Ilmodellodel contratto L a mia relazione è articolata in tre punti principali. li primo si potrebbe chiamare: il criterio del politico; il secondo: il modello del contratto; il terzo: due modelli di razionalità e due modelli di politica. Prima di affrontare l'esposizione, premetto soltanto due osservazioni. 1) L'uso frequente che farò del termine «modello» presuppone una°gamma di impieghi o significati in cui il termine, come spesso accade, oscilla tra descrizione e prescrizione. Com'è noto ai filosofi del linguaggio e ai filosofi morali, la demarcazione tra i due impieghi è tutt'altro che facile da definire. Qualcosa del genere può essere semplicemente suggerito da frasi italiane come «questo è il modello in scala dello edificio» e «a differenza di quella precedentemente ascoltata, la relazione di Veca non è certo un modello». 2) Descriuivamente o, a maggior ragione, prescrittivamente impiegati che siano, i nostri modelli non coincidono con ciò di cui essi sono modelli. Si tratta, in ogni caso, di costruzioni razionali, di « versioni del • mondo». E non di dati o del mondo. È una differenza molto importante che è il caso di tenere costantemente presente. Infatti possiamo dire, con Shakespeare, che ci sono più cose in cielo e in terra che in qualsiasi nostro modello, profondo, interessante, capace di sviluppo quanto si voglia. Il criterio del politico 1. li mio primo punto consiste nella presentazione e nella discussione di un modello in grado di identificare la natura della relazione politica o, in altri termini, capace di generare un criterio per distinguere ciò che è politico rispetto a ciò che non lo è, nell'ambito delle interazioni che hanno luogo in una società (un criterio di demarcazione). Per far questo, propongo una versione di almeno due criteri, elaborati in contesti molto differenti tra loro, in particolare quello esposto per la prima volta nel 192 7 da Cari Schmiu nel saggio su Il concetto di 'politico' e quello più recente, formulato da David Easton nel suo libro The Politica! System (1953). Precisochenonsonoaffauointeressato alle differenza tra le credenze politiche degli autori esaminati o tra le rispeuive assunzioni metodologiche - per altro molto note -, quanto esclusivamente alla struuura concettuale dei modelli. Infine, cerco di suggerire un grado di maggiore generalizzazione cui portare alcune interessanti caraueristiche, rinvenibili in entrambi i modelli. Credo che questa generalizzazione consenta diJormulare il problema che coincide con il secondo punto della relazione. Norberto Bobbio ha spesso posto l'accento sul carattere « ricorrente» di alcuni grandi modi di pensare la politica. Egli ha anche suggerito di osservare il curioso fatto che gli stessi modi hanno spesso «uscite» politiche differenti e a volte contrapposte fra loro o sottendono credenze politiche molto distanti. Condivido entrambe queste osservazioni. La filosofia che soggiace alla mia ricostruzione è affine a quella implicita nell'assumere questi presupposti. 1.1. Nella sua Modem Politica! Analysis ( 1963) Robert Dahal si interroga sulla nmura della relazione politica e, come esempi di soluzione del problema, esamina le risposte di Aristotele, Max Weber e Harold Lasswell. Per Aristotele il sussistere di autorità e di comando è in qualche senso inseparabile dallapolitica, così come un carattere distimivo-è quello della «autosufficienza» de/l'associazione politica. Weber associa al requisito del comando o de/l'autorità (nel senso specifico che questo termine ha nella sua teoria) quello del territorio, dello spazio circoscritto e dei confini. Dal canto suo Lasswell ritiene «politica» qualsiasi situazione o ambito in cui si formi e si distribuisca potere. Atto politico è, nellaprospettiva di Lasswell, qualsiasi atto compiuto con prospettive di potere. Da questo sommario esame Dahal conclude che la scienza politica tende a considerare «politiche» più cose di quante non ne avrebbero accettateAri- :;;;j; e Weber: « Un sistema politico è ... Salvatore Veca ogni insieme durevole di relazioni umane che implicano, in misura non irrilevante, potere comando o autorità». 1.2. Una conclusione di questo tipo sembra essere un po' troppo larga. Certamente, sia Easton sia Schmitt avanzano, nei loro modelli, richieste più impegnative. Ora, l'argomemazione di Easton si può riformulare nel modo seguente, utilizzando le nozioni di linea politica, autorità e società. Se definiamo 1) una linea politica come un insieme di decisioni e di azioni che distribuiscono o assegnano valori in una società data; 2) distinguiamo tra assegnazioni di valori non via autorità e a.ueg11azin11dii valori via aworità (intendendo, con quest'ultima espressione, assegnazioni di valori la cui accettazione da parte dei destinatari implica una determinata credenza nella cogenza (imperativa) delle stesse; 3) definiamo il contesto della società come il comesto globale dell'interazione tra individui e gruppi, in contrapposizione ai contesti locali per individui e gruppi, allora possiamo affermare che la proprietà di un atto o di una relazione sociale che dà a questi un aspeuo politico è il rapporto di quest'atto o di questa relazione con l'assegnazione via autorità di valori per l'intera società. Non tutti i valori, naturalmente, sono assegnati in una società via politica. Consuetudine e scambio, per esempio, si spartiscono il campo ne~'assegna- ~ione di va111aggeiwa111aggi.Tuttavia, esiste una famiglia di casi in cui tale assegnazione non può che assumere la caratteristica politica. Perché? Easton sostiene che ciò accade quando le risorse ordinarie (non politiche) di composizione o soluzione delle divergenze o conflitti tra individui e gruppi non hanno successo. È in questi casi che si rende necessaria una assegnazione via autorità: «Allora viene enunciata una decisione politica che ha l'autorità della società dietro di sé e che è accettata da parredellasocie1àcome impera1iva». Se consideriamo più da vicino la natura di questa assegnazione via autorità, osserviamo che essa ha una rilevanza globale, per l'intera società. Possiamo quindi concludere questa ricostruzione dell'argomentazione di Easton, osservando che divergenze o conflitti locali, entro lo spazio dato di una società, che non possono essere composti con le regole ordinarie, richiedono una assegnazione via autorità di valori di portata globale. Come è stato osservato da Gianfranco Poggi (in una ricostruzione della natura della politica che si avvale anch'essa - anche se con un'enfasi alquanto diversa dalla mia - di un confronto tra i criteri di Easton e Schmi11), il modello di Easton implica due presupposti: 1) quello a11inenteallo spazio (il versante «interno» di una socieià) e 2) quello a11inentealla scarsità (se i valori non fossero scarsi, sarebbe difficile pensare a divergenze riguardanti la loro assegnazione). Aggiungerei che in certo senso, oltre allo spazio e alla scarsità, gioca un ruolo interessante il fattore tempo. Nel senso che i casi di divergenze non compnibili localmente sono caraueristici casi « imprevisti» per l'applicazione delle regole a disposizione degli individui e dei gruppi impegnati nella divergenza. La politica ha quindi a che fare con i problemi (e la loro soluzione), generati dal conflitto tra individui e gruppi in rapporto al tempo, allo spazio e alla scarsità. 1.3. La circolarità della definizione dello stato con ciò che è politico e di ciò che è politico con lo stato è quanto viene denunciato, con stile certopiù duro e lievememe truce o inquietante, nel/'avvio del saggio su Il concetto di 'politico' di Schmiu. Quest'ultimo ritiene che il conce/lo di stato presupponga quello di politico. La confusione -o meglio, l'identificazione tra i due - dipende dal fauo che lo stato, nella panico/are nota versione cominentale di Schmiu, ha avuto in alcuni secoli europei, dal XVII in avami, il monopolio della politica. Sino a che lo stato ha questo monopo- /io, le definizioni del politico che a esso ricorrono hanno un senso univoco. Ciò non è più vero quando siamo in presenza di un oligopolio di politica: per esempio, quando stato e società si compenetrano a vicenda (il che, osserva con disappunto Schmiu, «accade necessariamente in una comunità organizzata in modo democratico»). Per risolvere il problema costituito dalla circolarità delle definizioni statoi politica, occorre meuere apunto un criterio cui ricondurre «tulio l'agirepolitico in senso specifico». Ora, è noto che il cri1erioformularoda Schmit1 è quello della distinzione amico/nemico. Essa servepropriamente a indicare /'intensità (massima nelle interazione sociali) di associazioni e dissociazioni tra uomini. Osservo che è questo grado di intensità che imeressa soprauutto Schmiu: nel senso che qualsiasi divergenza o confiiuo è politico, se è ingrado di generare la massima intensità possibile nella associazione o dissociazione di uomini. Questo è il primo punto importante
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