si è raso al suolo... Se vogliàmo far nascere una Nuova Destra, c'è ancora tutto da fare. E dato il tempo perso, abbiamo circa un secolo per riuscire. Ciò significa che non c'è un minuto da perdere,.. ' stato Georges Sorel che ha messo E in luce con maggior chiarezza la necessità di miti sociali per smuovere le masse verso un fervore e una violenza rivoluzionari, in nome di una trasformazione assoluta e irrevocabile dell'ordine politico e sociale. Secondo Sorel, le pure teorie sono state il prodotto della mentalità borghese e per il fatto che sono state manipolate per descrivere e spiegare fatti, non sono riuscite a incitare le masse all'azione. Un mito sociale, d'altra parte, era essenzialmente un'espressione della volontà di emancipazione, non una descrizione di fatti. Solo i miti, ha scritto, rappresentano le forze storiche che nel passato avevano creato movimenti rivoluzionari come il primo cristianeI l MediJerraneo è stato a lungo un mare occidentale, dominato dalle forze navali briJanniche, francesi e americane. Lentamente le forze americane hanno preso il sopravvento su quelle degli alleati europei: ilprocesso è culminato nel 1956 a Suez, quando gli anglo-francesi vennero fermati dagli americani mentre stavano per invadere l'Egi1to. li predominio occidentale significò la possibilità di assicurare un grado minimo di ordine internazionale ed interno: dalla repressione del tentativo di i·isurrezione comunista in Grecia ali mtervento per il ristabilimento dell'ordine poliJico in Libano nel 1958. Erann gli anni in cui gli Usa erano accusati di essere il «poliziollo del mondo,.. La frase voleva essere offe,isiva, ma in rea/.Jìidescriveva in termini figurati una! ·tuazione di effettivo controllo delle crisi, di capacità di gestione della forza da parte della superpotenza americana, che permetteva una notevole stabilità e sicurezza internazionale. La siJuazione è mutata apartire dalla fine degli anni sessanta, quando nel Mediterraneo è comparsa la squadra navale sovietica e l'Urss ha cominciato a rifo-nire di armi e di assistentimilitari alcuni paesi arabi. La superpotenza americana è divenutu meno libera di agire, o comunque era cresciuto il ·ischio connesso con ogni iniziativa militare. li controllo e la gestione delle crisi è divenuto più difficile: più che ad interventi risolutori, si è optato allora ad interventi di contenimento o di congelamento delle crisi. Ciò ha lentamente deteriorato la capacità di controllo di ambedue le superpotenze, costrel/e continuamente a mantenere difficili equilibri sia tra loro che locali. E le crisi hanno cominciato a moltiplicarsi, sfuggendo di mano, permellendo il raggiungimento di «faiJsaccomp[is,., accrescendo il livello di violenza potenziale e di rischio degli interventi di contenimento. Facciamo due esempi tra molti: la guerra arabo-israeliana del 1973 si è conclusa con un allarme nucleare americuno; la crisi cipriota del 1974 si è conclusa con l'invasione turca dell'isola. Tali eventi sarebbero stati inconcepibili negli anni cinquanta o anche negli anni sessanta. Oggi la situazione sta nuovamente mutando: vediamo come. In primo luogo sta nuovamente mutando l'equilibrio delle forze militari. Gli americani hanno ridotto la loro preseni.a navale: una delle due portaerei della VI flotta è stata spostata nell'Oceano Indiano. La cosa ha una certa rilevanza: le portaerei sono sempre più vulnerabili ad a/lacchi missilistici, e l' u;ss ha sviluppato armamenti navali ed aerei intesi proprio ad auaccare queste grandi uniJà. Ma le portaerei in gruppo restano facilmente difendibili, grazie alla loro copertura aerea autonoma (oltre naturalmente all'apporto simo, la riforma protestante e la rivoluzione francese, e solo questi miti hanno ispirato il proletariato marxistia nel presente. Nell'opera di Evola e de Benoist abbiamo esaminato la funzione di questi miti sociali. In Evola forse la qualità mitica della sua metafisica è più pronunciata, ma anche in de Benoist, sebbene forse meno esplicitamente, il mito è una forza motrice. (De Benoist, per esempio, evoca costantemente il politeismo pagano, contro il nomoteismo Giudaico-Cristiano.) In entrambe le teorie esiste un richiamo quasi mitico alla violenza: in Evola, sovvertire lo stato attuale significa svolgere l'opera degli dèi, ritornando all'età dell'oro di Satya Yuga; in de Benoist, significa affermare la propria «soggettività eroica,. in un mondo di caos. In entrambe le teorie c'è il mito rivoluzionario di una escatologia, di un sovvertimento delle forze del male, per istituire o riistituire le forze del bene. Forse, allora, la risposta giusta a queste filosofie del fascismo è, a livello teoretico, una «demitizzazione» radicale, una distruzione dei loro credo nella verità assoluta (sia essa in un aldilà spirituale o una volontà di potenza volontaristica) e una riaffermazione della condanna dell'uomo alla mediazione senza fine e alla verità ermeneutica. Parlo di «ermeneutica» come di un impegno alla mediazione infinita e alla conoscenza discorsiva, all'azione che sempre supera il dato in direzione di un «più», ma che non trova mai questo «più» in una verità assoluta e uguale a se stessa. L'ermeneutica come posizione filosofica è impegnare l'uomo a un moto ineluttabile, come un movimento che tende a un orizzonte unificante del reale ma che non lo raggiunge mai, e di fatto scopre che si allontana sempre dalla sua presa. In termini politici, questa demitizzazione ermeneutica si verifica contro l'ottimismo finale delle teorie del tempo di Evola e di de Benoist, ed al suo posto propone ìa tragedia finale della storia e la necessità di un penultimo ottimismo. E cioè, un'ermeneutica politica non rifiuta l'azione nel mondo sociale; al contrario la esige, ma all'interno di una struttura di mediazione sociale, disingannata dall'illusione delle soluzioni finali. Ha imparato ad accettare il terrore della storia. Come mas ima per questo senso della tragedia finale e del penultimo ottimismo, potremmo forse prendere la frase di Cicerone, Nec mala nostra nec remedia pati possumus; il rifiuto di accettare sia il male nel regno del penultimo (dove in effetti viviamo sempre) che le soluzioni finali nel regno dell'ultimo (che non riusciamo mai ad afferrare). L'uomo potrebbe essere una indicazione di fini e inizi finali (in questo senso, l'uomo essenzialmente non è altro che futile metafisica) ma non li può conoscere. Come dice Eraclito (Frammento 122) l'uomo si trova sempre nello stato di anchibasi, di «approssimazione». Marenostrum difensivo delle unità di scorta). Cosi ad esempio tre portaerei possono insieme difendersi ed attacare. Due portaerei hanno già una minore libertà d'azione, ma una sola portaerei è costretta a concentrare le sue forze sulla difensiva, senza poter praie/lare auacchi sul nemico, almeno in una prima e difficile fase della ba1taglia.La VI flotta con due portaerei costituiva un gruppo difesa/a/lacco di tu/lo rispello, che poteva facilmente venir rafforzato dall' esterno. Così ad esempio durante l'allarme nucleare del 1973 gli americani a_vevanodue portaerei nei pressi di Creta, una tena portaerei appena più ad occidente ed una quartaportaerei all'altezza di Gibilterra, e tutte insieme costituivano un deterrente formidabile. Con la VI flo1taridotta ad una solaportaerei le operazioni si fanno più difficili. L'unità isolata non si spingerà più a fondo nel Mediterraneo orientale in tempi di crisi, senza attendere rinforzi dall'Atlantico (che potrebbero anche non arrivare o che potrebbero comunque impiegare una o due se/limane a seconda della situazione strategica complessiva). Ciò significa che il deterrente nucleare navale resterebbe confinato al Mediterraneo occidentale con evidenti conseguenze limitative della libertà d'azione occidentale in caso di crisi in Medio Oriente o sul fianco sud orientale della Nato. A questa situazione bisogna aggiungere il crescente ruolo militare di alcuni paesi arabi. Allo stato attuale ad esempio la Libia ha chiaramente messo insieme tutto il potenziale di armamenti e di basi militarmente protette per poter funzionare da punto di appoggio di un alleato esterno: in questo caso l' Urss. Essa ha una sovrabbondanza di mezzi militari assolutamente ingiustificata, vista l'effettiva consistenza delle due forze armate. I suoi circa 50.000 uomini non sono certo in grado di operare un mezzo blindato per ogni 9 o 1 O soldati o un aereoper ogni plotone di avieri! La Libia è un magazzino di armi a disposizione di chi le potrebbe usare, inviandovi rapidamente gli uomini necessari. Gli Usa da parte loro stanno riempiendo di basi l'Egitto, la Somalia, il Kenia, l'Oman ed ora anche (siapure in modo più discreto) l'Arabia Saudita. È vero che queste basi sono per ora soprattutto orientate verso il controllo di una possibile crisi nel Golfo persico o nella penisola arabica, ma è evidente che il moltiplicarsi di crisi in Africa (invasione libica del Ciad, prosecuzione della guerra civile etiopica e del confliJto con la Somalia, minacce libiche verso il Sudan, la Tunisia, il Niger e l'Algeria, prosecuzione del conflitto nel Sahara ex-spagnolo) e il mutare degli equilibri nel Mediterraneo ne accrescono il valore operativo anche in questa direzione. E 11011sono solo le basi: le armi a nuova tecnologia possedute dagli stati Stefano Silvestri rivieraschi non sono evidentemente in grado di far vincere loro una guerra, ma sono in grado (se usate occultamente o di sorpresa) di infliggere gravi danni anche alle forze delle superpotenze. Per limitare i nostri esempi alla Libia, 11011 è certo un caso che questo paese si sia dotato di ben sei sommergibili, e che i suoi caccia intercettori abbiano cercato di dirottare (l'estate scorsa) un aereo da ricognizione amerièano, per obbligarlo all'atterraggio forzato in Libia. Allora la manovra fu sventata per il rapido intervento di due caccia americani F-14, pronti in stato di preallarme sul ponte di una portaerei. Ma ingenere 11011si fanno questi scherzi se non si vuole provare qualcosa, trasmettere un messaggio, dimostrare lapropria capacità operativa. Il fallo che probabilmente i piloti dei caccia libici fossero palestinesi o siriani 1101f1a che rendere la situazione più preoccupante. Comunque, questo esempio dimostra una verità lapalissiana ed importante: l'uso dellaforza contro i paesi mediterranei deve ormai scontare la possibilità di una ragguardevole opposizione militare, forse non in grado di respingere un attacco deciso, ma in grado di infliggere alcune perdite rilevanti, e quindi obbliga l'eventuale a/laccante ad accrescere il livello della forza da usare, rendendo l'operazione più costosa e più rischiosa, e quindi anche meno probabile. Questo da un punto di vistamilitare. È forse inutile so1tolineare come muti anche la rilevanza politica dei paesi mediterranei? I paesi arabi, sopra/lutto, benché non abbiano ancora trovato un loro equilibrio politico comune e continuino a/acrememe ad avversarsi l'un l'altro, sono comunque riusciti a contare di più: grazie al petrolio, certo, ma anche grazie all'inventiva politica di Sadat, all'avvemurismo di Gheddafi, alla crescente importanza del ruolo intermedio tra Nord e Sud del mondo (e, in particolare, tra Europa e Africa), alla rilevanza infine del problema islamico in crisi difficili come buona parte di quelle afroasiatiche. A volte questi paesi pretendono di regolare più di quanto in realtà possano sperare di controllare. Ma i loro frequemi errori non tolgono nulla al fauo che essi sono divenuti interlocutori politici internazionali in prima persona. E infine nel Mediterraneo c'è anche un altro interlocutore «eccentrico» al puro e semplice equilibrio militare: la Comttnità Economica Europea. Economicamente è la principale potenza mediterranea, il centro di più della metà dei commerci e il maggior istituto di riciclaggio e investimento dei capitali. Entro pochi anni ben cinque stati mediterranei saranno membri della Cee, quando Spagna e Portogallo si aggiungeranno a Francia, Italia e Grecia. La Turchia è paese associato. La Jugoslavia è sempre più collegata alla Cee, da tra/lati importanti e dettagliati.Malta si è legata a filo doppio con l'Italia onde accrescere la sua i111egrazionenella economia europea. La Cee ha una «politica mediterranea» di particolari facilitazioni e intensificazione di rapporti con Israele, con il Marocco, con la Tunisia, con l'Algeria e con l'Egitto, e ha in corso un dialogo euro-arabo con i paesi della Lega Araba. Ed infine è anche un importante interlocutore de/- i'Africa (la maggioranza dei paesi africani aderisce alla Convenzione di Lomé, per i paesi in via di sviluppo associati con l'Europa). Vi è una sempre cresce111peresenza politica europea, non solo dei singoli stati nazionali, ma della Cee nel suo complesso. Il nuovo preside111'edella Commissione di Bruxelles, Gaston Thom, ha compiuto un viaggiopolitico tra i paesi arabi, mentre uno dei commissari, il francese Cheysson, si occupa attivamellle di problemi quali il conflitto somalo-etiopico. Un altro commissario, l'italiano Natali, ha avuto l'incarico di studiare una politica complessiva verso il Mediterraneo. E la Cee è anche sempre più riconosciuta come un interlocutore valido: recenti contaui con i palestinesi e soprauutto la visitadi Sadat al Parlamelllo Europeo in febbraio annunciano la possibilità di un ruolo crescente anche nello scacchiere più delicato, quello arabo-israeliano. Questi dunque sono i fattori nuovi di maggior rilievo. Potrebbero essere ~iassuntiin questi termini: cala la presa e il controllo delle superpotenze sugli equilibri mediterranei, si moltiplicano i conflitti e lepossibilità di crisi, aumenta la libertà d'azione dei paesi dell'area, cresce l'importanza degli interlocutori regionali. Per· l'Italia tutto questo può avere una rilevanza particolare. In questo ultimo anno si è chiarame111edelineata una certa tendenza politica italiana a «contare di più» nel Mediterraneo. Ne ha parlato il Ministero degli Esteri (che ha curato l'accordo per la protezione della neutralità di Malta) e ne parlano molto al Ministero della Difesa, dove si preoccupano delle conseguenze operative di questa scelta. Ne parlano persino al Quirinale, dove sottolineano l'importanza delle visite di Pertini in Algeria e in Jugoslavia nonché le preoccupazio_niper l'avventurismo libico e la longa manus finanziaria che sembra aiutare i terroristi nostrani. Non è, almeno sinora, un ritorno delle vecchie tesi filo-arabe o neutraliste a suo tempo accarezzate da 1111 La Pirao da un Fanfani. Al contrario, la nuova presenza italiana è neuamente caratterizzata da una scelta di tipo occidentale ed europea. Vi sono certo alcune «sbavature» (ora in direzione del/' lrak, ora della Libia, ecc.) ma non più di quante se ne verifichino in genere nelle migliori famiglie e comunque non tali da mutare l'orientamento complessivo. Partendo da entrambi gli scopi della storia della metafisica, quella platonica e quella nietzcheana, Evola e de Benoist offrono una filosofia del fascismo che interrompe la mediazione disgressiva, e perciò, che sia spiritualismo o volontarismo, violenta la natura storica dell'uomo. Ciò che è necessario è una forma diversa di «violenza», la violenza ermeneutica di imparare a vivere con il terrore della storia. Questa era il tipo di violenza che praticava Socrate, la sofferenza del discorsivo. E, in effetti, per il fatto che osò mettere in dubbio i miti di azione immediata e propose la condizione di «conoscere ciò che non si conosce», fu vittima di una violenza molto più grande. Come ha affermato Albert Camus nel 1948, il problema oggi è sapere se avalleremo di nuovo nella nostra vita il sacrificio di Socrate. La nuova situazione militare accresce natura/mellle l'importanza delle _ forze basate a terra, come appoggio o supplenza delle calanti forze navali. Così ad esempio i nuovi missili tattici a lungo raggio «cruise», che verranno installati in Italia potrebbero avere un doppio ruolo: da un latopotrebbero far parte del deterrente strategico europeo contro l'Urss (co111robila11ciando i missili sovietici SS-20), ma d'altro lato potrebblfroanche assumere alcuni compiti nucleari tattici di profondità sul fronte sud della Nato che in precedenza erano coperti dagli aerei della VI flotta (compiti di controaviazione ad esempio, o di imerdizione su bersagli fissi). In genere cresce la necessità di meglio coordinare le forze europee in questo mare e di assumere sempre nuovi ruoli. Alcuni più avventurosi parlano di presenza navale nel Golfo persico o su altri mari lontani. Questi sono esotismi di poco rilievo. La cosa importante invece è quella di assicurare la stabilità del quadro mediterraneo anche in presenza di un peggiore rapporto di forze. E per far questo gli europei hanno a disposizione molti più strumenti degli americani (anche se 1101h1anno la loro «superpotenza» militare, che però è sempre più lontana da queste acque): da quelli militari a quelli politici ed economici coordinati nella Cee. Mi sembra di sentire a questo punto il cupo fischio critico e u11po' saccente di molta sinistra nostrana e il ricorso ad una definizione abusata e a dire il vero molto confusa: si traua forse di «subimperialismo»? lo confesso di non sapere cosa sia questo «subimperialismo», a meno di non voler credere alla esistenza di nazioni «mercenarie», per cui l'Italia o la Francia diverrebbero ipso facto i giannizzeri o la legione straniera degli americani ... e anche così continuerei ad avere i miei dubbi sulla validità del concetto poiché è cosa ben nota come negli imperi in decadenza allalunga (e neanche 1a1110) i mercenari prendono il potere ... ma bando ai paragoni che non reggono. La realtà come al solito è più sfumata, complessa e ricca di alternative. È vero che i paesi europei hanno un ruolo maggiore nel Mediterraneo. È vero che questo maggior ruolo, per potersi esplicare, deve svolgersi nel/'ambito di una scelta atlantica ed europea (poiché altrimenti avverrebbe in contrasto con ambedue le superpotenze; non interessate ad un mutamemo di imerlocutori' in una loro area di interesse primario), ma è anche vero che queste «deleghe» non sono prive di opportunità e di importanza. È cioè possibile pensare ad un ruolo politico europeo autonomo di grande importanza in un'a~ea cruciale sia per il confro1110Est/Ovest che per il dialogo Nord/Sud. Certo sono carte che richiedono un gioco prudente e molta discrezione. Ma sono mani da· giocare.
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