1,....- come aila mitica patria di qualsiasi fenomeno d'avanguardia, può aver corretto e vagamente deformato l'autentica parabola della danza moderna. I precursori delle nuove concezioni sul gesto espressivo furono un francese, François Delsarte (1811-1871), e un austriaco, Emile Jaques Dalcroze (1865-1950). La scienza sviluppata da Delsarte, che stabili una classificazione minuziosa atta a ridefinire le leggi dell'espressio1_1ecorporea, ebbe grande diffusione negli Stati Uniti alla fine del secolo scorso. I principi di quest'innovatore, assimilati e applicati da generazioni successive di danzatori, si ritrovano nelle varie tecniche dei sistemi di danza moderna praticati e insegnati attualmente. L'insegnamento del sistema Delsarte fu adottato dalla scuola Denishawn (da cui sarebbe uscita Martha Graham), in California, nel 1915. Ted Shawn, fondatore della scuola insieme a Ruth St. Denis, prese coscienza dell'esistenza del delsartismo tramite un articolo di Bliss Carman. Subito prese contatto con l'autore, che gli fece conoscere Mary Perry King, vecchia allieva di Henrietta Crane, che per otto anni aveva lavorato accanto a Gustave Delsarte, il figlio di François. Anche Geneviève Stebbins, che aveva appreso in Europa i principi di Delsarte, partecipò alla diffusione del delsartismo in America. Molto prima della Duncan, la Stebbins presentò in alcune scuole statunitensi delle conferenze dimostrative, con danze ispirate alla statuaria greca e alla pittura del Rinascimento. Queste nuove danze, definite «moda interpretativa», erano fortemente impregnate di teorie delsartiane. E sia Isadora Duncan che Ruth St. Denis studiarono con Genevieve Stebbins. Chi, ancora, propagò il delsartismo negli Stati Uniti, fu l'attore americano Steele Mackaye, che aveva studiato direttamente con Delsarte a Parigi, e che dal 1871 in poi girò l'America con una serie di conferenze sul!' Harmonic Gymnastic, un sistema di esercizi corporei ispirati ai principi di Delsarte. La nuova scienza suscitò ovunque grande entusiasmo, e pose le basi per l'evoluzione della danza moderna. I principi essenziali del sistema delsartiano infatti, rappresentano tutt'oggi il cardine delle varie tecniche di danza contemporanea: per esempio nell'attribuzione al torso di un ruolo primario nella dinamica del corpo, in quanto centro primordiale d'espressione; o nell'uso controllato e ritmico dell'alternanza tra tensione ed estensione; o ancora, infine, nel riconoscimento del valore del peso del corpo, della gravità, del rapporto col suolo, disconosciuto dal balletto tradizionale. L'altro capostipite delle correnti di danza moderna fu Dalcroze, il creatore della Ritmica, lo studioso del rapporto tra suono ed educazione corporea, il teorico dell'espressione come legge di «tensione e rilassamento», opposizione perpetua tra contrazione e decontrazione. Il metodo Dalcroze ispirò la creazione di un centro d'insegnamento a Londra nel 1913, la london School of Dalcroze Eurythmics, e di un altro centro a Ginevra, nel 1915. Nel '29 il metodo Dalcroze era insegnato al Conservatorio di Stoccarda, e nel '34 fu adottato dall'Istituto Reale di Ginnastica Svedese a Stoccolma. In Germania, Mary Wigman fu allieva di Dalcroze a Hellerau, e in seguito lavorò a fianco di Rudolf von Laban, il teorico di una nuova logica del movimento corporeo (nonché creatore di un celebre sistema di notazione coreografica, la labanotation ), tutt'oggi diffusa in molti centri del Nord Europa. Mary Wigman, da parte sua, formò la danzatrice Yvonne Georgi, che divenne la partner di Haraid Kreutzberg. Insieme fecero tournées negli Stati Uniti, e l'interesse suscitato dalla loro apparizione, risultò determinante per danzatori come José Limon e Erick Hawkins. Ma i principi di Dalcroze furono importati negli Stati Uniti soprattutto da Hanya Holm, la danzatrice tedesca che a partire dal 1931 si stabilì in America. La Holm fu maestra di alcuni tra i maggiori talenti della moderna coreografia statunitense, come Valerie Bettis, Alwin Nikolais, Murray Louis, Glen Tetley e Mary Antony. La complessa vicenda della «modem dance» dunque, va fatta risalire in gran parte a radici culturali centroeuropee. Se pure la danza moderna, in Germania, sfiori negli anni del nazismo, e dopo la guerra i tedeschi ·sivolsero al balletto classico come a uno strumento per potersi ricongiungere al mondo della cultura tradizionale, le nuove suggestioni strutturali del «modem» centro-europeo, insieme alle nuove metodologie d'espressione corporea, trovarono ampia diffusione in America. E anche in Europa, gli insegnamenti di Laban, Dalcroze e Wigman (insieme a quelli degli altri due grandi esponenti del «modem» europeo, Kurt Jooss e Harald Kreutzberg) fecero sentire la loro influenza: la danzatrice e coreografa Rosalia Chladek, allieva di Dalcroze, diffuse in Austria le teorie del suo maestro; il sistema di Laban trovò ampia diffusione in Inghilterra (soprattutto grazie alla fondazione del laban Art of Movement Center di Londra, diretto da Lisa Ullmann) ed anche in Francia, tramite la danzatrice Jacqueline Challet-Haas; in Svezia, Birgit Cullberg e Birgit Akesson, formate l'una da Kurt Jooss e l'altra da Mary Wigman, costituirono nel loro paese (in particolare la Cullberg, ancora oggi molto attiva come coreografa) il prolungamento della scuola espressionista tedesca; il francese Jean Cébron, discepolo di Jooss e creatore a sua volta di uno stile personale di danza moderna, insegnò a lungo in Germania, al Folkwang Ballet Kurt Jooss di Essen (dove lavora oggi Susanne Linke, una tra le più interessanti coreografe tedesche), ali'Accademia di Stato di Colonia e all'Accademia Palucca Schule di Dresda. E sempre in Germania, in questi ultimi anni, si è assistito a un vero e proprio risveglio della danza contemporanea, tale da determinare il progressivo sviluppo di una corrente di «nuova danza» autoctona: oltre a Pina Bausch e a Susanne Linke, spuntano altre personalità degne di nota, nomi che presto faranno parlare di sé: come Brigitte Trommler a Monaco, Reinhil Hoffmann a Brema e Gerhard Bohner a Colonia. Tutti figli, alla lontana, di Mary Wigman e Kurt Jooss. e os'è che realmente separa la nuova danza statunitense dalla nuova danza tedesca? Tutto, o quasi tutto, si direbbe, a parte le remote radici in comune. Prendiamo la Bausch, l'esempio tedesco più celebre e più compiuto, negli obiettivi così come nelle premesse. La coreografa lavora sui classici, e i suoi spettacoli possono prendere le mosse da Stravinsky come da Bart6k, dai testi sacri come da Brecht. Il punto di partenza resta pur sempre una vicenda culturale che può essere violentata o dissacrata, ignorata mai. Gli americani, Simone Forti, Lucinda Childs, Yvonne Rainer, così come Paxton o la Brown, possono invece attingere materiali dal quotidiano, dalla poesia moderna, dalle arti visive contemporanee: sempre, comunque, si muovono all'insegna del presente, dell'immediato. Il performer lavora prevalentemente in spazi vuoti o svuotabili, estendibili all'infinito, in cui risalti la fisicità in movimento. La rappresentazione è purificata da qualsiasi elemento che si agganci alla tradizione: il costume di scena non esiste, si danza a piedi nudi, o in scarpe da ginnastica. Il gesto si costruisce secondo un percorso fatto di soluzioni frammentate, astratte, non narrative. La Bausch, da parte sua, riempie uno spazio vuoto e orizzontale di oggetti che fungano da sollecitazione continua sia per l'attore sia per lo spettatore (sedie, specchi, cappelli, strani animali); veste i ballerini in abito da sera e fa calzare loro scarpe col tacco; adotta una gestualità respirata, viscerale, che tiene conto anche di acquisizioni ballettistiche: un gesto dunque, che si fa al tempo stesso materiale vivo e realtà monumentale. E, soprattutto, un gesto limitato in uno spazio limitato: non si ha più a che fare, come nel caso degli americani, di un gesto infinito in uno spazio illimitato. Al contrario lo spazio, per la Bausch, è un partner con cui bisogna sempre fare i conti, un respiro da conquistare contro soffocanti pressioni, una realtà esterna con cui il corpo stabilisce un tragico confronto, una sfida di vita contro la morte. C'è qui tutto il senso del Lebensraum, di quello «spazio vitale> per ottenere il quale la Germania ha lottato nei primi decenni del nostro secolo; c'è l'eco ossessiva di Heidegger, c'è il ricordo di una religiosità drammatica, ci sono le sfumature della grande tradizione pittorica dei «primitivi> tedeschi, dell'espressionismo grottesco e demoniaco; e c'è anche l'antica consapevolezza delle ricerche svolte dal Bauhaus di Weimar, dove i problemi della danza venivano affrontati a partire dalle arti plastiche e dall'architettura. La Bausch, in definitiva, rappresenta l'ultimo epigono di una dimensione culturale rispetto a cui gli americani, o alcuni tra loro (come Alwin Nikolais) hanno fruito solo per spunti figurativi, acquisiti e rielaborati, ma alla quale, sostanzialmente, non appartengono. Negli anni 60- 70, si diceva all'inizio, la pratica teatrale occidentale prende a bruciare ogni assunto di marca letteraria per lanciare un segno nuovo, di natura fisica o fisicizzante. Negli ~tati Uniti come in Europa, il teatro si rinnova per contaminazioni e complementarità: e al centro di tutto questo c'è l'esercizio del corpo, che riabilita la danza in una dimensione teatrale. La considerazione del senso e della portata di questo rinnovamento, non può prescindere dall'analisi del fenomeno della danza contemporanea: un fenomeno, dunque, che va letto e costantemente ridefinito, in quanto trapasso di esperienze e assorbimento di scambi tra le due dimensioni culturali dell'Occidente, l'europea e l'americana. Tutta la vicenda del moderno teatro di danza centro-europeo, mostra oggi d'essere entrata prepotentemente a far parte di questa ridefinizione costante. l'attoresenzavolto Il Teatro» ed «attore» appaiono '' termini inequivoci, nella cultura occidentale. In realtà la storia, e quindi le successive funzioni del binomio, risultano altamente mutevoli: è il rapporto (in genere ambiguo, non di rado conflittuale) fra le due entità, a determinarne le reciproche valenze. Che il teatro sia strumento dell'attore, sembra oggi prevaricante: il paradosso si attenua, se per «teatro» si intende un apparato meno rigido e pregiudiziale, con «attore» si indica un creativo, anche se imprevedibile demiurgo. La vicenda si è già, ed istruttivamen- ~ te, verificata. Ne abbiamo una testi- " monianza d'eccezione. La Poetica di .!, ~ Aristotele, malgrado la sua specie c:i. manualisticae prescrittiva,rappresenta una umorosa, se non indignata reazione ad analogo fenomeno di ribaltamento: la supposta degenerazione del teatro, la centralità dell'attore apparivano ormai irreversibili. Del resto, solo reinventando il teatro si otterrà una riduzione (nuovamente ~ strumentale) dell'attore. Aristotele ~ guarda pervicacemente al passato: del- ,; la «commedia nuova», integralmente borghese, emblematica di una misura (o mediocrità?) non solo etica che egli stesso ha predicato, nel suo pamphlet non v'è traccia né sospetto, malgrado precocissimi, macroscopici fermenti. Il precario condizionamento fra i due termini non è, a ben vedere, sostanziale: tanto meno categoriale. Per un intero secolo, non della preistoria, ma della loro sfolgorante storia, mancano documenti (e in genere monumenti) degli elementi ritenuti costitutivi. Abbiamo tuttavia dati sufficientemente attendibili, per le tappe essenziali. Nel 534 a.C. viene istituito ad Atene !'«agone» tragico, in onore del dio Dioniso:· va appena sottolineato che la iniziativa risale a Pisistrato, da un quarto di secolo («per grazia di_dio e pervolontàdellanazione»)illuminato tiranno. Soltanto nel 486, subentrerebbe !'«agone» comico: nel cuore delle guerre persiane, la cui epocale vittoria sarà dovuta ad un totalitario, quanto consapevole coinvolgimento popolare. È attraverso la commedia (e la sua conseguente istituzionalizzazione) che più liberamente si esprimono e consolidano le istanze delle classi emergenti. Benedetto Marzul/o È possibile ricostruire, con frammentaria approssimazione, i successivi «Fasti» della secolare vicenda. Tutti i dati a noi pervenuti (per via epigrafica o letteraria) risalgono in sostanza alla computeristica mente di Aristotele, autore di due separate opere catalogiche: le «Didascalie», nonché le «Vittorie». La documentazione più alta si preoccupa, significativamente, di regi- • strare il solo arconte, quanto dire l'autorità incaricata dell'agone, la tribù che ne portava l'onere organizzativo, il nome del «corego» ed (ultimo!) del «didascalo» vittorioso: quanto dire del responsabile finanziario e di quello tecnico. Il «didascalo» in realtà era il capocomico: spesso identico al poeta. La presenza del poeta, evidentemente, non ha rilevanza se non nella gara, dunque nella dimensione sociale. Preminente appare invece la prestazione dell'impresario, di un cittadino soggetto ad onerosa (non di rado gloriosa) imposizione, sostanzialmente fiscale. Privilegiata non risulta la «invenzione» (fatto privato, noi diremmo, o- sulle orme del nostro Aristotele - letterario), ma la rappresentazione: la messa in scena, il solo evento di interesse integralmente pubblico. D estinatario è la intera comunità: Pericle (con sospetta sollecitudine) giungerà a risarcire, con una diaria minima, il cittadino che attenda alla cerimonia: civica e religiosa assieme, in realtà politica. Per almeno un secolo non hanno rilevanza né infrastrutture né esecutori: soltanto nel 449 sembra istituito, aggiuntivamente, l'agone degli attori tragici, occorrerà un altro decennio per quelli comici. Testimoniando più che il successo, la discoverta dignità ed insorgenza dell'interprete: a nostro parere nasce, soltanto ora, la specificità del teatro, si inizia la sua «laicizzazione». Significativo è del restoche non soltanto i documenti ufficiali, ma le stesse testimonianze letterarie ignorano «teatro» ed «attore». Dei tragici, pure strutturalmente interessati, nessuna traccia: essi appaiono, dallo sdegnoso silenzio, contingenti accessori. La commedia, più disinibitamente (o con vendicativo proposito) nomina il «teatro>, ma quale collettività dei fruitori. La medesima radice unisce, non soltanto sul piano linguistico, l'uno agli altri, allo «spettacolo,.: thèatron, theatès, theòmenos indicano il luogo ovvero l'utente (rispettivamente istituzionale ed occasionale) di quell'evento che si esprime ed impone attraverso la parola thèa, quanto dire un attento, stupefatto percepire visivo. Morfologicamente, il latino spectaculum è l'esatto calco di rhèatron, nella radice come nel funzionale suffisso. Più imbarazza la ostinata reticenza nei confronti dell'cattore,., e della sua attività. La cui ,sostanza è strutturalmente operativa, come intuisce ma promiscuamente sottolinea per primo Aristotele. È la praxis, la «attualizzazione,. di un fatto (non la sua narrazione), che rende possibile il «dramma>, egli sembra affermare agli inizi della Poetica. Purtroppo drama è termine dorico (un dialetto conservatore, odiosamato): correntemente l'attico direbbe pragma, che indica il fatto comunque accaduto, diverso da quello in via di sviluppo. Già la vecchia matrice dorica, per un evento squisitamente ateniese, sconcerta: ma altrettanto oscuri resteranno «tragedia> e «com-
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