sione del modello del contratto (per Tonnies: «la risultante di due volontà individuali divergenti che si intersecano in un punto») sembra investire un numero crescente di ambiti della società. Come è stato osservato dal sociologo Alain Touraine, società i cui assetti e i cui molteplici ambiti siano oggetto di conflitto e negoziazione di regole da parte di una pluralità di soggetti, tendono a riconoscersi come «risultato di un'azione sociale, di decisioni o di transazioni, di una dominazione o di conflitti». Gli slittamenti del politico, intesi • nel senso dell'estensione e delle applicazioni del modello contrattuale, risultano così associati all'idea che lesocietà (o i loro assetti) non sono dati naturali, quanto piuttosto costrutti, soluzioni di problemi. Com'è facile vedere, società di questo genere sono (o possono essere) esposte per principio a tensioni strutturali molto forti. Il problema si può presentare cosi: qualsiasi impresa collettiva si fonda su un minimo di integrazione dei comportamenti degli individui o dei gruppi, degli attori sociali interessati che perseguono obiettivi divergenti o addirittura contradittori. Ora, mentre società (comunità) caratterizzate dalla legittimittl tradizionale presentano un massimo di integrazione, dovuto alla compattezza e ali'estensione del nucleo prescrittivo per l'azione sociale, societtl contraddistinte dalla legittimittl razionale, dal modello del ~ontratto e dalle sue estensioni, vedono fortemente ridotto il nucleo prescrittivo, eroso dal principio elettivo (cioè dallo schema volontario di azione), per usare la terminologia di un sociologo delle modernizzazioni come Gino Germani che ha acutamente avvertito le tensioni di società investite dalla rivoluzione della «ratio». Possiamo allora dire, usando un'espressione di Wittgenstein:.per mettere in dubbio qualcosa, non possiamo mettere in dubbio tutto. Oppure: qualcosa deve essere sottratto al dubbio, per poter dubitare di qualcosa. Nel modello del contratto è infatti previsto che si acconsenta (cioè si scelga) un insieme di regole (globale) non rinegoziabili che consentono _lenegoziazioni locali. Le regole 1101r1inegoziabili coincidono con le condizioni per la negoziazione. Ciò equivale a dire che un insieme di condizioni per la negoziazione deve essere sottratto alla negoziazione. - Come dire: un punto fisso, per evitare di fare come il barone di Mi.inchausen che, come noto, cercava di sollevarsi dalla palude con i propri capelli. I nostri giochi di ricerca della verità sono, per questo verso, affini ai giochi con cui le società risolvono problemi. Possiamo dire che, per risolvere problemi, le società soppesano i valori e fanno scelte calcolate. Aggiungiamo che i modi con cui hanno luogo le scelte sono differenti a secondo del tipo di organizzazione o sistema politico delle società stesse. Concludiamo che tensioni del genere cui ho alluso investono tipi di organizzazione poliarchica o democratica di società pluraliste che sembrano, sollo questo profilo, particolarmente vulnerabili. Ciòsia dal punto di vistadella legiuimazione e del consenso alle regole del gioco, sia dal punto di vista della dilatazione e della pervasività, in alcuni casi, del sistema politico su un'amplissima gamma di ambiti della società (coerente del resto con le estensioni del contratto). Una condizione, quest'ultima, che già Schumpeter riteneva infelice e non compatibile con la teoria non classica della democrazia, nel senso che quest'ultima è tanto più appropriata quanto minori sono gli ambiti di scelta politica nelle assegnazioni di valori per la società. La democraziap, o1remmodire, è in ques/0 prospettiva intrinsecamente coerente con una contrazione di politica piuttosto che con la sua espansione (una contrazione non ha ovviamente nulla a che vedere con una «estinzione»). Razionalità politica e democrazia ~ 3. li mio terzo pu1110consiste nella ~ presemazione e nella discussione di due ~ . modelli di organizzazione politica di società intese come imprese impegnate in scelte, a loro volta intese come soluzioni di problemi vja decisioni. Utilizzerò in proposito lo schema proposto dal politologo Charles Lindblom in Politics and Markets ( 1977). Proporrò un particolare tipo di argomentazione per il quale la soluzione poliarchica o democratica risulta preferibile a altre. Questo punto ha ovviamente implicazioni etiche, nel senso che comporta la giustificazione (razionale) di scelte tra alternative (in questo caso, assetti istituzionali per lasoluzione di problemi o modelli" di organizzazione politica). Concluderò, infine, indicando sotto quali condizioni ha senso argomentare, come alcuni a ragione fanno, intorno allosviluppo o allacrescitadellademocrazia (richiamo sommariamente in proposito lo schema di sviluppo o la versione di esso, quanto al passato, suggerita da Bobbio nell'articolo Democrazia/dittatura, voi. IV, Enciclopedia Einaudi). 3.1. Se assumiamo il criterio di C. Lindblom, possiamo distinguere tra due modelli (o tipi ideali) di soluzione· di problemi via politica che chiamaremo il modello 1 e il modello 2. La differenza che ci interessa è tra il ruolo che nei due modelli si presume svolge la razionalità nella soluzione diproblemi, nelle interazioni soi:iali. Il m. 1 presuppone una nozione di razionalità sinottica (per usare la terminologia di Lindblom del I965). Ciò implica che gli uomini siano in grado, in presenza di problemi, di esaminare l'intera gamma delle soluzioni alternative e, disponendo di"una teoria globale del mondo (della società), di decidere razionalmente scegliendo la migliore. Diciamo, in questo caso, che il m.J prevede una società guidata dalla ragione. I leader sono capaci di produrre una teoria globale del cambiamento e per questo autorizzati (legittimati) a guidare la società. Dato che si sa come organizzare glob.almenrelasocietà, una linea politica o un'istituzione vengono verificateper scoprire se sono corre/le. Per valutare la correttezza delle soluzioni è, come noto, necessario un parametro. Nel m.J si assume che questo parametro sia dato: esso può coincidere con la soluzione dei problemi «reali», adeguatamente individuati via analisi conclusiva (grazie ali'applicazione della teoria globale del cambiamento sociale). Possiamo perciò concludere che nel m.1 l'organizzazione sociale corretta non viene scelta, ma scoperta Aggiungiamo J) che ciò autorizza l'élite al monismo della veritàe al suo monopolio; 2) il m.1 comporta una soluzione armonizzanre e, come dire, «coerentizzante» di bisogni solo prima facie e superficialmente conflittuali. Osserviamo, infine, che il m.J non sembra riconoscere la rilevanza della politica in quanto tale: quest'ultima infatti lascia il posto a/l'amministrazione via analisi conclusiva. 3.2. La visione euforica della razionalità sinottica è sostituita nel m.2 da una visione nettamente caratterizzata dall'enfasi sui limiti della razionalità. Gli uomini non sono animali che decidono sinotticameme, ma sequenzialmente. Inoltre, è più opportuno parlare di razionalità limitata, per usare la nota formulazione di Herberr Simon (1957). Come ha osservato Simon, l'uomo non sembra in grado di seguire un modello di razionalità assolùra (classica), I) in qua1110non può abbracciare simultaneamente tutte le alternative e 2) ragiona, appunto, sequenzialmente e non sinouicamente. Per questo, nel m.2, non essendoci a disposizione una teoria globale del mutamento sociale (soluzione di problemi), dobbiamo riferirci a teorieparziali o locali. La società, allora, piuttosto che dalla ragione è guidata dalle scelte o volizioni. Per quanro imperferramellleinrese,queste sono l'unica verifica. Manca un parametro dato per valutare la correttezza delle soluzioni: esso viene infatti sosriruirocon l'indicatore delle scelte. Mentre nel m.1 l'organizzazione sociale viene scoperta (è un dato), nel m.2 essa viene scelta, tra alternative (è un costrutto). Non disponendo di qualche schema "preordinato delle cose", lasociettl è intesa in termini di confliuo e negoziazione di regole grazie a processi di interazione. Infine, processi e interazioni sociali rimpiazzano nel m.2 l'analisi conclusiva che nel m._Jsoggiace alle decisioni: la soluzione di problemi è nel m.2 politica, piuttosto che «analitica». 3.3. La _ricostruzione proposta dei due modelli di Lindblom ci consente due provvisorie conclusioni. La prima è quella per cui possiamo argomentare razionalmente la preferenza per il m.2 o modello poliarchico (democratico) di soluzione di problemi per una società. Essa dipende dalla maggiore coerenza con le migliori descrizioni a disposizione dei modelli di razionalità nella soluzione di problemi e quindi risulta più coerente (del m.J), allo staroattuale, con il maggior numero di vincoli. La seconda conclusione è che possiamo identificare alcune caratteristiche del m.2 che risultino molto importanti per passare all'ultimo punto della relazione. Il motivo per il quale -come i suoi critici sanno molto bene - lo schema della democrazia politica implica una particolare enfasi su forme, regole e procedure è molto più profondo di quanto i critici della democrazia non ritengano. E pone un vincolo imporrante, per dare un senso univoco e accettabilea quanto possiamo intendere con espressioni come «sviluppo» o «crescita» della democrazia. Se nel m.2 l'analisi conclusiva è sostituita da interazioni e processi, il problema delle regole delle interazioni e processi o il problema delle procedure è in certo senso il «succo» dello schema democratico. Possiamo dire: per questo, qui, la forma è lasostanza. Le procedure hanno infatti in qualche modo un valore in sé; Weber le definirebbe razionali rispetto al valore. Rawls sosterrebbe che esse sono lessicograficamell/e prioritarie rispeuo a qualsiasi altro insieme di principi. In altri termi-. ni, non sarebbe ammesso alcun compromesso tra esse ed altri prindpi, per alcun motivò. Nel senso, come abbiamo mostrato, che esse sono gli unici strumenti che garantiscono che si possano risolvereproblemi, coerentemente con i vincoli espressi dalle nostre teorie de~azione organizzata e della razionalità. Il viaggio (verso una soluzione), come dice Lindblom, è così veramente ciò che importa; in un cerrosenso, più che la meta Perché essa non è data; e perché, per cosi dire, essa viene configurandosi nei corsi di azione, nelle interazioni, nei conflitti, nelle differenze con cui le società soppesano alternative, risolvono problemi, assegnano valori. Com'è evidente, si trattadi disporre di una teoria del mutamento non teleologica. Riteniamo perciò sensata l'espressione «sviluppo» o «crescita» della democrazia, se e solo se essaè coerente con la priorità delle forme. Nessuna crescitaè possibile se non soddisfacendo questa condizione. È qui in gioco, naturalmente, un modo di pensare il mutamento e perciò anche un'immagine del tempo. Viene in mente una rifles- . sione di Wittgenstein: «Quando pensiamo al futuro del mondo intendiamo sempre il luogo in cui verrebbe a essert se proseguisse così come lo vediamo procedere, e non pensiamo che esso non procede seguendo una linea retta, ma una linea curva, e la sua direzione muta costantemente». 3.4. A prima vista, sembra plausibile obieuare alla nostra conclusione che in questo modo sembra si voglia « fermare» una storia e, per dir cosi, ingabbiare un processo di mutamento. La democrazia politica non c'è sempre stata. E le regole formali, le garanzie, le libertà, ecc. sono esiti di costruzioni non democratiche. Essa ha tra l'altro subito profonde modificazioni. Alessandro Pizzorno ha recentemente proposto un criterio minimale per identificarecome democratico un sistema politico (rispeuo a uno che non lo è),fondato su una riformulazione della teoria economica della democrazia alla Schumperer e sostanzialmente basato sul sussistereo meno dellapossibilità di lealtào fiducia di individui apiù di una organizzazione collettiva. Come si vede, un criterio drasticamente diverso da quello della teoria classica. In che senso, allora, è razionale sostenere che non si può parlare di sviluppo e crescita, se non tenendo fermo qualcosa che l'analisi del m.2 ha mostrato essere un valore in sé? Per uscire dall'imbarazzo dell'obiezione, assumiamo di considerare un insieme di procedure e regole («democrazia») come una teoria scientifica. Estendiamo l'analogia, assumendo anche che noi ci serviamo delle nostre teorie per la soluzione di problemi (giochi di ricerca con la natura, per esempio), così come ci serviamo della democrazia per la soluzione di problemi (giochi di interazione nella società). Noi sappiamo che le nostre teorie sono in un senso determinato fallibili, provvisorie, revocabili. Per questo siamo interessatiamodelli di ricostruzione del mutamento conceuuale. Gli studi sul mutamento o sulla crescita della conoscenza, d'altra pane, ci hanno suggerito di abbandonare un'immagine teleologica della transizione da una teoria a/- /' altra: riteniamo, con Thomas Kuhn, più opportuno parlare di progresso da qualcosa, piuttosto che di progresso a qualcosa. Le teorie a nostra disposizione non sono le migliori possibili, se - come dire - considerate indipendentemente dal tempo. Ma, entro un contesto opportunamente cirroscritto, lo sono. È solo usandole, adottandone e applicandone le regole, che possiamo sperare di costruirne di migliori e di più profonde. Non butteremo mai a mare una teoria, sino a che non ne avremo una migliore. Bene. In questo senso preciso, possiamo parlare di «sviluppo» della democrazia. E possiamo anche usare opportunamente un termine che, mi rendo conto, non sembra molto di moda come quello di «progresso», nel senso indicato a proposito del muta• mento concettuale. Etica e politica 4. Infine, se si vuole, rendendo esplicita la tensione essenziale tra politicae etica, tra autonomia dalla politica e autonomia della politica (per dirla ancora una volta con Bobbio), che soggiace - almeno nelle mie intenzioni -a questa relazione, mi chiedo: c'i un senso in cui possiamo parlare oggi di progresso in etica? Come, altrimenti, argomentare razionalmente intorno a scelte «progressive»? Perchéqueste domande curiose e, mi sembra, inusuali? Credo vi siano casi, situazioni, momenti in cui si ha la sensazione o la credenza che /ani e valori vadano insieme. Essi sono quelli in cui ci sembra di poter leggere, in trasparenza, nella trama delle cose, le ragioni di scelte, decisioni, opzioni, valori. Ma vì sono anche casi in cui l'intersezione tra fatti e valori è una classevuota e è molto difficile decifrare la complessità delle cose. Alla trasparenza succede allora l'opacità, così come a un senso univoco delle cose ne succede più d'uno. Qualcuno sostiene anche: nessuno. È in questi ultimi casi-affini aquello in cui io credo noi ci troviamo - che il peso delle scelte, delle prese di posizione, della giustificazione di valori diventa la posta in gioco. Osserviamo che il secolo dell'autonomia dellapolitica e del Leviatano ha neutralizzato l'etica; che il XV Il I europeo ne ha conosciuto la riabilitazione; che i cent'anni del X IX, allenostre spalle, hanno sognato l'estinzione dellapolitica, la sua superfluità; che il secolo contemporaneo ha in realtàprovato la più vastaespansione e pervasività della politica, sullo sfondo di una scena planetaria profondamente mutata. Lariflessione su questa trama così complessa richiede in ogni caso un senso. E, appunto, essa sembra suggerire, ancora, un elogio de~etica. (Relazione al convegno • Il sapere come rete di modelli. La conoscenza oggi>, Mo dena 20-23 gennaio '81; una rielaborazione ampliata apparirà successivamente nella rivista Materiali filosofici).
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