I puritanic,,.tt,,,Je scienze Charles Webster u Grande lnstalUlllione. Scienza e riforma sociale neOamolazioae pnritana Mìlano, Feltrinelli, 1980 pp. 518, lire 22.000 Margaret C. Jacob I newtoniani e la molmione ia&Jese. 1689-1720 Mìlano, Feltrioelli, 1980 pp. 228, lire 12.000 Richard Foster Jooes Aaticbi e Moderni. u llticita del movimento scientifico nelflnpiltern del XW secolo Bologna, Il Mulino, 1980 pp. 320, lire 18.000 'I1le iatelledmJ revolation of Seventeenth Centwy a cura di Charles Webster London-Boston, Routledge and Kegan, 1974 Da quando, verso il 1905, Max Weber accostò tra loro fenomeni di diversa caltezza»-produziooe materiale di beni e tavole simboliche regolatrici di condotta - divampò la polemica su categorie come «etica protestante» e «spirito del capitalismo». Polemica accompagnata, via via, da motivazioni e rifrazioni le più svariate. ei primi decenni del secolo, storici militanti e teologi liberali, filosofi della storia e critici della società di mercato visitarono e rifrequentarono i luoghi weberiani, alla ricerca di opposti suffragi, o nel tentativo di demolirne le tesi. È acqua passata, si dirà. E oggi pochi, che volessero risalire le tortuose rampe del capitalismo, si adatterebbero ad evocare un qualsivoglia «spirito», per mostrarne poi, o per confutarne, l'emanazione da questa o quella confessione religiosa. Un tema, parrebbe, da archiviare negli schedari di una storiografia tutta «concetti» e cifre filosofiche, avvolta in grandiose speculazioni e non ancora nutrita dalle miracolose linfe della quantificazione. Ad essere più attenti, ci si accorge invece che è tutta questione di parole, di linguaggio. Che, certo, il lessico weberiano ha fatto il suo tempo, ma che lo scontro sollevato in quei primi anni del nuovo secolo non è mai realmente cessato. E che dura ancor oggi, mutato gergo: una continuità esasperante, verrebbe fatto di commentare. Non sorprende che terreno singolarmente fertile la provocazione di Weber trovasse in clima anglosassone. Da quelle parti, Tawney specificò meglio, nel 1926, i termini di un rapporto tra puritanesimo secentesco e origini del capitalismo, mentre l'americano Mertoo nel 1938 gettò in campo la variabile nuova, e decisamente fortunata, della scùmza. Del suo generarsi, agli esordi della «modernità», entro una rete di conflitti sociali, mutamenti politici e possenti ipoteche teologiche. Da quel momento, ricchi percorsi si aprirono ad una individuazione «integrata» di fenomeni - la società «come un tutto» -, dove ordini apparentemente estranei si richiamano l'un l'altro, e religione economia politica scienze dilagano sovrapponendosi senza sosta. Brevi note, per fissare un retroscena alla un po' tardiva apparizione, in lingua italiana, di tre proposte interpretative. La prima delle quali, quella del Foster Jones, risale al 1936, e del tempo trascorso reca segni manifesti. Anglista a Stanford, l'autore esplora l'uso che del programma baconiano di rifondazione del mondo fecero i puritani inglesi durante i decenni rivoluzionari, e sottolinea la passione dell'epoca per il concreto, l'utile, il pratico. Scienze sperimentali in via di definizione vengono sorprese giocare un ruolo decisivo nelle tensioni riformatrici di un movimento formato da artigiani, mercanti, meccanici e cittadini, ed ansioso di rompere con il «passato•. Complessità e contraddizioni della rivoluzione inglese del XVIl secolo non trovano accoglienza nel rigido schema imposto, e vengono ridotte alla battaglia tra Antichi e Moderni, al conflitto tra due orientazioni perfettamente compiute ed alternative. L'una, la cultura tradizionale delle università, attestata a difesadi un aristotelismo esangue; l'altra, antiautoritaria e «liberale», protesa in avanti, ad organizzare le forze disponibili per il «bene• dell'umanità. Sappiamo ormai che le cose, in quelle circostanze, non andarono propriamente cosl. Che le linee nette di demarcazione tra Progresso e Tradizione, tra conservatorismo e liberalismo sfumavano nell'incertezza. E che il conffiuo limpido è semplicemente il prodotto dell'immaginazione contemporanea, che rilegge vicende lontane alla ricerca di un infante «spirito del XIX secolo», capace di garantire il «progresso» in virtù della «scienza>. Bisogna capirlo, il Foster Jones, quando, guardando ai cromwelliani, vi vuole intuire virtù che saranno di un «grande» paese, il suo: «Nel mondo era entrato lo spirito di una democrazia del lavoro: esiste ancora nell'America del XIX secolo. Gente che agisce e non che pensa; democratici e non aristocratici». Di q\li, come del resto è logico aspettarsi, una lunga serie di ingenuità. Errori e candori che Charles Webster, scrivendo nel 1975, può agevolmente scansare. È, la sua Grande Instaurazione, un pronunciamento recente persuasivo, nella sequela di voci su puritanesimo e scienza. Se non altro, per la molteplicità di lati e di strati che svela, e per la spregiudicatezza con cui ribatte alle accuse di chi non vede, nella sua storia, la Scienzamaiuscola, e infastidito se ne lamenta. F oster Jones ritrovava nel XVU secolo l'embrione di una nostra visione scientifica del mondo. Al contrario, Webster si preoccupa di stabilire, con enfasi, un divario incolmabile tra lo sviluppo della scienza professionale proprio delle moderne società industriali e le forme di attività conoscitiva tipiche di età precedenti. Raccomanda di prescindere, in modo assoluto, da ogni ricerca di somiglianze e di riscontri. Accortezza che consente di osservare come, tra il I626 e il I660 - tra la morte di Bacon e la Restaurazione monarchica - le scienze venissero praticate da intellettuali puritani per conferire precisione agli schemi millenaristici tratteggiati dai teologi. A differenza della tradizione weberiana, che aveva posto l'accento sulle implicazioni sociali della soteriologia calvinista (l'etica del lavoro), Webster insiste su un'escatologia ricca di conseguenze. L'uomo, caduto con il peccato originale da una posizione di privilegio, sembrava nondimeno destinato a riguadagnare il dominio sulla natura. Rinascita del sapere e sviluppi scientifici, parte di un piano cosmico preordinato, avrebbero condotto all'lnstauratio Magna delineata da Bacon, sistema di congegni che mirava al dominio sull'ambiente e ad una soluzione del problema della malattia. Lungo gli atti di un dramma storico cruciale, iniziato con la Riforma e ripreso con la vittoria del Parlamento sugli Stuart, i puritani erano convinti di recitare ruoli insostituibili. Sembravano maturi i tempi: Milton preconizzava l'imminente resa della natura all'uomo, e il millenarismo era stimolo all'azione, lungo scavi fiduciosi e indagatori del mondo esterno. La scienza non operava come fine in sé, ma per la sua capacità di confermare i decreti della divina provvidenza, e di dirigere i progetti di risanamento sociale. Vagheggiati Giardini dell'Eden e uove Gerusalemmi costellarono la prima metà del secolo, dalla New Atlamis di Bacon al Leviatha11 hobbesiano, dalla Oceana di Harrington a Macaria di Gabriel Plattes. Che la Scienza escatologica riflettesse gli eventi catastrofici vissuti tra l'inizio della Guerra dei Trent'anni, larivolta irlandese del 1641, la decapitazione di Carlo I e la proclamazione del Commonwealth, è senz'altro vero. Ma che, al tempo stesso, rappresentasse un fenomeno di lunga durata è attestato dalle Observations che Newton dedicò, dopo la Restaurazione, alle profezie di Daniele e all'Apocalisse. Teorie geologiche e astronomiche erano piegate ad offrire base scientifica alla storia della creazione e alla conflagrazione finale. Del quesito di una scienza devota, all'indomani della «Gloriosa Rivoluzione» del 1689, tenta un inquadramento Margaret C. Jacob. Come fu possibile - si domanda - che uomini profondamente religiosi, come Boyle Newton e Clarke, non solo formulassero teorie scientifiche dell'universo, ma praticassero metodologie oggi definite «rigorose»? Perché una particolare spiegazione dell'ordine naturale divenne valido sostegno del Cristianesimo, e servì ad attaccare, vittoriosamente, empietà ed ateismo? L'ossessione, dopo i turbinosi decenni della Guerra civile, era quella di mantenere stabilità sociale e politica. Ora, il sistema newtoniano, con la prevista supervisione assidua di un dio benevolo su ogni operazione della natura, seppe fornire un modello di dominio, e una garanzia di legittimità. Piacque, agli ecclesiastici anglicani di fine '600, l'universo retto da regole precise e conoscibili, e permise loro di pensare che la natura stesse dalla loro parte. Ringraziando ewton, essi potevano avere leggi del moto e conservare dio. Stornare per sempre il rischio del materialismo hobbesiano e del meccanicismo cartesiano, nonché rintuzzare la minaccia rappresentata da panteisti, epicurei e liberi pensatori radicali. I latitudinari-così si chiamavano gli uomini che conquistarono l'egemonia intellettuale nell'Inghilterra orangista - furono i moderati gestori della Rivoluzione incruenta del. 1689, tanto abili da operare una sintesi tra natura e società del profitto, tra impulsi etici e interesse privato. È lecito domandarsi, a questo punto, che fine avessero fatto i puritani entusiasti, gli scienziati baconiani intenti a gettare le fondamenta del nuovo millennio. Ebbene, mezzo secolo era trascorso dal conflitto armato tra monarchia e Parlamento; Commonwealth e Protettorato erano ormai un ricordo. Di mezzo, la Restaurazione aveva ricondotto a più modesti propositi e pretese. Alla rivoluzione puritana non restò che inalveare, sen-· za troppi rimpianti, pulsioni utopiche e fini rigeneratori nel nu_ovoordine. Del resto, la Royal Society fondata nel 1663 aveva offerto strutture visibili ed accessibili alle istanze organizzative pullulate in età repubblicana, e all'lnvisible College promotore di scienza, pensato vent'anni prima da Robert Boyle. Il cui lascito, inoltre, finanziò ciclidi sermoni volti a spegnere pericolosi ardori panteistici e deistici. Le BoyleLectures, varate nel 1692 e proseguite fino al 1714, sognarono armonie celesti e terrene governate dalla provvidenza. E incoraggiate da un paradigma - quello newtoniano - che tanto ordinatamente gerarchizzava funzioni sociali quando mirabilmente impediva, con la gravitazione universale, ai vari globi dell'universo· di andare in pezzi. H a ragione la Jacob. Si •:,vrà ripensare e ridiscutere il rllolo del newtonianesimo sia nella diffusione illuministica, sia più in generale quale presunto asse di nuova razionalità, una volta ammessa la sua «organicità» ideologica ad una fazione. Ed è sulla giusta strada Webster quando polemizza contro la pervicacia di chi crede che la storia delle pratiche scientifiche debba recitare l'elogio di uno «spirito di disinteressata ricerca della verità», pena lo scadere in facili sociologismi. Il fatto è che gli scienziati immersi nella società industriale, tecnologica e urbanizzata del nostro secolo tendono a conferire valore alla storia di soggetti ben definiti come la cosmologia. le teorie della materia, la meccanica e lo sviluppo dei metodi di calcolo. Senonché. a guardar bene. tutte queste- ed altre- sono nostre priorità. È quantomeno fuorviante calarle in un'età preindustriale ignara delle nostre predilezioni e dedita a tutt'altre stime ed interessi. Per dirla con un esempio: la Royal Society albergò indistintamente sperimentalisti, maghi, ermetici e paracelsiani, cartesiani e corpuscolaristi, neoplatonici e newtoniani. Che farne, allora? Attribuire credito e diplomi a chi riscuote le nostre simpatie? Diciamo pure che s'inganna. nel far storia della scienza. chi presume di trovarla imbozzolata in una cronaca delle scoperte scientifiche. Su questa nozione di «scoperta» e sulla legittimità del suo uso varrebbe la pena riflettere. on v'è dubbio che, malgrado la preponderanza del «timbro» storico, la lunga controversia su puritanesimo e scienza, con le sue innumerevoli sfaccettature, sia un caso esemplare in cui risultano indistricabili storia della scienza, epistemologia e propensioni politiche. Alcuni anni fa, un'antologia collettanea di saggi sull'argomento, già comparsi in Past and Present e curata dallo stesso Webster, evidenziava quell'intrico e, insieme, un dedalo di -.; opzioni. Che per circa un ventennio, e a successive ondate, il tema weberiano sia stato rimaneggiato in mille modi. con accanimento battagliero, è segno che poste rilevanti erano in gioco. A dichiarare le quali hanno pensato, talora, gli stessi contendenti; più spesso, in verità, le hanno celate o neppure riconosciute. Storici in disaccordo: nulla di spettacolare. Ma proviamo un po' ad usare una filigrana che ci dica il non detto degli interlocutori. O almeno, alcuni suoi frammenti. S'è accennato alla presenza, nel dedalo, di «immagini» spesso inconciliabili di scienza. Alcune che risolvono concetti e teorie nella loro genesi «torbida», in un impasto originario di teologie e metafisiche; altre che insistono su un «qualcosa di nuovo» comunque emergente e irriducibile alle componenti d'origine; altre ancora che addirittura negano il «torbido», liquidato come scoria inessenziale. Ma non basta. Chi rifiuta, a vario titolo, il legame tra rivoluzione puritana e scienza tiene a mostrare che la seconda nacque in perfetta autonomia, sospinta dal vento della secolarizzazione. Su un piano parallelo, rilutta inoltre a concedere che un'epoca di ferro e di fuoco, di instabilità e insicurezza. possa mai catalizzare energie «positive» e produrre conoscenza. Facendo affidamento su commentatori monarchici del periodo, tutta quanta una storiografia non può accettare che «barbarie e anarchia» incoraggiassero, nel ventennio repubblicano, sviluppi di sapere e direzioni di ricerca. Ovvio che, pertanto, posponga il «fiorire» della nuova ragione scientifica a Restaurazione avvenuta e ad armonia ritrovata, ancorché mitica. Alla ragionevolezza di molta cultura anglosassone - che pure sa avanzare obiezioni di grande pertinenza e finezza - ripugna istintivamente l'idea che i Principia newtoniani siano anche il prodotto finale di un riorientamento avvenuto durante i tumulti di una guerra civile. È, si badi, riserva mentale del tutto rispettabile, se fornisce - - ... come accade nella citata antologia - messe di dati e distinguo sottili. Un richiamo alla cautela critica, pur sempre prezioso. Ciò accordato, non si può dar torto a Mario Tronti quando annota che il caso inglese è, in buona sostanza, «anni di caos nella storia di un brusco decollo e secoli di cultura per interpretarlo come un fatto d'ordine». °'
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