zioni e problemi completamente diversi è quello dei gruppi, che si sono sempre tenuti ai margini anche fisici del sistema commerciale del teatro e non hanno mai puntato all'etichetta «sperimentale». Nati per lo più come primi frutti della riaggregazione giovanile fuori dai paradigmi politici negli anni '70, con l'ambigua denominazione di «gruppi di base», hanno subito in questi anni una sorta di ~lezione darwiniana che ne ha ridotto il numero (e anche la rappresentatività sociale), ma ha costituito uno stile di lavoro, un circuito, un'organizzazione che è insieme professionistica e autonoma. Parallelamente a questa crescita organizzativa si è avuta una sorta di emancipazione linguistica dai modelli che ne avevano fortemente influenzato le origini (soprattutto l'Odin), e di disseminazione, che ha molto differenziato interessi e modi espressivi. Una testimonianza di questi fenomeni sta in una nuova generazione di spettacoli che dopo lunga preparazione sono stati presentati in questi mesi: Prima che la festa finisca del Teatro Potlach di Fara Sabina e Un po' per non morire del Piccolo di Pontedera. Al di là di un'analisi critica di questi prodotti (e di altri che si potrebbero citare) è da segnalare e da discutere la nozione di spettacolo, di regia, di lavoro dell'attore che sono in gioco qui. C'è per esempio una drammaturgia complessa, che nasce in parte da materiali documentari e letterari (nel primo caso si tratta della vicenda del Wi/he/m Meister di Goethe, nel secondo della biografia di Puccini), in parte da materiali degli attori, improvvisazioni ecostruzioni, in parte da invenzioni registiche. Ma dato che il modo del montaggio è giocato alla maniera dei rebus, cioè attraverso un tessuto fitto di scambi fra diversi livelli significanti, fortemente surdeterminati, nel senso in cui lo sono le immagini del sogno, ogni singolo contributo espressivo perde nel processo di costruzione dello spettacolo. la sua specificità, viene assunto per la sua superficie con una sorta di cinismo comunicativo che provoca una specie di labirinto simbolico: un effetto di ambiguità che moltiplica gli strati di senso tanto verticalmente (le «immagini» del pubblico non coincidono con quelle de) regista/drammaturgo le quali non si uniformano a quel.ledell'attore/inventore), tanto orizzontalmente, perché le letture sono diverse a seconda dell'angolo visuale e del punto di vista prescelto. Ci si può chiedere perché questo metodo di costruzione assai complesso e scomodo si sia diffuso fra i gruppi, privilegiando fra i vari «maestri» le metodologie di lavoro dell'Odin Teatret, proprio nel momento in cui si avviava una sorta di emancipazione stilistica. La risposta ha indubbiamente a che fare con la caratteristica specifica . di questi gruppi rispetto ad altri organismi di produzione teatrale, e cioè proprio con il loro essere collettivo e .col rapporto fra identità di gruppo e prodotto spettacolare .. Probabilmente un rapporto cosl complesso di scambi simbolici e un gioco tanto esplicito di esposizione/occultamento dei materiali individuali è necessario perché lo spettacolo possa svolgere il suo ruolo nelle dinamiche dei gruppo: che non è solamente quello del prodotto più o meno «artistico» da vendere, ma ha im;lubbiamente una funzione proiettiva e di rispecchiamento. Lacaratteristica intertestualità di que; sti spettacoli, la ricchezza strutturale ambigua e perciòsimbolicache ne nasce, richiedono una figura d'attore molto diversa dalla tradizione e anche dalle figure oggettivate e scenografiche dell'avanguardia. Si tratta di un attore in grado di fare reggere al proprio corpo, alla propria voce, alla propria presenza una sorta di geroglifico molto complesso, rispetto a cui sono fuori gioco i concetti diderottiani di sensibilità, sincerità, finzione. Il teatro dei gruppi richiede un attore materialista, nel senso di fare esattamente ciò che fa, nel luogo e nello spazio in cui effettivamente agisce. Ma richiede anche un attore grammaticale, che si conformi cioè a regole (arbitrarie certamente, come tutte le convenzioni linguistiche): un attore che somigli in questo di più a un ballerino classico o a un esecutore musicale che alla figura tradizionale dell'attore europeo, regolata dal talento, dalla verisimiglianza, da varie doti psicologiche, piuttosto che da una grammatica precisa. Richiede infine un attore «presente», cioè capace di imporsi non grazie alla partecipazione emotiva, che è spesso interdetta dallo spessore del geroglifico, ma usando risorse immediate e per cosi dire biologiche. 4) I principi transculturali Un discorso analogo si potrebbe fare per i registi di questi gruppi. Certamente in questo settore del teatro c'è stato negli ultimi anni un accumulo di esperienza, uno sviluppo tecnico, se vogliamo artigianale, che è molto notevole. La granèle moda dei seminari, la capacità organizzativa per cui molti gruppi sono sopravvissuti importando cultura teatrale, il mito lontano ma sempre agente del laboratorio, il bisogno concreto di accumulare tecniche hanno fatto crescere in maniera insospettabile le tecniche del corpo a disposizione (e il m mero di coloro che ne sono stati alm..:no sfiorati); e per quanto riguarda i professionisti di questo teatro hanno portato a livelli di competenza (e soprattutto a una pluralità di competenze, dalla musica all'acrobatica ai linguaggi scenici dell'oriente) che è insospettabile fuori da questo ambito. Ma !'.acquisizione di tecniche sceniche non è sufficiente e certamente non risponde ai- problemi di definizione dell'arte dell'attore che vengono dal teatro dei gruppi (e da altri settori in maniera più confusa). Da questa esigenza sono nate alcune esperienze che pur avendo la forma di istituzioni didattiche non nascondono progetti di rifondazione del lavoro teatrale, o almeno di superamento del vuoto creativo che è la sostanza della crisi. Due di questi progetti si appoggiano al Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale di Pontedera. Uno è un «progetto Stanislavskij», che si propone di verificare l'applicabilità dei metodi psicologici nel lavoro dell'attore, proprio per sviluppare la sua capacità creativa. Coordinato da un comitato scientifico e realizzato da una serie di pedagoghi molto diversi fra loro (da Marisa Fabbri e Jerzy Stuhr) il «progetto» si applica a un gruppo molto limitato di giovani attori professionisti, che lavoreranno per due anni continuando nel frattempo la loro attività. L'altro è l'lsta (Tnternational School of Theatre Antropology) diretta da Eugenio Barba e che quest'anno a Volterra da agosto a ottobre avrà la sua seconda sessione, dopo quella di Bonn. Si tratta, nelle intenzioni di Barba, di individuare attraverso un confronto fra diverse culture spettacolari grammaticalizzate, qualcosa come universali della situazione spettacolare. o meglio regole generali che sono applicate nel lavoro degli attori al di là delle differenti estetiche. Nei lavori didattici e nel simposio scientifico della prima sessione sono emerse bene queste «leggi» dell'antropologia teatrale come le tecniche che sono usate per assicurare al corpo dell'attore una «presenza» più ricca e intensa del normale. Sono tutte tecniche del corpo che impongono diseconomie energetiche e disequilibri, bloccando masse muscolari e articolazioni e imponendo a gesti e azioni di vincere l'opposizione del resto del corpo. Questi principi transculturali sono appresi e studiati sulla base delle fasi più elementari dell'apprendimento delle tecniche spettacolari tradizionali della Cina, di Bali, dell'India, del Giappone. La didattica nei confronti degli attori occidentali non si propone ovviamente di acculturarli a queste tradizioni, ma piuttosto di presentare attraverso il confronto delle regole generali e inoltre di rompere gli stereotipi fisici della nostra cultura scenica. 5) Lo spazio non scenico L'attualità di un approccio antropologico al teatro non risiede solo nel confronto transculturale da cui ricavare leggi generali. Più radicale è la ricerca di «radici» o «sorgenti» per il teatro, cui ancorare eventualmente in futuro nuovi modi espressivi. È questo per esempio da molto tempo il lavoro di Alessandro Fersen, che ha esposto i suoi risultati in un libro lucido e affascinante, Il teatro dopo. Il lavoro di Fersen è consistito-in un approfondimento delle tecniche di concentrazione psicologica teorizzate da Stanislavskij, alla ricerca di un atto della memoria («mnemodramma» ), momento insieme di espressione e di penetrazione inconscia. Attraverso pazienti sperimentazioni. Fersen è arrivato a mnemodrammi collettivi, in cui sembra emergere un simbolismo analogo a quello che si riscontra in molte situazioni di possessione e orgia rituale, fino alle feste religiose del meridione. Da questo lavoro per Fersen dovrebbero nascere i germi di una nuova drammaturgia, che abbia quella capacità mitopoietica che sembra del tutto svanita nel circuito drammaturgico tradizionale. Vedendo i suoi esperimenti, peraltro, il problema non affrontato sembra proprio quello del corpo come luogo concreto della presenza e dell'energia dell'attore; sicché appare molto più affascinante il discorso di Fersen di quanto non lo siano le azioni costruite nei suoi mnemodrammi. Ancora più radicale da questo punto di vista è il lavoro di Grotowski. Abbandonato anche quell'ambito di interazione psicologica, di lavoro sulle relazioni e sulla creatività che è stato definito drammaturgia dell'evento o parateatro, Grotowski ha personalmente intrapreso una strada di esplorazione di quelle tecniche del corpo che nelle varie culture sono considerate eccezionali, capaci cioè di indurre mutamenti negli stati di coscienza, nella direzione di esperienze sciamaniche o «magiche». In queste tecniche che sono orientate a rompere i limiti della percezione e insieme delle energie fisiche e psichiche del corpo, Grotowski vede un «teatro delle sorgenti», che si può immaginare, con Nietzche e molti altri come uno strato che sta anche allç -sor genti del teatro. Non c'è più in questo· suo ultimo lavoro, alcuna dimensione psicologica, alcuna ricerca comunicativa, ma solo una sperimentazione fredda dei limiti e della mobilitazione della presenza fisica. Il grande radicalismo di questa ricerca sta nell'affrontare materie tradizionalmente interdette alla ricerca nella nostra cultura, ma di farlo con metodologie assolutamente aliene da qualsiasi occultismo e misticismo. Per questo motivo anche se direttamente non finalizzate al teatro, non c'è dubbio che da esse possano uscire indicazioni concrete in quel problema che resta centrale nel teatro degli ultimi decenni, la difficile relazione dell'attore con il suo ruolo, il pubblico, la drammaturgia. E non è probabilmente un caso che proprio dal Teatr Laboratorium di Grotowski, ma dalla sua sezione che si occupa ancora di parateatro, sia uscito dopo dodici anni uno spettacolo molto semplice nell'impostazione, -con momenti di diversa intensità, ma straordinariamente innovativo proprio per la sua capacità di utilizzare nel lavoro degli attori le esperienze para teatrali, cioè l'addestramento alla reazione non tematica ma effettiva a una rete concreta di rapporti che si sviluppano nel tempo. Thanatos polacca, come si chiama lo spettacolo coordinato da Riszard Cieslak, trae le sue particolarità proprio dalla sostituzione della convenzione teatrale (distacco scena/ pubblico, rimemorazione di un lì e allora, interpretazione di personaggi) con quella del parateatro (qui e ora, non personaggi ma azioni delle persone impegnate, presenza attiva e non separazione dei partecipanti). Lo stesso spazio dello spettacolo non è più affatto scenico, neanche nella forma del cerchio chiuso intorno a una rappresentazione, ma condiviso col «pubblico» secondo una modalità che rivoluziona profondamente la sociologia del fatto spettacolare, ben al di là di ogni «partecipazione». 6) D ritrovamento del centro In un panorama notevolmente frammentato come quello che ho disegnato, una cosa è chiara. Di nuovo, come due decenni fa, il teatro sembra sull'orlo dello svuotamento interno, cioè dell'esaurimento creativo, e della concorrenza esterna, da parte dei media vecchi e nuovi che pretendono una miglior capacità di espressione dell'imagerie e dei fantasmi collettivi. Rispetto. all'esaurimento degli ultimi esempi di drammaturgia scritta negli anni '60, si è avuta però un'enorme espansione del teatro. Non solo in termini quantitativi e organizzativi, ma soprattutto in quelli della sua stessa definizione. Molte cose oggi ci appaiono nell'orbita teatrale che sarebbero state considerate allora «altro> o forse «niente». Questo è il frutto di un'esparisione delle convenzioni e dei luoghi del teatro che è frutto proprio degli ultimi due decenni. Il problema non è dunque probabilmente quello di un'ulteriore espansione e confusione dei confini, un ulteriore rimescolamento delle carte fra le varie attività e generi spettacolari. Molto probabilmente è fruttuoso il programma inverso, quello di ritrovare (o di inventare) un centro, un punto di specificità. Le indagini sull'antropologia teatrale sembrano indicare una strada possibile per individuare questo centro nella figura dell'attore e nella sua presenza «non tecnologica> e proprio per questo motivo più intensa e seduttiva di quanto non lo consentano le mediazioni necessarie ad altri media. Non è necessario sprecare su questo punto citazioni di recenti analisi teoriche centrate sulla seduzione. Infatti i risultati di queste ricerche sono più avanti, più capaci di spiegare il distacco fra effetti di seduzione e effetti di senso; e in questo sta il loro interesse generale, anche al di là del teatro. Un rinnovamento del teatro passa cioè oggi per un'analisi concreta, direi materialistica, degli effetti relativi alla compresenza, della loro radice biologica, dei loro effetti comunicati;i e seduttivi. OSCAR STUDIO ENCICLOPEDIA FILOSOFICA ARTE 10 Formaggio Ure 5.500 In edizione aggiornata, una trattazione storico-sistematica del concetto di arte. E insieme, una storia del fenomeno artistico e delle sue trasformazioni dalla preistoria ai nostri giorni. Un testo che aiuta a orientarsi nel mondo delle estetiche e delle poetiche contemporanee. LOGICA Maria Luisa Dalla Chiara Scabia Ure 3.800 L'evoluzione della logica dall'antichità classica al Medioevo all'età moderna, fino alla crisi attuale e alla necessità di una nuova formulazione del rapporto tra logica e sapere. METAFISICA Aldo Masullo Ure 4.500 Lo sviluppo storico della metafisica, dalla sua configurazione in Platone e Aristotele alla sua crisi nel pensiero medievale e rinascimentale, alla sua restaurazione moderna dopo Cartesio, alla crisi definitiva con Hegel. MITO Furio Jesi Ure 3.500 Il superamento delle interpretazioni ottocentesche - che spiegavano la mitologia in chiave storica o naturalistica o allegorica - attraverso le teorie degli studiosi moderni, tese a individuare la dialettica tra mitologia e mito, tra mito e storia. NATURA Paolo casini Ure 3.500 Che cos'è la natura? Un volume che illustra le risposte date a questo interrogativo dalla filosofia e dalla religione nelle diverse civiltà Risposte mai superate storicamente, e tuttora presenti in certi aspetti della nostra cultura. SEGNO Umberto Eco Ure 3.800 La discussione sul "segno• è al centro del dibattito filosofico e culturale del nostro tempo (strutturalismo, semiotica e semantica, filosofia del linguaggio). Eco analizza e confronta, per la prima volta, i diversi usi culturali del concetto di segno. -- .... SOCIETA' Franco Ferrarotti Ure 3.500 Le origini e lo sviluppo della scienza sociale; il concetto polivalente di società; le tecniche e gli strumenti della sociologia; i temi della ricerca sociologica. (O Mondadori
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