Alfabeta - anno III - n. 24 - maggio 1981

N on voglio tenere una conferenza; voglio solo indicare alcuni termini ùnportanti. In prùno luogo, «postmoderno» è probabilmente un pessimo termine, perché dà l'idea di una periodizzazione storica; e periodizzare è ancora una idea «classica» o «moderna». «Postmoderno» indica semplicemente uno stato d'anùno o meglio uno stato dello spirito. Si potrebbe dire che è un cambiamento nel rapporto con il problema del senso: direi, semplificando molto, che il moderno è la coscienza dell'assenza di valore in molte attività; se si vuole, il nuovo prende coscienza di non saper rispondere alproblema del senso. ILmoderno è dunque il Romanticismo come coscienza della perdita del senso, ed è anche qualcosa come il dandysmo, o ciò che Nietzsche chiama «nichilismo attivo» -cioè non solo la coscienza della perdita di senso, ma anche l'attivazione di questa perdita. In secondo luogo, Lamodernità ha cercato di dare una risposta, insieme filosofica e politica, al Romanticismo e al dandysmo; ha tentatocioè di produrre un qualcosa che si può chiamare «grande racconto», che si trova sia nel racconto dell'emancipazione, a partire dalla Rivoluzione francese, sia nel discorso sulla realizzazione dello Spirito, nel pensiero tedesco. C'è, infine, il racconto della ricchezza, tenuto dalla economia politica del capitalismo. Tutti questi discorsi sono stati in qualche modo riorganizzati e rafforzati dal racconto del marxismo, che ha occupato la scena filosofica e politica del/'Europa e del mondo per tutto un secolo. La mia ipotesi di lavoro è che per gran parte delle società contemporanee questi racconti non siano più credibili, e non bastino ad assicurare,come pretendevano, un legame politico, sociale, culturale. Attualmente siamo infatti in una situazione in cui non accordiamo una grande credibilitàa questi racconli. E dunque dobbiamo affrontare il problema del senso senza avere lapossibilità di rispondere con Lasperanza dell'emancipazione dell'Umanità, come nella scuola dei Lumi, dello Spirito, come nella scuola del/'Idealismo tedesco, o del Proletariato, mediante la costituzione di una società trasparente. Anche il capitalismo, il discorso liberale o neo- /ibera/e, mi sembra difficilmente credibile nella situazione contemporanea; ciò non significa che il capitalismo sia finito, anzi: ma significa che esso non sa più come legittimarsi. La vecchia legittimazione, «Tutti si arricchiranno». non è più credibile. Ciò che oggi fa il capitalismo è sfruttare una forza che aveva sinora trascurato, e cioè il linguaggio - con lo sviluppo non solo dei media, ma delle tecniche della informazione, con la prospettiva di una informatizzazione della società nel suo insieme, cioè di tutti gli scambi di frasi ùnportanti per la società. La prospettiva capitalistica, oggi, è questa; ed è chiaro che èproprio con essa che il capitalismo uscirà dalla crisi. L'esperienza che ho dei media è molto Limitata.Ma credo che saranno prese in considerazione solo le frasi traducibili in linguaggio informazionale. Quando si cerca di dire altro, con il veicolo dei media, ci si fa rimproverare per lapropriaoscurità e complessità(il direttore di un ùnportante giornale franceseha detJo a un edilore:«Quando ci saranno dei libri comunicabili?»). Il che significa che siamo già in una situazione in cui la frase deve soddisfare le esigenze della logica informazionale. Ma questa logica è relativamente semplice, per essa bisogna poter trascrivere una frase anche complessa nella forma di unità di informazionelnon Postmoderno/Moderno (2) Regole paradossi unità di informazione, cioè secondo la logica binaria dell'algebra: sìlno. Si è in queste condizioni perché il linguaggio può diventare una merce solo apollo di essere contabilizzabile. Dunque, se volete che le vostre frasi circolino sul mercato del linguaggio (che èsopra/lutto quello dei media), bisogna che siano competiti ve. Vale a dire che le frasi di cui non si potrà dire: «ecco l'informazione comunicata», non saranno contabilizzate, e dunque comunicate. Credo che una frase scientifica, artistica o filoso fica non sia suscettibile di trasmissione informazionale semplice. Molti hanno provato a trascrivere i dati, soprattutto filosofici, in un linguaggio macchinico: ma non ci sono riusciti. Ciò significa che simili inguaggi, considerati dal punto di vista della performatività, sono giudicati inconsistenti. Jean-François Lyotard /endosi di determinati operatori: quelle frasi si chiamavano paradossi, e I' operatore paralogismo. Tutti i linguisti e i logici sanno che la lingua ordinaria è capace di paradossi e di paralogismi. Se si considera il lavoro dellescienze, o quello delle arti, ci si accorge che il problema non è cambiato, e consiste ancora nel produrre frasi paradossali: frasi «normali», per la scienza, che usa un linguaggio scritto; per le arti invece sono cromatiche, di forma, di suono, di volume, ma si possono comunque considerare come frasi, cioè come articolazioni di elementi discreti. Per tutti questi motivi, il lavoro dell'artista o dello scienziato consiste proprio nel cercare degli operatori in grado di produrre frasi sinora inaudite -e quindi, per definizione e almeno in un primo tempo, non comunicabili. Quelle frasi diverranno comunicabili quandq gli operatori che permettono di produrle saran- 1 1 vero problema consiste allora nello no in possesso del destinatario, quando stabilire se il linguaggio sia effetti- i destinatari potranno ritrascriverle. vamente un mezzo, e un mezzo per Se si analizza il lavoro di Duchamp, comunicare. L'ipotesi soggiacente al per esempio, si vede benissimo che il lavoro dell'artista, del filosofo e dello problema non è altro che quello: cioè scienziato, è che non lo sia: la loro ipo- prendere degli elementi plastici, ma taltesi comune è che il linguaggio sia in se volta anche linguistici; far subire loro stesso autonomo, e che ciò che essipos- delle trasformazioni mediante operatosono rendere come servizio è decodifi- ri molto precisi; e dare semplicemente il carne i segreti. risultato di questa operazione, senza Faccio un esempio semplice. Quan- rivelare la natura dell'operatore. Di do Freud ha scritto la Traum!leutung. conseguenza, i destinatari restano sorha suggerito che c'era una specie di /in- presi, scontenti, ridono o protestano possono mettersi d'accordo su un certo numero di frasi scambiate nellasocietà. Prendiamo, ad esempio, la frase « Per una certa quantità di lavoro, è giusto che ci sia una certaquantità di salario». Questo modello, che è semplicemente quello del comrauo sociale, attualmente, non è più credibile per una ragione che risponde a una difficoltà essenziale, e non congiunturale: il linguaggio comporta giochi di frasi che obbediscono a regole diverse le une dalle altre. Se, per esempio, dico «li muro è bianco», è una frase descriuiva, e chi mi ascolta dirà sì o no. Ques/a frase, cioè, posiziona il destinatario in modo tale che questi deve dare ilsuo accordo o, se non lo dà, deve motivare il suo disaccordo. Ma se dico «Non è.giusto far lavorare lagente cinquanta ore la settimana» è una frase che non obbedisce alla regola del vero - cioè, il suo destinatario non deve dire sì o no, come se si trattasse di una descrizione. li problema non è più sapere se ho ragione o torto; ma stabilire ciò che è giusto e ciò che non lo è, il che non ha alcun rapporto con la verità. Faccio un esempio un po' più drammatico: quelli dellamia generazione, in Francia, sono stati posti di fronte al problema della guerra d'Algeria. Mediante una semplicissima analisi della situazione, era facile capire che lo sviluppo della lotta algerina e l'indipendenza a111hirn11a0lla co.wit11:io11dei 1111 gtwggio de/l'inconscio; e ha tlefinito, o perché i mes.wiggisono i11co111prensibi- _ __;;__ ___ ..:....;_ ___ ......,;_ ______________ --, cercato di definire, gli operatori di quel linguaggio, cioè lo spostamento e la condensazione. L'effetto di questi operatori è produrre delle frasi inintelligibili, non comunicabili in un linguaggio chiaro. Viceversa i linguisti, e in parte Lacan, hanno detto che l'inconscio parla secondo un linguaggio; hanno cercato di dùnostrare che gli operatori erano gli stessi del linguaggio. Credo che sia un errore, e che il linguaggio dell'inconscio sia tale proprio nella misura in cui utilizza operatori che non sono quelli del linguaggio ordinario; e da quel momento in poi intendo spostamento e condensazione altrimenti che nei termini linguistici del linguaggio ordinario: quegli operatori non sono misteriosi, penso che Freud avesse cominciato a elaborarli. Siamo di fronte a una discussione molto antica all'interno del pensiero occidentale. Tra Aristotele e i Sofisti, il problema eragià quello di stabilire se il linguaggio fosse capace di produrre delle frasi assolutamente strane, avvali. E il lm·oro dei fisici della fine del secolo scorso non era diverso: si accettava che la massa fosse qualcosa, e la velocità tutt'altra cosa; fino al momento in cui qualcuno disse che la massa è in funzione della velocità. Ciò significa che questo lavoro verte sugli operatori, cioè sulle regole stesse alle quali obbedisce l'opera scientifica o artistica.Si danno dunque delle opere necessariamente strane, la cui funzione consiste esclusivamente nello sperimentare regole. E ilgrande problema diviene quello delle regole. Il grande problema è taleper i politici, e siamotuttideipolitici - senzadel resto sapere che cosa significhi. Pensiamo tutti che il cambiamento delle frasi della vita ordinaria debba obbedire a regole: cioè che le frasi abbiano degli operatori; che questi operatori vadano istituiti; e che in mancanza di operatori e di regole della comunicazione ci troviamo nell'anarchia. La tradizione democratica consiste nel sostenere che tutti i destinatari delle frasi programma h11rocratico-111iliwrec,he non eraprecisamente democratico. Era possibile una descrizione il cui risultato avrebbe potuto fornire materia d'assenso: e la soluzione che se ne sarebbe trai/a sarebbe stata di non facilitare in alcun modo l'indipendenza algerina. Ma si poteva anche dire: «È vero che questo movimento produrrà un apparato burocratico-militare, ma è giusto sostenere, non l'apparato militare, ma il movimento». In altri termini, si faceva l'esperienza concreta del politico, che facciamo tutti i giorni: ci sono due famiglie di frasi, l'una che obbedisce alle regoledel veroe del falso, l'altra che ha per regole quelle del giusto e dell'ingiusto. E queste due famiglie sono indipendenti, non è possibile tradurre l'una nell'altra. ' utta la tradizione occidentale dice che ciò che è giusto deriva da ciò che è vero; ma ora sappiamo che non è così. Anche nel linguaggio più ordinario ci sono famiglie di frasi che obbediscono a operatori e a regole intraducibili le une nelle altre. Le lingue sono traducibili (peresempio, ilfrancese si può tradurre in italiano); ma una frase che prescrive di fare qualcosa non è traducibile in u11afrase che descrive qualcosa. Di conseguenza, c'è una opacità a/l'interno del linguaggio. Al limite, direi che il linguaggio non comunica con se stesso: è capace di frasi che non sono traducibili in altre frasi. Ed è proprio questo che ostacola il contratto, perché si presuppone che possiamo giungere a una trasparenza. completa su ciò che stiamo dicendo. Dunque, di fronte al tentativo di ridurre il linguaggio all'unità mercantile dell'informazione, che dovrebbe poter tradurre tutte le frasi, credo che - in mancanza di racconti legillimanti - ci sia una sola possibilità: lottare per questo lavoro di incomunicabilità, cioè di articolazione della possibilità di frasi nuove. Questa lotta è condotta principalmente dagli artisti. Ciò che è importante nell'arte è precisamente la produzione di opere nelle quali le regole che costituiscono un'opera in quanto tale siano interrogateall'interno dell'opera stessa. Per fare ciò non c'è bisogno di teoria; direi anzi che bisogna non avere teorie. In Franciae negli Stati Uniti-non so in Italia-, si è sviluppato di recente un movimento reazionario, come ritorno a forme di opere facilmente riconoscibili, facilmente comunicabili, che rispondano alle esigenze del mercato - e non solo del mercato finanziario, ma anche di quello dei media, cioè del mercato comunicabile. C'è sicuramente il fatto che gli artisti fanno fatica, oggi, a proteggersidietro a quelle teorie (marxiste, semiotiche, di origine freudiana), che negli anni sessantae seuanta avevano la funzione di giustificare il paradosso delle opere. Queste teorie, che derivano dalle scienze umane, stanno perdendo credibilità, e penso che sia giusto. Significa infatti che gli artisti non vogliono più essere protetti dall'argomento teorico; e il rapporto tracritico e artistasi è capovolto, in quanto il critico non capisce più, non gli è più dato l'argomento dell'opera; dice: « Datemi qualcosa di comunicabile». E credo che ora, o gli artisti si inchinano di fronte a questa terribile esigenza; oppure sono tenuti a fare ciò che fanno senza la protezione dell'argomento teorico. Il quale era, a mio avviso, semplicememe un argomento ideologico: non era altro che un prestito delle scienze wnane, cioè di un tipo di discorso che si rapporta, ed è indispensabile, al sistema. Dirò per finire che la regola del discorso del filosofo è sempre stata quella di trovare la regola del proprio discorso. Dunque il filosofo è qualcuno che parla per trovare la regola di ciò che vuol dire, e che quindi parla senza conoscere la propria regola. Penso che questa situazione sia paragonabile a quella delle arti, e, in parte, a quella della scienza. Ciò significa che gli artisti sono persone che da tempo (penso a Cézanne), ma ora sempre di più, cercano delle regole che facciano sì che la loro opera sia considerata, per esempio, un'opera piuorica. Più si avanza, e più si capisce che nella tradizione pittorica c'è 11110 quantità straordinaria di costrizioni. Allora l'artista è chi reperisce nell'opera un aspeuo delle regole che dovrà essere interrogato - egli cioè lavora, e ha sempre lavorato, come un filosofo. Testo per il convegno « Paesaggio metropolitano», Roma, 18febbraio 1981, e per Alfabeta Traduzione di Maurizio Ferraris

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