dimostrare - non so con quale successo - che la questione del moderno e del postmoderno non deve essere circoscritta, come di solito si fa, ad una discussione fra architetti, e in particolare tra quelli che sostengono che la cosiddetta architettura moderna è stata una proposta fallimentare e quelli che invece la difendono in toto o parzialmente. Per parte mia, sono convinto (e in questo senso condivido il giudizio di Habermas) che il vero oggetto di discussione sia il «progetlo moderno» in generale, e nel complesso delle sue più vaste accezioni. Insomma: il vero oggetto, per dirla un po' enfaticamente, è il destino della modernità, della condizione moderna come progetto. D. D'accordo. Ma dopotutto, non sempre viene chiarito in modo persuasivo che cosa si debba intendere per «progetto moderno». Qual è la tua posizione? R. L'idea di progetto moderno di Habermas, insomma, non è altro che la ripresa di un concetto adorniano ben noto al pubblico tedesco, e su cui egli, pertanto, non ha ritenuto necessario soffermarsi nella sua conferenza a Francoforte. Per quanto mi riguarda, invece, ho tentato nel testo di Casabella di fornire alcuni elementi in proposito. In breve: per me il progello moderno consiste nella volontà di mutamento e di innovazione a tulli i livelli della vita sociale: mutamento economico, politico, culturale. Alla base del progetto moderno, come io l'intendo,c'è ovviamente la fiducia che la trasformazione della realtà sia possibile e necessaria. Ma questa fiducia, lo so, è tu/l'altro che ragionevole. L'esperienza recente (e non recente) insegna che la continuità è sempre più probabile della discontinuità; che la conservazione più probabile che l'innovazione. Non.credo, ormai, che ci siano più dubbi a riguardo. La verità,piacciao meno, è che le suggestive visioni dei fautori del progetto moderno - e includo tra le più importanti quelle dello stesso Marx - non si sono verificate (o non ancora) nel modo da loro previsto. BasÌi pensare, ad esempio, alle proposte di cambiamento radicale dell'ambiente costruito avanzate, negli anni '20, dai grandi pionieri dell' - «architeuura moderna», proposte che ipotizzavano uno sconvolgimento della vita quotidiana tramite una nuova configurazione dello spazio abitativo e urbano. Su un altro versante, va ricordato che i surrealisti, nello stesso periodo, prospettavano anche loro uno sconvolgimento della vita quotidiana, che doveva scaturire non più, come nel caso precedente, da una tensione progettuale, bensì da una tensione poetica verso il meraviglioso, verso quel «sof fio del meraviglioso» che, secondo il manifesto surrealista del I 924, tutto doveva trasformare. D. Non ti pare che questa divaricazione tra proposte avanzate ed effettivi risultati raggiunti metta allo scoperto la componente utopistica del «progetto moderno»? R. Certamente. L'Idea di progetto moderno ha questa componente, ma, a mio parere, non si tratta in sè e per sè di una componente negativa. È ovvio che quando si assume un atteggiamento critico, o addiriuura di rifiuto globale, nei confronti dell'esistente, è difficile sottrarsi alla tentazione di immaginare
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