' I impossibile. Che ogni epoca scopra nelle grandi opere del passato sempre qualcosa di nuovo, lo diceva a suo tempo già Belinskij. Vuol dire allora che noi attribuiamo alle opere di Shakespeare ciò che in esse non c'era, che le modernizziamo e deformiamo? Le modernizzazioni e le deformazioni, naturalmente, ci sono state e ci saranno. : Ma non è grazie ad esse che Shakespeare è diventato quello che è ; diventato. Egli è diventato se stesso grazie a ciò che effettivamente I c'era e c'è nelle sue opere, ma che né lui, né i suoi contemporanei potevano percepire e valutare consapevolmente nel contesto della ! cultura della loro epoca. l fenomeni di senso possono esistere anche in forma occulta, allo ' stato potenziale e manifestarsi soltanto nei contesti culturali (di senso) favorevoli delle epoche successive. l tesori di senso, riposti da Shakespeare nelle sue opere, sono stati creati e raccolti dai secoli, anzi dai millenni: erano celati nel linguaggio, e non soltanto in quello letterario, ma anche in strati del linguaggio popolare che prima di Shakespeare non erano ancora entrati a far parte della letteratura, in molteplici «generi» e forme della comunicazione linguistica, nelle forme della possente cultura popolare (soprattutto in quelle carnevalesche) formatesi nel corso dei millenni, nei «generi» degli spettacoli teatrali (misteri, farse, ecc.), negli intrecci che affondano le loro radici nell'antichità preistorica e, infine, nelle forme del pensiero. Shakespeare, come ogni artista, costruiva le sue opere non sulla base ! di morti elementi, non coi mattoni, bensì con delle forme già cariche ' di senso, già piene di esso. Vero èperò che anche i mattoni hanno una determinata forma spaziale e quindi in mano al muratore esprimono qualcosa. Unsignificato di particolare importanza lo hanno igeneri letterari. Nei «generi,. (della letteratura e del linguaggio) nel corso dei secoli della loro vita si accumulano le forme della visione e della interpretazione di determinati aspetti del mondo. Per lo scrittore-mestierante il «genere» serve da sagoma esteriore, mentre l'artista autentico risveglia le possibilità di senso che in esso sono riposte. Shakespeare usava e includeva nelle sue opere enormi tesori di sensi potenziali che nella sua epoca non potevano essere svelati e riconosciuti in tutta la loro pienezza. L'autore e i suoi contemporanei vedono, capiscono e valutano prima di tutto ciò che èpiù vicino al loro presente. L'autore i è prigioniero della sua epoca, del suo presente. l tempi successivi lo liberano da questa prigionia e gli studi letterari sono chiamati ad aiutare questa liberazione. Da quanto siamo venuti dicendo non deriva affatto che l'età contemporanea allo scrittore possa essere trascurata e che la sua I opera possa essere lanciata nel passato o proiettata nel futuro. L'età contemporanea conserva tutto il suo enorme e sotto molti aspetti decisivo significato. L'analisi scientifica deve prendere le sue mosse da essa soltanto e nel suo ulteriore sviluppo deve continuamente verificarsi su essa. L'opera letteraria, come abbiamo detto prima, si manifesta prima di tutto nell'unità differenziata della cultura dell'epoca della sua creazione, ma chiuderla in quest'epoca non si può: la sua pienezza si rivela soltanto nel tempo grande. Ma neppure la cultura di un'epoca, per quanto lontana da noi quest'epoca sia retrocessa nel tempo, può essere chiusa in sé come alcunché di bell'e pronto, di completamente compiuto e di frrimediabilmente passato, come alcunché di morto. Le idee di Spengler dei mondi culturali chiusi e compiuti continuano ad esercitare un grande influsso sugli storici e gli studiosi di letteratura. Ma queste idee hanno bisogno di essenziali correttivi. Spengler si immaginava la cultura di un'epoca come un circolo chiuso. Ma l'unità di una determinata cultura è un'unità aperta Stdvawr Rosa Ogni unità culturale (ad esempio, /'a111ichitàclassica) pur con tutta la sua originalità entra nell'unitario (anche se non rettilineo) processo del divenire della cultura umana. In ogni cultura del passato sono riposte enormi possibilità di senso che sono rimaste non scoperte, non capite e non sfruttate durante tutta la vita storica della data cultura. L'antichità classica non conosceva l'antichità classica che noi adesso conosciamo. C'era uno scherzo scolastico: gli antichi greci non sapevano la cosa più importante che li riguardava, non .•1pevano di essere antichi greci e con questo nome non si chiamavano mai. Ma è proprio vero che la distanza nel tempo che ha rrasformato i greci in antichi greci ha avuto un enorme significato trasformativo: essa è piena di sempre nuovi valori di senso scoperti nell'antichità classica, valori che i greci effettivamente non conoscevano, anche se erano stati loro a crearli. Si deve dire che anche Spengler nella sua splendida analisi della cultura classica seppe scoprire in essa nuove profondità di senso; è vero che egli attribuì a quella cultura qualcosa per renderla più arrotondata e compiuta, ma pur tuttavia eglipartecipò allagrande impresa di liberazione dell'antichità classica dalla prigionia del tempo. Dobbiamo rilevare che stiamo parlando delle nuove profondità di senso riposte nelle culture delle epoche passate e non de~'ampliamento delle nostre conoscenze materiali, fattuali che ne abbiamo, conoscenze incessantemente arricchite dagli scavi archeologici, dai ritrovamenti di nuovi testi, dal perfezionamento della loro decifrazione, dalle ricostruzioni, ecc. Qui si acquisiscono nuovi portatori materiali di senso, i corpi del senso, per così dire. Ma tra il corpo e il Frans Van Mieris senso nel campo della cultura non si può tracciare un confine assoluto; la cultura non si crea con elementi morti e persino un semplice mattone, come già abbiamo detto, in mano al muratore esprime qualcosa con la sua forma. Perciò i nuovi ritrovamenti di portatori materiali di senso apportano correttivi nelle nostre concezioni interpretative e possono persino esigerne la sostanziale ricostruzione. C'è l'idea molto tenace, ma unilatera/e e quindi falsa che per meglio comprendere un'altrui cultura ci si deve, per c&sìdire, trasferire in essa e, dimenticata lapropria, guardare il mondo con gli occhi di questa cultura altrui. Questa idea, come ho detto, è unilaterale. Certo, una certa immedesimazione nella cultura altrui, la possibilità di guardare il mondo coi suoi occhi è un momento necessario del processo dellasua comprensione; ma se la comprensione si esaurisse in questo solo momento, essa sarebbe una semplice duplicazione e non porterebbe in sé nulla di nuovo e di arricchente. La comprensione creativa non rinuncia a sé, al proprio posto nel tempo, alla propria cultura e non dimentica nulla. Di grande momento per la comprensione è /'extralocalità 1 del comprendente, il suo trovarsi fuori nel tempo, nello spazio, nella cultura rispetto a ciò che egli vuole creativamente comprendere. L'uomo non può veramente vedere e interpretare nel suo complesso neppure il proprio aspetto esteriore e non c'è specchio e fotografia che lo possa aiutare; il suo vero aspetto esteriore lo possono vedere e capire soltanto gli altri, grazie alla loro extra/ocalità spaziale e grazie al fatto di essere altri Nel campo della cultura l'extralocalità è la più possente leva per la comprensione. Una cultura altrui soltanto agli occhi di un'altra cultura si svela in modo più completo e profondo (ma non in tutta la sua pienezza, poiché verranno ancora altre culture che vedranno e capiranno ancora di più). Un senso svela le proprie profondità,_se si incontra e entra in contatto con un altro, altrui senso: tra di essi comincia una sorta di dialogo, che supera la chiusura e l'unilateralità di questi sensi, di queste culture. Noi poniamo a un'altrui cultura nuove domande che essa non si poneva e cerchiamo in essa risposta a queste nostre domande e l'altrui cultura ci risponde, svelandoci suoi nuovi aspetti, sue nuove profondità di senso. Senza proprie domande non si può capire creativamente alcunché di altro e di altrui (ma, naturalmente, le domande devono essere serie, autentiche). Quando si ha questo incontro dialogico di due culture, esse non si fondono e non si confondono, e ognuna conserva la propria unità e la propria aperta totalità, ma entrambe si arricchiscono reciprocamente. Quanto alla mia valutazione delle ulteriori prospettive dello sviluppo dei nostri scudi letterari, ricengo che queste prospettive siano senz'altro buone poiché abbiamo enormi possibilicà. Non ci manca che il coraggio della ricerca scientifica, senza il quale non si sale in altezza e non si scende in profondità. ') Col neologismo «extralocalità» abbiamo reso il neologismo russo, creato da Bachtin, vnenachodimost', che letteralmente significa «trovarsi fuori» (N.d.T.). • Quest'articolo di Michail Bacthin (I 895-1975) apparve nel n. li del 1970 della rivista letteraria sovietica Novyi mir (Mondo Nuovo), come risposta a un'inchiesta, cui parteciparono vari studiosi, sullo stato e sulle prospettive degli studi letterari nell'Urss. Lo scritto apparso col titolo «Risposta ad una domanda della redazione di Novyi Mir», è poi entrato a far parte del volume di Bachtin, Èstetikaslovesnogotvorcestva (Estetica della creazione letteraria), Moskva 1979, che completa la pubblicazione delle maggiori opere bachtiniane. Anche questo volume, come i tre precedenti di Bachtin (Dosroevskij.Poeticaestilistica,Esrericae romanzo,L'opera di Rabelaise la culturapopolare), uscirà presso l'editore Einaudi. Il saggio qui pubblicato è tradotto da Clara Strada Janovit che cura l'edizione italiana di questo volume di Bachtin. Luca Giorda110 " ::::· "- Òcì °' ~ e O() ..s; .S? o',, ~ ..... t:! 'O "' s:: <:s .; -O ~ ~ ':
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