Alfabeta - anno III - n. 24 - maggio 1981

capitalistico- e la forza lavoro. Che il capitale fosse costantemente incapace, alla fin fine, di esercitare sulla classe degli sfruttati una qualche forma di seduzione. Lo sfasamento venutosi a creare tra le ipotesi tradizionali di base e gli odierni dati empirici, ha comportato una inevitabile caduta di tensione teorica, al punto da genericizzare, fino ai limiti della pura descrittività, quelli che un tempo si sarebbero presentati, a buon diritto, come ficcanti interventi di critica dell'economia politica. Le considerazioni svolte nella relazione di Francesco Indovina (Dossier lavoro... , Mercato del lavoro e crisi), per esempio, investono_ una serie di dati per lo più incontrovertibili: l'uso fallimentare, da parte delle forze del movimento operaio, di una nozione obsoleta di «crisi»; l'allargamento dell'occupazione e del reddito che si è costretti a rilevare per questi anni; la fragilità tendenziale di questo «sviluppo sommerso»; la compresenza di livelli tecnologici alti e bassi; la frantumazione del precedente sistema di rigidità operaie; l'incapacità sindacale di rappresentare le nuove figure sociali...: tutti dati reali, come si vede; e a Indovina va forse riconosciuto il merito di averli «ufficializzati» nonostante il «sospetto», l'«antipatia» con cui spesso sono stati considerati (almeno a sinistra). Ma proprio l'aspetto constativo, più che critico, della sua relazione, evidenzia il venir meno di una specificità culturale. Non è quindi un caso se tante considerazioni esposte nei testi raccolti dal Dossier lavoro presentino estese assonanze con quelle espresse. nel consueto rapporto annuale del Censis, ànch'esso volto a sottolineare i caratteri dinamicamente inediti della nostra «nuova» economia. È significativo, in particolare, che la relazione di Indovina, con perplessità, e il rapporto del Censis, con soddisfazione, concordano nel sottolineare, quali aspetti qualificanti della nostra vitalità produttiva, quelli soggettivi. Leggiamo nella prima: «Se ricorrente è il riferimento alla rigidità della produzione strutturata, soprattutto quella della grande impresa( ...) meno ricorrenti sono i riferimenti alla capacità dell'economia sommersa di sfruttare le situazioni che( ...) spingono settori di forza lavoro a presentarsi sul mercato del lavoro nero: alla capacità di dare risposta positiva, anche se parziale, a esigenze di nuove forme di lavoro espresse da consistenti segmenti dell'offerta di lavoro». E nel secondo: «Di fatto, nel quotidiano svolgersi delle cose si è andata l!ffermando una concreta dominanza dei' comportamenti ( ...). Basta vedere come siano importanti nelle realtà a maggiore soggettività (la piccola impresa, i consumi, lo svago, il sommerso, l'adattamento continuato)». E ancora: «Il periodo che da tante parti è stato visto come rintanamento nel sommerso a fini di pura sopravvivenza ha portato frutti, per buona parte( ...) confermando che la crescita dal basso di un sistema non è patologica e, men che meno, di impoverimento» (Censis, XIV rapporto..., rispett. pag. 18e 19). Lavoro. Liberare il lavoro o liberarsi dal lavoro? (Atti del convegno de IlManifesto) Roma, 1981, fascicolo tabloid pp. 88, lire 3.000 M. Turchetto, G. Ciabatti, A. Illuminati, G. La Grassa, F. Consiglio, E. Fiorani, L. Geymonat Lavoro, scienza, potere Milano, Feltrinelli, 1981 pp. 225, lire 5.700 N on sono sicuro se si possa parlare - come accennavo prima- di una possibile opera di seduzione da parte del capitale (concetto, peraltro, che non implica partecipazione e non esclude conflittualità); tuttavia è credibile che il rapporto che si è instaurato tra forma dell'accumulazione e forza lavoro in questi ultimi anni, sia stato un rapporto di mutuo adat~amento fondato su reciproche convenienze. Il sindacato non è stato aggirato solo dal capitale, ma anche da quella consistente fetta di forza lavoro che ha visto, nella burocratizzazione del conflitto sociale, più un ostacolo alle possibilità di mantenimento e di incremento del reddito che una garanzia di esse. Di fronte alla indifendibilità di talune conquiste precedenti (livello di potere d'acquisto, rigidità occupazionale, ecc.) e alle ridicole. strategie difensive sindacali (sviluppo cogestito, democratizzazione dei sacrifici...), questa fetta di forza lavoro è andata direttamente a patti col capitale, rivalutandone in positivo (occasioni di reddito) la nuova pragmatica e articolata strategia accumulativa. Leggere la nuova disponibilità al lavoro di questi anni (al secondo lavoro, al lavoro desindacalizzato, al lavoro nero, al lavoro in proprio e a domicilio...) come una semplice, tragica costrizione difensiva subita dalla classe operaia, sarebbe del tutto irrealistico. Che questo «boom immisurabile» si sia realizzato in mezzo a mille lacerazioni, contrasti, dislivelli; che certe fasce di reddito siano state nettamente penalizzate in favore di altre; che esista una incredibile disparità di situazioni sociali, è certo. Ma se il rapporto di capitale fosse stato per davvero «ontologicamente altro» dai destini della classe operaia, dalla sua struttura dei bisogni, solo il ricorso alla metafisica economica permetterebbe di spiegare una così sconcertante tenuta e capacità di espansione del meccanismo produttivo, dopo un periodo di prolungata ingovernabilità padronale dei processi lavorativi; una politica economica pervicacemente deflattiva; la crisi di settori portanti di un 'economia moderna (chimica, auto, siderurgia); un processo inflazionistico cosi sostenuto. Il lato più interessante dell'originale modello di sviluppo imboccato dall'economia italiana, non sta solamente nelle sue specificità organizzative, nella «fabbrica diffusa», nelle nuove tecnologie applicate per la territorializzazione della produzione. Bisogna riflettere anche sull'altro lato della questione: la storia socio-economica di questi anni non è solo storia di efficaci politiche microeconomiche e stupefacenti vitalità produttive. È anche storia di un proletariato che in qualche modo ha accettato di adattarsi ad un tipo di accumulazione in grado di soddisfarne - sia pure in modo parziale o deformato - una serie di esigenze reali. È evidente che un'ipotesi di questo tipo - che la forza lavoro abbia entro certi limiti «goduto» dello sviluppo capitalistico - pone problemi non indifferenti a chi non si voglia consegnare ad una concezione tendenzialmente innocentistica del Mpc. Ma, probabilmente, la questione si pone in termini meno schematici. Ho l'impressione che alla radice dell'attuale imbarazzo teorico nei confronti di questa complessa fenomenologia del rapporto di capitale, ci sia un problema di prospettiva, di angolo visuale. Dall'età «contemporanea» del Mpc - per intenderci: dalla catena di montaggio in poi- l'attenzione è stata assorbita dai clamorosi processi di ristrutturazione tecnica intervenuti all'interno del processo produttivo, e dai loro riflessi sulla soggettività operaia immediata. Veniva in questo modo riconosciuta una dimensione cruciale del rapporto di capitale- quella precisamente lavorativa - nella quale le contraddizioni immanenti ad esso emergevano in una forma dispiegata come mai in precedenza: esse infatti non si manifestavano più, solamente, a livello degli oggettivi meccanismi di funzionamento della produzione borghese (caduta tendenziale del saggio di profitto, tendenza alla sovraproduzione, crisi di realizzo ...) ma anche, direttamente, negli aspetti .soggettivi dell'organizzazione capitalistica del lavoro: rifiuto del lavoro, lotta contro i mezzi di produzione, dissoluzione di ogni forma di integrazione nella tecnologia capitalistica. Di qui ia possibilità di organizzare l'eversione direttamente nel cuore del capitale, nel processo di valorizzazione; di qui, anche, un interesse ossessivo per l'uso politico della tecnologia, per la sostanza antioperaia dei. procedimenti di ristrutturazione. Se questo approccio metodologico portava risultati di enorme importanza alla teoria critica del capitale, non per questo era esente da limiti notevoli. In particolare, si tendeva ad individuare la determinazione capitalistica della «soggettività operaia» interamente all'interno del processo di produzione, come se le relazioni di sapere-potere caratterizzanti il rapporto di capitale si svolgessero unicamente all'interno della fabbrica. Questo ha portato a sovradeterminare l'influenza del .rapporto immediato col lavoro nella configurazione della comportamentalità operaia complessiva. L e riflessioni di Sergio Bologna ~ulla soggettività (già apparse sul Manifesto e oggi raccolte nel Dossier), possono aiutarci a definire meglio la questione. Nota Bologna (Sono partito dal rifiuto del lavoro... ) che dopo il '73-'74, «si passava ad una fase in cui la soggettività spostava il baricentro verso il lavoro d'uso della propria forza lavoro»: in parole povere, si accettava di lavorare, pur se con finalità esclusivamente reddituali. «Ma ciò che è singolare (...) è il fatto che alla disponibilità al lavoro non è corrisposta una analogà ripresa di un'etica del lavoro». Questo è il punto: che dalle lotte dell'operaio massa in poi si sia progressivamente disintegrato un rapporto con l'attività lavorativa fondato su di un'etica, una morale, un valore del lavoro, è indiscutibile. Ma la disintegrazione di quel collante non impli- ,.c.ava necessariamente il rifiuto, con l'identificazione nella tecnologia del capitale, anche della forza produttiva sociale da esso rappresentata. Leggiamo nel Censis: «Abbiamo un costante, massificato atteggiamento .e comportamento di spietata volontà nel voler salvaguardare e difendere o incrementare i propri livelli di reddito e di vita ...>; e Bologna: «Quando in una società capitalistica gli standards di sussistenza fanno un salto di qualità e vengono subito dopo aggrediti dal tarlo dell'inflazione (...) la sola maniera per non arretrare è di lavorare, anzi, di lavorare ad ogni condizione ... >. Le sfumature sono diverse, ma la sostanza è la stessa: pur di mantenere quel livello di potere d'acquisto che lo sviluppo delle forze produttive- come si era storicamente intuito - poteva garantire, si è lavorato tanto e ad ogni costo. Si tratta allora di mettere insieme degli elementi apparentemente incongruenti: da una parte la scomparsa di una soggettività partecipativa, autoidentificativa, nello sviluppo capitalistico come modo tecnicamente dato di produzione; dall'altra, una disponibilità al lavoro salariato legata al riconoscimento del livello di forza produttiva garantito dal sistema. Quindi: rifiuto del lavoro come universo esistenziale immediato; accettazione del lavoro come mediazione necessaria al conseguimento di reddito. Di «sommerso», quindi, non c'è stata solo l'economia, ma anche il rifiuto del lavoro. Proprio questo «sdoppiamento» della soggettività operaia, evidenzia la limitante univocità fabbrichistica con cui è stato concepito il termine stesso. Anche chi ha tentato di travasare la critica materialistica fuori dal livello della produzione, nella circolazione, (l'ultimo operaismo, Negri, per esempio), ha utilizzato un approccio metodologico non dissimile da quello originario, riproponendo una fondazione dell'antagonismo in termini analoghi a quelli precedenti. La dimensione sociologica della circolazione è stata cioè interpretata come una sorta di estensione spaziale dell'universo fabbrichistico e non come un'area dotata di significati, reiazioni e contenuti in qualche modo autonomi e comunque tali da richiedere una problematizzazione metodologicamente specifica. La fenomenologia capitalistica ad essa pertinente, è stata spesso interpretata come una nuova forma distesa del comando del capitale e dell'alienazione operaia: forma salariale assunta dalla spesa pubblica; dequalificazione del lavoro terziario; procedimenti sociali di estrazione del plusvalore ... Venivano così identificati una serie di elementi tutti agenti in senso disgregativo - per le reazioni sociali che innescavano- nei confronti della produzione borghese. Ma nel momento in cui questi anni dimostrano di essere stati non solo anni di conflittualità e di resistenza, ma anche di lavoro e adattamento, l'ordine del discorso tende a saltare. Viene perlomeno messo in dubbio che quello della produzione, del rapporto con l'attività lavorativa concreta, sia l'unico momento «forte» del rapporto di capitale, quello che ne determina, nel bene o nel male, il destino. Che esista una relazione fondamentale tra macchina e corpo lavorativo, è fuor di dubbio. Che la dequalificazione del lavoro umano attuata tramite li lavoronelsalto Salvatore Veca «Rivoluzione», in Enciclopedia Einaudi Bozza per il voi. XII imminente, pp. 25 Col «Manifesto» L avoro e nuova ipotesi di sinistra sono temi connessi oggi. E al convegno del Manifesto, a Milano ai primi di novembre, c'era subito alle spalle, con una difficoltà valutativa, la lotta chiusa alla Fiat in una consultazione della base da dirsi «volante» ... Francesco Leonetti Gli interventi iniziali di S. Antoniazzi e F. Bertinotti, sindacalisti, pur intensi su ciò, non soddisfacevano del tutto i militanti in ascolto accanto a me... Nell'affollata sala era così fitto e passionale il problema che non c'era più spazio. Io provavo un certo sgomento, dinanzi alla prospettiva di «smaterializzazione» (termine ricorrente nell'acuto compendio di M. Notarianni) e dinanzi a un timore di R. Rossanda, espresso circa cosi: «potremmo dovere uscire dalla tradizione marxista». Rispetto al dossier di allora, il fascicolo degli atti, dove si può leggere tutto, è oggi vivibile in un modo più temprato e dosato. Allora molti motivi difficili e amari emergevano improvvisamente. Quelle punte. Un C. Napoleoni che faceva i conti sulle lotte e sulla Fiat, in contrasto celato con l'ortodossia tagliente di G. Lunghini che puntava sulla tesi: «L'occupazione in un sistema capitalistico è unilateralmente decisa dai capitalisti», «la cosa si riduce alla questione dei rapporti di l'incorporamento del sapere operaio nel capitale fisso abbia liquidato il «senso etico» del lavoro stesso, non è un'invenzione operaista degli anni '60, ma un dato di fatto ormai palese (anche un osservatore «insospettabile» come Accornero, con qualche lustro di ritardo, lo ha recentemente riconosciuto). M,a lasvalorizzazione del lavoro non costituiva, come si è pensato, una contraddizione cosl esplosiva nei confronti del comando capitalistico. Pensiamo all'utilizzo delle nuove tecnologie inf~rmatiche nel processo produttivo: qui l'ulteriore dequalificazione, astrattizzazione, del lavoro operaio, sembra aver comportato degli effetti di segno· opposto a quelli teoricamente prevedibili, dimostrando che più dello svuotamento professionale, è stato l'ammorbidimento della precedente asprezza del lavoro parziale a giuocare un ruolo determinante in relazione al grado di accettabilità del lavoro salariato. C'è quindi un'istanza tecnologica che se, da un lato, approfondisce a dismisura l'oggettiva separatezza tra capitale e lavoro, dall'altro tende a ricomporla funzionalmente ad un più alto livello di estraneità. Quelli squisitamente tecnologici, tuttavia, non sembrano essere elementi del tutto sufficienti a giustificare una così massiccia «disponibilità al lavoro». I procedimenti di informatizzazione del processo lavorativo, rimangono, per ora, una linea di tendenza, non un processo già concluso. Lo slogan del rifiuto del lavoro non è da mettere in soffitta semplicemente perché si è passati dalla fase «macchinica» a quella «informatica> del capitale. Ma piuttosto perché il concetto stesso è stato utilizzato troppo estensivamente. Essendo inscritto in una concezione prevalentemente fabbrichistica dei fattori costitutivi della forza lavoro in quanto tale, esso era in grado di coprire, in effetti, solo un lato, fondamentale ma non esaustivo, del rapporto tra capitale e lavoro: quello della de-eticizzazione dell'attività lavorativa. Tutto un universo di relazioni umane e sociali intrecciantesi a livello della circolazione, venivano giudicate inessenziali o accessorie, relativamente alla caratterizzazione della «soggettività operaia». Non alludo soltanto ai tradizionali meccanismi di disciplinamento sociali come la scuola o la fllliliglia; anche rimanendo all'interno di una concezione «economicistica» della circolazione, sono rimaste del tutto misteriose le relazioni di potere possedute, per esempio, dalla forma-denaro e implicite nella sua funzione di medium per l'autoriconoscirnento sociale. Occorre insomma indagare sui processi di oggettivizzazione esercitati storicamente dal capitale sul corpo sociale, secondo una prospettiva· più aperta, in modo da coglierne sia gli elementi agenti, nei confronti del Mpc, in senso repulsivo e demotivante, sia quelli agenti in senso attrattivo e integrativo. Non si tratta, quindi, di riscoprire una incredibile verginità del rapporto di capitale; ma nemmeno di continuare a credere ad una classe operaia immacolata. forza tra le parti in lotta» ... E in un'altra serata di teorici, P.A. Rovatti e M. Vegetti erano stati pronti ad approfondire ogni critica all'idea di sviluppo e di svolgimento, con rigore, nell'occasione, amaro: verso F. Cerotti che si era assunto il compito di precisare che si deve, secondo il marxismo, liberare il lavoro per liberarsi relativamente dal lavoro ... Ho questi ricordi della realtà del convegno, rileggendo. Il Manifesto ha il merito di sapere porre sempre con tempestività una

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