Alfabeta - anno III - n. 26/27 - lug.ago. 1981

come si è detto, entrare significa uscire e viceversa, non è una soluzione meramente topologica o matematica ma la consapevolezza, l'acquisizione del senso dialettico della conciliazione degli opposti, che trasforma l'indifferenza maligna in differenza benigna. Ma torniamo al mito. Il Labirinto trasforma il nato in un mostro da rituffare nelle tenebre. La circolarità dell'enigma della Sfinge (infanzia e vecchiaia si ricongiungono nel moltiplicare gambe e impotenza) assomiglia a quella dell'enigma .pseudo-architettonico di Coosso: il nascere e il morire seguono una stessa via. Le parti umane e quelle ferine della sfmge e del Minotauro si ricongiungono a determinare un'equivalenza. Più precisamente, il feto emergent~ della Sfinge e quello rientrante del Minotauro compongono un binomio in figura chiastica. La cesura segue la linea del loro congiungimento, coincidente con la soglia deli•essere. Ai due lati di essa le due direzioni centripete compongono l'indifferenza di ingresso e uscita. Possiamo aggiungere che io entrambi i casi è evidente la compartecipazione alla tematica psicologica che sta alla base dei riti di iniziazione. La Sfinge nascente, affiorante dalla matrice, pone in forma di prova l'enigma che costa la vita ai giovanetti affascinati dal suo canto. Ma, come ha compreso perfettamente Kern, del quale condividiamo l'intuizione, il Labirinto è la casa stessa della iniziazione. In essa dimora il feto rientrato, l'incubo minaccioso di una nascita fallita, ridivoratadalla femminilità ctonia. Che altro senso potrebbe avere infatti che un congruo numero di giovani ateniesi dovesse venire, secondo la leggenda, periodicamente introdotto nella casa e sacrificato al suo non-nato abitatore? Il fatto che le vittime fossero equamente divise in sette maschi e sette femmine fa parte del successivo camuffamento della realtà originaria, avvenuto nel passaggio del rito nel mito. Questo passaggio, qui come altrove, consiste in una psicologizzazione. La bipartizione dei giovani da immolare al Minotauro in sette maschi e in sette femmine riflette infatti l'ambiguità sessuale soggettiva degli iniziandi.5. L'incertezza dell'esito, l'incertezza della virilità istituzionale, le stesse violenze omosessuali rituali alle quali gli iniziandi erano sottoposti, si traducono nel mito in una equa bipartizione dei sessi. La medianità riassuntiva diviene qui equilibrio bipartitivo; cosi il mito psicologizza il rito, in attesa di essere a sua volta analizzato dalla successiva mitopoiesi psicanalitica. La prova, come dimostra l'avventura di Teseo, poteva in un certo senso essere anche superata. La casa della doppia scure è dunque analoga alla casa della strega, alla grande casa nel bosco della quale tanto parlava Propp. Essa consente di rientrare nell'utero e di vincerne l'angoscia per una nuova nascita definitiva allo stato adulto, ma il mostro dell'adolescenza fallita incute terrore ai giovani alla prova. Il Minotauro, feto rientrante, non nato vendicativo, è la personificazione di questo terrore, e la Sfinge, feto emergente, rappresenta lo stesso fascino e la stessa angoscia. Ma il mito di Teseo, vincitore del Minotauro e del Labirinto, fornisce qualche utile illuminazione al tema. S e nel cosmo iniziatico l'angoscia verso l'immagine della femminilità divorante viene superata con l'acquisizione istituzionale della virilità, nel mito di Teseo questa virilità coincide con la conquista stessa della femmina. L'eroe vince solo grazie all'aiuto di Arianna, che gli si allea. La sua vittoria sul Minotauro è anzi già in questa alleanza, esattamente come per Edipo la vittoria sulla Sfinge comporta già la conquista della donna. Il filo che Arianna gli affida è il nesso interpretativo che può bonificare l'indifferenza delle due vie, quella all'indietro verso l'interno e quella in avanti verso l'esterno, ossia che fa di questa indifferenza, fruibile come minaccia di annullamento oppure come promessa di infallibilità e di invulnerabilità, una indifferenza buona. Questo filo-traccia è infatti anche il cordone ombelicale che accompagna il feto nell'uscita dall'utero, e che già da prima, nell'interno, era garanzia di unità nel due. Il due infatti, per chi ha veramente il senso dell'uno, è altrettanto complesso quanto l'innumerevole. Dedalo stesso, il costruttore della casa della doppia scure, riesce a sfuggire alla propria creazione, nella quale viene imprigionato, facendo slittare metaforicamente i termini della questione verso altri termini che conservano nella traduzione la binarietà dei primi. Non riuscendo a bonificare, come invece Teseo con il coito, l'indifferenza della via d'ingresso e di quella di uscita, approfitta dello scoperchiamento, di un segmento luminoso del percorso, per levarsi in volo con ali artificiali sopra il La!>irinto. Anche se non riconosciamo nel volo umano cosi inventato un equivalente del coito, sappiamo che il Labirinto continua anche in questo volo: c'è una via buona, bonificata, che è la via mediana, all'altezza della cesura chiastica, equidistante dai due estremi del mare profondo (ingresso, tenebra, vita intrauterina) e del sole (l'uscita, la nascita come trauma, la luce che tradisce e uccide). L'enigma mortale si ripropone ed è fatale a Icaro. L'indifferenza delle due vie è qui sostituita dalla medianità, come sintesi o anfimixi. Il volo di Dedalo, l'artificio costruito sull'artificio, consiste nello spostamento su un differente piano della tematica labirintica, ossia nell'uso della medianità come metafora dell'indifferenza. In entrambi i casi si tratta di una contrapposizione binaria, della suo reductio ad unum, e della bonifica coscienziale di questa stretta, di questa circolarità potenzialmente anche viziosa e mortifera. Ma l'indifferenza delle due vie si ritrova, magistralmente descritta da Kern, là dove, in un tentativo risalente a Kerényi di interpretare il Labirinto originariamente come danza, lo studioso esamina i movimenti dei danzatori che con ritmo pendolare si avvicinano e allontanano dal centro del tunnel, dall'oggetto assente e misterioso intorno al quale si svolge il rito. Noi abbiamo posto al centro del Labirinto il Narciso primo, lo stato di elazione intrauterino, la prima realtà perduta. In questo luogo, che è il luogo dell'assenza, si situa anche il vivente tolto dal nome, il silenzio e la cosa. sempre altrove, ai quali la civiltà matriarcale era tuttavia forse più vicina. Che senso ha il ritmico avvicinarsi e allontanarsi del centro dei danzatori? La danza del Labirinto ci insegna il senso di ogni danza e ci aiuta a comprendere anche qualcos'altro. È costitutivo della danza in generale il compiacimento nel mezzo, il rinvio. La movenza psichica che la costituisce è quella che tende al fine per poi allontanarsene senza mai toccarlo, senza mai raggiungerlo definitivamente. La mimica del corpo è fatta di passi e gesti che attuano moti pendolari, alterni; i movimenti indirizzati allo scopo sembrano arrestarsi nell'aria contro qualcosa, e poi discostarsene solo per ricominciare da capo l'approssimazione asintotica. Sappiamo qual è il fine irraggiungibile cui allude la mimica della danza: la riconquista corporea del luogo del piacere. Ma cosa è quel diaframma invisibile contro il quale si arresta il gesto del danzatore e che è altrettanto costitutivo della sua movenza di danza? È la barriera dell'incesto, lo schermo sul quale il Narciso proietta la propria impotenza a conservarsi, estraniandola da sé. Essa evita il cortocircuito, apre la serie degli slittamenti metaforici, dapprima segnici e prelinguistici; in questo senso la danza è la metafora non verbale del rinvio del piacere. La danza del Labirinto, in particolare, che alternamente si accosta e si allontana rispetto al centro di un tunnel localizza la meta del piacere nel centro di uno stretto passaggio obbligato da percorrersi in modo pendolare come nel coito. E noi sappiamo da Ferenczi come sia costitutiva anche di quel prolungato ritorno simulato all'utero e alla tenebra clie è il coito soddisfacente l'interazione di due impulsi (che Ferenczi definisce anfimixi degli erotismi) l'uno, che pdssiamo riconoscere come centripeto, che spinge al raggiungimento del piacere e del luogo del piacere, l'altro, centrifugo, che ritarda questo conseguimento. Nel canale labirintico passano quindi i rappresentanti più qualificati del rinvio del piacere: la ripetizione della nascita e la sua inversione, il sacrificio, l'iniziazione, il coito, la metafora in forma di danza. Questa danza, che, a quanto pare, si svolgeva, nella versione ripresa da Teseo, evidenziando l'appoggio del danzatore su di una sola gamba, sembra rifarsi al monogambismo fetale, non contemplato dalla problematica di gambe formulata dalla Sfinge nel suo enigma, come mezzo per superare il più critico dei percorsi di iniziazione. E la metafora della danza, anche con la sua movenza pendola-. re, alternamente centrifuga e centripeta, che ricorda quella del chiasmo, forma dell'enigma, prelude al linguaggio sostitutivo come transazione dal Narciso all'Edipo, dalla ginecocrazia all'androcrazia, dall'infanzia alla storia, dall'oriente all'occidente: dal dio diretto, dal dio vivente, Dioniso, al dio indiretto, Apollo. L'indiretto della danza si apparenta all'indiretto della freccia, della parola cantata sulla cetra, del volo di Dedalo. E, soprattutto, all'indiretto del linguaggio oracolare. Anche il Labirinto, per riprendere la definizione di enigma di Aristotele, nel significare la sostanza, la materia prima, il reale, annoda insieme l'im- •possibile. E la freccia-parola di Apollo o~ias e Dionisodotes segue, come il volo di Dedalo, il percorso del rinvio labirintico. M a, come l'avvicinamento del linguaggio alla cosa è asintotico perché il linguaggio stesso allontana ciò cui si avvicina, cosi la catena dei significanti-danzatori non raggiungerà mai il Narciso primo, il Dioniso centro del Labirinto. Nel centro, problematico a identificarsi, i danzatori non possono soffermarsi comunque, ma i partecipanti, gli iniziandi, imparano a vedere in questo lungo cammino, necessario e inutile, intorno al buco di un vuoto, di una assenza, l'unica nuova realtà possibile, dopo la perdita del piacere intrauterino, dell'unità con la Grande Madre. Freud descrive questa movenza di danza con poche e precise parole: «Lo sviluppo dell'Io consiste nel prendere le distanze dal narcisismo primario, e dà luogo a un intenso sforzo inteso a recuperarlo» (Introduzione al narcisismo) e, in Al di là del principio di piacere, nel riprendere questo tema fondamentale, si trova a far uso dell'immagine del Labirinto come traccia per raggiungere la civiltà: «Sotto l'innuenza (...) dell'Io il principio di piacere è sostituito dal principio di realtà, il quale, pure senza rinunciare al proposito finale di ottenere piacere, esige e ottiene il rinvio del soddisfacimento (...) e la tempor_anea tolleranza del dispiacere sul lungo e tortuoso cammino che porta al piacere». Questo Salvato, Rosa ·tortuoso cammino è anche la catena dei significanti che, come il cordone ombelicale che abbiamo già richiamato, e come la catena dei danzatori, congiungono la mancanza, la sparizione del reale, al progetto di recupero della realtà sul piano simbolico, al desiderio alla domanda. La sua accettazione è l'accettazione iniziatica del linguaggio o meglio della approssimazione asintotica del linguaggio alla cosa. L'avvicinamento-allontanamento della danza labirintica è ancora il gioco del fort-da. Ritroviamo il filo di Arianna avvolto sul roccheto di Ernst, il nipotino di Freud. Se l'aspetto dell'enigma labirintico è quello di una molteplicità inquietante, non individuabile dall'interno, la conoscenza della enigmaticità oracolare, e della struttura psicologica binaria della psiche umana, ci consentono di non ripetere l'errore di Deleuze: quello di credere che una polarità (il molteplice, la differenza) poSSl!e,ssere portata alle estreme conseguenze, assolutizzata, senza che, perciò stesso, essa si capovolga nel proprio opposto. Il labirinto illimitato che nasce da questo errore conduce anch'esso al luogo della centralità immobile, al luogo dell'indifferenza. Ma il soggetto che vi perviene è divenuto opaco e inconsapevole. La descrizione del labirinto assoluto che egli può fare assomiglia, senza che egli lo sappia, a quella di una non-localizzazione intrauterina, non bonificata, imprigionata, regressiva. La brulicante proliferazione della differenza rinnova infinitamente l'aspetto angoscioso della Casa, recita indeterminatamente la formula dell'enigma, che resta incomprensibile. li rifiuto della dialettica del labirinto limitato porta a riprodurre in un universo quel paradosso che il particolare labirinto mitologico già stava ad indicare, ma insieme a smarrire la consapevolezza di questa paradossalità. L'indifferenza assume infatti il suo aspetto binario anche portando all'estremo l'assolutizzazione della differenza. La differenza assoluta si capovolge allora in identità, e con ciò si fa ritorno al particolare del mito, alla via di ingresso, tenebrosa, al Labirinto, che è indifferente rispetto a quella luminosa di uscita, oppure alla altrettanto ingegnosa immagine mitica della via di mezzo di Dedalo, trasvolatore di se stesso. Se c'è un labirinto ineludibile, esso è l'infinito binario, ed ha la forma semplice e totale dell'anello di Moebius, nel quale la strada di sopra e quella di sotto, quella oscura e quella luminosa, quella che entra e quella che esce, sembrano intrecciarsi e sono sempre la medesima strada. Il Labirinto, bonificato e mortifero, è insuperabile e irriducibile in una sola direzione che non si proponga coscientemente come riassuntiva delle due. Riteniamo possa essere questo il monito della doppia scure. Note 1 Hermann Kern, Labirinti. Forme e interpretazioni. 5000 anni di presenza di un archetipo, Feltrinelli, Milano I981. 2 Walter Burkert, Homo necans. Antropologiadel sacrificio cruento nella Greciaantica, Boringhieri,Torino 1981, p. 101. 3 Uberto Pestalozza, Religione mediterranea, Fratelli Bocca, Milano 195I, p. 183. Pestalozzasu questo punto è moltoesplicito: • La montagna boscosa, il suo mondo animalee vegetale, il toro, la bipenne sono pertanto quattro elementi costitutividella suprema divinità femminile cretese», p. 190. 4 Karl Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore, Milano 1963, voi. 2, p. 227. 5 Il raddoppiodel numero 7 ha attirato l'attenzionedi alcunistudiosi,soprattutto perché rapportato alle 7 circonvoluzionidel Labirinto, e talora a interpretazioni del Labirinto in chiave pitagoreggiante. Pare opportuno, a questo proposito, il rimando al noto studio di George Miller del 1956 sulla memoria immediata, o a breve termine.Sivedaanche Donald A. Norman, Memoria e auenzione, Franco Angeli Editore, Milano 1975, p. 102e segg. .,.., -.

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