di morte: la dinamica «pluralistica,. del conflitto e della transazione tra i diversi gruppi di pressione e «corpi,. istituzionali porta inesorabilmente alla dissoluzione dell'unità sovrana dello Stato. R itorna cosi, dentro l'incandescente laboratorio europeo degli anni '20, il tema-principe della filosofia politica moderna- ma disarticolato nelle sue due componenti costitutive (e in tensione reciproca): lo specifico attributo della sovranità e la legittimità come assicurazione di un legame sociale durevole, come causa efficiente di uno stabile consenso dei governati. Contrariamente a quanto tendano ad avallare le interpretazioni intese ad omologarlo agli stereotipi di uno statalismo «reazionario,. che drammatizza il problema dell'ordine e della stabilità istituzionale, Schmitt - almeno fino all'inizio degli anni '30 - centra decisamente il primo di questi due aspetti. La sua preoccupazione principale è di assumere il motivo classico della «teologia politica,. a nucleo centrale della propria riflessione. Ciò non toglie, tuttavia, che egli condivida con Weber un elemento di essenziale discontinuità con quella tradizione: la crisi dei fondamenti su cui si reggeva il soggetto politico classico della sovranità. Qui la differenza radicale tra Schmitt e lo statalismo reazionario tedesco dell'Otto-Novecento, nel quale egli scorge infatti un ritorno a quell'utopia regressiva della pacificazione che riposa sulla pretesa di rifondare in chiave organicistico-corporativa l'identità statuale. Frequente ed esplicita ricorre, d'altronde, negli scritti schmittiani la polemica - già in precedenza ricordata - con le diverse varianti del corporativismo: dalla versione romantico-reazionaria di un Othmar Spann, a quella ben altrimenti articolata di un Gierke, fino allo stesso «pluralismo,. di Cole e Laski. Il dispositivo della critica schmittiana si sorregge su due coordinate, entrambe essenziali alla determinazione del concetto di politico In primo luogo, il criterio specifico del politico non sta nel rifondare e nel ricomporre, ma nel dirimere e nel dividere: qui il significato più peculiare ed intrinseco del concetto di decisione (Entscheidung). La teoria della decisione appare in Schmitt fuori da ogni strategiafondazionalistica. Di per sé, la Entscheidung non comporta alcun riferimento a un soggetto costitutivo o a un fondamento (e ciò vale, in un certo senso, per la stessa norma kelseniana: anch'essa «senza fondamenti,., nella sua qualità di figlia del disincanto weberiano). Il «politico,., d'altronde, è definito da Schmitt fuori di ogni metafora spaziale: non luogo fisicamente delimitabile, ma «criterio,., appunto, che acquista senso ed efficacia solo in rapporto con la tonalità di volta in volta prevalente nel contesto pluridimensionale della «cultura dell'epoca,., riassunto nel concetto di Zenrralgebie1. Il politico non s'identifica, né si riconcilia, con nessuno degli «ambiti centrali,. che hanno caratterizzato il moderno processo di secolarizzazione della «teologia politica,. (dalla teologia alla metafisica, dalla morale all'economia. fin alla contemporanea «era della tecnica,.), ma li attraversa tutti destabilizzandone le funzioni «neutralizzanti,._ In secondo luogo, la validità del politico non dipende da nessuna struttura giuridica, da nessun assetto istituzionale, da nessuna compagine costituzionale. Può solo «manifestarsi,., mai realizzarsi-risolversi in essi. La ragione di ciò è racchiusa nella coppia opposizionale propria del «politico,.: l'antitesi amico-nemico. Ma, proprio perché vi è racchiusa, non basta prenderne atto, assumendola nella sua (presunta) brutalità esistenziale. Non basta, cioè, descriverla: occorre guardarvi dentro. La peculiarità di quell'antitesi si rivelerà allora nei termini di una ro11uranella traforma dellapolitica e forma del contra/lo-scambio. La salvaguardia della specificità del politico è- com 'è noto- rigorosamente vincolata alla condizione che nella coppia concettuale che lo connota non intervengano altri criteri distintivi (ad esempio: economici, morali, estetici, psicologici, ecc.): «Nelle drastiche alternative delle discipline accademiche tradizionali,., si legge.in una delle note esplicative introdotte nella riedizione del '63 di Der Begriff des Politischen, «amico e nemico vengono o demonizzati o normativizzati, oppure tradotti, in base ad una filosofia dei valori, nella polarità di valore e disvalore». «Nemico,. è per Schmitt il nemico pubblico (hostis ), non il nemico personale, privato (inimicus ). Il concetto di hostis esciude non solo ogni referente di carattere emotivo, di valore, ecc., ma anche ogni continuum Ira il politico e il legame interindividuale. Il politico si qualifica così come quel tipo particolare (particolarmente intenso) di «aggregazione,. che dirime e innova, rompendo con il criterio neoclassico della commensurabilità degli «interessi,. (ridotti a pura quantità, a «grandezze•). «Sovrano,. è, allora. proprio colui che decide su quello «stato di accezione» che, «per la dottrina dello Stato di diritto di Locke e per il razionalistico XVIII secolo•, rappresentava «qualcosa di incommensurabile,.. La polemica con il normativismo si specifica qui come critica al riflesso teorico dello «Stato neutralizzante». Sovrano sarà, dunque, chi si rivelerà capace di tracciare la linea di demarcazione tra «amico,. e «nemico,.. Di ridisegnare i profili dell'antitesi politica dietro l'apparente normalità dell'equilibrio concorrenziale. Di mettere a nudo la tensione agonale neutralizzata in quella «situazione media omogenea,. che rappresenta la condizione di efficacia della norma giuridica e il prerequisito di vigenza della forma-scambio. È l'eccezione a costituire la misura della «regolarità» e della «normalità», non viceversa. È , quindi, nello Ausnahmezustand che si manifesta la verità e l' «essenza» della norma, il segreto del suo dominio purameme formale: «Sarebbe razionalismo conseguente», osserva Schmitt, «dire che l'eccezione non dimostra nulla e che solo la normalità può essere oggetto di interesse scientifico. L'eccezione confonde l'unità e l'ordine dello schema razionalistico. ella dottrina dello Stato positivistica si incontrano spesso argomenti del genere. ( ... ) Solo una filosofia della vita concreta non può ritrarsi davanti all'eccezione e al caso estremo, anzi deve interessarsi ad esso al più alto grado. Per essa l'eccezione può essere più importante della regola, e non in base ad una ironia romantica per il paradosso, ma con tutta la serietà di un punto di vista che va più a fondo delle palesi generalizzazioni di ciò che comunemente si ripete. L'eccezione è più interessante del caso normale. Quest'ultimo non prova nulla, l'eccezione prova tutto; non solo essa conferma la regola: la regola stessa vive solo dell'eccezione. ell'eccezione, la forza della vita reale rompe la crosta di una meccanica irrigidita nella ripetizione». U no Stato mero garante-custode della norma, dell'ordinamento giuridico-istituzionale dato, finisce per identificarsi e annullarsi in esso. L'equilibrio su cui si regge l'automatismo normativo non può più essere, in tal caso, innovato e trasformato, ma soltanto aggiustato e «ottimizzato». Ma una volta che - pervenuti all'ultima sponda della neutralizzazione-spoliticizzazione: l'era della tecnica - quell'equilibrio s'incrina, il destino dello Stato sarà fatalmente quello di restarne coinvolto, assorbito senza residui. Questo Stato per Schmitt, è morto (così come, per Nietzsche, è irrevocabilmente morto il Dio che oziosamente presiede all'ordine immutabile del mondo), perché ha perduto il monopolio del politico. In questa morte, e in questa perdita, è racchiusa quell'intera peculiarità che è anche l'intero dramma dell'epoca presente. Ma è proprio a partire da questo esito che si affacciano le aporie più vistose della problematica schmittiana. Malgrado la lucidità della diagnosi della crisi dello Stato neutralizzatore, malgrado l'efficacia della critica ai presupposti del normativismo, il discor o di Schmitt accusa degli scompensi e dei vuoti, imbattendosi in un'oscillazione che, nel corso degli anni '30, finirà per risolversi in un avventuroso tentativo di saldatura tra le due dimensioni che egli aveva inizialmente curato a tenere distinte: il «politico» e lo «statale» - fino alla riassunzione surrettizia del primo nel secondo (e all'inevitabile ripristino di capisaldi fin troppo noti della tradizione reazionaria). n concetto di sovranità tende ad assumere in Schmitt uno statuto ambiguo: ora formalistico, ora empiristico. Ciò consegue direttamente da quella sorta di codice binario che si viene a costituire in conseguenza della distinzione tra politico e statuale, da un lato, e della correlazione tra la sovranità e il «chi» decide sullo stato d'eccezione, dall'altro. Il «soggetto» (ma meglio sarebbe dire il Triiger, il portatore) della sovranità è definibile solo fattualmente: in termini esistenziali e non normativi. L'esistente è infatti, per Schmitt, contingente: non è mai, in alcun modo, deducibile. Siamo agli antipodi non solo del metodo marxiano della Formebestimmung (dove la Daseinsformen o Existenzbestimmungen sono ottenute per deduzione dalle categorie), ma anche di ogni possibilità d'individuare la costituzione dei soggetti storici concreti del conflitto e della sovranità attraverso la dinamica di rapporti di forza espressa dalla Verfassung. Per le «esistenze» non vi è infatti Bildung, processo di generazione-costituzione: vi è soltanto gemmazione. La decisione non è immanente alla Verfassung (se cosi fosse, Schmitt sarebbe esclusivamente un capitolo di storia del costituzionalismo tedesco otto-novecentesco), per il semplice fatto che essa è - come aveva notato già nel '32 Siegfried Marck - normtranszendent; vale a dire, secondo la definizione datane dallo stesso Schmitt in Politische Theologie, «libera da ogni vincolo normativo», «assoluta in senso proprio». on a caso, proprio in questa stessa opera, allorché si elencano - in base all'assunto che «tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati» - gli analogismi che intercorrono tra teologia e giurisprudenza (ad esempio: trascendenza divina/ trascendenza del sovrano, onnipotenza di Dio/ onnipotenza del legislatore), viene stabilita una stretta correlazione in parallelo tra lo «stato di eccezione» e la funzione svolta in teologia dal miracolo. La Entscheidung non è mai effetto o risultante di un processo di formazione-costituzione, ma viceversa costitutiva di esso. Che la decisione dia sempre luogo a una nuova Verfassung, non vuol dire assolutamente che ne dipenda. Sotto il profilo del rapporto legalità-legittimità non vi è differenza radicale tra la posizione di Schmitt e quella di Weber. La critica schmittiana a Weber- di ridurre (al pari del normativismo) la legittimità a legalità - è imputabile infatti in buona misura, come si ricordava inizialmente, alla forzata assimilazione delle tesi weberiane operate da Kelsen in Der soziologische und der juristische Staatsbegrifi. Se è vero che per Weber la legittimazione del potere non può essere fatta meccanicamente discendere dal semplice riscontro empirico dell'effettività (della continuità di Ùn ordinamento coattivo che ottiene obbedienza), è altresl vero che per Weber, come per Schmitt, la legalità e l'ordinamento giuridico non sono la causa della legittimità, ma soltanto la sua forma necessaria. Ma, oltre la soglia di questa dichiarazione di non-autosufficienza del criterio della legalità, la riflessione schmittiana sembra imbattersi in aporie ancora più vistose di quella weberiana. Sul versante propositivo, infatti, il politico sembra costituirsi nella sua irrelata e assoluta autonomia in opposizione speculare al formalismo della norma, come rovescio simmetrico della generalità-indeterminatezza dello schema liberale. In questa luce è possibile recuperare un aspetto della critica di Uiwith: «Schmitt non può in realtà dire ( ... ) dove il politico sia posto, se non in una totalità oltrepassante ogni determinato settore della realtà, neutralizzandoli tutti allo stesso modo, sebbene in una direzione inversa a quella della spoliticizzazione». Il problema, in un primo tempo espunto, della durata della relazione di potere si riaffaccia con prepotenza nei termini più schiettamente classici della «perpetuità» dell'ordinamento statuale. Il drastico cortocircuito tra motivo della decisione (e della sua portata innovativa rispetto agli automatismi giuridico-costituzionali preesistenti) e motivo dell'ordine finisce per condurre Schmitt al riassorbimento surrettizio del tema del politico in quello dello Stato. Questo esito così «ovviamente» reazionario si spiega soltanto con la persistenza di una vena di nostalgia per la pacificazione simbolico-pontificale- profondamente radicata nel suo pensiero, ma spesso e volentieri trascurata dalle più recenti «riattualizzazioni» -, di cui fornisce una spia significativa il suo spiccato interesse per la filosofia cattolica della Controrivoluzione: da de Maistre a de Bonald e - soprattutto-a quel Donoso Cortés dal quale egli riprese entusiasticamente la sprezzante definizione della borghesia liberale come «clasa discutidora». Proprio nel punto più alto e logicamente più cogente della critica postweberiana al liberalismo si annida, dunque, un sottile contrappasso. Esso assume la forma di un paradossale anacronismo, che si manifesta nell'incapacità di portare fino in fondo le conseguenze del riconoscimento che la dimensione statuale ha ormai irrevocabilmente perduto la propria «aura», ed è in se stessa espressione- in seguito al processo di deformalizzazione innescato dall'impellente necessità di interiorizzare nella struttura materiale della Verfassung le nuove dimensioni del conflitto e della rappresentanza «corporatista» degli interessi-di quella crisi della «sintesi» che segna il punto di avvio della grande cultura europea di questo secolo. li decisionismo di Schmitt ha il merito di prendere atto, a un alto livello di consapevolezza teorica, di un processo che si veniva producendo nella pratica (e che rendeva oltremodo problematica l'efficacia esplicativa del modello weberiano di razionalità burocraticoamministrativa): la scollatura, il nonparallelismo, l'asincronia tra ratio economico-produttiva e assetto politico-istituzionale. Ma ottiene questo risultato al caro prezzo di far dipendere linearmente le trasformazioni interne a una morfologia sociale, sempre più disarticolata e differenziata, dalla decisione assoluta del Soggetto-Stato. Se la costante di anti-neutralizzazione del Politico è indifferenza ai oggetti storicamente determinati che si costituiscono dentro la dinamica dei «mutamenti di forma» del diritto e dello Stato (come aveva genialmente intuito Franz Neumann) - dando luogo a assetti sempre rinnovati della «Costituzione materiale»-, la Sovranità non è altro che sovrana indifferenza al sistema dei bisogni, degli interessi e delle relazioni di potere emersi dalla crisi dello Stato liberale.
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