Patrizia Dogliani, Giovanna Grignaffini, Leonardo Quaresima (a cura di) Avanguardia Realismo Populismo nel cinema francese degli Anni Trenta Comune di Modena 1980 Roberto Escobar, Vittorio Giacei D cinema del Fronte popolare Milano, Il Formichiere, 1980 pp. 353, lire 6.500 Jean Renoir I.a vita è cinema Milano, tr. it. Longanesi, 1978 pp. 144, lire 3.000 Giovanna Grignaffini René Oair Firenze, La uova Italia, 1979 pp. 152, lire 3.500 Roberto epoti Marcel Camé Firenze, La uova Italia, 1979 e on l'illuminante secchezza analitica che lo contraddistingue, Raymond Borde ha ricostruito il tracciato iconografico del cinema francese degli Anni 30, prendendo in esame 300 delle 6000 fotografie esposte nella Mostra cl.a France des Années 30 vue par son cinéma,. organizzata dalla Cinémathèque de Toulouse al Musée des Augustins nel 1975. In poche righe essenziali, Borde ha chiarito come ci sia una profonda consonanza tra la maniera di fare cinema nella Francia degli Anni 30 e quello s~ttacolo quotidiano che una realtà sociale assai tipica (e tipizzata) sembrava offrire di sé nel documento fotografico: gesti, attitudini, positure e modi d'essere che si rivelano nella modulazione del volto e della figura, in una stretta di mano, nell'espressione soddisfatta del borghese proprietario, nell'arte di fare la corte a una ragazza (cfr. L'Avant-scène, n. 173, ott. 1976). Un realismo spettacolare del gesto e dell'atteggiamento sembra dunque condizionare la cinepresa, prima ancora che abbia inizio il suo lavoro di imitazione del mondo; quel realismo spettacolare che si manifesta nei luoghi, nei volti, nell'abbigliamento, nei gesti e nei tics che attraversano i diversi ceti sociali, e che «dimostra come il cinema ha imitato la realtà e come questa, a sua volta, si è messa a somigliare al cinema,. (Borde, art. cit.). ln questo senso, il cinema francese degli Anni 30 non nasce programmaticamente come cinema politico o militante, ma piuttosto come cinema sociale direttamente coinvolto nelle immagini del quotidiano, nella sua maniera di farsi realistico perforando i ceti e gli ambienti, restaurando il melodramma sociale e il teatro da boulevard, riesponendo sul set o nello scenario urbano di ogni giorno il sentimento da feuilleton. Cinema in cui il paesaggio urbano non è ancora deserto metropolitano e non più cartapesta dell'avanguardia, poiché la scrittura d'avanguardia si è modificata impercettibilmente negli stili del film «medio,., suggerendo il modo di porre al cuore dell'esperienza estetica moderna la città; COSÌ come il cinema medio, a sua volta, ha posto al centro del racconto il caffè, il quartiere, il caseggiato popolare, le quinte sociali ritratte dal vero o ricostruite più vere del vero (si pensi al fabbricato di Le jour se lève o al Canale Saint-Martin di Hotel du Nord di Marce) Carné) che fanno il tono e lo stile di una scrittura cinematografica uscita dalla kermesse della sperimentazione. Periodo estremamente ricco e movimentato, percorso da temi, motivi, autori, istanze sociali ed estetiche multiformi, il cinema francese degli Anni 30 è stato scandagliato in un recente Convegno di studi promosso dall' Assessorato alla Cultura del Comune di Modena assieme a un'ampia rassegna di film (più di sessanta titoli). Si è trattato di un impegno organizzativo e culturale assai sostenuto, che prosegue quella indagine storica e stilistica dell'universo cinematografico avviata nei precedenti convegni-rassegna dedicati al cinema della Repubblica di Weimar e al documentarismo britannico, nel tentativo di saldare in un orizzonte il più possibile unitario le articolazioni della cultura contemporanea: storia e spettacolo, industria culturale e società, arte e linguaggio. ln questa prospettiva di sintesi culturale e storica, il Catalogo critico allestito dai curatori del Convegno e della rassegna si rivela una guida efficace nel tracciare gli itinerari di lettura dei fatti cinematografici di oltre un decennio, nel fornire un consistente materiale critico «d'epoca» e nel disegnare con precisione le coordinate storiche del Fronte Popolare. Basta sfogliare il volume per rendersi conto che ci si trova di fronte a una produzione cinematografica densa e multiforme, «compressa,. tra gli esiti dell'avanguardia (delle avanguardie) e il proliferare e l'intrecciarsi dei generi e delle «maschere,. dell'universo realistico (il tutto nell'alone un po' sinistro dei fantasmi del '36). Questo decennio rischia in effetti di soffrire o per una ipersemplificazione storica e politoco-culturale che ne accantona la ricchezza e la varietà costringendolo nella sigla di «cinema del Fronte Popolare», etichetta parapolitica che non sempre rende conto dei processi complessi alla base dei fatti cinematografici di quel periodo; oppure può soffrire per il rischio opposto della ramificazione eccessiva, e per lo spappolarsi del paesaggio produuivo, tematico, stilistico nei sottomondi della sperimentazione linguistica, nelle linee di fuga appena abbozzate in formule vaghe, nel pulviscolo degli autori e delle «scuole», nei tracciati esili delle diverse intenzioni, nelle fisionomie e nei caratteri socioculturali che non si lasciano facilmente comprimere in una visione d'insieme che sia al tempo stesso chiara, esauriente, definita. Per quest'ordine di motivi, tra i possibili modi di «tagliare,. la questione, i curatori del catalogo hanno deciso l'inquadramento «per generi culturali,., vale a dire il raggruppamento tipologico delle tendenze tematiche e stilistiche, in un tracciato di orientamenti e di esperienze che vanno dalle trasformazioni dell'avanguardia ai generi del film medio, dal cinema del Fronte Popolare all'universo realistico e alle sue maschere. Ne viene fuori una mappa ragionata dei filoni, degli autori, delle tendenze, delle «scritture» tra il 1929 e il 1944; un arco di tempo dilatato rispetto alla fase storica del Fronte Popolare e delineato secondo una prospettiva sociopolitica che rivela uno spessore culturale e una capacità di trasformazione del costume e del vivere quotidiano che non poteva non incidere sull'assetto sociale del cinema, COSÌ come non poteva non incidervi l'esaurimento dell'avanguardia e il modo di produzione industriale. In tale contesto, la fase sociopolitica aperta dall'esperienza del Fronte Popolare costituisce un momento determinante della cultura degli Anni 30; anzi, per meglio dire, costituisce l'evento storico decisivo che accoglie le istanze di profondo rinnovamento sociale e culturale oltre che direttamente politico e sindacale. Il Fronte Popolare, in questo senso, è l'evento politico che chiarisce e definisce nuovi assetti sociali, e che proietta in una dimensione pubblica un determinato configurarsi della cultura e del vivere quotidiano, un ceno ordine di rapporti tra i ceti e le classi popolari che, in gran parte, viene riprodotto nei rapporti che si stabiliscono fra industria culturale e società e tra intellettuali e classi sociali. È dunque più adeguato sottolineare il filo che lega i diversi «repertori» sociali e cinematografici alla fase storica aperta dall'esperienza politica del Fronte, che non ricercare le fratture e le distanze, le differenze e le contrapposizioni, gli iati supposti incolmabili tra settori diversi del paesaggio culturale, politico e sociale. Questo legame è visibile in ciò che unisce la scrittura dell'avanguardia a un certo filone del cinema populista nella maniera di sottolineare associazioni fulminee, di suggerire giudizi impliciti, di favorire reazioni emotive tramite il ritmo interno dell'inquadratura e le cesure del montaggio; nella maniera di approntare una punteggiatura rapida, secca, appropriata al tono didattico o alla efflorescenza purovisiva. Si coglie nella corrente visiva che attraversa la città-giocattolo di Claire la Nice di Vigo, ma anche certi angoli di Renoir o le nebbie di granito di Carné. Infine, si rivela in ciò che avvicina il realismo sociale al «corsivo umanitario» di tanti racconti esemplari a metà strada tra reportage, cronaca, favola, memoria documentaria, commento; ed è manifesto nella animazione che riscalda i quartieri della vecchia città o delle periferie, alimentati con il sentimento popolare della letteratura d'appendice, con le figure femminili che escono eroicamente dall'anonimato per accedere a quel set del quotidiano dove si mescolano la sensualità e la grazia, il piccolo innocente tradire e la grande tragedia del sospetto e dell'impossibilità dell'amore. Divismo di periferia, come lo ha battezzato amorevolmente Piera Detassis, non codificato e tutto da ricostruire e da restaurare, da descrivere, nominare, mettere nel giusto rilievo di una educazione sentimentale che si compie al cinema e con il cinema, nella intimità di ogni giorno scoperchiata nel set. Il Convegno di studi è stato così dedicato ad un paziente lavoro di messa in evidenza del rapporto esistente tra politica e cultura, tra storia e immaginario cinematografico nella Francia degli Anni 30; ripercorrendo i sentieri che fanno incontrare René Clair e Jean Renoir nella città fatta set, o ripercorrendo le strade che fanno incontrare Marce! Carné e Julien Divivier in quell'universo realistico che è già fantastique sociale nell'uno e forse «maniera» nell'altro, anche se corposa. Gli interventi puntuali di Patrizia Dogliani, Giorgio Caredda, Rosanna Greci hanno chiarito il rapporto esistente tra eventi sociali e cultura popolare, tra la situazione sociopolitica e !'«immagine del tempo». Le conquiste sociali, le aspirazioni ad un miglioramento della qualità della vita, la spinta verso un rinnovamento culturale e umano emergono ovunque: sia nella organizzazione del tempo libero e nella attività didattica e assistenziale del sindacato e dell'associazionismo, e sia nell'orgoglio con cui l'operaio difende il suo contatto con il centro della città; quando la manifestazione politica diventa marcia non solo di avvicinamento al centro ma impossessamento del cuore di Parigi, vanificando la tendenza alla «metropolarchia», all'accentramento dei servizi e dell'amministrazione come modo migliore per controllare le «classi pericolose» e per ricacciarle nella Grande Banlieu, in un paesaggio urbano destituito di qualsiasi rilievo politico. È per questo insieme di elementi intrecciati che sarebbe impossibile tentare di delineare gli orientamenti e i risultati del cinema francese di quegli anni senza intendere fino in fondo le profonde trasformazioni dell'habitat socioculturale che la politica del Fronte Popolare raccolse, incanalò, trasformò e in qualche modo amplificò. Il cinema registrava e torniva le immagini del rinnovamento, in maniera anche disordinata e contraddittoria, talvolta confusa, mescolando il realismo della grande letteratura dell'Ottocento al romanzo d'appendice, la propaganda al sentimentalismo, il populismo alla tragedia, la trivialità all'onore e alla nobiltà d'animo. D'altro canto il melodramma e la letteratura d'appendice sembrano animare il set degli Anni 30, così come il pacifismo e la fiducia nell'educazione delle classi popolari, il populismo e la carica umanitaria sembrano animare lo «spirito del '36», consolidandosi in una galleria di immagini tipiche e di clichées sociali che detengono il primato nella capacità di restituire il clima e le atmosfere di quegli anni più di quanto il cinema politico in senso stretto riuscisse a fare. S • i deve dare ragione a Escobar e Giacei quando sostengono che un cinema del Fronte Popolare non ci fu (a differenza di quanto accadde nel Cile di Allende ), e che si deve piuttosto parlare di «incidenze dell' 'esprit du temps' nel cinema corrente, causate dalla grande attenzione e attrazione che il mondo culturale e gli ambienti intellettuali francesi avevano riservato al momento politico che stava vivendo il paese» (p. 72). In realtà furono solo due i film che possono essere considerati come emanazione diretta del Fronte: La vie est à nous (1936) e La Marseillaise (1937), firmati entrambi da Jean Renoir, il cineasta che mantenne i contatti più stretti (anche se contraddittori) con il Partito Comunista francese. Sono filmche nascono S!.òllsacia dell'esperienza politica del Fronte, il primo commissionato dal Partito comunista per le elezioni del '36 (ma circolò -soltanto nei cineclub e nelle sezioni del Partito), il secondo realizzato mediante .pubblica sottoscrizione e proiettalo solo nei primi mesi del '38, quando il Fronte si avviava già verso la sua liquidazione. Due film che sono anche testimonianza della politica incerta del Governo nei confronti della cinematografia e della cultura di sinistra in genere; incertezza che finì per favorire di fatto l'industria privata, dopo averla inutilmente allarmata con la minaccia corrente e mai attuata della nazionalizzazione. Viceversa, è proprio nella maniera in cui il cinema «medio» raccolse il clima del tempo che si può vedere l'incidenza delle riforme approntate dal Fronte, a partire da quella più controversa e osteggiata dalla Destra, vale a dire la legge sulle ferie pagate. Il cinema, come la fotografia, ha registrato le immagini di un modo di vivere che emerge nelle lotte e negli scioperi, nei cortei e nei comizi del '36; sono le immagini di Robert Capa e di Henri Cartier-Bresson, che costituiscono il documento vivente di una mutazione della vita quotidiana e della temperie culturale dell'epoca. In questo senso è opportuno ricordare il peso che ebbe il cinema nel diffondere una diversa «cultura del quotidiàno» in quegli anni di speranze sociali; le trattorie di periferia, i quartieri popolari, i cortili della vecchia cit-- tà, le lavanderie, i fabbricati affollati, i portoni e le pensioni ammobiliate diventano i veri «soggetti cinemat9grafici» sui quali s'impernia la vita della città, nei quali pulsa la vita dei personaggi familiari, popolari, che vivono l'avventura quotidiana dell'amore, i suoi piccoli tragici intrighi nello spazio di un circuito che è quello del caseggiato o dell'albergo. Le crime de Monsieur Lange di Renoir, Pension Mimosas di Feyder, La belle équipe di Duvivier, Hotel du Nord di Carné mellono in scena la vita di ogni giorno come collezione di ambienti, volti, gesti, abbigliamenti, reazioni emotive, gerghi del sentimento, che fanno uscire il cinema allo scoperto, negli spazi intimi della stanza d'albergo o negli spazi aperti dei boulevards. In questo senso, il richiamo all'avanguardia come esperienza moderna della metropoli si lega al recupero della letteratura realista dell'Ottocento; ad un senso del realismo come dettaglio visivo di un sentimento o di un paesaggio che si fa vicenda interiore. Di quest'uso del paesaggio metropolitano da parte dell'avanguardia è testimonianza e esempio irripetibile il cinema di René Clair di quegli anni, con la sua capacità di mettere a nudo lo scenario urbano rendendo la città deserto e cartapesta, magazzino surreale dei fantasmi, città-giocattolo dell'artificio e dello choc, come ha messo bene in luce Giovanna Grignaffini nella sua monografia. Ma ne è testimonianza anche il cinema di Jean Renoir, il suo modo di raccontare ancorato al dettaglio e al collage di piccole situazioni fatte spazio e ambiente, la sua scelta di piccole storie quotidiane animate da quello che egli ha chiamato «realismo interiore» in contrapposizione a quell'«altro realismo», il «realismo esteriore» di una scenografia sofisticata, eccessivamente mimetica. G li scritti di Jean Renoir diventano al pari dei suoi film un documento vivo del tempo, nella bonaria rievocazione di ambienti, atmosfere, volti, situazioni calate in un modo di fare cinema «artigianale»; rivivendo le trame e le storie sul set, modificandole a contatto con il talento e con le esigenze dell'allore. Al rapporto con il set e con gli attori Renoir ha dedicato pagine preziose, riflessioni acute e attualissime che chiariscono quanto egli avesse chiara la nozione di realismo e di messa in scena. E anche l'autobiografia di Marce) Carné (la cui edizione - già pronta in bell'italiano-è stata inspiegabilmente congelata dall'editore Longanesi) è un documento appassionato delle manie morbose che attraversano il cinema di quegli anni, dentro e fuori, come ha raccontato Lorenzo Pellizzari al Convegno. Scacchi e speranze, illusioni e debolezze, difficili rapporti umani hanno scandito la vita e l'opera di Carné., La monografia di Roberto Nepoti aiuta a capire luci e ombre del personaggio Carné, ricostruendone puntigliosamente le ambizioni e il carattere, la psicologia e gli esiti; e illustrando i limiti complessivi di un'opera troppo tesa tra elementi contraddittori, eppure densa di fascinazione proprio per l'impasto di tendenze contrapposte e finanche caotiche. Fascino indiscutibile del clima un po' perverso e un po' angelico del fantastique sociale realizzato da quella sorta di ossimoro produttivo che fu la coppia Prévert-Carné: l'uno attestato sulla carica positiva dell'amour surrealista, l'altro impegnato ad arginare la forza demoniaca della carne, la colpa tragica dell'amare. Uno straordinario «effetto-cinema», come ha suggerito Pellizzari, che può fare da guida a tutto il decennio, forse soprattutto per la centralità maniacale della cura dell'immagine che sovrasta (e rimpasta) temi e passioni sociali, melodramma e tragedia, colpe e inganni del fantastique sociale. ...
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