Alfabeta - anno III - n. 24 - maggio 1981

Mensile di informazione culturale Maggio 1981 Spedizione in abbonamento postale gruppo 111/70 Printed in Italy Numero 24 - Anno 3 Lire 2.000 Postmoderno/Moderno CiLENCiRANT il puro lfflisky di puro malto d'orzo. LyotardF, erraris,I_lluminati -Montuori, - Tan!a,.11arillBi, olelli Capitalismoe lavoro ( RanchettiB, attaggia,Leonetti) La«nuovadestra» (11- Simonetti) Tearo,sull'orlodellosvuotamento 'a r t' e uturismo J~. Lyotarcl: Regole e paraclossi. * M. Fencais: Lyotmd, le leylHL11G&Nni poslaaaodenae A. Illuminati e F. Montuori: Plnm•i e I fluire del nuovo* P. Ttmca:L'architettura i morta a SI. Louil R. Barill: Boccioni e De Chirico * F. Bolell: Come avere un mixer Lateriore F. R-■chetti: Affet,rare Hcapltallsnao * A. Ballaggia: Il rifiuto so-■aeno * F. Leonelti; li lavoro nel salto * Cfr. Testo: L'altra ili8là del futurismo (M. GL.anni, F. GlulTca.l, Magamal, E. Rolaert, R. Rosà, I. Valeria) a cura. C. Salmls C. Pogllano: I puntcml e le scienze * G·L Slnaonettl: Servire dà che splende U. VolD: Tealao, sull'orlo d- svuotmnento *Poesie. P. Del Giudice, D. R•t9a., G. Tonin, D. VII■ M.P. Poaato: Metafora ed Er;cidopeclla * G. C..aaore: Rlke, un respiro laalonao al nulla Blackout: Intervento di alcuni magistrati nalanesl * Lettere * Giornale clel Glonaall: L'allwalato a Reagan • Immagini di P. Manlll

SO( n I \ l>I l'O~.SI \ j) k '\ /I\ 1 I\ \ >I I f I 'I I 1 ,..;! I I \ '..' l \ POESIA A MILANO MOSTRA MERCATO INTERNAZIONALE DEL LIBRO DI POESIA PIAZZADEI MERCANTI 8/16 MAGGIO 1981 ESPOSIZIONE E VENDITA DELLAPRODUZIONELIBRARIA DI POESIA ff ALlANA E STRANIERA A cura dellaCooperativa dei LibraiLombardi INCONTRICON POETI 1TAL1ANIE STRANIERI intervengorw GhiannisRitsos, BryanGysin, ErichFried, DarioBellezi.a, MaurizioCucchi, GiovanniGiudici, MarioLuzi, GiancarloMajorino, GiuliaNiccolai,GiovanniRaboni, VittorioSereni, CesareViviani, Valentino2.eichen. POESIAÈ SJ'EIT ACOLO con PaoloConte, StefanoBenni, ValeriaMagli, SteveLacy -- Al'ltm,RaloCilà,~nmdiEdik:E ~pr!:ilmMmmàdiSdl"ol..oti). C0\ll '-~- Ili \lii \'-O l<JI \k 1/J( I'\\ I I • i,\ l --.1, 11 \I\ li I J Leimmagini di questonumero Funerali di Stato Non a un evento particolare o preciso è relativa la serie di immagini in questo numero del giornale. È stata costruita da Piero Marsili in un arco di anni con riferimenti diversi, e riguarda il valore in sé - di rito pubblico, di risarcimento morale, di affidamento alla memoria - dei funerali e onori funebri che sono effettuati, per funzionari e cittadini, a spese dello stato. Con un'evidente critica visiva verso l'ufficialità e spettacolarità del cerimonia/e che viene connesso a questo motivo, la serie documentaria vuole essere un tentativo d'identificazione dell'autentico sgomento disorientato della base dei cittadini, verso la sorte divenuta tragica di uomini con funzione di rappresentatività o di sicurezza istituzionale. Sommario Jean-François Lyotard Regole e paradossi pagina 3 Maurizio Ferraris Le legittimazioni postmoderne (La condizione postmoderna, di J-F. Lyotard) pagina 4 Augusto Illuminati e Francesco Montuori Piranesi e il fluire del nuovo (La sfera e il labirinto, di M. Tafuri; La fine del proibizionismo, di P. Portoghesi; Acuminate sono le spine del moderno, di F. Dal Co; Le manifesta- • zioni piranesiane a Cori, di F. Pierluisi) pagina 5 Piero Tanca L'architettura è morta a St. Louis pagina 6 Renato Barilli Boccioni e De Chirico pagina 7 Franco Bolelli Come avere un mixer interiore pagina 7 Fabio Ranchetti Afferrare il capitalismo (Quaderni della rivista trimestrale n. 62-63; «Capitale» (Enciclopedia Einaudi), di Tadeusz Kowalik; Schumpeter, di Massimo Egidi) pagina 8 Alberto Battaggia Il rifiuto sommerso (XIV rapporto sulla situazione sociale del paese (Censis); Dossier lavoro. Inchieste, ricerche, riflessioni, dibattiti del Manifesto) pagina 9 Francesco Leonetti Il lavoro nel salto (Lavoro. Liberare il lavoro o liberarsi dal lavoro, atti del convegno del Manifesto) pagina 10 C9muniçazj9ne lii çoU1100111t9ri di «Alfabeta» L'attività nuova della Cooperativa Alfabeta prevede un consolidamento allargato dell'attenzione di un'area di lettori che, mentre non domanda un abbassamento di tipo divulgativo del livello degli articoli, ricerca in essi una piena funzionalità informativa e critica. Ci occorre perciò (e richiediamo per i pezzi in corso di stesura): a) che ogni articolo non sia più di una . pagina del giornale, cioè al massimo di 7 Cfr. pagina 12 Testo L'altra metà del futurismo A cura di Claudia Salaris pagine 15-17 aaudio Pogliano I puritani e le scienze (La grande instaurazione. Scienza e riforma sociale nella rivoluzione puriìana, di Ch. Webster; I newtoniani e la rivoluzione inglese. 1689-1720, di M.C. Jacob; Antichi e moderni. La nascita del movimento scientifico nell'Inghilterra del XVI/ secolo, di R.F. Jones; The /ntellectual Revolution of the Seventeenthy Century, di AA. VV.) pagina 19 Gianni-Emilio Simonetti Servire ciò che splende pagina 20 Ugo Volli Teatro, sull'orlo dello svuotamento (Prima che la festa cominci, del Teatro Potlach di F. Sabina; Un po' per non morire, del Piccolo Teatro di Pontedera; Ombre metropolitane, Galleria d'Arte moderna e lnternational School of Theatre Antropology; Il teatro delle sorgenti, del Teatr Laboratorium; Thanatos polacco, coordinato da R. Cieslak; Il teatro dopo, di A. Fersen) pagina 23 Maria Pia Pozzato Metafora ed Enciclopedia (Simbolo Allegoria Metafora, di AA. VV.; «Metafora» (Enciclopedia Einaudi), di U. Eco; The semantics of metaphor, di S. Levin) pagina 25 Gabriella Caramore Rilke, un respiro intorno al nulla (Lettere a un giovane poeta, di R.M. Rilke; Correspondence R.M. Rilke e L. Andreas-Salomé) pagina 26 Giornale dei Giornali L'attentato a Reagan A cura di Index-Archivio critico de/- I' Informazione pagina 30 cartelle di 2000 battute, con un'acççttabilità fino a 9-10 cartelle (dovendo altrimenti procedere a tagli e rinvii prolungati); b) che il riferimento diretto sui libri indicati in apertura (con tutti i dati bibliografici,prezw e pagine compresi) giunga a una sostanziale valutazione orienlativa,insieme agli apporti teorici e critici dell'autore dell'articolo sul tema; c) che, insieme alla piena leggibilità di tipo espositivo piuttoslo che saggistico, sia' dato dove è utile e possibile un cenno di spiegazione o di richiamo ai problemi e agli Poesie Piero Del Giudice, Daniela Rampa, Giulian_o Tonia, Dario Villa _pagina 14 Blackout Sulla situazione attuale dell'istituzione giudiziaria. Intervento di alcuni magistrati milanesi pagina 27 Lettere Lettere di Paolo Lagorio e di Giorgio Morale· (Comuna Baires) Immagini· Piero Marsili Tutti coloro che avendo collaborato ad «Alfabeta» fino al numero 19 non avessero ricevuto il relativo compenso, sono invitati ad inviare i loro dati e il numero di codice fiscale a: Multhipla Edizioni, Piazzale Martini 3, Milano alfabeta mensiledi informazioneculturale dellacooperativaAlfabeto Comitato di direzione Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Francesco Leonetti. Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi. Mario Spinella, Paolo Volponi Redazione Vincenro Bonazza, Maurizio Ferraris. Carlo Formenti, Marisa Giuffra (segretariadi redazione), Bruno Trombetti (grafico) Art director Gianni Sassi Edizioni Intrapresa cooperativa di promozione culturale Redazionee amministrazione Via Goffredo Sigieri, 6 20135 Milano, Telefoni (02) 54169/541254 Coordinatoneditoria/e Gigi Noia Composizione GDB fotocomposizione via Commenda 41, Milano, Tel. 544.125 Tipografia S.A.G.E. S.p.A., Via S. Acquisto 20037 Paderno Dugnano (Milano) Distribuzione Messaggerie Periodici Abbonamento annuo L. 20.000 estero L. 25.000 (posta ordinaria) L. 30.000 (posta aerea) Inviare l'importo a: Intrapresa, Via Goffredo Sigieri, 6 20135 Milano Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 281 del 1975. Responsabile G. Di Maggio Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati a=rtamenti anteriori sull'argomento o sul campo. Comunichiamo inoltre che la maggiore ampiezzadell'articolo o il suo carattere non recensivo sono sempre proposti diret•amente dalla direzione del giornale, perché derivano da scelte di lavoro e non da motivi preferenziali o personali. li Comitato direttivo N.B. Gli articoli devono essere inviati in triplice copia. L'autore deve indicare: indirizw, numero di telefono e codice fiscale. Club Turati di Torino con il patrocinio dell'Università di Tòrino «INCONTRI DI FILOSOFIA DELLA SCIENZA» 7 maggio Carnap ed il ~eopositivismo relatore: F. Barone introduce: N. Bobbio 12 maggio Wittgenstein relatori: A. Gargani D. Marconi M. Trinchero presiede: A. Ferro Milone 21 maggio Popper relatori: M. Pera M. Trinchero presiede: V. Castellani 28 maggio Kuhn relatore: E. Agazzi presiede: G. Martinotti 4 giugno Lakatos relatori: G. Giorello S. Tagliagambe presiede: L. Gallino 9 giugno Feyerabend relatori: G. Giorello M. Pera moderatore: R. Viale Gli incontri si terranno presso la sede del Oub Turati Palazz-0 Carignano Via Accademia delle Scienze, 5 Segreteria: 53.18.57 «EXPERl\lE'.'\TL'\I '.\lU'.'\DI» (,l·cnc di 111u,ica imntagini,tka t di Ginr::in Hatti,tdli In progran1111a nella ra,,cgna «()pening Concerh» in data 15 \laggio alle 11 pn.·,,o il l calru Olimpico di Roma. 0ri:aniuato dall' \"oci;uiom: \lu,icak Beat 7! I Roma I e '""'",rato alla Cul1ura dd Comune di Roma .. ORGA'.'\ICO: \lal',Iri ,ddaroli \lal',tri hot1ai \lae,tri fak::nami \lal',tri arrolini \lal',tri cal,olai \lal',tri fahhrn-frrrai \lae,lrn -carpellino \lae,tri muratori \lal',lrn pa,1iccerl' \'od frmminili \·od rl'l"ilanti \limo \ lal·,1 ri pen·u,,ioni,ti «ntllll' uno ,pirito cli un:ellu profl"- tico. ,hl· )!Uarcla all'indietro •111a11do ralTonta do dtt• \erra» (I-. '\ie1t,l·hl' I \i mil·i c.:aricriti,:i

N on voglio tenere una conferenza; voglio solo indicare alcuni termini ùnportanti. In prùno luogo, «postmoderno» è probabilmente un pessimo termine, perché dà l'idea di una periodizzazione storica; e periodizzare è ancora una idea «classica» o «moderna». «Postmoderno» indica semplicemente uno stato d'anùno o meglio uno stato dello spirito. Si potrebbe dire che è un cambiamento nel rapporto con il problema del senso: direi, semplificando molto, che il moderno è la coscienza dell'assenza di valore in molte attività; se si vuole, il nuovo prende coscienza di non saper rispondere alproblema del senso. ILmoderno è dunque il Romanticismo come coscienza della perdita del senso, ed è anche qualcosa come il dandysmo, o ciò che Nietzsche chiama «nichilismo attivo» -cioè non solo la coscienza della perdita di senso, ma anche l'attivazione di questa perdita. In secondo luogo, Lamodernità ha cercato di dare una risposta, insieme filosofica e politica, al Romanticismo e al dandysmo; ha tentatocioè di produrre un qualcosa che si può chiamare «grande racconto», che si trova sia nel racconto dell'emancipazione, a partire dalla Rivoluzione francese, sia nel discorso sulla realizzazione dello Spirito, nel pensiero tedesco. C'è, infine, il racconto della ricchezza, tenuto dalla economia politica del capitalismo. Tutti questi discorsi sono stati in qualche modo riorganizzati e rafforzati dal racconto del marxismo, che ha occupato la scena filosofica e politica del/'Europa e del mondo per tutto un secolo. La mia ipotesi di lavoro è che per gran parte delle società contemporanee questi racconti non siano più credibili, e non bastino ad assicurare,come pretendevano, un legame politico, sociale, culturale. Attualmente siamo infatti in una situazione in cui non accordiamo una grande credibilitàa questi racconli. E dunque dobbiamo affrontare il problema del senso senza avere lapossibilità di rispondere con Lasperanza dell'emancipazione dell'Umanità, come nella scuola dei Lumi, dello Spirito, come nella scuola del/'Idealismo tedesco, o del Proletariato, mediante la costituzione di una società trasparente. Anche il capitalismo, il discorso liberale o neo- /ibera/e, mi sembra difficilmente credibile nella situazione contemporanea; ciò non significa che il capitalismo sia finito, anzi: ma significa che esso non sa più come legittimarsi. La vecchia legittimazione, «Tutti si arricchiranno». non è più credibile. Ciò che oggi fa il capitalismo è sfruttare una forza che aveva sinora trascurato, e cioè il linguaggio - con lo sviluppo non solo dei media, ma delle tecniche della informazione, con la prospettiva di una informatizzazione della società nel suo insieme, cioè di tutti gli scambi di frasi ùnportanti per la società. La prospettiva capitalistica, oggi, è questa; ed è chiaro che èproprio con essa che il capitalismo uscirà dalla crisi. L'esperienza che ho dei media è molto Limitata.Ma credo che saranno prese in considerazione solo le frasi traducibili in linguaggio informazionale. Quando si cerca di dire altro, con il veicolo dei media, ci si fa rimproverare per lapropriaoscurità e complessità(il direttore di un ùnportante giornale franceseha detJo a un edilore:«Quando ci saranno dei libri comunicabili?»). Il che significa che siamo già in una situazione in cui la frase deve soddisfare le esigenze della logica informazionale. Ma questa logica è relativamente semplice, per essa bisogna poter trascrivere una frase anche complessa nella forma di unità di informazionelnon Postmoderno/Moderno (2) Regole paradossi unità di informazione, cioè secondo la logica binaria dell'algebra: sìlno. Si è in queste condizioni perché il linguaggio può diventare una merce solo apollo di essere contabilizzabile. Dunque, se volete che le vostre frasi circolino sul mercato del linguaggio (che èsopra/lutto quello dei media), bisogna che siano competiti ve. Vale a dire che le frasi di cui non si potrà dire: «ecco l'informazione comunicata», non saranno contabilizzate, e dunque comunicate. Credo che una frase scientifica, artistica o filoso fica non sia suscettibile di trasmissione informazionale semplice. Molti hanno provato a trascrivere i dati, soprattutto filosofici, in un linguaggio macchinico: ma non ci sono riusciti. Ciò significa che simili inguaggi, considerati dal punto di vista della performatività, sono giudicati inconsistenti. Jean-François Lyotard /endosi di determinati operatori: quelle frasi si chiamavano paradossi, e I' operatore paralogismo. Tutti i linguisti e i logici sanno che la lingua ordinaria è capace di paradossi e di paralogismi. Se si considera il lavoro dellescienze, o quello delle arti, ci si accorge che il problema non è cambiato, e consiste ancora nel produrre frasi paradossali: frasi «normali», per la scienza, che usa un linguaggio scritto; per le arti invece sono cromatiche, di forma, di suono, di volume, ma si possono comunque considerare come frasi, cioè come articolazioni di elementi discreti. Per tutti questi motivi, il lavoro dell'artista o dello scienziato consiste proprio nel cercare degli operatori in grado di produrre frasi sinora inaudite -e quindi, per definizione e almeno in un primo tempo, non comunicabili. Quelle frasi diverranno comunicabili quandq gli operatori che permettono di produrle saran- 1 1 vero problema consiste allora nello no in possesso del destinatario, quando stabilire se il linguaggio sia effetti- i destinatari potranno ritrascriverle. vamente un mezzo, e un mezzo per Se si analizza il lavoro di Duchamp, comunicare. L'ipotesi soggiacente al per esempio, si vede benissimo che il lavoro dell'artista, del filosofo e dello problema non è altro che quello: cioè scienziato, è che non lo sia: la loro ipo- prendere degli elementi plastici, ma taltesi comune è che il linguaggio sia in se volta anche linguistici; far subire loro stesso autonomo, e che ciò che essipos- delle trasformazioni mediante operatosono rendere come servizio è decodifi- ri molto precisi; e dare semplicemente il carne i segreti. risultato di questa operazione, senza Faccio un esempio semplice. Quan- rivelare la natura dell'operatore. Di do Freud ha scritto la Traum!leutung. conseguenza, i destinatari restano sorha suggerito che c'era una specie di /in- presi, scontenti, ridono o protestano possono mettersi d'accordo su un certo numero di frasi scambiate nellasocietà. Prendiamo, ad esempio, la frase « Per una certa quantità di lavoro, è giusto che ci sia una certaquantità di salario». Questo modello, che è semplicemente quello del comrauo sociale, attualmente, non è più credibile per una ragione che risponde a una difficoltà essenziale, e non congiunturale: il linguaggio comporta giochi di frasi che obbediscono a regole diverse le une dalle altre. Se, per esempio, dico «li muro è bianco», è una frase descriuiva, e chi mi ascolta dirà sì o no. Ques/a frase, cioè, posiziona il destinatario in modo tale che questi deve dare ilsuo accordo o, se non lo dà, deve motivare il suo disaccordo. Ma se dico «Non è.giusto far lavorare lagente cinquanta ore la settimana» è una frase che non obbedisce alla regola del vero - cioè, il suo destinatario non deve dire sì o no, come se si trattasse di una descrizione. li problema non è più sapere se ho ragione o torto; ma stabilire ciò che è giusto e ciò che non lo è, il che non ha alcun rapporto con la verità. Faccio un esempio un po' più drammatico: quelli dellamia generazione, in Francia, sono stati posti di fronte al problema della guerra d'Algeria. Mediante una semplicissima analisi della situazione, era facile capire che lo sviluppo della lotta algerina e l'indipendenza a111hirn11a0lla co.wit11:io11dei 1111 gtwggio de/l'inconscio; e ha tlefinito, o perché i mes.wiggisono i11co111prensibi- _ __;;__ ___ ..:....;_ ___ ......,;_ ______________ --, cercato di definire, gli operatori di quel linguaggio, cioè lo spostamento e la condensazione. L'effetto di questi operatori è produrre delle frasi inintelligibili, non comunicabili in un linguaggio chiaro. Viceversa i linguisti, e in parte Lacan, hanno detto che l'inconscio parla secondo un linguaggio; hanno cercato di dùnostrare che gli operatori erano gli stessi del linguaggio. Credo che sia un errore, e che il linguaggio dell'inconscio sia tale proprio nella misura in cui utilizza operatori che non sono quelli del linguaggio ordinario; e da quel momento in poi intendo spostamento e condensazione altrimenti che nei termini linguistici del linguaggio ordinario: quegli operatori non sono misteriosi, penso che Freud avesse cominciato a elaborarli. Siamo di fronte a una discussione molto antica all'interno del pensiero occidentale. Tra Aristotele e i Sofisti, il problema eragià quello di stabilire se il linguaggio fosse capace di produrre delle frasi assolutamente strane, avvali. E il lm·oro dei fisici della fine del secolo scorso non era diverso: si accettava che la massa fosse qualcosa, e la velocità tutt'altra cosa; fino al momento in cui qualcuno disse che la massa è in funzione della velocità. Ciò significa che questo lavoro verte sugli operatori, cioè sulle regole stesse alle quali obbedisce l'opera scientifica o artistica.Si danno dunque delle opere necessariamente strane, la cui funzione consiste esclusivamente nello sperimentare regole. E ilgrande problema diviene quello delle regole. Il grande problema è taleper i politici, e siamotuttideipolitici - senzadel resto sapere che cosa significhi. Pensiamo tutti che il cambiamento delle frasi della vita ordinaria debba obbedire a regole: cioè che le frasi abbiano degli operatori; che questi operatori vadano istituiti; e che in mancanza di operatori e di regole della comunicazione ci troviamo nell'anarchia. La tradizione democratica consiste nel sostenere che tutti i destinatari delle frasi programma h11rocratico-111iliwrec,he non eraprecisamente democratico. Era possibile una descrizione il cui risultato avrebbe potuto fornire materia d'assenso: e la soluzione che se ne sarebbe trai/a sarebbe stata di non facilitare in alcun modo l'indipendenza algerina. Ma si poteva anche dire: «È vero che questo movimento produrrà un apparato burocratico-militare, ma è giusto sostenere, non l'apparato militare, ma il movimento». In altri termini, si faceva l'esperienza concreta del politico, che facciamo tutti i giorni: ci sono due famiglie di frasi, l'una che obbedisce alle regoledel veroe del falso, l'altra che ha per regole quelle del giusto e dell'ingiusto. E queste due famiglie sono indipendenti, non è possibile tradurre l'una nell'altra. ' utta la tradizione occidentale dice che ciò che è giusto deriva da ciò che è vero; ma ora sappiamo che non è così. Anche nel linguaggio più ordinario ci sono famiglie di frasi che obbediscono a operatori e a regole intraducibili le une nelle altre. Le lingue sono traducibili (peresempio, ilfrancese si può tradurre in italiano); ma una frase che prescrive di fare qualcosa non è traducibile in u11afrase che descrive qualcosa. Di conseguenza, c'è una opacità a/l'interno del linguaggio. Al limite, direi che il linguaggio non comunica con se stesso: è capace di frasi che non sono traducibili in altre frasi. Ed è proprio questo che ostacola il contratto, perché si presuppone che possiamo giungere a una trasparenza. completa su ciò che stiamo dicendo. Dunque, di fronte al tentativo di ridurre il linguaggio all'unità mercantile dell'informazione, che dovrebbe poter tradurre tutte le frasi, credo che - in mancanza di racconti legillimanti - ci sia una sola possibilità: lottare per questo lavoro di incomunicabilità, cioè di articolazione della possibilità di frasi nuove. Questa lotta è condotta principalmente dagli artisti. Ciò che è importante nell'arte è precisamente la produzione di opere nelle quali le regole che costituiscono un'opera in quanto tale siano interrogateall'interno dell'opera stessa. Per fare ciò non c'è bisogno di teoria; direi anzi che bisogna non avere teorie. In Franciae negli Stati Uniti-non so in Italia-, si è sviluppato di recente un movimento reazionario, come ritorno a forme di opere facilmente riconoscibili, facilmente comunicabili, che rispondano alle esigenze del mercato - e non solo del mercato finanziario, ma anche di quello dei media, cioè del mercato comunicabile. C'è sicuramente il fatto che gli artisti fanno fatica, oggi, a proteggersidietro a quelle teorie (marxiste, semiotiche, di origine freudiana), che negli anni sessantae seuanta avevano la funzione di giustificare il paradosso delle opere. Queste teorie, che derivano dalle scienze umane, stanno perdendo credibilità, e penso che sia giusto. Significa infatti che gli artisti non vogliono più essere protetti dall'argomento teorico; e il rapporto tracritico e artistasi è capovolto, in quanto il critico non capisce più, non gli è più dato l'argomento dell'opera; dice: « Datemi qualcosa di comunicabile». E credo che ora, o gli artisti si inchinano di fronte a questa terribile esigenza; oppure sono tenuti a fare ciò che fanno senza la protezione dell'argomento teorico. Il quale era, a mio avviso, semplicememe un argomento ideologico: non era altro che un prestito delle scienze wnane, cioè di un tipo di discorso che si rapporta, ed è indispensabile, al sistema. Dirò per finire che la regola del discorso del filosofo è sempre stata quella di trovare la regola del proprio discorso. Dunque il filosofo è qualcuno che parla per trovare la regola di ciò che vuol dire, e che quindi parla senza conoscere la propria regola. Penso che questa situazione sia paragonabile a quella delle arti, e, in parte, a quella della scienza. Ciò significa che gli artisti sono persone che da tempo (penso a Cézanne), ma ora sempre di più, cercano delle regole che facciano sì che la loro opera sia considerata, per esempio, un'opera piuorica. Più si avanza, e più si capisce che nella tradizione pittorica c'è 11110 quantità straordinaria di costrizioni. Allora l'artista è chi reperisce nell'opera un aspeuo delle regole che dovrà essere interrogato - egli cioè lavora, e ha sempre lavorato, come un filosofo. Testo per il convegno « Paesaggio metropolitano», Roma, 18febbraio 1981, e per Alfabeta Traduzione di Maurizio Ferraris

Postmoderno/Moderno (3) Lyotardle, legitti-n,~Jiopnoi stmoderne J.F. Ly_otard La condizione postmoderna Milano, Feltrinelli, 1981 pp. 142, lire 4.000 11 tema di La condizione. pos1moder11a di Lyotard è la crisi dei meccanismi di legittimazione che, nell'età moderna, presiedevano alla socializzazione del sapere scientifico. Con l'informatizzazione del sapere che caratterizza la società contemporanea (adozione di sistemi di comunicazione sempre più sofisticati; computerizzazione delle conoscenze, ecc.), si assiste infatti, a una profonda mutazione del concetto e delle finalità del conoscere. Da una parte, il sapere diviene un bene primario allo stesso titolo che l'energia o le materie prime (del resto, fornisce il know-how necessario per l'uso dell'una e delle altre). Dall'altra, entrando nel mercato, esso si equipara a ogni altra merce, perde ogni valore d'uso individuale (formazione del soggetto, trasformazione critica della coscienza: i caratteri che lo definiscono nell'età moderna, nel 'progetto dell'illuminismo') e diviene un puro valore di scambio. Le conoscenze teoriche circolano allo stesso modo, e secondo gli stessi ritmi, delle merci e delle monete; sono valutate in base alla loro performatività, cioè alla loro resa; e si trasformano in materia di conflitto tra gli stati e tra le istituzioni. Intendere il sapere come valore d'uso era sicuramente un modo di socializzare la conoscenza scientifica; era un meccanismo di legittimazione valido per il 'progetto moderno'. Nell'epoca della sua trasformazione in valore di cambio, però, il sapere deve ricorrere ad altri dispositivi. Ma come avviene, in generale, la legittimazione del sapere scientifico? Lyotard avanza una ipotesi: la scienza non si legittima mai di per se stessa, ma sempre per opera di un altro tipo di sapere, quello narralivo . Una modalità discorsiva che designa ciò che i Greci chiamavano doxa, l'opinione, la circolazione sociale delle credenze e delle consuetudini, opponendola alla epis1e111e, la vera scienza. Un sapere molto aleatorio, ma di fatto importantissimo, che comprende il «saper fare», il «saper vivere», il «saper ascoltare» - cioè il costume, le leggi, le abitudini. E, come il sapere scientifico si riferisce al campo della verità, quello narrativo definisce le sfere dell'efficienza, della giustizia, della bellezza: ossia gli ambiti sociali che presiedono alla circolazione e alla socializzazione dei dati scientifici. Poco rigoroso, estremamente aleatorio, il sapere narrativo è però molto più autonomo di quello scientifico. Quest'ultimo, infatti, richiede l'isolamento, all'interno dei vari tipi di enunciati che circolano nel sociale, di un solo gioco di linguaggio, quellodenotaIivo (la corrispondenza della descrizione al suo oggetto); e non ha alcun valore in quanto enunciato autonomo, ma ricava la propria validità esclusivamente dal suo essere conforme alla situazione descritta (per cui, inoltre, può venire sempre invalidato, qualora tale situazione mutasse; o si dimostrasseche la descrizionenon è conforme all'oggetto). Molto diversamente vanno le cose per il sapere narrativo. In primo luogo, le conoscenze che esso trasmette sono immediatamente utili e socializzabili (le buone maniere a tavola o le credenze religiose sono immesse nel sociale senza alcun obbligo 'denotativo'). In secondo luogo, le narrazioni possono avvalersi di più giochi linguistici: di quello denotativo, come avviene per il sapere scientifico; ma anche di quello deontico (o prescrittivo: come comportarsi a tavola, appunto), di quello interrogativo, e cosi via. Poi, il sapere narrativo stabilisce immediatamente una continuità con il sociale e la 1radùio (leggende, consuetudini, leggi, ecc.). Infine, e questo è il suo vantaggio decisivo rispetto al sapere scientifico, il saperè narrativo non ha alcun bisogno di una legittimazione: esso è ciò che fonda il sociale, costituisce la trama della nostra esperienza, definisce gli orizzonti pragmatici del mondo in cui ci muoviamo. La natura del sapere narrativo e di quello scientifico è dunque tale che, se quest'ultimo non può esistere e circolare senza il primo, il primo è assolutamente autonomo. Questo rapporto di legittimazione dello scientifico da parte del narrativo scrive Lyotard, è sempre esistito: nell'antichità, come nella modernità, conie nell"era postmoderna' (un esempio banale è quello dei dialoghi platonici, nei quàli l'episieme, la sua ricerca e la sua trasmissione, viene legittimata dalla forma dialogica dell'esposizione); ciò che muta, invece, è la forma, e il contenuto, del 'racconto legittimante'. Cosl, nell'era moderna si affermano, due grandi racconti, due metadiscorsi che Lyotard definisce rispettivamente come racco1110del/'emancipazio11e e raccomo della speculazione. li primo, è politico, e risponde al criterio della giustizia. È il discorso illuministico, per cui il sapere scientifico è legittimo se favorisce l'emancipazione della società civile. Accanto ad esso, la modernità ha prodotto un secondo racconto, quello teorico-filosofico della speculazione, che nasce con l'Idealismo. Per il racconto idealistico, il sapere scientifico è legittimo in quanto non ha alcuna finalità determinata (ivi compresa quella politicoemancipativa); ma acquisisce senso perché costituisceun momentodello spirito speculativo. Vale a dire che il sapere assoluto, speculativo, dotato di una finalità intrinseca (la teleologia dello spirito) legittima le acquisizioni empiriche e positive della scienza e della tecnica. Q uesti due discorsi, che costituiscono il nocciolo del «progetto moderno» secondo Lyotard, vengono a cadere con l'avvento del postmoderno. Divenendo puro valore di scambio, infatti, il sapere non si presta più alla finalità emancipatoria, di formazione del soggetto e della società come insieme armonico; favorisce anzi, lo si è visto, una situazione estremamente conflittuale volta all'acquisizione puramente quantitativa di dati: cade il progetto illuministico. Ma cade anche quello idealistico, dal momento che è arduo sussumere una quantità frammentaria di dati eterogenei entro un unico discorso speculativo. Simili considerazioni, però, sono solo in parte vere: valgono solo di fatto; non bastano né a descrivere, né a giustificare il fallimento del progetto moderno. Ciò che viene a definire la legittimità storica del postmoderno, o quantomeno dell'obsolescenza del moderno, è l'analisi dell'autocontradditorietà dei due racconti moderni, che Lyotard rileva sin dal loro sorgere: i germi della decomposizione del progetto moderno incubavano già, scrive Lyotard, nel cuore stesso del racconto emancipativo e di quello speculativo; e la loro dissoluzione era dunque intrinsecamente inevitabile. Infatti, in primo luogo, la legittimazione speculativa del sapere scientifico era, dai"suo sorgere, altamente precaria. Essa si basava sulla negazione della scienza, la quale era legittimata dal metadiscorso speculativo nell'atto stesso in cui la speculazione negava i contenuti empirici del sapere scientifico: la scienza era legittimata nelle sue acquisizioni positive precisamente da un discorso che si dichiarava superiore in quanto assoluto, cioè non implicato nelle conoscenze empiriche. Ma il principio per cui il racconto speculativo poteva legittimare e insieme negare i contenuti empirici del sapere scientifico, si sarebbe alla lunga rivelato nocivo per la legittimità stessa del discorso idealistico. La speculazione muoveva infatti dall'assunto per cui esiste un fine (la vita dello Spirito), che fondl! il procederedell'idea.Manonappenacome farà Nietzsche - si sottoporrà il racconto speculativo alla prova di verità scientifica (esiste una vita dello spirito?), tutto l'edificio teorico dell'Idealismo verrà meno. In questa prospettiva, che risponde a un interrogativo di diritto, e non a una costatazione di fatto, la crisi delle scienze europee e la loro progressiva delegittimazione non dipende dalla proliferazione delle conoscenze empiriche, che non sono più sussumibili entro il discorso speculativo: ma dall'auto-delegittimazione della speculazione stessa, la quale rivolge contro di sé i criteri di prova utilizzati dal sapere scientifico. Finisce in tal modo un primo discorso del 'progetto moderno'; si esaurisce l'ideale di un progresso dello spirito che garantisca a un livello ulteriore le acquisizioni della scienza, la quale diviene una pura trasmissione e collazione di dati. Ma si esaurisce anche la legittimazione illuministica del sapere come progresso civile. Anche in questo caso, i germi della dissoluzione erano presenti nella assiomatica del «progetto illuministico» il quale, nella sua stessa genesi, supponeva che il sapere scientifico (somma di enunciati con valore denotativo ), fosse legittimato da un discorso politico (comma di enunciati pragmatici con valore prescrittivo). Ma, scrive Lyotard, avvalendosi di quelle tesi che Habermas qualifica come neo-conservatrici, tra il gioco linguistico del moral-pratico, quello dell'estetico-espressivo, e quello del teoretico-conoscitivo, non c'è comunicazione. E questa non è una convinzione recente, successiva al tramonto dell'Illuminismo: già Kant, all'inizio del «progetto illuministico», aveva dichiarato la fondamentale separazione di diritto tra ragion pura, ragion pratica e giudizio estetico. Cadono i due grandi metadiscorsi della modernità; più radicalmente, sostiene Lyotard, cade la possibilità stessa di un qualsiasi me1adiscorso legiuimante. Il problema è allora riconoscere quali siano i nuovi meccanismi di legittimazione, da parte del sapere narrativo, della scienza informatizzata. Secondo Lyotard, con l'avvento del postmoderno (che egli situa, almeno per l'Europa, all'inizio degli anni cinquanta), il sapere scientifico, privato del racconto dell'emancipazione e di quello della speculazione, si legittima esclusivamentein base alla sua performatività, cioè alla sua utilità. Una legittimazione che non è meno legata al sapere narrativo di quanto non lo fossero imetadiscorsi dell'llluminismo e dell'Idealismo (e delle loro varianti, come il discorso del capitale o quello del marxismo). Ma che, a differenza di essi, non è unitario: non esiste più un racconto omogeneo e totalizzante, un metalinguaggio coerente che legittimi la pratica scientifica; si assiste piuttosto a una serie di legittimazioni locali, dunque estremamente parcellizzate e eterogenee, che non fanno appello ai metadiscorsi del Capitale ('arricchitevi'), dell'Illuminismo ('liberatevi'), ecc. - ma ti propongono come immediatamente (localmente e momentaneamente «performativi», cioè utili. A zzeramento di ogni criterio di legittimazione anteriore o ulteriore alla semplice performatività e alla potenza tecnica. Si tratta, allora, di riconoscere delle regole immanenti ai giochi del sapere scientifico, che garantiscano criteri di giustizia nella circolazione del sapere senza -accedere a una dimensione metadiscorsiva che risulterebbe ineffettuale e ideologica. Lyotard esamina preliminarmente i criteri legittimanti proposti da Habermas e da Luhamnn; e rileva che in entrambi i casi ci si trova di fronte a due metadiscorsi impliciti. Il sistema di Habermas, infatti, è una metamorfosi del racconto emancipativo: propone l'ideale di una comunità della comunicazione la quale, attraverso il dialogo delle sue singole componenti (teoriche, pratiche, artistiche), pervenga a una traspar~nza comunicativa che garantisca il progresso civile. Ma, secondo Lyotard, questo genere di legittimazione presenta due limiti: in primo luogo, esso suppone che la comunità della comunicazione possa accordarsi su regole universalmente valide,. contrastando così con il carattere frammentario della scienza postmodern_a. In secondo luogo, presume che la finalità del dialogo sia il consenso, il quale (sempre a causa della frammerrtazione dei linguaggi) è la semplice condizione di possibilità del dialogo stesso - che viceversa ha per scopo l'invenzione di nuove regole, di nuovi 'colpi' di linguaggio che mutino il procedere della ricerca scientifica. Sopravvivenza del progetto illuministico in Habermas; ad essa corrisponde una reviviscenza del progetto idealistico in Luhmann, che mantiene l'ideale di una totalità sistemica dei giochi, come orizzonte legittimante che circondi le singole acquisizioni del sapere scientifico. La soluzione proposta da Lyotard consiste invece nella ricerca di una giustizia informatica che non sia legata alla nozione di consenso come discorso totalizzante. Il grado zero di questa giustizia è una proposta pratica: l'accesso di tutti i soggetti alle banche dei dati, ai terminali dei computers; condizione preliminare del consenso, il quale a sua volta non è un fine, ma un mezzo. La finalità della legittimazione postmoderna è invece piuttosto un dissenso, cioè una adesione momentanea alle regole del gioco del sapere, adesione sempre pronta a riformularsi in termini più 'performativi'. Quindi, non si danno prescrizioni generali (tranne il libero accesso ai dati); ma semplicemente delle indicazioni di gioco, sempre locali. Il che viene a creare un isomorfismo tra le condizioni della ricerca scientifica postmoderna, che verte sulla conoscenza differenziata dell'individuale, e le condizioni del legame sociale contemporaneo, che ha abbandonato le strutture generali 'forti' (contratti lavorativi, politici e affettivi universali e a lungo termine), per ripiegare su contratti individuali e transitori. Ma, ancora una volta, questo isomorfismo non è un fine, bensì la semplice condizione di un gioco che va condotto di volta in volta, con regole che cambiano costantemente.

Postmoderno/Moderno (4) Piranesei il fluiredelnuovo Manfredo Tafuri la sf'erae il labirinto Torino, Einaudi, 1980 pp. 371, lire 35.000 Paolo Portoghesi la fine del proibizionismo Catalogo della prima mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia 1980. Ed. La Biennale di Venezia, lire 20.000 Francesco Dal Co «Acuminate sono le spine del moderno», in Il manifesto, 1/10/1980 Franco Pierluisi «Le manifestazioni piranesiane a Cori», nel catalogo Piranesi nei luoghi di Piranesi Roma, Ed. Fratelli Palombi, 1979 U n dibattito approfondito su «post-moderno» e «moderno• deve contenere anche il riferiment~ critico-teorico (magari polemico) a testi di fondo come il recente libro di Manfredo Tafuri, La sfera e il labirinto (Torino, Einaudi, 1980). Per Tafuri funzione della critica è in primo luogo ricostruire l'avvenimento, come montaggio di pezzi differenti, composto di «piccole verità non appariscenti». Altro assunto cruciale è l'affermazione che il progetto storico è sempre progetto di crisi: «L'autentico problema è come progettare una critica capace di porre di continuo in crisi se stessa, mettendo in crisi il reale». Progettare :... crisi dunque, e la crisi della critica, affinché quest'ultima non ceda alla tentazione di credersi progetto positivo, utopia fondatrice in un mondo in cui si sono dissolti i fondamenti. Va subito osservato che in questa apparente modestia, nella rinuncia a modelli totalizzanti di razionalità e progettualità, insiste un 'idealistica fiducia nella possibilità di mettere in crisi il reale attraverso la coscienza della crisi. Ma l'interrogativo più specificamente architettonico che ci si può porre è un altro: perché l'opera d'arte va smontata e non invece considerata nella sua unitarietà (punto di equilibrio e di precarietà fra tensioni) e nel suo rapporto contraddittorio con la storia? on si rischia così - con il duplice pretesto dell'interminabilità dell'analisi e della messa in crisi del progetto - di rinunciare programmaticamente a ogni compito di trasformazione del reale, legittimandolo così com'è? Tafuri riprende qui il mito della morte dell'arte, del grande silenzio in cui si conclude il fallimento di tutti i tentativi delle avanguardie storiche e che verrebbe oscenamente violato dai giochi effimeri de_lpost-modem. Gli si potrebbe rispondere come il giovane Mahler al vecchio Brahms che gli profetizzava la fine della musica guardando il fiume dal ponte: qual è l'ultima onda? A guardar bene, poi, il senso della morte dell'arte, in un universo omologato dall'onnipresenza del dominio, starebbe nella tendenziale «trasformazionedell'attivitàartisticainlavoro direttamente inserito nell'organizzazione produttiva». Qui si dà un'oscillazione fra vocazione al silenzio, carica peraltro di comprensione per l'lnternational Style (se ne veda un'evidente riprova nell'intervento giornalistico di Dal Co), e l'aspirazione a farsi carico di una quota del dominio, come ai bei tempi andati in cui l\,peraismo di destra integrato nel Pci scopriva g!i specialismi (e Tafuri cantava le lodi dell'austerità al convegno dell'Eliseo del npn poi cosi remoto 1977). Fallito il progetto di ammodernare il Pci all'altezza del Capitale, oggi ci si asside sulle macerie, «proibendo» qualsiasi ricostruzione. Ma vediamo per scandagli come nella Sfera e il labirinto alcuni episodi della storia dell'architettura vengano piegati, con grande finezza espositiva e sprazzi interpretativi illuminanti, a una dimostrazione ossessiva di queste tesi di fondo. Piranesi In Piranesi si manifesterebbe una perdita del senso del centro; il suo rapporto con la storia è solo «nostalgia per la felice stagione dell'infanzia dell'umanità». In effetti egli non svolge un discorso storicistico; il rapporto fra la grandiosità del passato come reperto naturale e la piccolezza degli uomini ha un distacco «genealogico». Ma questa operazione, che si avvale della cultura settecentesca della catalogazione, non sbocca affatto, come vorrebbe Tafuri, nella distruzione frammentistica della forma, per cui la famosa ricostruzione immaginaria di Campo Ma'rzio risulterebbe assenza di linguaggio, autoconsumazione della forma, disgregazione assoluta della relazione fra storia e presente. Ora, se Piranesi è conscio della rottura industrialistica del rapporto tradizionale fra natura e cultura, è anche vero - come sostiene Franco Pierluisi in un catalogo piranesiano (Roma, Palombi. 1979) che egli coglie nell'immenso campo di rovine costituito da Roma e dalla campagna romana un esempio presente dell'agire e del comporre. Ciò che avviene attraverso il rilievo dello stato reale dei monumenti e non già di un ipotetico loro restauro. Piranesi cioè considera la storia come la serie delle trasformazioni operate dall'uomo e non semplicemente come la storia dell'architettura: non vi è rinnovazione senza la riconsiderazione complessiva del passato considerato quale reperto naturale, valore di per sé. Conclude invece Tafuri - e così si ripeterà per tutte le altre avanguardie storiche prese in considerazione - che in Piranesi nasce un'architettura «priva di significato», dove l'accettazione del negativo porta al «silenzio della forma». Piranesi segnerebbe l'avvio al declino di qualsiasi logica linguistica. alla riduzione dell'architellura a segno e costruzione arbitraria. A nostro parere meglio varrebbe considerare nel Campo Marzio quell'elemento visionario in cui sembrano confondersi l'eco del barocco borrominiano con la prefigurazione del neo-classicismo rivoluzionario di Ledoux. Né ci sembra filologicamente corrello scavalcare le affermazioni stesse di Piranesi (per es. sulla giusta distribuzione «gerarchica» dell'ornamento - uno spartiacque notoriamente invalicabile rispetto alla «morte dell'arte») o travisare le note di Eizenstein (riportate in appendice), dove la scomposizione piranesiana è genialmente affrontata in una ottica progettuale di montaggioche ricomponedialetticamente i pezzi secondo nuove gerarchie (all'opposto dei tafuriani «segni vuoti»). Nel Campo Marzio allora - se possiamo azzardare un'interpretazione - questo elemento gerarchico potrebbe essere rappresentato dall'andamento sinuoso del Tevere, che non è residuo naturalistico, bensì indica il luogo storico che organizza gli edifici piranesiani. Augus10 Illuminati e Francesco Montuori Dalla sconfitta delle avangnardie · alla New Babylon È singolare come, nel seguito del libro, si escluda sistematicamente l'analisi di quei «vertici» artistici che avrebbero costrello l'autore a deviare dal suo assunto, per privilegiare lo studio di «correnti» immediatamente commisurabili a un discorso di progettualità e fallimento: la pianificazione urba~istica weimariana e sovietica, la pluralità di usi del grattacielo, infine la rivolta post-modem contro il razionalismo. Ogni ricerca di nuovi valori artistici e culturali finisce, per Tafuri, con l'annunziare l'avvento di un universo di non-valori, l'universo tecnologico «senza qualità» dello sviluppo organizzato dal grande capitale. Contraddizione e differenza svaniscono sistematicamente riguardo sia alla forma sia al modo di produzione. Abbiamo, per cosi dire, una concezione «ultraimperialistica» applicata al campo culturale sino al punto di soffocare ogni specificaattenzioneper i percorsiformali e gli esiti artistici. Alla fine il capitalismo, più o meno dilatato e razionalizzato, resta l'unico orizzonte in cui si compie questa dinamica di annullamento dei valori e dei significati. Ne risulta l'apologia - senza aura progressista - del modernismo, sola possibile gestione architettonica del disincanto del mondo; di un modernismo privato peraltro di tutto il suo diballito interno, amputato per esempio di Wright e dello stesso Le Corbusier. L'etichetta di neo-romanticismo e di nostalgia comunitaria è pronta per qualsiasi tentativo di conferire un senso o di creare contraddizioni politicamente motivate. L'effettiva ingenuità e gli insuccessi connessi a molti di questi esperimenti (che comunque andrebbero meglio analizzati in base a una valutazione incrociata dei problemi formali e del contesto delle sconfitte dei movimenti di massa rivoluzionari) servono a ribadire terroristicamente là necessità del «silenzio» e l'indecenza di ogni pretesa di senso. oliamo anche che, a differenza di altre linee di presa d'alto dello «sterminio» del senso - per esempio Baudrillard - si preclude qui ogni riapertura «ludica» del discorso politico-culturale: insomma il «senso» è proibito quanto la «decorazione», il progetto quanto la seduzione. Insistiamo a dire che la trattazione, peraltro esemplare, del rapporto fra progetti di normalizzazioné e prefabbricazione edilizia weimariani e il libero gioco del mercato delle aree e dei materiali spiega l'impasse urbanistica in cui si arena il riformismo socialdemocratico ma non spiega le differenze fra M. Wagner, Tau! e May e neppure rende irrilevante tale questione. U sudario della filosofia negativa è posto sulla città, assemblaggio di segni neutri che rinviano, come a loro al di !à, alla pianificazione totale del capitalismo organizzato. Si dimostra così che è meglio il silenzio: per quanti ancora vogliono fare architettura non resterebbe che «utilizzare ciò che è rimasto sul campo di battaglia» dopo la sconfitta delle avanguardie storiche. Dietro questo tipo di rinuncia in realtà l'autore accetta sino in fondo la nozione di moderno e di movimento moderno. L'irrilevanza proclamata del progetto lascia in piedi la cultura della borghesia che, nella misura in cui tendenzialmente coincide con le tecniche di fabbricazione, si sottrae al circolo vizioso fra tentativi di attribuzione di significati e utopia regressiva. Le classi antagonistiche sono incapaci di emettere alcun segnale. L'utopia sociale può essere valutata soltanto come documento letterario. In realtà proprio quando si ribadisce insistentemente non è né significante né assurdo, ma semplicemente è, e quando si constata che il linguaggio dell'architettura è perversamente chiuso in se stesso, si innesta un atteggiamento nostalgico per impossibili corticircuiti fra arte e politica sul terreno di una concezione riformistica di quest'ultima. Non si ipotizza mai che la coerenza di un linguaggio, in primo luogo verificata auraverso gli strumenti specifici, possa essere messa in rapporto con il contesto reale, senza che l'architetto cambi il mondo e senza che il mondo resti com'è. Nasce invece la tentazione di spostare contenutisticamente il discorso sul ruolo dell'architetto nel «gioco economico». Laddove Benjamin chiedeva all'artista di «fare proposte» ai fini di una trasformazione dell'arte, Tafuri chiede direttamente all'architetto di incidere ui rapportidi produ• zione e considera l'architettura da quest'unico angolo visuale, mettendo-. la insieme all'attività edilizia e all'urbanistica. Su questo piano, però, egli ritrova inevitabilmente, malgrado tutti i distinguo, i miti «moderni» della tecnologia, della tipologia, della ripetizione. Come più sbrigativamente fa Dal Co (cfr. li manifesto del 1/10/ 1980). In realtà i critici che hanno decretato la «morte dell'arte», anche quandCJ_ colgono il tramonto dello statuto funzionalista, non riescono a scoprirne i motivi, proprio per indifferenza a una tematica specificamente architettonica. Da tempo ormai si è individuato nella cesura con la storia la ragione dell'accettazione acritica dei «tempi nuovi» da parte delle avanguardie del Movimento Moderno. Storia non come passato, bensì parte della storia naturale, luogo e stimonianza presente di ogni trasformazione. Condizioni post-moderne Un'esperienza come quella della «strada novissima» della Biennale 1980 di architettura, a proposito della quale Portoghesi ha parlato di «fine del proibizionismo» (nel catalogo), pare a noi stimolante malgrado e forse in misura della sua eterògenejtà. li ritorno in primo piano dell'esigenza di comunicazione - una tendenza che è comune, per esempio, anche alla musica, dopo l'ascetismo darmstadtiano- ·comporta ovviamente flussi contraddittori, manierismi, nostalgie per il passato. Segna però anche la fine irreversibile di una fase della prassi artistica che non può essere artificialmente prolungata con decreti apocalittici di divieto del Senso. La trasformazione del senso (staremmo cauti a parlare del suo «sterminio») si compie per «inflazione» e non per astinenza, riattingendo alla storia e anche praticamente difenùendo il patrimonio storico (significativa l'esperienza dei Krier). Nella naturale alternanza degli stili gli eccessi del rigorismo suscitano eccessi opposti - come l'ossessione della serialità ha scatenato una reazione ludica neo-tonale parallela al post-modem più frivolo - ma come pretendere di erigere barriere al fluire del nuovo, anche se esso in parte svolge funzioni di evasione o di apologia «performativa» dell'esistente? li carattere controriformisticamente celebrativo di tanto barocco ci dovrebbe forse riabilitare l'attardato proibizionismo di allora? La messa in crisi del linguaggio è un fenomeno specifico: è revoca di un linguaggio - sia ornamento art nouveau o sistema cromatico-non annichilimento di ogni linguaggio, impossibilità perenne di senso. E come tutte le revoche è provvisoria e reversibile (pensiamo al «tradimento» del padre della dodecafonia che gli valse l'articolo: Schonberg è morto, in un momento in cui Boulez non aveva ancora riscoperto Mahler, Debussy, Berg...) Alla deflazione di senso risponde l'ambiguità dell'inflazione post-modem, omologa a quella economica che articola la crisi del capitalismo contemporaneo. li recupero di problemi stilistici passati assunti senza pretesa di continuità storica - dall'ordine all'ornamento - e la libera variazione sul presente contengono un'esigenza di ristabilimento della comunicazione attraverso l'intenzionalità della forma e insieme il gioco spesso banale e commerciale dell'eclettismo. Sono prezzi da pagare per sgorgare canali intasati. Il ritorno dalla sospensionedi sensoallapluralitàdelsenso è passaggio accettabile e auspicabile senza che si debba obbligatoriamente cadere in fantasmagorie di «simulacri». Il discorso della seduzione e il gusto dello spettacolo traversano certo tutto il post-modem, ma il loro ridimensionamento richiede non esorcismi bensì rigore nella costruzione formale, minori ossessioni epistemologiche e maggiore progettualità.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==