Alfabeta - anno III - n. 23 - aprile 1981

r r Spinozad,~poMarx Antonio egri Marx oltre Marx Feltrinelli, Milano, 1979 pp. 197, lire 5.500 An-toni-;, egri L'anomalia selvaggia Feltrinelli, Milano, 1981, pp. 297, lire 10.000 D a tempo annunciato e preceduto dall'anticipazione di un capitolo su queste stesse pagine (Alfabera n° 18, ottobre 80), è uscito l'ultimo libro di Negri, L'anomalia selvaggia, dedicato al pensiero di Spinoza. Atteso con curiosità ed interesse, esso rischia tuttavia di suscitare viva attenzione da parte degli studiosi del Seicento piuttosto che del più vasto pubblico degli abituali lettori di Negri, nei quali, all'ammirazione per l'impegno di un'opera scritta in carcere, si accompagna il sospetto di una lettura difficilee di una tematica assai lontana da quella di altri recenti lavori. Sarebbe un errore, perché, come mi propongo di dimostrare in questo articolo (deludendo inevitabilmente chi è interessato soprattutto al dibattito su Spinoza), L'anomalia selvaggia non rappresenta una parentesi metafisica nel discorso di egri, ma la prosecuzione del dibattito sul metodo della teoria politica aperto da Marx oltre Marx; anzi, molti passaggi del testo precedente non sono pienamente comprensibili se non alla luce di questo nuovo lavoro. Grundrisse contro Capitale Marx oltre Marx è un titolo rivelatore: in quel testo Negri non era alla ricerca di un superamento, di una uscita dal marxismo, ma tentava di costruire un circolo ermeneutico, di sviluppare dall'interno una critica del metodo per vincere l' «incantesimo» che aveva trascinato Marx dalla «tendenza antagonistica» dei Grundrisse alla «oggettivazione delle categorie» del Capitale. Il metodo della tendenza antagonistica dei Grundrisse si fonda, secondo Negri, su una serie di mosse di «spiazzainento teorico», sull'applicazione di un principio costitutivo del reale da parte della teoria, in ragione del quale la «tendenza» viene immediatamente identificata - anche a rischio di salti logici - con il «praticamente vero», vale a dire con la datità storica dell'attuale. In questo modo l'astrazione determinata del discorso marxiano si trasforma continuamente in imputazione soggettiva, in partecipazione effettiva dei soggetti s6ciali alla costruzione dello scenario storico. Questa violenza teorica, propria di un pensiero che non è ancora divenuto sistema, e che si adatta a brusche svolte e impennate per tener dietro ai salti del reale, è quasi del tutto smarrita nel Capitale: qui la tendenza antagonistica è divenuta oggettivazione delle categorie; privato del suo potere di spiazzamento, il metodo si piega alle esigenze della mediazione, ricade nella rappresentazione dialettica del reale. Negri esemplificava questa evoluzione soprattutto in relazione alla teoria della crisi. Nel Capirale la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto - articolata sulla composizione organica dei capitali e sul rapporto fra salari e profitti - struttura il paradigma della crisi in base al principio secondo cui «il limite del capitale è il capitale stesso»; ma ciò significa eliminare la lotta di classe dal dispositivo centrale della crisi e aprire un abisso fra catastrofe oggettiva e coscienza rivoluzionaria. Mediando fra l'astrazione del plusvalore sociale e le modalità concrete del mercato capitalistico, la teoria del profitto offrirà successivamente il modello ad una teoria politica fondata sulla centralità del ruolo del partito come mediatore fra oggettività delle leggi economiche e coscienza operaia. Ben diverso il dispositivo della crisi nei Grundrisse, dove le crescenti difficoltà del capitale ad autovalorizzarsi vengono messe in relazione alla crescente rigidità del lavoro necessario, della frazione della giornata lavorativa che costituisce l'equivalente dell'operaio. Lo spazio della crisi è quindi uno spazio immediatamente antagonistico, è lo spazio di quella che Negri definisce «autovalorizzazione» operaia: «elasticità» del mercato capitalistico versus «rigidità» dei comportamenti e dei bisogni proletari. Era quindi rispettata la tradizione teorica operaista, che è appunto tradizione di identificazione fra meccanismi della crisi capitalistica e comportamenti soggettivi di classe; semmai trasfigurata dal rigore geometrico dei passaggi con cui Negri costruiva la soggettività come astratta materia antagonista. In Marx oltre Marx c'era però qualcosa di più: il tentativo di animare questa materia astratta sopprimendo turre le mediazioni, strappando la maschera dialettica alle categorie marxiane. La mossa più efficace in questa direzione è stata indubbiamente la torsione impressa alla funzione della circolazione nel processo di formazione del capitale sociale. Spingendo l'analisi marxiana del processo di appropriazione capitalistica della circolazione fino alle sue esireme conseguenze, «fino ad un limite di identificazione storica, effettiva (anche se non logica) di produzione e circolazione», Negri ne spiazzava il senso: da territorio di conquista del capitale la circolazione diviene la forma stessa stessa del capitale sociale; imponendo le sue modalità e i suoi ritmi alla totalità dei processi produttivi e riproduttivi, essa consente la penetrazione del modo di produzione capitalistico in tutte le dimensioni spaziotemporali della società. Era così -definito lo scenario della formazione dell'«operaio sociale», dello sviluppo di una nozione di soggettività caratterizzata ad un tempo dal massimo di astrazione teorica e dal massimo di operatività concreta: nella datità immediata dei comportamenti proletari, dei bisogni individuali e collettivi, si esprime la forma più alta di antagonismo politico. In gioco è quindi la forma stessa del rapporto fra soggetto ed oggetto che, nella sua articolazione dialettica, tende ad ordinare il processo storico secondo una successione di prima e di dopo - prima la crisi e dopo la coscienza, prima il partito e dopo la rivoluzione, ecc - disinnescando il potenziale antagonistico immediato. Ciò era del tutto evidente laddove Negri criticava l'utopia marxiana del comunismo perchè consegnata al dopo, incatenata alla mediazione necessaria della transizione, avanzando piuttosto l'ipotesi che «non la transizione si dia nella forma del comunismo ma che il comunismo si dia nella forma della transizione», e traendone la conclusione che la soggettività operaia, per liberarsi dalla mediazione economica non può affidarsi alla mediazione politica. In questo modo soggetto di classe, partito e comunismo non sono più concepiti come tappe storiche di un processo, ma come «nomi> di un medesimo soggetto nuovo, «che viene formandosi, che trasforma la realtà e distrugge il capitale». Obiettivo dichiarato di Negri era abolire la transizione, o meglio, abolire la forma-stato della transizione, nella misura in cui il dopo dell'utopia viene riassorbito nei comportamenti immediati di classe: «Il rifiuto del lavoro, la sua organizzazione pianificata di parte operaia e proletaria sono la misura della quantità e della qualità della transizione, sono la misura non dell'idiota approssimazione all'utopia ma del concreto processo costitutivo che il soggetto determina,.. Mi pare che al momento della pubblicazione di Marx oltre Marx siano sfuggite le implicazioni filosofiche di queste mosse. Allora - si era a poche settimane dal 7 aprile - il libro ha avuto uno spazio di discussione deformato dagli echi della drammatica contingenza politica; né mi pare che successivamente esso sia stato oggetto di adeguati approfondimenti. In sostanza lo si è accolto come una estremizzazione e/o sistematizzazione delle tesi operaiste classiche, o come un tentativo di adeguazione delle stesse tesi al processo di terziarizzazione della società. La posta era invece più elevata. Negando la mediazione, Negri tenta di negare realtà ontologica al capitale: in quanto pura forma del rapporto sociale fra forze produttive che tende ad autonomizzarsi dalla realtà sociale e a dominarla, il capitale è mera negatività, e tutte le categorie dialettiche che ne rispecchiano l'essenza simulacrale sono ostacoli da rimuovere per la coscienza operaia. Negri si è spinto assai più oltre Marx di quanto non sappia o voglia ammettere. Marx non ha mai negato sostanzialità alla «ideologia> capitalistica, il suo sistema teorico si fonda in larga parte sulla nozione di feticismo della merce e i suoi effetti materiali, sulla sua capacità costitutiva della realtà sociale. Le ambiguità del progetto teorico in Marx oltre Marx nascevano quindi anche dal fatto che il materiale marxiano «manipolabile> era tutto sommato insufficiente allo sviluppo del progetto stesso. Mancava un fondamento ontologico che consentisse di affermare la pienezza e la realtà dell'essere produttivo contro ogni separazione e mediazione trascendentale, contro ogni dualismo fra soggetto ed oggeto, ed è appunto alla ricerca di questo fondamento che Negri si è avventurato nella sua ultima fatica, nella ricerca su Spinoza. Materialismo inattuale Già nel libro su Marx era implicita una nozione di soggetto ed oggetto come nomi - nomi comuni, non universali! - dell'essere produttivo, tanto che il concetto di appropriazione sociale delle forze produttive aveva senso solo come autodeterminazione dell'individuo sociale. Operando su Spinoza Negri può ora innestare questa interpretazione sulla «pienezza> dell'essere spinoziano, sul rifiuto di qualsiasi dualismo fra pensiero ed estensione, fra intelletto e volontà; solo la critica radicale del dualismo ontologico consente di liquidare la mediazione, la funzione trascendentale: «La categoria dell'essere è la sostanza, la sostanza è unica, è il reale. Non sta né sopra né sotto il reale: è tutto il reale>. Fra totalità e modi dell'essere, fra l'u- . no e i molti, non esiste mediazione ma tensione, non sussunzione astratta ma tensione dell'essere stesso. Negri ripercorre lo sviluppo di questa tensione nell'evoluzione del pensiero di Spinoza, da «Dio è tutto> a «tutto è Dio> («la differenza è importante: da un lato un orizzonte idealistico, dall'altro una potenzialità materialistica>), tentando di dimostrare come non si tratti di rovesciamento dialettico, ma di progetto costitutivo, di una strategia di costituzione del reale che si propone di «riempire> l'orizzonte della totalità, di identificarlo con una soggettività «compatta e piena>. L'identificazione già operata nel testo su Mane fra soggetto di classe, partito e utopia in atto - «il comunismo che si dà nella forma della transizione> - ci si presenta ora sotto un altro aspetto: la sostanza che legittima l'identificazione è la «potenza produttiva>, non la potenza produttiva del capitale, e neppure la potenza produttiva della classe operaia, se la si intende come produttività di plusvalore, ma la potenza produttiva dell'essere: «La forza produttiva promana dall'infinità dell'essere e la sua sola organizzazione è data nel movimento dell'infinito. Ogni subordinazione ed ordinamento della forza produttiva che non sia lo stesso autonomo movimento della sua forza costitutiva, è negatività, antagonismo, vuoto>. Inseriti in questa strategia filosofica, la negazione della realtà ontologica del capitale e l'affermatività del soggetto produttivo assumono valore assoluto. Rispetto a quella che nel libro su Marx era la materia antagonistica, questa nuova formulazione della soggettività, non più definita dalla produ-

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