Ancora Star Wars. Nello spazio siderale il Millenium Falcon avanza e sopravvive in virtù di preziosismi acrobatici e di formidabile velocità. Ma nei momenti più intensi scatta un qualcosa in più: stile di pilotaggio e accelerazioni vertiginose toccano un punto a partire dal quale tutte le coordinate consuete perdono spessore e forma. È l'iperspazio. Una dimensione dove l'aria è -tanta da travolgere ogni identità, non è più questione di velocità furibonde perché ormai è di una velocità assoluta che si tratta, e un mutamento intellettuale, fisico, emotivo, linguistico, è la più naturale delle possibilità di divenire. Apocalypse Now, adesso. Anche qui c'è un punto- la notte del Do Lung Bridge - che determina un passaggio di qualità e una condizione di non-ritorno. Prima c'è una storia, un sistema' di rapporti, un codice di viaggio; dopo cominciano una geografia e un immaginario dove non si vede traccia di un limite, di una mancanza, di qualcosa di finito. Si può chiamare spazio aperto, deserto, infinitezza: è comunque uno stato di ossigenazione che fa diventare possibili gli incontri e le combinazioni che cominciano dove finisce l'ordine esistente. Ed è così che Khartoum dall'alto, l'iperspazio, il ponte di Do Lung, sono i primi ambienti di quella nuova mappa che sta iniziando a venire a fuoco. Faccia attenzione adesso chi ha qualcosa da eccepire. Questa forma della congiunzione fra estremi opposti non ce la stiamo inventando noi. Anzi questa identità dei contrari è proprio ciò che ha più intossicato finora la nostra esistenza e di cui vogliamo liberarci a ogni costo. Ordine-trasgressione, festa-sacrificio, . cinismo-misticismo, avanguardia-senso comune, culturadivertimento, razionale-irrazionale, tutto questo ha scandito con la propria identità binaria il tempo dell'ordine dominante, valorizzandolo come µnica unità di misura con le proprie due facce omologhe e complementari. Èbbene, ora che finalmente è il momento di spostarsi dalla definizione delle identità alla geografia delle intensità, si tratta di dar vita a incontri che non avvengano all'insegna di un ordine chiuso, ma producano il massimo del respiro e dell'apertura. Incontri che non .abbiano radici in territori prevedibili, ma dispieghino al linguaggio e alla vita possibilità impreviste. Astrazione e fisicità, allora. Sensualità ed elettronica. Metropoli e deserto. Mao e Eno. Lucidità e commozione. E tutto (e altro ancora) non nel senso di una formula buona una volta per tutte, ma come incondizionato effetto di divenire. Quel divenire che, come dice Deleuze, «con la sua capacità di schivare il presente, è l'identità infinita ... perché è proprio dell'essenza del divenire l'andare, lo spingere nei due sensi contemporaneamente';. Nessuna sorpresa, allora, che il sentimento più spiccato di questa nuova geografia sia una passione fredda e torrida. I mmaginare questi spazi e questi incontri planetari non è questione di teoria o di pensiero. O almeno non lo è più di quanto non sia questione di pelle e di sensibilità. Perché il mutamento di orizzonti, di aria, di ambienti, di linguaggio, sposta sensibilmente il taglio della percezione al punto che pensare·, sentire e vivere non è più la stessa cosa di sempre. Come infatti la subalternità all'ordine dei limiti si misura innanzitutto sull'adesione (non importa quanto riluttante e trasgressiva) al suo terreno, così è nell'intensità del cambiamento di angolazione, di visuale, di punti di riferimento, che si può leggere la sintonia con la nuova geografia e il nuovo immaginario. Ecco dunque perché tutto il parlare di post-avanguardia e post-moderno mi sembra tremendamente sospet!o: certo è di un dopo che si dice, ma ancora riferendosi a un prima, ancora con il pensiero fisso su un'avanguardia e su un moderno che si sanno cadaverici ma che sono l'ultimo appiglio sulla mappa della norma, l'ultima tappa del viaggio autorizzato. E non sarebbe naturalmente un problema di nomi, se proprio questi nomi non fossero il sintomo più lampante di un atteggiamento che ha radici inestricabili nel vecchio assetto del territorio e che uno sforzo di pensiero non basta a trasportare sulla frequertza dell'assenza dei limiti. Perché è assolutamente chiaro che per chi è veramente dall'alto di Khartoum, nell'iperspazio e oltre il ponte di Do Lung, avanguardia e moderno sono parole che hanno smarrito per sempre ogni rilevanza. In una delle canzoni più intense ed emozionanti mai accadute, David Byrne e i Talking Heads scattano nell'intuizione che «il cielo è un posto dove non succede mai nulla» e che «è difficile immaginare che il nulla possa essere così eccitante». Ci sarà subito qualcuno che vorrà confondere questo cielo e questo nulla (come l'iperspazio, come il deserto) con l'angoscia di una mancanza: ma non c'è tempo per ribattere a tutti i paranoici. La sola mancanza vera, dentro agli spazi aperti della nuova geografia e del nuovo linguaggio, è la mancanza di ogni limite e di ogni misura. Sì, proprio l'infinitezza, il più grande dei punti di non-ritorno. Perché è chiaro che - dopo il pensiero negativo dell'underground, dopo la furente esplosione trasgressiva, dopo la decostruzione molecolare e trasversale - nessun luogo e nessuna condizione sono più abbastanza grandi per l'intens.ità. Ecco allora lo spazio e il deserto come ambienti della possibilità incondizionata. Ecco la trasparenza' dell'aria e il nomadismo del vento (i Talking Heads cantano Heaven, Air e Listening Wind; Eno dà vita a Wind on Wind e all'aerea Music for Airports) come condizioni atmosferiche di ossigenazione del linguaggio e di raffinamento dello sguardo e delle facoltà percettive. C'è tutta una pessima letteratura penitenziale, intorno all'idea del deserto e dell'infinitezza. Un pensare da sconfitti che interpreta il vuoto come un destino disperato ed eroico, sacrificale e drammatico. Nulla di più volgare. Perché la linea astratta che trasporta alla nuova geografia non è il precipizio angoscioso del buco nero, ma la folgorazione felice dell'iperspazio. Perché questa lieve vertigine data dall'assenza del limite non è certo l'insopportabile enfasi dell'eccesso o dell'utopia, ma lo stile di vita più semplice e sereno. E ancora perché la perdita del senso di identità e l'abbandonarsi all'appassionante fragilità di tutte le possibili combinazioni di intensità, sono proprio ciò che Deleuze dice «fuggire la peste, organizzare gli incontri, aumentare la potenza d'azione, commuoversi di gioia, moltiplicare gli affetti che esprimono o sviluppano un massimo di affermazione». Allora è chiaro che, se ogni spostamento nevralgico produce sempre un qualche effetto di metamorfosi, in un incontro così grande come quello fra astrazione dell'immaginario e fisicità della geografia scatta una vera e propria mutazione di qualità. (Qualcosa come questa magnifica immagine di Peter Handke: «La ragazza raccontò: ho seguito un uomo in metropolitana e ad ogni stazione mi sentivo più bella da divenire ormai inavvicinabile».) Una mutazione che investe innanzitutto la percezione, la pelle, lo sguardo, i sensi. Ed è questa l'appassionante intensità dei nuovi linguaggi: che ogni nuova sfumatura di forma è insieme e non meno una nuova sfumatura di forma di vita. Si dirà che c'è un'estR:ma fragilità, in tutto questo: una qualità eterea, ineffabile, inafferrabile. Ma come non vedere anthe l'impressionante potenza che questa delicatezza contiene? Perché questo stile di linguaggio e di vita libera un'intensità inventiva che il concetto di sperimentazione non basta più a trattenere. Si sperimenta, certo. Ma non lungo quella linea in qualche modo obbligata che designa la sperimentazione innanzitutto come tentativo. Se infatti negli spazi consueti la sperimentazione funziona come accelerazione esplorativa, in questo iperspazio dal quale tutte le coordinate sono state cancellate essa agisce non più secondo un percorso e una velocità determinanti, ma in un divenire senza condizioni. Così questa assenza di enunciazioni territoriali da conquistare e il chiarore che viene dalla nuova angolazione visuale imprimono alla sperimentazione un taglio necessariamente vincente, una grandezza che è data dal solo fatto di lasciarsi andare all'intensità. Nessun problema a dirlo: quanto più grandi sono questi spazi, tanto meno numerosa è la popolazione che li vive. Del resto come si possono sopportare scuole e altri ingorghi, quando c'è di mezzo un'estetica dell'intensità? Qui non c'è più tempo per i rapporti parziali, per i linguaggi interessanti e basta, per le mutazioni moderate. Non c'è più spazio per il potere, figuriamoci per le dipendenze. E proprio adesso che tutti sembrano disposti a prendere in considerazione la molteplicità, è il momento di alzare il tiro: COSÌ se la molteplicità non smette di valere come tendenza, sarà solo quando traccerà le sue miriadi di percorsi sulla mappa della nuova geografia che torneremo ad apprezzare la sua vitalità. Per ora, solo eventi COSÌ grandi da potersi permettere di essere anche piccoli. Solo la stanza chiusa come ambiente che trasporta fulmineamente nel deserto e nell'iperspazio. Solo le astrazioni più fragili, perché sono esse a mutare per sempre il nostrò linguaggio, la nostra sensibilità, la nostra vita. Come avere un mixer interiore e operare montaggi istantanei con tutti i suoni, le immagini, le parole, i gesti, i colori, le voci, le luci, gli sguardi, le forme, le emozioni, all'altezza dell'intensità più grande. Afferrariel.~. apitalismo Afferrare Proteo «Quaderni della Rivista Trimestrale», n. 62-63, gennaio-giugno 1980 Torino, Boringhieri, 1980 pp. 167, lire 5.000 Tadeusz Kowalik Voce «Capitale», in Enciclopedia Einlldi, voi. Il, pp. 589-667 Torino, Einaudi, 1977 Massimo Egidi Schumpeter Milano, Etas Libri, 1981 pp. 168, lire 8.500 U no dei meriti maggiori del Quaderno della Rivista Trimestrale è stato quello di avere posto la questione dell'importanza di una definizione, utile e significativa anche ai fini pratici, di capitalismo: la realtà economica non può essere capita, e una politica economica efficace non può neppure essere pensata ed elaborata, e tantomeno realizzata, senza la consapevolezzachequesta realtà è la società capitalistica. Ma, d'altra parte, il pensiero economico moderno e contemporaneo, compreso il manci-;mo,è incapace di fornire quella def'nizione di cui si ha assoluta necessità. Di qui la sua crisi, di qui le difficoltà che incontra chi vuol capire l'economia, e negli scritti degli economisti spesso non ritrova l'oggetto- la società borghese - la cui natura pur confusamente sente essere il nodo fondamentale da chiarire, e che quindi non trova quello strumento per l'interpretazione de.i fatti economici e per un agire razionale che la scienza economica pretende o, almeno una volta, pretendeva di essere. Secondo gli autori di Afferrare Proteo, infatti, «la consapevolezza della debolezza teorica e dell'inutilizzabilità pratica delle definizionimarxianedi capitalismo e socialismo si diffonde a livello di massa, e contemporaneamente si diffondono, sempre a livello di massa, le proposizioni che, in tema di capitalismo e socialismo, tende a proporre il pensiero moderno» (cit., p. 146). E il concetto di capitalismo che viene proposto dal pensiero moderno «trascolora sempre più in quello di meccanismo economico in generale» (cit., p. 147), diventando quindi poco utile e scarsamente rilevante. Cercherò, molto schematicamente, di mostrare come e perché si sia giunti a questa situazione, quale sia la radice della difficoltà che sembra caratterizzare lo stato attuale della scienza economica, e, quindi, di illustrare, sempre in modo schematico, il programma di ricerca di Schumpeter, che si presenta comel'indicazionedi una possibilevia per superare tale difficoltà. La scienza economica si è venuta costituendo intorno a due proposizio- ' ni, entrambe essenziali, ma la cui connessione all'interno di un medesimo e coerente quadro teorico è sempre stata, nella storia dell'analisi economica, un problema, anzi i/ problema per eccellenza (a cui può essere ricondotta la ragioni: di fondo della sua crisi, oggi). La prima proposizione afferma che la società moderna è la società della divisione del lavoro, dello scambio, del mercato; anzi, quella società in cui massima è l'estensione della divisione del lavoro, dello scambio, del mercato; in cui ogni rapporto è rapporto mercantile, e quindi tutto, compresa la forza-lavoro, è divenuto soggetto alle leggi del mercato. Il compito della analisi economica è dunque, conseguentemente, quello di individuare e analizzare tali leggi, di elaborare una teoria del mercato. Il che significa spiegare la formazione del prezzo delle merci sul mercato, che cosa determini la domanda e l'offerta, se esista e quale sia il meccanismo che porta all'equilibrio e alla stabilità ilmercato, ecc., ecc. La seconda proposizione afferma che la società moderna è la società del-
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