mediabili fratture fra le diverse linee rivoluzionarie: il nucleo delle fuJure Brigate Rosse sostiene la pratica sistematica della lotta armata, la clandestinità, e, di fatto, finisce per rompere i ponti con quel proletariato che si pregia di rappresentare, seguendo l'immagine di una ormai inesistente classe operaia. L'autonomia si propone invece di «cavalcare la tigre», di incanalare alla rivoluzione lo spontaneismo del movimento; le azioni di gruppo sono a suo giudizio controproducenti; essa altende, forse ingenuamente, la grande sommossa proletaria, nella convinzione leninista che rivoluzione e vittoria <possono essere solo frutto de/l'azione di massa» (Negri). Lo stesso Balestrini dimostra, con un montaggio epico, la concezione che l'Autonomia ha nei confronti del grande movimento di massa: un tappeto che soffoca gli· spalti e scende giù a nascondere completamente il prato, un azzurro fiume di jeans che si riversaper le strade, una folla che per le vie di New York mette in atto la concezione del contropotere diretto, non credendo più nella democrazia rappresentativa, ma volendo reclamare i propri diritti attraverso la soddisfazione dei bisogni (esproprio proletario). Balestrini rappresenta, con indubbia capacità, il formicolio della folla politicizzata e richiama, in questo procedimento, il montaggio di Eisenstein ne «La corazzata Potemkin», nel quale il turbolento susseguirsi di azioni è spesso interrotto da una stessa immagine che rapprende l'intero movimento e ne aumenta l'epicità e la drammaticità. Inizialmente, parlando dello schema formale dell'opera, avevo menzionato l'apparizione-sparizione dellaproposizione; i dritti non fungono solo da eco - simile ali'antica assonanza della rima - ma il ritorno della proposizione permette la costruzione dell'orizzonte epico, la rappresentazione dell'ansia, della sofferenza, della delusione, de/l'impotenza, dell'ossessivo desiderio di un ritomo alla normalità, alla minima e concreta realtà di tutti i giorni. La sua donna descrive in una lettera -usata da Balestrini nel patchwork -la casetta delle vacanze, costruita sul limbo del bosco e della spiaggia, dove «infuriano i tafani», dove si mangiano ottimi spaghetti con gli zucchini e meloni squisiti, dove le mucche scampanano nei dintorni e« Pippo impazzito ci ingaggiadelle lotte, le insegue al galoppo». Le parole della donna, quotidiane e dimesse, sempre materialmente denotative, fanno di questa parte di Blackout una altissima poesia d'amore, un amore letto fra il mondo degli oggetti, delle azioni e dei sentimenti di tutti i giorni: «Ecco così con in più un bellissimo gazebo di I scope con tavolo e panche di legno dove si può I leggere scrivereriposareese ci fossi tu anche/». Jacopo Ortis si chiedeva: «S'io avessi venduta la fede, rinnegata la verità, trafficato il mio ingegno credi tu ch'io non vivrei più onorato e tranquillo?» La risposta è stata unanime: l'intellettuale ha preferito abbassare la testa, l'uomo della strada si è lasciatoguidare ad occhi chiusi. Abbiamo accettato senza domande il blackout. Del resto vedevamo la statua della Libertà con la sua fiaccola accesa. Maurizio Bemardelli Curuz Sinistra destra: Vecchi preti e nuovi teologi Non posso non chiarire, in partenza, due punti. Un primo, autobiografico. Io non sono un laico. Non sono nemmeno un ateo. L'una o l'altra mi sono sempre • sembrate posizioni troppo comode. Ed un intellettualedeve metodicamente rifiutare il comodo. Sono un libertino. E, preciso, libertino per me è colui che accetta perfino l'eventualità (puramente teorica) dell'esistenza di. Dio ma che, di fronte a questapossibilità aggiunge che se Dio esiste va sfidato, guerreggiato, distrutto. Un essere di così suprema ingiustizia non può, non deve esistere. Questo, per chiarire che delle accuse di mangiapreti me ne infischio allegramente; solo i laici si fanno coglionare col fallo che col clero non si deve più avere un atteggiamento polemico. Per conto mio, i servi di un essere di suprema ingiustizia vanno tulli denunciati per quello che in realtàsono: dei servi prezzolati di una causa quanto meno dubbia. E ciò, senza alcuna eccezione. Ritorno all'anticlericalismo? E perché no? L'altro punto non è più autobiografico perché investeposizioni che vanno molto al di là delle mie modeste posizioni personali. Chi è di destra? Chi è di sinistra? Basta veramente essere (dichiararsi) marxista per essere di sinistra? Mi sembra veramentepoco. E chi non è (non si dichiara) marxista è automaticamente di destra? Mi sembra veramente troppo. In ogni modo, tutto questo mi interessamolto relativamente. Quel che mi sembra contare veramente è un'altra faccenda: essere o non essere uomo di progresso. E su questo punto vorrei spiegarmi con un esempio. Un teologo (?sic!), Gianni BagetBozzo, imperversa da tempo su quotidiani e settimanali del nostro Paese spacciandosi per uomo di sinistra. Ho lettopiù volte laprosa di questo teologo (? sic !) e sono giunto da tempo alla conclusione che più che un vago catechismo tinteggiato di rosso con la leuura del Manifesto marxiano, non v'è nel pensiero del teologo (? sic!) Gianni Baget-Bozzo. Ma ultimamente egli ha raggiunto il punto di non-ritorno per impudore. Tuttavia, l'impudore ha dei meriti: obbliga a volte a gel/are la maschera. E veniamo ai fatti. Nel' Avanti! del 18 u.s. il noto teologo (? sic !) scrive: «Craxi ha ragione di notare che ci troviamo di fronte ad un rigoglio di cultura reazionaria. Spero che le istituzioni e le riviste culturali dell'area socialista prestino attenzione al fenomeno della cultura di destra ispirato ad una lotta organica contro il giudeo cristianesimo. Troveranno che essa avanza in aree insospettabili (anche qui) come, ad esempio, le voci sui temi religiosi della Enciclopedia Einaudi. francamente neopagane e critiche del giudeo cristianesimo». De/l'Enciclopedia Einaudi ho l'onore della paternità e l'onore della direzione. Ed a questo titolo credo poter dire che il teologo G. Baget-Bozzo non ha capito un bel niente. Né mi stupisce data la sua inculturache glipuò consentire solo di brillare nei salotti (terrazze?) romani(e). Di essere o non essere neopagani, agli uomini della Enciclopedia Einaudi non interessa un bel niente. Ci interessa invece di rompere nel modo più chiaro e netto possibile cqn l'idea di centro. Non crediamo più nel centro (sia esso Dio, la Ragione, lo Spirito, la Materia o altre diavolerie del genere). Ci interessavederese è possibile costruire un'organizzazione del sapere su basi acentrate; di un sapere, cioè, inteso come rete (nel senso matematico) di modelli. Abbiamo, dunque, molti nemici: dai teologi (veri e/o falsi) agli idealisti (veri e/o falsi) ai marxisti (veri e/o falsi). Ma abbiamo anche molti amici: da un Putnam ad un Ho/ton; da un Thom ad un Prigogine; da un Leach ad un Augé; da un Eco ad un Bedeschi. I quali, saranno anche - individualmente e personalmente -marxisti o idealisti, cristiani o ebrei praticanti ma hanno accellatodi giocare il gioco di un certo progetto: quello di costruire una organizzazione acentrata del sapere. Che significa tutto ciò? Bisogna dare per scontato che il teologo (? sic !) Gianni Baget-Bozzo non capirà nemmeno una virgola di quanto ho qui scritto. Eppure, se fosse un vero teologo, dovrebbe sapere che già in un manoscritto anonimo, pseudo ermetico, del Xl/ secolo - il Liber XXIV Philosophorum - è già scritto: «Dio è una sfera che ha il centro dovunque e la circonferenza in nessun luogo». Anticipazione, questa, di San Bonaventura (Itinerarium mentis ad Deum, V, 8): « Poiché [Dio] è infinitamente semplice e infinitamente grande, si trova, in tutta la sua completezza, a/l'interno ed all'esterno di tutto; ed èper questo che è una s[era intelligibile che ha il centro dovunque e la circonferenza in nessun luogo». Sono espressioni, queste, che i teologi come G. Baget-Bozzo (se mai avessero LelloSan Bonaventura...) interpreterebbero come simbolo di un trascendente e che, invece, vanno molto più lontano per giungere ( incoscientemente) a quelli che nel moderno linguaggio filosofico si definiscono come «diagrammi d'immanenza». Sono quest'ultimi che non piacciono ai teologi. Ed è un loro diritto. Un diritto di difesa, perché con i diagrammi d'immanenza il loro centro sul quale (da quattromila anni; da Giove a Cristo; dal Dio giudeo ad Allah) si è sempre costruito il sapere, vaa sfascio. Si è neopagani se si pensa contro il centro? Evviva! Siamo neopagani (tanto per far contento il teologo - ?sic ! - BagetBozzo )! Ma, di fallo, non siamo altro che persone che hanno colto il senso più vero e profondo della moderna antropologia come della cibernetica;della biochimica come della teoriadelle catastrofi .... Ora, si può tornare al titolo di queste notazioni. Destra?!Sinistra?E se rimettessimo in onore una vecchia parola? Progresso (Condorcet benedicente). E allora si vedr.àche nessuno può pretendere al monopolio della destra o della sinistra (sopral/utto di quest'ultima). Non vi può pretendere perché il progresso, il lavorareper ilprogresso, non appartiene ad un catechismo, ad un manifesto, ad una ideologia. Catechismi, manifesti, ideologie cristallizzano il sapere. E ciò può perfino essere utile in momenti di accrescimentoper stratificazione del sapere. Ma non serve assolutamente a nulla in momenti quali quelli che stiamo auraversando, in cui il sapere si accresce attraverso rotture, fratture. Né i vecchi preti, né i nuovi teologi possono farci niente. Perdono i pedali e si incazzano. E, in più, barano più del consueto. Mi spiego. I vecchi erano «simpatici». Tuuo era chiaro, con loro. L'«infedele» andava convertito e ucciso. All'interno della Koyné cristiana, l'eretico andava torturato fino a che non riconoscesse il «bene» ed il «vero». In tal modo, crimini, furti, violenze, uccisioni, etnocidi (che costituiscono buona parte della gloriosa tradizione giudeo cristiana) avevano una loro giustificazione. Con i nuovi teologi, lasituazione cambia: tutto è equivoco, confuso, ambiguo. Peggio: questi signori sfruttano il capitale portato loro da vecchi preti (esemplare il caso del povero Carni/o Torres) per le loro chiacchiere, le loro ambizioni, le loro arrampicate sociali. L'alleanza che si è stabilita tra una pretesasinistra in crisi e questi nuovi teologi è controprova di quanto dico. Ma gli intelleuuali (quelli veri) che hanno a che fare con questo «vaste merdier»? Decidiamoci: mandiamoli tuui al diavolo (si troveranno in atmosfera teologica). E si abbia il coraggio di dichiararsi anticlericali:senza eccezioni. Senza distinguo? Sì. Distinguendo. Personalmente preferisco il vecchio prete di destra al nuovo teologo di sinistra. Se, con una pistola alla nuca, dovessero impormi di scegliere una fede, risponderei: a) se con i vecchi preti, preferisco la cauolica. Mil/eanni di putridume cauolico corrisponde bene alla mia cultura (la pizza è cauolica, per irllenderci. .) b) se con i nuovi teologi, preferisco Allah: almeno potrò sperare nel suo paradiso (dove, forse, saranno «mili' e tre») In ogni modo, il mio invito è semplice. Lasciamo la compagnia di vecchi preti e di nuovi teologi e, con Don Giovanni, andiamo a cenadal Commendatore.... Il «progresso» (Condorcet benedicente) è n. Ruggiero Romano P.S. Ho sempre aggiuntoa «teologo» un punto d'interrogazioneed un sic. Il lettorene saràforse sorpreso. Il fatto si è che, per me (e non solo per me) un teologo-di quelli veri-deve conoscere una dozzina di lingue morte-dal latino a/l'ebraico; dal caddeo all'arabo -. E G. Baget-Bozzo, conoscendo il catechismo, si spaccia per teologo. È proprio questo che gli dà udienza presso coloro i quali credono che-iscrivendosi al Partito Comunista-sono diventati «marxisti». È sempre questione di «chiesa».... Per la Madonna! Cara Alfabeta se ben ricordo non devo mai aver scritto una lettera ad un giornale, oggi essendo sollo cassa ma/auia e morendo dellanoia mi sono divertito a leggeree a sottolineare un articolo del signor Alfredo Giuliani in la repubblica pagina culturale del 22 gennaio 1981, oggi mi piace fare cosadiversa, è il 2 7 gennaio e finisco i miei anni 51, finiti e consumati tutti benissimo, o almeno il meno peggio che mi è stato possibile. Ecco il Alfredo Giuliani: Non ho nulla da obbiettare contro questa poetica. A me non è piaciuto il poemetto Blackout. Non mi piace la propaganda politica travestita da poesia epica. Non mi piace Virgilio, figuriamoci il N.B. Tale argomentazione non mi riguarda percl'lesono avversario di tutte le utopie. Come non mi nutro della teoria politica di Toni Negri. Rifiuto la sua jattanza catastrofica. Io non inquisisco, non pedino, non arresto i criminali. Non mi piace la propaganda politica di Blackout. Godrei di quelle che serenamente fuggono la realtà. Non riesco a sentire nel montaggio di N.B. una dignità ideologica. Non è linguaggio letterario non è nulla. Un illuso di cui non mette conto di aprire una discussione. È talmente assurdo nella sua arroganza, che non ne parliamo più. Credo proprio che di un tipo simile chepomposamente dichiarache non gli piace il Negri, nè il Virgilio, neppure l'epica travestitada propaganda politica o l'opposto, e che poi rifiutapopolosamente anche la jallanza ca/astrofica, di un tipo simile che crede necessario fare sapere a tutto il mondo alfabetizzato italiano quello che gli piace e non gli piace: È talmente assurdo nella sua arroganza, che sarebbe meglio non parlarne più almeno sino al giorno che continua a rimanere cosi cretino. Però ho un terribile e comico sospeuo, un tipo così cretino sarà sempre un cretino e quel che è peggio deve essere stato sempre un cretinoanche quando faceva le antologie dei nuovissimi. Un fatto è certo, il Blackout di Balestrini finisce con questo verso: LE LUCI SI SPENSERO, io avrei preferito «e ritornammo a riveder lestelle»ma la colpa non è proprio di Balestrini se le luci si spengono veramente per la madonna. Luigi Di Ruscio Oslo 4 Norvegia Rettifica redazionale Accogliendo le osservazioni che ci giungono da Jean-Jacques Lebel, segnaliamo alcune imprecisioni e omissioni relative alle immagini pubblicate su Alfabeta n° 20 (gennaio 81): I) tutte le foto pubblicate sono state prese durante il secondo Festival Internazionale di poesia « Polyphonix» (manifestazione annuale che si svolge presso il Centro Americano di Parigi) organizzato e curato da Jean-Jacques Lebel; 2) ringraziamo Thierry Da/by, disegnatore di «Sandwich/Libération», che è autore dell'immagine utilizzata a p. 28 per la campagna abbonamenti, scusandoci per l'omissione della sua firma; 3) segnaliamo che la foto di gruppo pubblicata a p. 17 si riferisce ad una p(lrte dei 53 scrittori di 13 paesi che hanno partecipato alle treseratedi poesia in cui si è svolto il Festival di cui al punto 1. Musica, oltre lamusica Mensile dell'ARCI diretto da Luigi Nono Il piccolo Hans N.0 28 ouobre-dicembre I Y80 La psicoanalisi in Ungheria, oggi Scriui di: I. Hermann, A. Binét, E. Varga, S. Marasek Klaniczai, J. Székacs, L. Nemes, T. Rajka, I. Hardi, A. Barta, S. Gero, M. Hubay, e di Sergio Finzi Dall'analisi di una serie di casi clinici, emergono temi come lo spazio, la musica, la voce, l'aggrappamento, cari alla ricerca teorica de Il piccolo Hans. Una lettura nuova, più fascinosa e complessa, della scuola di Budapest. Il piccolo Hans, rivista trimestrale diretta da Sergio Finzi. Edizioni Dedalo, Bari. Un fascicolo L. 4.000; abbonamentò 1981, L. 14.000. c/c postale 11639705 intestato a Edizioni Dedalo, Bari. Unbuon aforisma devesciogliersi sullalingua comeuna caramella e n~O~rtç:t più. 4LTB4CD Mensile di informazione e cultura dell'ARCI ~ Mensile a cura del Comitato Regionale Lega Cooperative de~Emilia Romagna Cooperazione. Tanti ne parlano a sproposito. Noi no! Abbonamenti per il /98/ I/ numeri Lire I O.000 Inviare assegno o vaglia postale a: Comitato Regionale Lega Cooperative Via Aldo Moro, 16 • 40121 Bologna
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