Alfabeta - anno III - n. 26/27 - lug.ago. 1981

OSCAR STUDIO ENCICLOPEDIA FILOSOFICA ARTE Dino Formaggio Lire 5.500 In edizione aggiornata, una trattazione storico-sistematica del concetto di arte. E insieme, una storia del fenomeno artistico e delle sue trasformazioni dalla prèistoria ai nostri giorni. Un testo che aiuta a orientarsi nel mondo delle estetiche e delle poetiche contemporanee. LOGICA Maria Luisa Dalla Chiara Scabia Ure 3.800 L'evoluzione della logica dall'antichità classica al Medioevo all'età moderna, fino alla crisi attuale e alla necessità di una nuova formulazione del rapporto tra logica e sapere. METAFISICA Aldo Masullo Ure 4.500 Lo sviluppo storico della metafisica, dalla sua configurazione in Platone e Aristotele alla sua crisi nel pensiero medievale e rinascimentale, alla sua restaurazione moderna dopo Cartesio, alla crisi definitiva con Hegel. MITO Furio Jesi Lire 3.500 Il superamento delle interpretazioni ottocentesche - che spiegavano la mitologia in chiave storica o naturalistica o allegorica - attraverso le teorie degli studiosi moderni, tese a individuare la dialettica tra mitologia e mito, tra mito e storia. NATURA Paolo Casini Lire 3.500 Che cos'è la natura? Un volume che illustra le risposte date a questo interrogativo dalla filosofia e dalla religione nelle diverse civiltà. Risposte mai superate storicamente, e tuttora presenti in certi aspetti della nostra cultura. SEGNO Umberto Eco Lire 3.800 La discussione sul "segno" è al centro del dibattito filosofico e culturale del nostro tempo (strutturalismo, semiotica e semantica, filosofia del linguaggio). Eco analizza e confronta, per la prima volta, i diversi usi culturali del concetto di segno. SOCIETA' Frant:è· Ferrarotti Ure 3.500 Le origini e lo sviluppo della scienza sociale; il concetto polivalente di società; le tecniche e gli strumenti della sociologia; i temi della ricerca sociologica. (O Mondadori però lo intendiamo quale espressione di una parola frammentaria, questo fenomeno ci pare possedere risonanza e implicazioni più generali e complesse, e trascende in certo quaf modo la stessa definizione luperiniana. Per questi testi ci pare ilcaso di parlare, sul piano storico della produzione formale, di riflesso di modalità artistico-letterarie peculiari si dell'inizio del secolo incui, con Taylor e Ford, lo scrittore assiste a una crescente e «scientifica» parcellizzazione del lavoro intellettuale e manuale, ma che, in forma «nuova», viene portata avanti ancor oggi con i fenomeni di decentramento produttivo e di frammentazione della cosiddetta economia sommersa. Il «frammentismo» primo Novecento non è certo un'esperienza letteraria conclusa se è vero che la consapevolezza storica (che non è però coscienza) di cui nutre il suo linguaggio e le sue forme è analoga a quella che permea opere più recenti e di «genere» diverso come per esempio le «piccole narrazioni» (la definizione è di Contini) di Pizzuto. E non a caso proprio per Pizzuto Luperini è costretto ad ammettere che «la scelta» del periodo in cui inserirlo «non è stata facile», mentre la soluzione che lo vede «fra i romanzieri sperimentali» della terza parte della periodizzazione luperiniana (1956- 79) non può che essere provvisoria. Non è tanto una tecnica stilistica (la paratassi e l'alternanza di stili nominale e verbale, o la congerie di sostantivi e verbi con valore nominale) a mettere in relazione il «frammentismo» primo Novecento con i testi di Pizzuto, né una poetica, magari dovuta al «consapevole rifiuto di strutture complesse e articolate quali quelle del récit tradizionale» (come nota Luperini per il frammentismo espressionista, p. 203) e attuata a favore di una «rivalutazione della vita contro la pietrificazione del racconto tradizionale», come ha scritto Segre per il «narrare» di Pizzuto. È piuttosto il loro essere solidali entrambi, e malgrado le «filosofie» dei singoli autori, agli aspetti centrali della storia del Novecento in ambito produttivo. Concordando, almeno parzialmente, col saggio di Segre «L"Hypnopaleoneomachia' di Pizzuto», Luperini ritiene che, a differenza di Gadda, nelle ultime opere di Pizzuto (da Pagelle I del '73 in poi) permanga un «residuo del passato» che fa restare lo scrittore «prigioniero della dialettica passatopresente», non «riflettendo» più, sia pure nei modi a lui propri (cioè come stravolgimento o anamorfosi, direbbe Barthes), la realtà contemporanea. Tuttavia, se li cogliamo nel loro spessore storico formale di frammenti, anche gli ultimi testi di Pizzuto recano traccia di una fedeltà non tanto al passato inteso quale·causa della sua «pietrificazione» o regressione stilistica, bensl alla sua concezione letteraria della vita che, spinta alle sue estreme conseguenze negli ultimi testi, era già presente nella prima pagina del suo primo libro, Sul ponte di Avignone, del '38: «La vita non è stata per me di uno svolgimento lineare ... Non so vederla che come una successione discontinua di stati frammentari con questo solo di comune: la direzione verso la morte». Anche questa concezione «frammentaria» della vita e dell'arte che fa dello scrittore un individuo senza carismi né privilegi, dotato di un sapere comune e talvolta «banale», anche questa consapevolezza di vivere tra discontinuità e separatezze che privano l'autore di una «possibilità di interpretazione unitaria e totalizzante» della realtà che scrive, sono sì il segno di una «mancanza» come"nota"Luperini (p. 854), ma in quant~-Ì~stimoniano di una profonda verità storica: il «disagio» che lo scrittore esprime per la sua condizione sociale. E ciascun scrittore affronta poi questo disagio come può sul piano ideologico, per cui si può sostenere che Pizzuto non è stato un teorico «progressista», al contrario: ne fanno fede le sue concezioni idealistiche che lo hanno portato ad aderire in maniera quasi maniacale alla filosofia neoberkeleiana di Cosmo Guastella e del più «illustre» Stuart Mili. Ma non Raffaello Sanzio sono le sue idee, bensì è l'opera di Pizzuto a restare come tessera importante e fors'anche decisivadel mosaico letterario del Novecento. Sfogliando il monumentale lavoro di Luperini sul Novecento, si ha l'impressione che il suo autore si sia abbandonato al piacere di una lettura onnivora, di cui sia le lucide interconnessioni tra periodi letterari che la minuziosa interpretazione di singole opere e auton recano traccia. E, come sappiamo, il piacere della lettura è esclusivo, nel senso, anche, che esclude e rimuove la contraddizione «estetica» tra piacere e orrore (o disgusto, che impedisce di fare del testo un feticcio). Ma il godimento estetico, isolato in quanto tale, non ha diritto di cittadinanza nel discorso luperiniano; a questo proposito, la citazione di un verso di Saba: «Quante rose a nascondere un abisso!», posta da Luperini a epigrafe del suo lavoro, funziona in duplice modo: da richiamo e da rimando. Da richiamo. in primo luogo. a Ludwig Guuembrunn quanto Luperini ebbe modo di scrivere nei suoi libri precedenti, a partire da Marxismo e letteratura: «Piacere e orrore sono davvero due realtà intimamente connesse nell'opera d'arte (l'uno anzi, a guardar bene, è proprio fondato sull'altro)». Richiamo, cioè, alla lezione brechtiana e benjaminiana da cui discende, in questo secolo, tale concezione dialettica, mentre la sua nascita è da situare in un celebre passo dell'Ideologia tedesca sulla «concentrazione» del talento artistico nelle mani di pochi e «il suo soffocamento nella grande massa». Da rimando, quindi, al capitolo sulla poesia di Saba intitolata appunto «Le rose e l'abisso» (pp. 244-67), da cui Luperini prende lo spunto per articolare, non solo nella poesia di Saba ma nella pratica letteraria in generale, la «contraddizione insuperabile perché costitutiva dell'arte stessa> (p. 248) tra «verità» e bellezza. E taluni «artifici> o «tecniche» tentati da Saba per risolvere la dicotomia «rose»-«abisso» quali il ricorso a moduli classicie a modelli linguistici tradizionali che sembrano rendere la sua poesia «molto facile> pur essendo Saba, come ebbe a dire Pasolini, «il più difficiledei poeti contemporanei> (p. 249), riescono validi, mwatis mwandis, ancora oggi, in quanto la «lezione> di Saba (ma non solo sua: non ci sembra pertinente attribuire a un solo poeta, sia pure del calibro di Saba, questa responsabilità formale) è ripresa oggi da molti dei nostri maggiori poeti (si pensi a Giudici, al Zanzotto degli «ipersonetti» o a Fortini e, per certi versi, a Leonetti). La periodizzazione Un secondo motivo dell'importanza del Novecento di Luperini è dovuto alla periodizzazione con cui egli ha suddiviso la storia letteraria di questo secolo. Contestando la «tradizione storicista> che aveva individ.uato ci momenti di svolta del nostro secolo nelle due grandi guerre>, Luperini salda la storia politico-economica italiana del '900 con quella artistico-letteraria, e scandisce in «tre età» i momenti critici di svolta politico-letterari del secolo; abbiamo così l'età «dell'imperialismo (1903-1925), quella delle origini del neocapitalismo e della sua ricostruzione (1926-56), quella dell'apogeo e della crisi del neocapitalismo (1956-79)> (p. XV). Ora, talune anticipazioni di questa periodizzazione Luperini le aveva già fornite. anche se in modo settoriale e parziale, in una serie di articoli scritti nei primi anni '70 e in parte ospitati sulla rivista Che fare ( ora raccolti in Marxismo e intellettuali, Marsilio, 1974), che vertevano soprattutto sulla periodizzazione della terza parte, e ponevano il '56 come anno di «rottura» sotto molti aspetti: politico, ideologico e letterario, di contro alla «staticità» che aveva contrassegnato «il dibattito letterario fra il I 944 e il 1955». Anche in Marxismo e letterarura Luperini aveva poilO l'accento sul «dopo '56» che, con «l'irruzione delle nuove avanguardie> e cdi nuove tecniche di ricerca, quali quelle strutturalistiche», aveva significato un duplice momento di svolta nel panorama letterario italiano. Non solo in Novecento Luperini mette a punto e dà ampio respiro a indag.inida lui precedentemente condotte; egli porta anche a compimento e a maturazione intuizioni e idee che serpeggiavano embrionalmente in recenti antologie poetiche e più parziali storie letterarie. Per quanto attiene alla «non rilevanza» delle due guerre in relazione all'espressiol)e e alla tematica poetico-letteraria, un accenno era contenuto nell'antologia di Chiara e Erba, Quarta generazione, da Mengaldo ripreso e sviluppato nella sua antologia Poeti italiani del Novecento, dove si sostiene che, invece del '45, «un'incisione più netta si evidenzia, a conti fatti, un decennio più tardi. Il 1956 è l'anno in cui Montale chiude la fase centrale della sua carriera con la Bufera ... sempre nel '56 Sanguineti pubblica Laborintus - e Caproni li passaggio d'Enea; il '57 vede l'uscita di un'opera che amalgama in modo così evidente vecchio e nuovo come Le ceneri di Gramsci di Pasolini> (Mondadori, 1978, pp. LVIII-LIX). E lo stesso Mengaldo rigetta la periodizzazione storicistica assumendo, per la poesia, una «periodizzazione larga> in tre fasi: cuna prima fase, che occupa un quindicennio circa a partire dal 1903», cuna seconda fase, grosso modo corrispondente all'entre-deuxguerres» e infine cuna terza fase, aperta nel secondo dopoguerra - anche se non proprio immediatamente>. Se la continuità con gli anni '30 è ciò che caratterizza per Luperini sul piano poetico e narrativo il periodo immediatamente successivo alla Liberazione perché, alla parziale rottura politica causata dalla Liberazione (e «compensata> sul piano economico dalla ricostruzione neocapitalistica), non corrispose in campo letterario una frattura, anche dopo la prima guerra mondiale egli non rileva alcuna modificazione strutturale tale da far parlare di «nuova fase» politico-economica, fase che invece fu aperta «dalla grande crisi della seconda metà degli anni venti» da cui il capitale ne esce strutturalmente modificato. E in ambito letterario sarà il 1921, anno in cui si «chiude il 'periodo eroico' del futurismo> (p. XVII), a concludere un'epoca letteraria e a consentire la frattura che, anticipata dalla seconda edizione del Porto sepolto (1923) di Ungaretti, si darà con gli Ossi di seppia (1925) di Montale. E se un altro «antecedente> vogliamo trovare per la complessa periodizzazione luperiniana, non si può tacere della Prefazione di Fortini alla nuova edizione di Dieci inverni né delle sue considerazioni svolte-nelle «Premesse alla poesia del nostro secolo>, in/ poeti del Novecento (La terza, 1977), dove alle poesie di Montale e Ungaretti fa corrispondere «un'altra fase> che «va dalle leggi eccezionali fasciste (cioè dalla fine del regime parlamentare) fino alla guerra d'Etiopia (1926-35)>. Un solo rischio ci pare correre Luperini nella sua periodizzazione del '900, che è poi quello dello scollamento dei rapporti fra struttura della produzione, struttura ideologica del gruppo sociale e struttura del testo che si verifica nei «tempi brevi> da lui rimproverato allo «strutturalismo genetico» di Goldmann con queste parole: «quanto più breve è il periodo trattato tanto meno l'asse ideologico ... corre parallelo a quello dello sviluppo economico e tanto più corrisponde a una linea spezzata rivelando elementi accidentali» (pp. XI-XJD. Della difficoltà di trovare una completa aderenza storica tra struttura della produzione e struttura dell'opera sul breve periodo Luperini si dichiara consapevole nella Prefazione, e comunque un rischio del genere egli deve pur correrlo vista la posta in gioco del suo lavoro.

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