Alfabeta - anno III - n. 22 - marzo 1981

Geografi.q,.,d.tlldaanza A. Giraudet Pbysionomie et gestes. Méthode pratique d'après le système de F. Delsarte Paris, Librairies-Imprimeries Réunies. 18Q'- Jaques Dalcroze Le rytbme. la Musique et l'Education Paris, Librairie Fischbacher, 1920 Souvenir. otes et Critiques Editions Victor Attinger, NeuchlitelParis 1942 Recueil collectif de textes Neuchatel, Editions de la Baconnière 1965 Mary Wigman Die Spache des Tanzes Ernst Battenberg Verlag, 1963 tr:id. ingl. The Langage or Dance Middletwon, Wesleya University Press, 1966 Von Laban The mastery or movement trad. ingl. Mac Donald and Evans, 4° ediz., London, 1960 Sam Thomton A Movement Perspective or Rndolf Laban London, Mac Donald & Evans, 1971 W. Sorell Hanya Holm Wesleyan University Press, Middletown, 1969 J. Baril La danse moderne Paris, Editions Vigot, 1Q66 AA.VV., Ballet 1979 (Chronik und Bilanz des BaBetjahre) Hannover, Friedrich Verlag ed., 1979 S e si va alla ricerca di una sorta di cgrado zero,. nella storia del gesto teatrale contemporaneo, viene a mente quel ciclo crigenerante,. rispetto ai canoni gestuali della comunicazione scenica, che risale agli anni 60- 70: quando Grotowski, col suo Teatr Laboratorium di Wroclav, riempie lo spazio teatrale - purificato da ogni supporto scenografico- di gesti liberatori, non narrativi, costruiti a ritmo spezzato, elementare; gesto che brucia energie per ridistribuirle e riassorbirle ancora, gesto che prolifera e scopre metafore, in un costante gioco di rapporti tra attore e spettatore, secondo una logica di correlazione circolare. E mentre in Europa i laboratori corporei di Grotowski (o alla Grotowski) imperversano ovunque, a spezzare l'interpretazione borghese della pratica teatrale arriva pure il Living Theatre: la rivendicazione politica, la protesta sociale e culturale, si riflettono in una scrittura scenica che è tutt'uno con le esperienze di vita; il gesto è reinventato, ridefinito come nudo, provocatorio ed essenziale, esaltato da un'esasperazione comportamentale in cui la storia si fonde col soggettivo. L'esercizio basilare di tecniche corporee, in Grotowski come nel Living, anche se in modo diverso e con obiettivi different (l'uno che attinge dai miti e dalla ritualità, l'altro tutto proiettato nell'utopia anarchica) ribalta le fondamenta dei trascorsi teatrali: un passato che è anche, soprattutto, teatro fatto di parole. Ma ora, il dato letterario viene improrogabilmente risucchiato in un teatro dinamico e visivo. Teatro di movimento, dunque: il segno scenico è un verbo nuovo, che verbale non è affatto, perché è sempre concreto, fisicizzante. Sempre corporeo: cBack to the body,., è la legge del nuovo teatro. Ed anche negli anni successivi, col laboratorio parigino di Peter Brook e le ricerche di Ronconi e Stein, che già segnano una riabilitazione del professionismo e una rivalsa del disegno registico strutturale, la luce del rinnovamento teatrale resta all'insegna del corpo: ne fungerà da ulteriore conferma la comparsa di Bob Wilson, la cui attività sperimentale apre decisamente le porte alla nuova danza a!lJericana. Wilson, che lavora con Lucinda Childs, un'esponente di prima linea della «new dance>, assume il gesto •Afffldk come fenomeno volto a finalità immaginarie, sposa una qialità di movimento- fisso, teso, decelerato- che fascia per intero l'azione, la dilata, ne determina il tempo e i ritmi, al di fuori di ogni convenzionalità teatrale. Parallelamente, Meredith Monk assimila nel suo teatro di visioni - un'insistente oscillazione ottica tra la dimensione del quotidiano e quella del1'immaginario - tutte le migliori esperienze della scuola della «post-modem dance,.: quella che, sulle solide basi di rinnovamento gettate dai due caposcuola degli anni 50-60, Merce Cunningham e Alwin Nikolais, corre sul filo diretto della Grand Union e cli Steve Paxton, di Yvonne Rainer e Trisha Brown. di Simone Forti e Joan Jonas. Del post-modem, la Monk raccoglie tensioni e deconcentrazioni, accumulazioni ed aritmie: la realtà è in osmosi col corpo. ruota tutta attorno ad esso. • Non si tratta più, a questo punto, di identificare oppure mettere in discussione i nessi e le relazioni tra il nuovo teatro e la nuova danza: se già filosofia, politica, arti figurative, poesia e architettura, hanno fatto il loro ingresso nel mondo teatrale fino ad invaderlo sensibilmente, parlando di danza (intesa naturalmente nella sua accezione più ampia, al di là di convenzioni accademiche o formalismi ballettistici) il discorso si fa assai più che interdisciplinare. La contaminazione è talmente vasta, i collegamenti cosi molteplici e intrecciati, che è difficiledefinire limiti o procedere a settori. Non è il caso di teorizzare distinzioni, ad esempio, guardando al lavoro di Pina Bausch, la regista (o la coreografa, che dir si voglia) del Tanztheater di Wuppertal. Anche se l'allestimento della rappresentazione procede decisamente da una formazione-base di danza, «il lavoro della Bausch - come ha scritto Ugo Volli- è teairo, grandissimo teatro, cui male si attagliano classificazioni per generi,.. I nnumerevoli sono gli accostamenti, gli spunti e le citazioni, a cui si può fare riferimento a proposito di Pina Bausch: il sapore wilsoniano nell'«imagerie», netta e angosciosa, così come nel rapporto con lo spazio e nell'intensità della concentrazione gestuale, una ripetitività che ingloba qualsiasi concezione convenzionale della durata (vedi Cafè Muller); una brutalità alla Carmelo Bene, denza e rozza, che pone lo spettatore nella condizione di voyeur, la violenta (vedi Arien o I settepeccati capitali); un senso della ritualità - tutto teso attorno alle verità del corpo - che potrebbe ~ ;'/ Bausch sia stato considerato unicamente dal punto di vista storico-critico del teatro moderno. Si elude la distinzione in generi, come nel caso del già citato giudizio di Ugo Volli, e si sottolinea l'appartenenza della Bausch a una dimensione che parte dalla danza per andare al di là della danza; eppure, ciò che interessa finisce per essere unicamente il filo conduttore metodologico tipico dello studioso di teatro: si guarda alla composizione registica e alla scrittura cenica, si identificano parentele teatrali, si rintracciano gli antenati in referenti culturali vari (primo fra tutti: il teatro musical-poli- ~vùuuuµ11 __ essere uscito dalla lezione di Grotowski; un gusto particolare per la dimensione onirica, per l'iperbole fantastica, che sembra ispirarsi al cinema di Fellini (vedi La leggenda della castità); una fisicità leggera ed estenuante, che procede in un itinerario di frammenti astratti, quasi un percorso di movimenti sognati, (vedi Komm tanz mit mir e Er nimmt sir bei der Hand) che richiama le performances di Meredith Monk; una potenza, nella struttura delle immagini, pari a quella del teatro di Kantor; un'oggettività «ghiacciata», desolante, e tuttavia fotografata secondo ritmi tutti interiori e soggettivi, che fa pensare agli autori del nuovo cinema tedesco. Sono tutti accostamenti possibili, e che già, più o meno estesamente, sono stati fatti, in seguito alle trionfali apparizioni di Pina Bausch a Vienna, a Nancy e a Parigi. Ma sempre, o quasi sempre, è accaduto che il lavoro della ------- tico di Brecht e Weill). E si ignora il fatto che, prima e più che ad ogni altra tendenza espressiva, la Bausch resta legata alla corrente di danza moderna centro-europea, ed è una delle artefici della «renaissance» della scuola di Essen, legata ai grandi nomi di Mary Wigman e Kurt Jooss. Le ragioni dell'equivoco sono facilmente rintracciabili: capita che lo specialista di teatro diserti spesso la storia della danza, e anche quando sa dell'esistenza di uno stile «modem» tedesco, resta pur sempre convinto che la danza contemporanea abbia radici ben piantate soltanto oltreoceano. Lo specialista di danza, da parte sua, nella maggior parte dei casi non può venirgli in aiuto: impegnato a sorbirsi dieci versioni diverse della Bella Addormentata o del Don Chisciotte, di vedere Pina Bausch non ne ha il tempo, e forse neppure la voglia, restando fermo al pregiudizio aristocratico che vede nel balletto classico l'unica autentica forma di danza teatrale, relegando, più o meno consapevolmente, tutto il resto in un ambito genericamente «avanguardistico», poco fruibile, poco professionale, tutto sommato perfino fastidioso. A questo modo, ossia affidando per intero il campo della nuova danza all'esperto di teatro o di music·a,si continua a perpetrare la convinzione che il fenomeno (della «modem» cosi come della «new dance») sia sostanzialmente americano, nelle radici e nello sviluppo, e che la cultura europea, limitata da un destino di attaccamento alla tradizione accademica del balletto, ne sia rimasta esclusa, partecipandovi solo, talvolta, per volontà d'imitazione. Cosi che tutto ciò che di sperimentale accade in Europa nel campo della danza, viene inevitabilmente ricollegato ai paralleli modelli statunitensi, oppure, come nel caso della Bausch, viene definito come un «ibrido», che trae materia di spunto dal teatro o dal cinema, non dalla danza. Mai, in ogni caso, da una tradizione di danza moderna europea. Ma proviamo ora ad invertire la chiave di lettura del fenomeno, per capire quanto di autenticamente americano stia alle basi delle due grandi famiglie della danza nata in questo secolo, la «modem dance» (dagli anni 20 in poi) e la «new» o «post-modem dance» (dagli anni 60 in poi). Facendo un sommario viaggio all'indietro, scopriamo che lsadora Duncan non avrebbe potuto creare il suo stile rivoluzionario di danza libera (presupposto alla nascita della danza moderna) se non fosse stata formata artisticamente dagli ambienti intellettuali parigini d'inizio secolo, ricchi di suggestioni estetizzanti e di un rinnovato interesse per la grecità; e che Martha Graham, unanimamente considerata la creatrice del primo vocabolario tecnico sistematico di «modem dance», negli anni 20 trasse grande ispirazione dalle danze espressioniste di Mary Wigman (come anche nota più volte Jacques Baril nel volume La i:ianse moderne). Un'ispirazione diretta sia dal punto di vista della tecnica specifica sul corpo (vedi l'analogia tra il principio basilare della tecnica Graham, la «contractionrelease», e il principio dell'«Anspannung-Abspannung», tensione e distensione, proprio del metodo didattico della Wigman, basato anch'esso sulla respirazione), sia dal punto di vista della concezione del ritmo (per molti anni Martha Graham ebbe accanto, come stretto collaboratore, il compositore L<1uisHorst, che conosceva bene la danza moderna centro-europea), sia, infine, da quello, più generale, delle teorie sul movimento espressivo, emotivo e significante (mai fine a se stesso, come nel balletto classico). E proseguendo nel nostro viaggio all'inverso (ciò che dall'Europa è sbarcato negli Stati Uniti, e non viceversa), scopriamo ancora che Alwin Nikolais, il coreografo americano che rappresenta, insieme a Cunningham, uno dei padri della «new dance», è a sua volta una creatura di Hanya Holm, tedesca, discepola e collaboratrice della Wigman. Nikolais, il maestro di Carolyn Carlson, Raymond Johnson, Susan Buirge e tanti altri, si è dunque formato alla sucola del più genuino espressionismo tedesco. L a verità è che fin dagli inizi, l'Europa è stata il crogiolo per la nascita della danza moderna, e solo il provincialismo culturale' da cui siamo cosi insistentemente affetti, e che ci fa guardare alla cultura statunitense

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