Alfabeta - anno III - n. 25 - giugno 1981

G. Bechelloni «Quale giornalista per quale giornalismo>, Atti del convegno su Prodonooe di notizie e professionalità Quaderni del CISC, 1979 J. Galtung, M. Ruge lbe structure of foreign news, Jouroal of Peace Researcb, voi. I (trad. it. in O giornalismo come professione, O Saggiatore, Milano, 1980) P. Schlesinger Between Sociology and Jouroalism; Some Reffections on a Newsroom Etbnograpby Paper for the Socialogical Rewiev Mooograph on Jouroalism aod the Press. September 1978 E ' sempre piu frequente il riferimento alla professionalità a proposito delle comunicazioni di massa e in particolare nel campo dell'informazione. Si tratta di un concetto di difficile definizione ma di immediata applicazione, e spesso viene usato come un'etichetta di comodo, buona a coprire le operazioni piu diverse, corporative oppure repressive, di difesa dell'autooOinia «professionale> appunto, oppure di lottizzazione diffusa. Insomma si può beo dire della professionalità quello che Musi! fa dire a Moosbrugger a proposito dello scoiattolo: « Questa è una volpe o forse una lepre; ma può anche essere un gatto o altro>. Eppure l'apparizione, la diffusione e la « fortuna >di questo concetto non sono casuali: l'importanza che esso è venuto assumendo ha ragioni precise. La problematica della professionalità nell'ambito dell'informazione di massa, diventa centrale mano a mano che sullo sfondo di importanti processi di modificazione strutturale dell'assetto del sistema mediologico, si precisano alcuni caratteri del dibattito teorico e della riflessione critica sui mezzi di comunicazione di massa. In particolare sembrano rilevanti due tendenze, la prima peculiare della situazione italiana, la seconda invece relativa allo sviluppo della ricerca teorica sui media soprattutto io area inglese e americana. La prima linea di tendenza spiega, a mio parere, l'ambiguità e il significato estremamente vago che io Italia ha assunto il concetto di professionalità; questa linea di tendenza è connessa ad una caratteristica fondamentale del dibattito italiano sulle comunicazioni di massa e cioè il suo essere frammentato e separato io livelli ben distinti. Si è sviluppato cosi un tipo di discorso sui media in cui le comunicazioni di massa sono oggetto esclusivamente di riflessione, di analisi e di programmi d'azione di taglio politico. L'orizzonte di questo tipo di discorso è racchiuso - almeno per quanto riguarda l'informazione - entro il cerchio magico del pluralismo, dell'imparzialità, dell'obiettività e della completezza, per raggiungere le quali - come è noto - occorre una buona dose di professionalità. Questo genere di approccio ai media si può definire di tipo politico non solo in senso banale, perché i soggetti che lo producono sono in primo luogo istituzioni politiche (soprattutto i partiti), ma anche perché attraverso l'elaborazione e la proposta di questo approccio si è affermata e rafforzata la legittimità politica di alcuni soggetti collettivi che lo hanno elaborato (sindacati, ecc.). La coerenza interna e la forza del discorso mediologico politico sono costruite su alcune operazioni cruciali: 1) selezionare un oggetto-vaLanotiziabilità !ore, cioè i media; 2) qualificarne i modi di esistenza, in questo caso la loro incidenza e rilevanza sulla società e quindi il problema della loro gestione democratica; 3) istituire i soggetti di conoscenza in grado di soddisfare le prime due istanze; e cioè ad esempio la « nuova committenza » capace di generare una« nuova ricerca»; 4) squalificare il tipo di conoscenza prodotto al di fuori di questi soggetti e delle istanze precedenti, con conseguente rilievo dato alla crisi della ricerca mediologica, accentuazione del formalismo e dell'astrattezza delle discipline tradizionali, della loro separatezza dai processi reali. L'aggressività e l'ambizione totalizzante (che vanno di pari passo con la povertà teorica) di questo tipo di discorso hanno trovato un prezioso alBe/fast: ragazzi in Fal/s Road Jeato innanzi tutto nell'assenza di un adeguato paradigma teorico sul funzionamento delle comunicazioni di massa, secondariamente nella scarsa operatività che gli apporti disciplinari e teorici piu avanzati presentano per fare-comunicazione e fare-ricerca. O risultato è che questo vuoto teorico è stato sempre piu riempito e « nascosto > dal discorso mediologico di taglio politico, ma ciò ha finito per l'accentuare ancor piu la ripetitività, l'inconsistenza, lo stato di crisi della ricerca e della riflessione su • un settore cosf importante dell'agire sociale. L'uso a slogan del termine « professionalità > è radicato in questo stato di cose e, invece di essere analizzato approfonditamente, il concetto viene dato per scontato e assunto come riferimento che si presume comune. L a seconda tendenza all'interno della quale il problema della professionalità diventa importante. rappresenta invece uno sviluppo proprio della sociologia delle comunicazioni di massa e in particolare della cosiddetta sociologia dell'emittente. Quest'ultima ha avuto la fase probabilmente piu significativa nel passaggio dagli studi di sociologia delle occupazioni e delle professioni, alle ricerche di etnografia della comunicazione negli apparati dei media. Nel primo tipo di approccio la pertinenza dell'analisi è centrata soprattutMauro Wolf to sulle caratteristiche sociali degli emittenti, cioè sull'insieme di fattori immediatamente osservabili che presumibilmente influenza l'esecuzione dei loro ruoli professionali. Da questo punto di vista non viene studiata tanto la professionalità di chi produce informazione quanto piuttosto le condizoni strutturali e contestuali di essa. Il secondo tipo di approccio che invece si va affermando in questi ultimi anni, studia ed analizza la natura del lavoro svolto nel produrre informazione negli apparati di comunicazione di massa. È mutato l'oggetto di analisi: la notizia non è piu intesa come qualcosa da« scoprire » in quanto si è dotati di qualità personali come il « fiuto »ola« sensibilità », ma è invece un prodotto che risulta dall'organizzazione complessa di molteplici fattori che interagiscono e si condizionano a vi~ cenda. Questo cambiamento è legato ad un altro mutamento di prospettiva assai importante, e cioè il tentativo di superare la nozione (per certi aspetti) limitativa di influenza, di manipolazione, distorsione (bias ), per sviluppare invece delle spiegazioni piu adeguate sulla forma e sulla produzione di notizie. L'idea di manipolazione è inestricabilmente legata alla concezione dei media come apparati direttamente sottoposti alle pressioni dei gruppi di potere economico e politico che direttamente influenzano il modo di fare informazione. È evidente che tutto ciò accade e che questo tipo di manipolazione esiste. Ma essa è solo una faccia del problema. L'aspetto teorico intrigante non è di capire come si svolge la manipolazione esplicita, aperta, riconoscibile, ma di capire come e perché autonomia professionale e parzialità dell'informazione possano coesistere ed anzi si sostengano reciprocamente. Il passaggio fondamentale che questo tipo di studi presenta è dunque quello dalla struttura del gate-keeping, alla struttura del news-making cioè dalla manipolazione visibile alla manipolazione interiorizzata, indiretta. L'oggetto che viene enfatizzato e messo in primo piano da questo mutamento di prospettiva è appunto la professionalità, ma anch'essa da un punto di vista diverso. [I compito colossale di trasformare ogni giorno gli eventi del mondo in notizie non è piu descrivibile solo in termini di« fiuto », di qualità che si hanno o non si hanno, di « ·vocazione »: esso è piuttosto il risultato della realizzazione di pratiche produttive· e di routines con le quali è costruita la notiziabilità degli eventi o quella che Eco definisce come funzione « fattificatrice » del giornalista. Questo tipo di approccio è probabilmente il piu ostico da accettare da parte dei giornalisti stessi. Esso infatti non si accorda con la loro esperienza quotidiana di lavoro su una base fattuale di eventi e storie sempre diverse, di lavoro da eseguire in tempi stretti e rigidi. Né si accorda con la mitologia estremamente individualistica propria della professione, né con l'aspetto idealizzato che essa propone di se stessa all'esterno. Occorre però subito dire che allo stato attuale delle conoscenze, non è tanto possibile definire compiutamente cosa è la professionalità nel campo dell'informazione, quanto piuttosto. inçliçare come studiarla, quali sono i problemi da focalizzare e con quale pertinenza. Tuttavia l'ipotesi definitoria che sembra piu consistente, indica la professionalità come la realizzazione (accomplishment) di pratiche produttive condivise entro sistemi organizzativi complessi. L'esito finale della realizzazione di tali routines produttive è ciò che convenzionalmente è chiamato « notizia». Q uesto è il quadro di insieme che oggi si presenta a chi voglia studiare, dal punto di vista della sociologia dei media, la professionalità giornalistica. Ma evidentemente si tratta solo di una cornice generale che racchiude piu problemi che soluzioni: per esempio, la definizione e l'articolazione del concetto di routines produttive, è ancora molto vaga, pur trattandosi di un punto fondamentale per l'analisi della professionalità .Allo stesso modo, entro questa cornice generale, esistono posizioni significativamente differenziate, sulle quali conviene soffermarsi. Un primo gruppo di problemi riguarda la necessità di articolare il concetto stesso di professionalità. Non esiste un'unica professionalità giornalistica ma molteplici profili di professionalità, differenti a seconda del mezzo di comunicazione di massa nel quale l'informazione è prodotta, differenti in rapporto alla struttura gerarchica che si prende in considerazione, differenti a seconda dell'ambito territoriale nel quale e rispetto al quale l'informazione è prodotta. Continuare a parlare di professionalità come se fosse completamente omogenea è dunque in parte scorretto e si giustifica solo con lo stato precario delle conoscenze in proposito. Ci sono poi ulteriori articolazioni, come quella che distingue la professionalità tecnica dalla professionalità politica e da quella culturale. Bechelloni fa coincidere la prima con un insieme di regole di tipo applicativo, facilmente socializzabili, mentre la seconda è costituita da un insieme di comportamenti meno codificabili (etichettati non a caso come« vocazione», « sensibilità », ecc.), difficilmente percepibili nella loro funzione normativa, quasi mai esplicitati e riguardanti essenzialmente la definizione di « notizia » e il modo in cui tale definizione incide sull'organizzazione del lavoro giornalisitco. La professionalità culturale invece « dovrebbe consisÌere nella capacità di controllare e padroneggiare le regole di produzione dei discorsi e dei meccanismi sociali» (Bechelloni 1979, p. 18). Questa tripartizione ruota liberamente intorno alla critica al concetto di notizia come evento eccezionale o a quello di fatto-notizia. Tutto il lavoro giornalistico diventa più comprensibile se si analizza la cosiddetta ideologia della notizia: « Tutto il lavoro è ormai organizzato per essere in grado di cantare gli eventi eccezionali e i fatti-notizia e trasformarli in notizie » (Bechelloni 1979, p. 31). Secondo questa posizione, alla professionalità tecnica - una specie di ricettario per confezionare le notizie - si sovrappone la professionalità politica che è assai piu importante e che va intesa come la conoscenza condivisa di un insieme di pratiche produttive foqdate sulla definizione di ciò che è e che fa notizia. I tentativi di modificare, ampliare ed articolare la professionalità giornalistica, come per es. una maggior preparazione dei giornalisti o strategie piu complete di presentazione delle notizie, se rimangono interni a q11esto modello condiviso di notizia, risultano parzialmente inidonei a modificare lo stato di cose. Soltanto superando tale modello, modificando l'ideologia della notizia, si può rifondare la professionalità giornalistica. È in sostanza - sia pure con qualche differenza di ton.o - il discorso che fa Eco proponendo la « storiografia dell'istante », cioè la necessità di centrare la produzione di informazione non sul- ...., oO °'

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