"' ..., Cfr. Mario Biondi La sera del giorno Milano, Bompiani, 1981 pp. 172, lire 8.000 L'aria della sera che, come si sa anche letterariamente, è quella più struggente e meditabonda, tutta percorsa di ripensamenti, di timori e di delusioni, riempie questo bel romanzo, il secondo, di Mario Biondi. Lo gonfia e lo scuote, lo tira di qua e di là, fuori e dentro i tempi, le strutture, i personaggi, dandogli la vivacità e la flessibilità di un'ossatura di romanzo, di una diramazione moltepl 1 ice di ipotesi come di soste narrative, o meglio letterarie. Questa ossatura è annodata da una sorta d'impazienza, d'ansietà poetica fatta di aspirazioni vitali e morali, e insieme dai soprassalti di una coscienza critica, che però è immersa e quasi soffocata dentro una condizione esi- ·stenziaie contraddittoria, vissuta come un fatto ostile e insuperabile. La stessa materia narrativa tende a strutturarsi fuori del personaggio, della sua volontà e capacità di ordinarla, piuttosto là dove si susseguono le condizioni della sua arresa impotenza, delle sue delusioni. on solo i fatti e tutte le loro implicazioni soggettive e oggettive sono contro di lui, ma gli stessi luoghi nei quali via via si trova. La sera lo coglie lontano, tra le sabbie del governo algerino: Il adesso è il romanzo che lo perseguita. E il romanzo inizia con una lettera a una compagna dal nome più che emblematico di Bandiera, nella quale annuncia di averlo scritto in due quaderni e di averglielo spedito «debitamente allegato». I due quaderni, primo e secondo, di malinconia, che attraverso strappi, viaggi, discussioni, amori, sconfitte, finiscono per ricongiungersi nella medesima sabbia algerina. E da questa parte un «dopo», un viaggio senza meta nel deserto, tra i ricordi e la nostalgia. Qui si logora e si perde la coscienza del protagonista insieme con la fremente volontà politica che lo agitò lungo i due quaderni: può solo divagare e isolarsi anche se sente annunciare .in Europa i fragori del '68. Libro tutto scritto sotto una convinta motivazione morale, sostenuta da una sapienza letteraria sempre attiva e sensibile: pronta a spezzarsi pur di entrare anche negli anfratti più difficili e mossi della verità indagata: quindi tutto da leggere e da meditare, anche nei rapporti con tanti isolamenti e con l'impotenza politica di oggi. Paolo Volponi Giulia Niccolai Harry's Bar e altre poesie 1969-1980 Milano, Feltrinelli, 1981 pp. 180, lire 6000 Giulia Niccolai raccoglie in questo libro le sue poesie di oltre dieci anni, da Humpty Dumpty (1969) sino alla più recente, inedita produzione. Vi è in questi testi una linea continua- felicemente messa in luce da Giorgio Manganelli nella sua estrosa Prefazione; ma vi è anche un'interna dinamica, un movimento sulla linea di un'identificazione e di un approfondimento della costruzione sintattica e frastica. L'una 'e l'altra indotte, a quanto sembra, da uno spostamento dal gioco poetico alla espressione, al « rappresentante» poetico della vita come gioco. Come spesso avviene, le ultime poesie si riverberano sulle prime, costruiscono, à rebours, una storia, o almeno una interpretazione storica, dalla quale traspare, appena velata dall'ironia («un ordinato spazio verbale sintattico I ordisce l'inganno dei reperti di oggi») una volontà estremizzata di colmare, o almeno di ricoprire, una malinconia, o meglio diireriana melencoliah. E sembra di vederla, Giulia Niccolai, nella grande donna della incisione di Diirer, con gli animali, i detriti di oggetti, ma anche la sfera, il solido geometrico, il semicerchio. Tra oggettualità (linguistica) e astrazione. Sembra che le ali della donna-angelo siano troppo piccole per permette.re il ritorno in paradiso: ma se esilio deve essere, l'oggetto-parola può riempirlo di giochi, di echi, di risonanze: ovviamente trattandosi di un angelo non colpito dalla maledizione di Babele, plurilinguistici. E del resto NICCOLAI non è quasi un perfetto anagramma di MALINCOIA? Che fa rima, ovviamente, con IRONIA. Mario Spinella Dal simbolismo al déco Antologia poetica a cura di Glauco Viazzi Torino, Einaudi, 1981 pp. 634 (in dse volumi), lire 24.000 Chi aveva avuto modo di ammirare l'eccezionale lavoro di Glauco Viazzi Poeti del fwurismo, 1909-1944 (Biblioteca Longanesi & C., pagine 736, lire 9500, Milano 1978) potrà capire adesso la reale portata della rivoluzione critica operata da questo critico che oggi dobbiamo rimpiangere (Viazzi è morto nel 1980, era nato nel 1920). Credo che mai categorie critiche, deli- • neate con assoluta precisione e direi anche «passione», siano state applicate alla storia della poesia italiana del 900 con tale capillarità. Alla griglia critica di Viazzi nulla pun sfuggire e all'interno di essa poeti sconosciuti o poco noti stanno a fianco a poeti ultranoti ma colti nel momento in cui hanno aderito a una delle poetiche che costituiscono la griglia. Nel caso del futurismo lo straordinario è stato scoprire la lunghissima vitalità di quella poetica, ben oltre le facili categorie dell'imperialismo (all'italiana) cui erano state aggiogate, e al di là, pure, della moralistica etichetta di «poesia di consumo» (mentre si trattava di una categoria ben più importante: quella dell'effimero, così acutamente utilizzata anche dai surrealisti). In Dal simbolismo al déco la griglia è formata da: a) ideosimbolisti, esteti, ermetisti; b) verso il liberty; c) mistici, orfici, esoterici; d) elegiaci e intimisti; e) dal liberty ali'art déco. Da Lucini a Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, da Ricciotto Canudo a Teofilo Valenti, da Corrado Govoni a Palazzeschi, Corazzini, Gozzano, Moretti, Nino Oxilia... ci sono tutti e finalmente possiamo conoscere il bosco più che i singoli alberi, ma anche i singoli alberi, perché a ciascuna serie di poesie Viazzi ha premesso una nota critica magistrale. Antonio Porta Sun Tzu L'arte della guerra. Tattiche e strategia nell'antica Cina Traduzione, prefazione e cura di Renato Padoan. Venezia,-Sugarco, 1980 pp. 111, lire 3.000 «La guerra è la via che conduce alla sopravvivenza o aU'annientamento. Essa è il venir meno, l'eclissarsi non solo del singolo individuo ma di una stirpe, la scomparsa di una nazione. Un tale annientamento è Trascendenza, Ragione. Sintesi di Trascendenza e Ragione». È questo il metodo (Tao), a detta di Padoan, che l'ontologia della guerra sperimenta con Sun Tzu. La guerra quindi 11011 è la guerra, come vogliono gli interessati. E la tautologia non è solo contro le masse che lavora ma anche contro la logica (la contraddizione). Uno dei corollari della dottrina è che «all'azione militare compete nella sua assolutezza la dedizione degli uomini» (il Tao è coesione sociale) e che l'azione vittoriosa non dipende né dalla forza né dall'istinto né tanto •meno dall'intuizione, ma è !'«atto finale» in cui si compie «lo squilibrio massimale a nostro vantaggio nello spazio tempo che lo realizza», «come una macina da mulino contro delle uova» (Sun Tzu). Ma riferisce a questo proposito Padoan che Sun Tzu, nel «perseguimento a oltranza delle condizioni di"certezza della supremazia vittoriosa» finisce per tessere indirettamente un elogio alla pace o meglio a inibire la guerra. Sacrés cinesi! Altre «cineserie» tutte da godere (e.immagazzinare per quanto ce ne sarà bisogno) fanno de L'ane della guerra un piatto molto ricercato per chi si interessa a questo tipo di «cucina». Un solo neo - ma esecrabile - il fatto che alle nostre tipografie «manchi un corredo di ideogrammi da interpolare al testo scritto», come lamenta il curatore, che ha praticamente fatto tutto. Nota. Sun Tzu sarebbe vissuto nel Vl secolo a.C., nel periodo della decadenza della dinastia Chou. Servì il Principe (come poi farà il nostro Machiavelli) che reggeva lo stato di Wu, conducendo due imprese militari favorevoli. Vincenzo Bonazza Emma Goldman Autobiografia voi. 1°, 1889-1899 Milano, ed. La Salamandra, 1980 pp. 215, lire 8.500 A coprire un vuoto di informazioni, molto opportunamente, nel 1977, la Salamandra pubblicava una antologia di scritti della Goldman: Anarchia femminismo ed altri saggi, primo e fino a ieri solo volume in lingua italiana delle opere di questo straordinario protagonista al femminile delle speranze rivoluzionarie del secolo. Di quell'agile antologia ricordo soprattutto alcune suggestive foto dell'autrice, tra la New York inizi secolo e la guerra di Spagna. C'era in quella serie di foto, nei segni che il tempo aveva lasciato su un volto bellissimo, fino a completarlo in una vecchiaia da profezia, una così forte suggestione che, mossa anche dagli scritti di Emma e a un tempo dall'ondata femminista, cercai di approfondire il personaggio, andando così a imbattermi in una straordinaria autobiografia dal significativo e suggestivo titolo Living My Life, che è oggi uno tra i più importanti documenti circa la vicenda della sinistra libertaria femminile perché da tale posizione ricostruisce la storia dagli inizi del secolo, fino al conflitto spagnolo; ma anche una tra le letture più affascinanti, che ci fa rivivere, quasi in presa diretta, tutta la fase della creazione dei sindacati in Usa, dove Emma Goldman è doppiamente protagonista: e come attivista e come iniziatrice della rivolta femminista nel nuovo mondo. Più volte incarcerata, è poi, nel 1919 espulsa dagli Usa e rispedita in quella· Russia dalla quale, lei di origine ebreo-lituana, era emigrata con la famiglia alla fine dell'ottocento. Inguaribilmente dissidente, verrà esiliata anche dai bolscevichi, che non gradivano le sue pungenti critiche da sini-. stra. Ma Emma non disarma. Attraverso la Svezia e la Germania pre-nazista, e poi la Francia e la Spagna, continua la sua critica radicale, per concludere, indomitamente femminista libertaria, sempre sulla breccia, la sua omerica vita in Canada nel 1940. Ecco in sintesi e la vicenda e le ragioni per cui questo primo volume della autobiografia della Goldman, come isuccessivi, deve trovare posto, primo che nella biblioteca, nella mente di ogni donna innanzitutto: ad arricchire il suo arco di nuovi e più forti strali di lotta, soprattutto in questa situazione di maschilismo rimontante. Mirella Bandini Manlio Brusatin D muro della peste Venezia, CLUVA, 1981 pp. 104, lire 7000 Il saggio, breve ma assai denso, non è una cronologia di grandi epidemie, ma si muove su due livelli genealogici. Il primo racconta la nascita di un dispositivo: il «governo del la_zzarettoit. Il lazzaretto, la macchina della peste, è il luogo dove nascono istituzionj e tecniche di controllo che, sia pure prodotte dagli eventi epidemici, finiranno per trascenderli, dando vita ad un modello capace di sopravvivere all'età della peste e di riprodursi nei moderni meccanismi pubblici di polizia sanitaria. n secondo livello descrive l'origine di quello «spazio della pietà» che anticipa e comprende il governo del lazzaretto: la pratica della carità ecclesiastica fonda i successivi sviluppi «illuministico-sanitari», assumendo la peste come allegoria di ogni possibile catastrofe, minaccia sempre presente su cui edifica i prodromi dello stato assistenziale («le città furono governate come se la peste fosse continuamente presente, nell'attesa inerme della catastrofe». L'autore segue l'intreccio di questi due sguardi - pietoso e punitivo, assistenziale e carcerario - ed il loro progressivo spostarsi dal corpo ammalato aUa «delimitazione di uno spazio di stabile governo per le città». Quando questo spazio assume la sua forma moderna compiuta, il vecchio lazzaretto può lasciare il campo (e a volte le sue stesse pietre) all'ospedale, alla prigione e al manicomio. c.f Roland Barthes CarteSegni a cura dj Carmine Beruncasa Roma Casino dell'Aurora. Palazzo Pallavicini-Rospigliosi Febbraio-Marzo 1981 Catalogo a cura di Camùne Beruncasa e Massimo Locci Electa Edjtrice, s.i.p. Lasciando lo splendido Casino del1'Aurora (così detto per il famosissimo affresco di Guido Reni, la più alta voce dell'Accademia degli inizj del 600) incantato dal luogo di nuovo accessibile grazie all'iniziativa delle mostre (dovuta anche allo spirito da mecenate di Maria Camilla Pallavicinj) pensavo che per i disegni (le carte, i segru, i colori) che Roland Barthes ha tracciato negli ultimi djeci annj della sua vita, datandoli con scrupolo diaristico coerente con l'idea di vitalità liberante che lo ispirava, occorreva fare l'elogio del dilettantismo, inteso come eleganza suprema del fare, prescindendo da qualunque criterio di originalità e di costruzione artistica in chiave diacronica. Credo che tutti i grandi nomi deU'ar- • te informale debbano venire in mente guardando i bellissimi lavori di Barthes, e pon solo Masson, Pollock, Twombly, citati nell'esemplare scritto di Giulio Carlo Argan pubbLicato nel Catalogo. Aggiungerei almeno Henri Michaux, il più vicino di tutti. Ecco, Barthes li <copia>, li prosegue, H rivive, come fossero proiezioni della sua mano, djta sulle proprie dita. Ma ciò non significa che la sua operazione non sia legittima, proprio perché, come suggerisce Argan, è il corpo che viene messo in campo, non l'Arte. Qujndi possiamo ripetere, sempre con Argan: al diavolo il messaggio. Godiamoci la pittura rifacendola. Se ne siamo capaci. Il messaggio è questo. a.p. Movimento operaio e socialista anno III, n. 4, ottobre-dicembre 1980 È utile la ricognizione dei dispositivi manicomiali dell'età umbertina sino alla Grande Guerra. L'immagine della follia e della sua repressione è quella a cui ci hanno abituati anni di dibattitj sull'ordine psichiatrico; ma l'epoca (dura, repressiva, radicalmente dj classe) rende più taglienti i contrasti, àmplifica la sensazione di arbitrio che circonda il folle. Nell'articolo di Renzo Villa ( cPazzj e crimjnali: ·strutrure istituzionali e pratica psichiatrica nei manicomi criminaJj italiani>, 1876-1915) si apprende come esplicitamente si praticasse nel manicomio ottocentesco ciò che più tardi divenne una ideologia implicita, da occultarsi con imbarazzo: i degenti vengono classificati non secondo le professioni, ma secondo il censo; una Commissione di vigilanza della Camera nel 1906, e con intenti umanitari, registra nel suo rapporto: «Sia nella parte edilizia che nell'organizzazione tecnica nulla vi è che abbia il carattere di manicomio»; e così via. Massimo Quaini, poi, dimostra come il celebre Panopticon djvenutoci familiare con la lettura di Sorvegliare e punire, fu presto imitato a Genova. Antonio Gibelli ( e Guerra e follja. Potere psichiatrico e patologia del rifiuto>) analizza le pratiche repressive messe in atto contro i traumatizzati di guerra (solitamente si conoscono solo le fobie dei pochi fortunati che, invece, andarono in analisi da Freud). Due saggi sono dedicati all'esame di situazioni locali. Paola Lanzavecchla, Piero Lingua, Giuseppe Sinigallia studiano lo stato della popolazione manicomiale di Alessandria nella seconda metà dell'Ottocento; Luigi Ganapinj, esamina invece i primi anni di attjvità del frenocomio di Trieste. m.f
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