CO "' "' .!, go e:,. ...... CO °' manoecritto anonimo fra le carte di Gustave Flaubert a cura di AlbertoCapatti L. 5.000 HansKelMn LA Tl!ORIA POLITICA Dl!L BOLSCl!VISMO e altri saggi a cura di Riccardo Guastini L. 9.000 Noam Chomsky Rl!GOLE I! RAPPRl!Sl!NTAZIONI a cura di Giorgio Graffi L. 15.000 Cari Schmltt Tl!ORIA Dl!L PARTIGIANO w.o. Quine LOGICA I! GRAMMATICA I Paralleli Qulllaume Apolllnalre. daALCOOLS a cura di Sergio Zoppi L. 5.000 Umberto Saba COI MIEI OCCHI a cura di Claudio Milanini L. 5.000 Alberto Cadioli L'industria del romanzo Attraverso le vicende dei più discussi best-sellers una •storia editoriale• della narrativa italiana dal '45 ad oggi. Universale scienze sociali Lire 3.500 Libri di base Collana diretta daTullio De Mauro Ogni volume illustra un argomento, un problema, una realtà del mondo moderno. 3.Tullio De Mauro Guida all'uso·delle parole 4.Lionel Bellenger Saper leggere 6.lvano Cipriani La televisione 14.Mimma Gaspari L'industria della canzone 22.Mario Lenzi Il giornale Come funziona la fabbrica di notizie e di opinioni. Le nuove tecniche di informazione e di stampa. Formato tascabile, 144 pagine, 3.500 lire novità mediatamente j congiunti o le altrepersone da essi indicate» circa i trasferimenti e le condizioni di salute, con gli articoli 38, 39 e 40 che prt;vedono l'esclusione dalle attività in comune per non più di quindici giorni come sanzione disciplinare massima. In definitiva le carceri speciali sono in stridente contrasto con tutte le norme della leggedi riforma, dirette, sulla base degli intenti indicati nel suo articolo 1 e nell'art. 2 7 della Costituzione, al «reinserimento sociale» dei detenuti. Esse, sotto alcuni aspetti, rappresentano addirittura un arretramento anche rispetto_al vecchio regime carcerario fascista (ad esempio, secondo l'art. 280 del regolamento Rocco del 1931, l'assegnazione di detenuti alla «casa di rigore» era disposta dal giudice di sorveglianza, laddove il trasferimento di un detenuto ad un carcere speciale è oggi disposto dalla amminis(razione senza alcun controllo del magistrato). Sotto questo aspetto del tutto privi di consistenza appaiono a prima vista i tentativi fatti da qualche parte di giustificare la istituzione di queste carcericon un riferimento agli articoli 64_della legge di riforma e 32 del successivo regolamento. L'articolo 64 infatti, quando parla di istituti «organizzati con caratteristiche differenziate in relazione allaposizione giuridica dei detenuti e degli internati ed alle necessità di trattamento individua/e o di gruppo degli stessi» fa riferimento ad esigenze di «trattamento» che nulla hanno a che vedere con la pura e semplice repr,essionepraticata nelle carceri speciali. L'art. 32 del regolamento dal canto suo che pure prevede che i «detenuti e gli internati che abbiano un comportamento che richiede particolari cautele, anche per la tutela dei compagni da possibili aggressioni e sopraffazioni, sono assegnati ad appositi istituti o sezioni dove sia più agevole adottare le suddette cautele» presuppone pur sempre un comportamento tenuto all'interno del carcere che giustifichi la esclusione da quello ordinario ed il ricovero in istituti speciali e comunque non sembra in nessun modo consentire che questi istituti speciali siano sottratti ai principi ispiratori della riforma (contatti con l'esterno ecc.). Non si trattadi affermazioni di qualche giurista in vena di estremismo, ma di rilievi pressoché unanimemente condivisi da tutti gli addetti ai lavori, a tal punto che un gruppo di giudici istituito ne/l'ambito di una settimana di studi, promossa dal Consiglio superiore della magistratura ha concluso i suoi lavori con queste parole: «Il gruppo, · oltre a formulare riserve e preoccupazioni circa la legittimazione formale di siffatti istituti (difficilmente inquadrabili nella tipologia contemplata dagli artt. 64 legge e 32 regolamento) tiene a sottolineare che anche su un piano sostanziale la creazione di codeste supercarceri non garantisce affatto la sicurezza nei rapporti sia interni che esterni alla comunità carceraria. Al di là infatti della rassicurante facciata rappresentata dall'incontestabile rarefazione del fenomeno delle evasioni, è da rilevare che lo Stato democratico, istituzionalizzando l'eliminazione di ogni forma di trattamento 'e la compressione dei diritti elementari nelle carceri suddette, ha finito per recidere il cordone ombelicale con i detenuti cosiddetti differenziati, esaltandone, per converso, le loro capacità deterrenti e sovversive [...] Né può sottacersi che lo stato di esasperazione e di ribellione in cui sono state trascinate le famiglie dei detenuti, costrette a continue peregrinazioni nella penisola e nelle isole per mantenere i rapporti con i parenti può indurre talune a farsi tramite per una ulteriore escalation della violenza[ ...] Il gruppo[ ...] ·ritiene essenziale il rispetto delle seguenti irrinunciabili condizioni: 1) in tutti gli istituti deve essere garantito senza discriminazioni il pieno rispetto dei diritti fondamentali alla salute, alle attività culturali o ricreative, all'aria, alle relazioni umane e familiari ed in tutte le carceri deve essere offerta l'opportunità del trattamento salva la possibilità dei detenuti di rifiutarlo; in tale ultima evenienza restando comunque ferme le esigenze di sicurezza. 2) Devono essere predeterminati per legge i criteri oggettivi sulla base dei quali l'amministrazione può procedere alla assegnazione dei detenuti alle carceri di maggior custodia. 3) Al fine di impedire discriminazioni ed abusi il gruppo auspica che tutti i trasferimenti siano sottoposti ad una sorta di controllo di leggittirnità da parte della magistratura di sorveglianza. 4) Deve essere assicurata una revisione periodica del comportamento del detenuto assegnato a carceri differenziate sl da consentire l'eventuale revoca dell'assegnazione». Assai poco regolari sotto l'aspetto della loro costituzione e delle modalità di gestione, le carceri speciali non sembrano giustificate neppure alla luce delle ragioni di opportunità con le quali sono normalmente presentate a/l'opinione pubblica. Anche in questo caso esse vengono frequentemente giustificate come una risposta al terrorismo e ai suoi misfatti, ma un'analisi comparata, seppur sommaria, mostra lascarsaconsistenza del/'argomento. Carceri speciali si riscontrano infatti anche in stati nei quali non v'è terrorismo. La situazione carceraria italiana trova così rispondenze ed analogie anche in altripaesi dell'Europa occidentale, a conferma della unicità delle tendenze riscontrabili nella fase attuale delle società tardoborghesi. In materia di carceri di massima sicurezza o di sezioni di massima sicurezza in carceri ordinarie si nota infiltti unapropensione generalizzataalla loro istituzione. Progettateper laprima volta una quarantina di anni fa negli Stati Uniti in una dimensione politica caratterizzata dal riformismo roosveltiano, esse attualmente si riscontrano in quasi tutti gli stati europei. In Inghilterra esse cominciano ad apparire all'inizio degli anni settanta con la pudica denominazione di «special contro/ units» e sono destinate ad ospitare· i «sovvertitori» del sistema carcerario. Gli autori di disordini nelle carceri ordinarie sono assegnati a carceri speciali per almeno sei mesi. Sono previste due fasi del soggiorno nella prima delle quali (la «fase di base») è previsto l'isolamento per 23 ore su 24. li regime è assai più duro e severo di quello praticato nelle prigioni ordinarie; e se il detenuto disobbedisce alle regole disciplinari durante la fase iniziale, egli ricomincia il soggiorno nello «special unii» ripartendo dal primo giorno. La destinazione al carcere speciale è considerata dal Prison Department come una decisione amministrativa e pertanto non c'è un processo, né un diritto di impugnazione nei suoi confronti. Su un piano teorico (ma non tanto) un detenuto potrebbe essere tenuto in carceri di questo tipo - in isolamento - per un tempo più o meno indefinito. li principio che soggiace alla istituzione di queste carceri è semplice: la riabilitazione e l'emenda sono consideratepossibili soltanto se la popolazione carceraria è separata in due segmenti, quelli che possono trarre vantaggio da un regime di trattamento e quelli che potrebbero impedirlo. I condannati a pene lunghe, coloro che sono considerati grandemente pericolosi per la sicurezza, i violenti, gli autori di tentate evasioni e tutti quelli con turbe psicologiche devono - secondo i sostenitori del doppio sistema - essere tratti fuori dal mucchio per impedire che possano operare come possibile fonte di inquinamento. In definitiva le carceri per questo gruppo di detenuti sono destinate a diventare dei «depositi umani», posti dove delle persone sono /asciate fino a che lasocietà non decida che cosa fare di esse. In Germania federale le carceri di massima sicurezza ed il trattamento inflitto a coloro che vi sono detenuti (isolamento, privazione sensoriale ecc.) sono stati oggetto di vive controversie, le quali hanno avuto ampia eco anche in Italia, soprattutto in relazione alle vicende della cosiddetta «banda Baader Meinhof» e non mette conto ritornarvi in questa sede. Unitàdi massima sicurezza si riscontrano infine anche in Francia a partire dall'inizio degli anni settanta e sono destinate ad accogliereed isolare i detenuti considerati da/l'amministrazione carceraria «pericolosi» e « fonti di turbamento» per la sicurezza degli stabilimenti ordinari di detenzione. ln queste prigioni i detenuti sono isolati e strettamente sorvegliati. Inoltre la destinazione in esseè a!fidata alla assoluta discrezione de/l'amministrazione penitenziaria, senza alcun controllo del giudice di applicazione delle pene (/'equivalente del nostro giudice di sorveglianza) o di altro organo giudiziario. Come si legge in una lettera inviata da un detenuto al Comité d'action des prisonniers, «la nascita di queste sezioni di alta sicurezza è ancora troppo recente, ma, è facile prevederlo sin da ora, il giorno in cui i detenuti ne usciranno, saranno delle belve in libertà. Queste non sono minacce gratuite, ma le conseguenze di un processo che distrugge l'umanità nell'uomo. Saranno degli individui che usciranno morti af fettivamente. Dei morti viventi che odiano la vita dei loro torturatori, dei paranoici ossessionati dall'impunità dei direttori, dei responsabili». Un altro tema sul quale è necessario soffermarsi è quello dei «pentiti» e della loro gestione giudiziaria. Indubbiamente - sarebbe stupido negarlo - essi hanno consentito di apportare colpi non indifferenti al terrorismo. E quindi sotto questo aspetto la norma della legge ha funzionato. Però, sul piano della gestione giudiziaria /'utilizzo dei «pentiti» si è rivelato non privo di rischi; in particolare quello di prendere per oro colato tutto quello che essi dicono, sottoponendo a detenzione. preventiva tutti coloro che sono da essi indicati come in qualche modo coinvolti o «contigui» all'area del terrorismo e della violenza politica. Nonostante le promesse iniziali, più ,o/te ribadite, di un uso «oculato» dei pentiti, si ha l'impressione che in alcuni casi siano bastati riferimenti «per sentito dire» di alcuni pentiti per l'emissione di ordini e mandati di cattura. Se non sempre lineare è stato finora l'uso dei pentiti, ancora meno lo è quello che si prospetta per il futuro. Le proposte che si susseguono di of frire loro altri vantaggi, fino a farli espatriare· e mantenerli ali'estero a «spese del Pritaneo», quasi che fossero dei nuovi Socrate, oltre che ridicolo, se si tiene conto del fatto che spesso si trattadi puri e semplici assassini a sangue freddo, costituisce irrisione rispetto alle famiglie delle vittime. Lo stesso intervento di gruppi di giudici non meglio idP"'ificati che si riuniscono con il ministro di grazia e giustizia per chiedere nuove demenze per i pentiti suona come una anormale · commistione di competenze tra poteri dello stato i quali sarebbe meglio che restassero separati. li problema del resto è più ampio. Più volte è stato denunciato il pericolo che il clima determinato da una lotta al terrorismo condotta prevalentemente sul terreno della repressione penale (attraverso l'introduzione della legislazione eccezionale e delle prassi giudiziarie cui si è fatto già riferimento) consentisse di estendere la repressione alle lotte sociali. Ciò si sta effettivamente verificando. Emblematiche sono a questo proposito le vicende Fiate quella relativaai recenti arresti di Napoli. È di questi giorni la notizia che centinaia di lavoratori Fiat, protagonisti delle lotte dello scorso autunno per il mantenimento del posto di lavoro, sono stati incriminati (art. 61 O c.p. violenze private) per i picchetti effettuati davanti ai cancelli degli stabilimenti. Come risulta dalle notizie di stampa di quei giorni, ai presidii dei cancelli Fiat non si acconpagnarono atti di violenza a persone o cose. Un'iniziativa penale di tali proporzioni - per il numero delle persone coinvolte - relativa a comportamenti che sono tradizionali nella storia del movimento operaio e sono necessari per garantire forza agli scioperi, comportamenti che nel caso Fiat non sembrano essere andati al di là della consueta conflittualità di fabbrica, è destinata a far sorgere preoccupazioni. Specie se si tiene conto che la giurisprudenza in tema di picchetti degli ultimi anni -tranne poche eccezioni-si è definitivamente consolidata nella repressione di qualsiasi condotta dei lavoratori in sciopero che vada al di là della semplice astensione dal lavoro, con ciò stesso vanificando per loro la possibilità di assicurare - con comportamenti sia pure non violenti -la buona riuscita degli scioperi. Iniziative del genere, che non attengono a reati di terrorismo, trovano certamente un fertile terreno in quel collegamento, che si è instaurato successivamente al 7 aprile ed è stato favorito da una certa campagna di stampa, tra «violenza» e ogni forma di conflittualità sociale. Infatti, forme di lottasociale come gli stessi picchetti, o altre, patrimonio culturale della sinistra, come l'autoriduzione o l'occupazione di case, qualificate «illegalità di massa», sono state assunte quali elementi costitutivi di reati di terrorismo, come può leggersi in non pochi capi d'imputazione del processo 7 aprile. li procedimento penale di recente promosso dalla Procura di Napoli ben si colloca in questo quadro e costituisce un vero e proprio salto di qualità, esplicitando ciò che altre volte era rimasto fra le righe: dalla continuità tra lotte extraistituzionali e lotta armata, tipica del 7 aprile, si passa ali'aperta criminalizzazione dell'organizzazione del dissenso sociale. Infatti in questo caso, e diversamente da quanto avviene nella vicenda Fiat, non sono stati contestati solo specifici reati in relazione a singoli fatti (occupazione di case, sit-in, pubblicazione di manifesti, ecc.), ma dalla commissione degli stessi si deduce l'esistenza di una «associazione sovversiva». Vale la pena leggere quella parte del mandato di catturache è statapubblicata dai quotidiani: l'accusa è di «aver costituito un'associazione sovversiva, operante sotto diverse sigle (Banchi Nuovi, Centro di iniziativa marxista, ecc.) che, facendo leva sullo stato di gravissimo disagio sociale, ancor più determinatosi in Napoli per la crisi degli alloggi e delle occupazioni a seguito degli eventi sismici del 23.11.80, era diretta a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici e sociali costituiti nello stato, organizzando e dirigendo il dissenso sociale». Ci sembra tipica espressione di una concezione totalitaria dello stato affermare che è sovversivo organizzare il dissenso sociale. O forse le lotte sociali vengono automaticamente oggi considerate l'immagine esterna e palese di un diverso tipo di lotta, collegata al terrorismo, e per questo vengono considerate «sovversive», e come tali penalizzate, anziché ravvisare in esse i singoli specifici reati che possono eventualmente costituire? Insito nel/'accettazione di una simile tesi è il pericolo della criminalizzazione di qualsiasi dinamica sociale, anche se espressain forme legittime. Un'iniziativa giudiziaria quale quella napoletana è assai inquietante. Va considerata, infatti, l'incandescente situazione della cittàdi Napoli, resapiù drammatica dal terremoto, che ha aggravato la cronica crisi di alloggi e disoccupazione. In un clima del genere, ed in mancanza di credibili risposte dei pubblici poteri, un intervento dello stato in chiave repressiva rischia di esasperare le tensioni sociali, rendendo insanabile la frattura già in atto tra le migliaia di disoccupati e senza tetto e le istituzioni nelle loro varie articolazioni. Inoltre la chiusura di spazi alle lotte che si agitano nel sociale rischia paradossalmente di aprire nuovi spazi alla lotta armata: questa infatti, come la vicenda italiana dimostra, rappresenta una risposta speculare non a momenti di acuta conflittualità sociale, bensì al venir meno di ogni movimento.
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