oO .... o anche solo di organizzatori completamente demotivati. Praticamente, quasi in nessun carcere esistono «locali per attività in comune»: tentativi di sopperire a questa lacuna con la politica dellle «celle aperte», per reparti ed ore diurne, sono discontinui e rientrano; ma si dirà poi che cos'è, che cosa diviene, senza scampo, in un simile contesto, la vita comune. Le «comunità esterne» non cercano contatti, se non saltuariamente attraverso conferenze di San Vincenzo o altrigruppi di volontariato, magari meno indecenti ma sempre esigui e, sembra, difficilmente privi di macchie di velleitarismo e illuminismo; quando non di ombre assai più sospette, «Soccorso rosso» per intenderci. li sindacato è silente, salvo sporadiche iniziative; le 150 ore. Non risulta che le amministrazioni locali si ingeriscano, se non quelle di sinistra e quasi sempre solo in rapporto alle strutture materiali: incontrando poi pesanti ostacoli frapposti dalla burocrazia ministeriale. Non risultano, a parte eccezioni, prassi di esercizio delle facolià ispettive proprie dei parlamentari e dei consiglieri regionali, con la visita degli istituti. Ma del resto da moltissimo tempo in qua il governo ha preso la buona abitudine di non rispondere alle interrogazioni sulla materia. Circa ogni anno alla Camera dei deputati, nella commissione giustizia, una o due scelte sono dedicate ad un dibattito sull'attuazione della riforma penitenziaria: la cosa scivola sempre più nel rituale qualsiasi onesto sforzo tenti di impedirlo, muovendo da relazioni fatte per non dire nulla, prevedibili anche nel/'agget1ivazione; e l'estate scorsa con un incredibile increscioso exploit del minis1roMorlino. insomma, comunque, w1 reale compattissimo muro di gomma. A questo punto diverrebbe legittimo domandarsi quali davvero fossero, sin dallaparlenza, questi «contenuti» della riforma. Anche se, ovviamente, si sa bene che, nel contesto, ogni legge «di riforma» non può che essere ambivalente, venendo da ima mediazione. Ma a quale ideologia dà spazio,· in quali praliche manipolatorie rischia di risolversi il «trattamento» dei reclusi, senza il supporto di cambiamenti nelle cose? e, per esempio, quali equivoci sottende il concetto s1essodi «comu11itàesterna» (ciò che è accaduto in ma1eriadi scuola può fornire indicazioni)? Qui basta accennare, sempre per esempio, che ali'Asinara il direttore, il nolo dottor Cardullo, sembra sottoponesse ques10 o quel de1enuto a sue letture estemporanee del poe/a Quasimodo (insieme ad a/1ro);mentre poco più in là terrorisii «storici» delle Br 1enevano corsi regolari ai loro compagni di pena: di fisica, storia, ma1ematica, non solo di guerriglia urbana. Si è detto finora quali non sono gli slrumenti di governo del carcere, si è descritto un vuoto. Ques10vuoto viene control/a10da altri s1rumenti: tradizionali ed improntati, lutti, ad una violenza più o meno espliciw. La mobili1à è fra essi, da sempre. Comporta gravissimi sacrifici per i de1enuti, allontanandoli dai centri dei loro interessi e dei loro affetti, ostancolandone la difesa quando sono impu1a1i, 1rascinandoli in umilianti corvées, costringedoli ad ulteriori difficili assestamenti. La punizione cosi inflittanon è 1aledi nome: e quindi non c'è procedimento disciplinare e possibilità di difesa che ne garantiscono, essa res/a affidala ali'arbi1rio.Ed il de1errenteè massimo quanto a buona destinazione può prospettarsi uno di quei veri inferni che sono i manicomi giudiziari. Ma esistono, da sempre, sopraffazioni ancora più dirette. Le voci di pes1aggi ed altri mal1rattamenti fisici si infi11isconpou:bblicamentneonprovate, difficilmente verificabili, ma sorrette da una loro plausibili1à. Si intende però sopra11u110la sopraffazione delegala, con o senza intenzione, la violenza di de1enutosu detenuto, lo spazio lascialo libero alla legge « naturale» della galera. Che è vecchia, consue1a legge di ma/avila, di camorra, di mafia; e in ogni caso del più forle; e prelende le peggiori nefandezze e so11omissioni(si ha idea quanto lo stupro, per usare la parola altrove di moda, sia merce corrente in carcere?); ma assicura, o assicurava, un suo governo, una sua s1abili1à. È ad una gestione peni1enziaria così informa/a che, nella seconda meià degli anni '70, si pongono i problemi dello s.viluppo delle organizzazioni criminali, del lerrorismo, delle modificazio11i culturali e politiche (si è detto quali) della massa dei reclusi. Evidentemente solo i primi due problemi hanno accezione negativa:ma assorbono 1u11la'at1enzione. Anche perché, ft a cavallo degli anni '70, quando iniziano a prospettarsi le difficoltà d'attuazione della riforma appena approvala, rivolle ed evasioni aumentano notevolmente. La risposta si cerca nel carcere di massima sicurezza. L'idea del raggruppamento dei detenuti in contingenti omogenei èpropria alla riforma, agevola un trattamento adeguato. Va bene del resto che, in una situazione di deficienze strutturali, la vigilanzamaggiore si concentri sui reclusi più pericolosi, anche in modo da consentire un approccio diverso agli altri (garantendo comunque i diritti di tutti). Questo approccio però manca, l'unica iniziativa si consuma nella massima sicurezza. La concezione generale del carcere come mera custodia, controllo militare, ne viene rafforzata: la massima sicurezza si realizza in sintonia con le vecchieregole del carcere,rappre.~enta una specie esirema di mobilità, l'ultimo girone della buriana delle traduzioni e dei trasferimenti: deterrenteper tutti e per chiunque non si integri in quelle vecchie regole. Dunque si scelgono isole lontane e difficilmente raggiungibili; si spreca un carico eccessivo, inutile di afflittività; rimangono inso11dabili i criteri di selezione dei detenuti, se a terroristi si appaiano delinquenti comuni, protestatari per temperame11to,generici rompiscatole. Così, non tanto paradossalmente, anche il terrorismo arriva a candidarsi come strumento per un controllo, un suo controllo, del carcere: non solo grazie alproselitismo diretto,per il quale (inspiegabilmente?) trova occasioni, o al('alleanza con altre forme di criminalità; ma grazie soprattutto allasaldatura inevitabile tra vuoto, di egemonia e di governo, esterno, della «società civile», e vuoto interno al carcere. È di qualche giorno fa la notizia d'un rapinatore evaso che, ·ricalturato, si è dichiaratoprigionieropolitico. li terrorismo cresce nella separatezza e insieme perché non c'è, non può esserci vera separatezza: cresce come promessa di romperla. Cresce con la disperazione della «societàcivile» e come nel carcere cresce la disperazione. li pericolo sta non nella realizzazione, impossibile, delle intenzioni degli aggressori,ma nei processi disgregativi che l'aggressione produce o favorisce, su un terreno già di per sé compromesso, instabile. Si è detto due volte disperazione, con riferimento alla quantità del fenomeno, nelle sue valenze comuni e meno appariscenti, addirituttura travestite,più che a certesuepunte qualitative: di quale male queste punte sono sintomo? Un cucchiaio può essere trasformato in taglino oppure inghiottito, per evitare il trasferimento ali'Asinara. Nello stesso tentativo, c'è stato chi si è bucato la pancia, vi ha introdotto il tubo della bombola del gas, ha aperto la valvola. Autolesionismi, rese alle • droghe, suicidi, reatisessuali del carcererestano soltanto un grande numero oscuro di vicende individuali? O danno un segnale, quale, per conto del mondo in cui tutti viviamo, sono «poli1ica»? Ci riguarda, e come, se nella vana ricerca d'una identità un uomo di venticinque anni si deturpa indelebilmente lafronte con un tatuaggio? Quali livelli di umanità, anche nostra, esprime? Ed ecco le continue, nella visita penitenziaria, pinacoteche di ritagli di immagini oscene, certe Celle Sis1ine dove ogni lembo di parete è tappezzato, senza spiragli, da quei grovigli e membra, in grandezze diverse, giustapposti; l'omosessualità funzionale che inclina a diventare regola, la violenza che si dif fonde per cerchi concentrici sempre più «oggettiva», sempre più scolorita, grigia, routine, maieria s1essadelle ore della gioma/a cli ques{{I«vi{{IC0IIIWle»... Si capisce allora, in tanta precarietà, assenza di intervento pubblico, quanto rimanga affidato al caso, a/l'arbitrio di chi appena può, alle iniziative singole. La buona o cattiva disposizione d'un direttore, d'un maresciallo comandante qualificano uno stabilimento penitenziario, in non piccola parte, influendo. su molte esistenze: trovano spazi eccessivi, divengon_o,in concreto, troppo rilevanti strumenti di governo. Si riscontrano così, per questi soli condizionamenti soggettivi, modelli ben differenti di gestione. Ma dei giudici di sorveglianza qualcuno di loro stessidice trattarsi di specie in via di estinzione: delusione e riflusso sembrano abbattersi sulla categoria, reiterandosimemorabili (nel contesto) dimissioni. L'incertezza sul ruolo è massima, i margini di supplenza scarsamente praticabili alla lunga prova, l'ambiguità della natura dell'organo si risolve adesso nella sua emarginazione, dietro la spinta de/l'esecutivo: e del resto quali possibilità di garanziegiurisdizionaldi i dirilliresistono in una materia nella quale la discrezionalità amministrativa si accentua quanto più diviene preminente il tema della sicurezza? È ovvio comunque che la variabile degli apporti soggettivi è destinata a cedere contro il limite di certi fatti. E uno di questi fatti, insuperabile nelle condizioni presenti, è il numero dei reclusi: oltre una data soglia il carcere esplode, è legge di natura; così come superato un dato numero di processi arretrati i tribunali crollano, sotto la vergogna della denegata giustizia e della prescrizione. Il rimedio ricorrente è l'amnistia; non mirata, non selettiva, mera valvola di sfogo, confessione dell'incapacità delle istituzioni di funzionare: strumento ultimo e risolutore di governo del carcere, così come è generale strumento di politica della giustizia. Che altro? Il 27 gennaio, al Senato, il ministro della giustizia Sarti ha annunziato una controriforma penitenziaria, in esito al caso d' Urso. Così il governo tenta di superare suoi specifici impacci e conflitti interni legati a quella vicenda (trattativa - 1101t1rattativa; cedimento - 1101c1edimento); le Br portano a casa un ulteriore risultato; e quali nuovi giri di vite si prospettano dentro il carcere, quali modi ancora di controllo? 5. E come replicheranno le forze politiche e sociali? Quelle affermazioni del ministro sono passate fin iroppo lisce, salvo qualche circoscritta eccezione, nella stretta complessiva che il paese affronta. Certo che si deve distinguere; ma non sembra di coglieregrandi e coerenti sensibilità per il tema in nessuno dei settori dello schieramento, in nessuna delle fasce della società che ne sono i referenti. Al massimo - si è detto - una inclinazione verso taluno dei 1ermini del binomio umanitarismocustodia, t1vvertiti co111e <:ontraclcli~ione insanabile. La stessa riforma del 1975, con i suoi grandi meriti, è anche figlia di questo equivoco. È ad esso che deve lapropria concentrazione sul «sei[», /'in sé; del carcere, o anzi del mondo recluso: da un lato mancando troppe volte di collegarsi con le sue (della riforma) vere ragioni, il progresso dell'intera dinamica democratica, le uniche capaci di procurarle consenso popolare; dal/'altro non cercando indispensabili condizioni istituzionali d'esistenza edi crescita, veicoli effettivi per i suoi contenùti, e minacciando di risolversi dunque in mera propaganda. 1n vecenon èpossibile un passo verso il cambiamento, verso un nuovo governo del carcere, senza l'uscita da questa logica del «sei[»: senza che partiti, sindacati, gente sentano quanto avviene nel circuito penite11ziario come loro da11nodiretto, come motivo di turbamento della vita di tutti, al di là delle sofferenze dei simili o delleminacce che possonovenireallaconvivenzacomune da rivolte ed evasioni. È una cultura, da acquisire, che è base essenziale per una diversa politica, per una prospettiva di realizzazioni che punti anche sul carcere, sul mondo recluso, incidendo in condizioni esterne che ne determinano la quali1à. Allora il primo punto della riflessione, epoi della scelta collettiva, riguarda la funzione stessa della pena detentiva. Non si trattasolo di constatare che esite uno scarto evidente tracondanne epossibilità di esecuzione nei modi previsti dalla riforma: ma, ancor prima, tra molti dei comportamenti qualificati come reato e quel tipo d conseguenza, di sanzione. È possibile, in molti casi, un'altra forma di deterrente, più adeguata e meno costosa per la collettività? L'iniziativa di legge che cerca di dare risposte articolare al quesito, non solo in termini di depenalizzazione, approvata dalla Camera ed ora pendente davanti al Senato, segna solo un inizio, cui occorre dare seguito con coraggio e fatica, anche attraverso una riconsiderazione organica, che è mancata, del merito delle singole ipotesi penali. C'è poi il processo: che, per i suoi tempi, concerne direttamente le questioni penitenziarie, in quanto nella massa dei reclusi due terzi restano in attesadi giudizio (e di questi il quaranta per cento poi verrà assolto). Ma la riforma del processo penale implica grandissime opzioni, addirittura una ridefinizione della nozione di garanzia, • nel rapporto cittadin_o-Srato.Esige poi importanti iniziative di supporto, 11011 solo in rema di strutture: in modo da consentire la difesa tecnica anche a chi 11011 èin grado di pagarla e, senza, af fronterebbe il nuovo rito accusatorio come un disastro; e in modo da equilibrare, con la risistemazione dell'ordinamento giudiziario, l'accrescimento dei poteri del pubblico ministero, già oggi fin troppo ingemi ed aggregati in cemri di imeressi. Si sono fatti questi cenni non solo per indicare, subito, le proiezioni determinami, nel terrenoche ci interessa,di remi istituzionali che potrebbero apparire al Ministero stesso estranei; ma per dare il senso della complessità delle linee di.imervemo, anche solo funzionali allamodifica d'un settore: della capacità organica di cultura, previsioni, scelre, mobilirazione attorno ad esse, che occorre collettivameme trovare, se 11011 basta la retorica della denuncia, se sulla constatazione del malessere si vuole costruirel'ipotesi politica d'un rimedio. Ma gli obiettivi d'azione più immediati, per comiguità al mondo recluso, sono quelli che ne costituiscono la cornice e che la riforma del 1975, proponendosi solo come regime penitenziario, non ha toccato. Ci si imende riferire allo staff, il personale nel suo complesso, ed alle srruttur..emateriali di comenimemo, l'edilizia. Sul personale il discorso dovrebbe essere articolato, giacché si va dalla burocrazia cemrale agli agemi di custodia. Nella burocrazr11del ministero 1emazio11idi riformismo inconcludente, magari rivolte un po' a guardare oltre confine, sono di fatto la bronzina che colora, e difende, il tradizionale modello carcerario: in complesso ne risulta un filtro che ostacola quel poco di nuovo che vo"ebbe passare. Gli agemi di custodia, abbruttiti da orari e turni disumani, lasciati senza alcuna formazione professionale, costretti ad adempimemi che sono solo gesti fisici, cominuameme reiterati,sempre uguali, pagano prezzi di alienazione non inferiori a quelli dei detenuli: i quali li chiamano «piante», per sottolineare il vegetare all'impiedi, o «chiavi» per rappresentarne la riduzione acose, l'integrazione materiale alla prigione. Sul carcere-edificio in Italia esiste una leueratura che 1101s1i discosta dalla realtà:è inutile qui indulgere alparticolare, in molti casi la definizione data di «sadismo edilizio» non è incongrua. Quel che coma rilevare è l'ompgeneità di entrambi gli elementi, personale e strutture, al modello penitenziario vi-. gente; l'impressione che, più che governare l'istituzione, nel complesso ne siano invece governati, determinati. È chiaroalloracomeanchequi sia difficile la via del rinnovamento: ma obbligata, se si vuole uscirne. Si tratta di rompere le chiusure della direzione generale del ministero con una diversa guida politica; però insieme anche con un'organizzazione che, almeno per alcuni compiti di rilievo, sostituisca alla burocrazia tradi_zionaleconsigli penitenziari rappresemarivi, e/erti dal personale. Ma anche così, ilnodo più gros-
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