Cfr. Per Vattimo, le cose vanno altrimenti. Nietzsche non è certo colui che ha legittimato teoricamente il· nazismo; ma non è neppure (come Vattimo stesso sosteneva nel Soggetto e la maschera, del '74) un pensatore rnarcusiano della liberazione. È piuttosto, principalmente, colui che ha registrato l'affievolirsi delle evidenze e delle verità nel mondo tardo-moderno. Cosl come Heidegger non è tanto un ontologo reazionario, ma un teorico della finitezza del mondo in cui l'uomo esperisce, come mortale, l'essere e la verità; e come l'ermeneutica non è una tecnica di lettura dei testi, ma una dottrina che sottolinea il carattere storico e linguistico, legato al discorso e alla tradizione, della nostra «conoscenza» del vero. Cosl che il nocciolo comune della riflessione di Nietzsche, di Heidegger e dell'ermeneutica viene ad essere quella che Vattimo chiama «ontologia del declino», e che consiste nella registrazione del deperimento, proprio della nostra epoca, di tutte le istanze «forti» a cui era legata la storia della metafisica - e della borghesia in ascesa: Soggetto, Progettualità, Valori Assoluti. Ciò comporta una serie di conseguenze politiche palesi (e riassunte nel testo che apre l'opuscolo, una intervista rilasciata da Vattimo a Lotta Continua): se non ci sono assoluti da affermare o da negare, è abbastanza arduo riporre le proprie speranze in una trasformazione totale del mondo in termini rivoluzionari, cosl come è difficile legittimare scelte politiche violente. Nel mondo tardo-moderno occorre piuttosto far valere dei principi etici provvisori: la pietas come comprensione per i propri simili e per le tracce della tradizione, cioè di quanto ci ha preceduti e ci ha definiti - molto precariamente - come soggetti. E poi la capacità di conferire un senso parziale ma umanamente accettabile alle esperienze frammentate che definiscono la nostra vita. Più in generale, il saper vivere senza far dipendere il senso dell'esistere a Valori Totali, poco fondati, poco condivisi, e in definitiva drammatici e violenti. n ■ 1 n Arei Segnali daDo sport Milano, Feltrinelli, 1980 pp. 222, lire 7.000 m.f Val la pena segnalare questo libro anche solo per sottolineare una classica ovvietà: che lo sport non è solo intrattenimento, ma anche una forma di cultura e di crescita civile. Per quanto ovvia sia, appunto, l'osservazione pare che invece, nella nostra società di massa, essa non sia çosl pacifica. Almeno stando ad osservare il modo con cui le comunicazioni di massa continuano a trasformare in merce assolutamente deteriore quella che potrebbe essere, se non una non-merce, almeno una «bella» merce. È proprio questo il senso con cui l'Arei ci riprova. In un libro che, pur con le sue evidentissime discontinuità di scrittura, di profondità, di analisi, rappresenta però un tentativo serio di trattare la questione. «Prendere atto degli anni Settanta» recita infatti l'introduzione, e in pratica dice Enrico Menduni nel saggio di apertura: prendere atto, cioè di trasformazioni irreversibilmente avvenute nella natura e nella pratica dello sport, e «governare» tali trasformazioni che, per quanto pilotate, contengono evidentemente anche bisogni popolari che devono essere esaminati piuttosto che condannati col vecchio spirito francofortese. I numerosi contributi (segnaliamo fra i tanti quelli di Aymone, Roversi e Ghirelli) si strutturano in diversi capitoli («conoscenza e movimenti», «la pratica spOrtiva», eia ricerca», «appunti per una storia della riforma dello sport») destinati nelle intenzioni a offrire u11afotografia critica del sapere del settore, quello che Ghirelli chiama giustamente nel suo saggio «il sapere del corpo». Thomas Tristano e Isotta A cura di Fabio Troncarelli Milano, Garzanti, 1979 ( cl grandi libri») pp. XXXIV-122, lire 2.000 g.s. Altro prodotto della moda medievale; e si tratta di un capolavoro (metà sec. XII) che stranamente non era mai stato tradotto in italiano per intero. Purtroppo il lettore si trova ammamfita, invece della versione fedele che ha il diritto di attendersi (il linguaggio di Thomas è sobrio e preciso), una traduzione in versi pretenziosa e con discutibili risultati, una versione kitsch, attraversata da enjambements, piena d'insistenze patetiche («solo un bacio, un bacio solo», e Udite! udite tutti», «In piedi, in piedi arnica!»), d'immagini e clichés non autorizzati dal testo («un languore mortale», cii mare di granito», «la morte nel cuore», «nera come la notte», cii caro viso»), di esclamazioni che rompono la conse9.uenzialità sintattica dell'autore medievale. Versi interi sono regalati (salvo minimi appigli) al raffinatissimo fhomas; di questo calibro: «La quiete / della morte per sempre l'addormenta»; «La tempesta nel mare ha inghiottito I il tempo e la speranza. La tua vita / è perduta! la mia è ferma, senza tempo». Il lettore troverà navi ferme e immobili che vanno con la corrente, vele nere come la notte che brillano nell'aria, e altre licenze poetiche. Stesso stile, naturalmente, nell'introduzione, che ambisce al grande disegno storico, ma trasforma il Mistero di Sant'Agnese in Mistero di Sant' Eulalia, il Lai du Chèvrefeuille (grafia antica: Chevrefoil) in Lai de Cevrefueil, e in Gioachino il titolare della scala di Giacobbe. L'introduzione culmina con un exploit pseudopsicoanalitico; il povero Tristano viene velocemente definito feticista, masochista, omosessuale latente, travestito; affetto, come dubitarne?, da complesso edipico, ha, ad abundantiam, pure quello di Narciso. Non basta: «Tristano, in fondo, è una grande allegoria della ·masturbazione». Abbastanza ricca la bibliografia, che però deriva, senza dichiararlo e con errori, da quella di Payen, Parigi 1974. Cesare Segre Peter Carravetta Delle voci Verona, Anterern, 1980 pp. 76, lire 4.000 Ci sono poesie che si lasciano dire, tradurre. Altre che si lasciano «spiegare», altre ancora «decifrare». Quelle di Peter Carravetta, mi sembra, si lasciano solo ripetere. Non è al discorso che fanno appello, ma alla memoria. Lamento o nenia, formula incantatoria o canto, queste poesie «annacano», ipnotizzano con «furiosa innocenza» (per dirla con Spatola, prefatore). Poesie da recitare dunque, da ripetere a memoria. Poesia della ripetizione. Ma qui la ripetizione è anche ricognizione, ricognizione di «volti e di echi» che traversano «la soglia d'inusitati atrii», per precipitare infine in un «hortus sconclusus» in cui il «diciurne» è deportato all'«osservanza ubicata nel luogo», «campo vissuto del domani», o semplicemente dell'hurnanus incagliato nella «geremiade del vivente», questa «palude cologica». Si tratta cioè in queste poesie, di un puro «vociare», di un sole che non brilla ma «squaglia» -come i topi - i cavi comunicanti del discorso, quelle «zone semiche» pietrificate dall'uso (e dall'abuso) terroristico della parola, poetica inclusa. Le ibridazioni linguistiche (dall'inglese al dialetto, al latino allo spagnolo al tedesco ecc.), I'«assenza di stile» perseguita con acuta consapevolezza, la metapoiesis ed altri stilemi usati da Carravetta come la ripetizione, l'aferesi (troncatura a inizio di parola), l'agglutinazione, la deformazione in chiave parodica («ergo zoom»), la citazione ecc., danno corpo a una specie di «lexicon voci», un lessico di voci che l'esserci del poeta costituisce in luogo di una parola «non passibile di garanzia alcuna», puro oggetto dunque di godimento fonatorio, al cui ritmo la mente «si sdruce» e trionfa del «nulla che intrude». Vincenzo Bonazza A PESARO IL C0N8ULTORIFOAMILIARE E'IN VI A NffTI 32 Ayala & C°, Champagne Extra Quality Brut, Chateau d'Ay, France (importato da «Summit» G.I.B. S.p.A., Milano), lire 15.000 ca. Un caso di rimozione per eccesso, e non per difetto. Ayala, infatti, pur essendo uno dei migliori champagne bevibili in Italia, costa circa 3.000 lire meno dei suoi concorrenti, è meno richiesto, quasi sconosciuto, poco desiderato. Inutile invocare la cecità del mercato. Il misconoscimento di Ayala ha precise motivazioni tecniche. Come dice Polonio nell'Amleto, «c'è del metodo in questa follia». Vediamo come. Solitamente, sono esclusi dal mercato gli champagne che hanno gusti eccessivi, che per eccesso deviano dalla norma (troppo secchi, troppo dolci, con sapori troppo accentuati). Ma la norma, come si sa, è opinabile, è frutto di abitudine e convenzione: e le convenzioni possono essere arbitrarie, le abitudini cattive. Per lunga consuetudine, ci si è abituati in Italia a una forma-champagne standard, che ha esempi medi, non eccelsi, nel Taittinger o nel Moet &Chandon. La perfezione dello champagne viene vista allora solo come perfezionamento di quella forma media. Viceversa, Ayala-, che non risponde alla forma standard né in eccesso, né in difetto, non è riconoscibile. N_onè troppo secco (del resto, non è neppure dolce); ha un perlage molto sottile: è quasi impercettibile, cioè ha sapori ienui e molto nuancés. Il che, a rigore, è la massima dote dello champagne (che non si dovrebbe sentire, o imporre). Ma questa virtù non viene riconosciuta perché è ignota a un pubblico poco sicuro sulle doti di uno champagne; è come una buona azione sprecata. Come Amleto, Ayala non può che invocare: «Perdonatemi le mie virtù». Laura Lilli Zeta o le zie m.f Milano, Edizione delle donne, 1980 pp. 153, lire 6.000 Il romanzo di Laura Lilli Zeta o le zie ci riporta nell'atmosfera esistenziale e letteraria dei passati (ma fino a che punto, poi?) anni sessanta. Sul libro non è indicata la data della stesura, ma poco importa. Il tema è il dramma di Zeta con o senza zie, «la condizione di una ragazza borghese che tenta la via della ribellione (una piccola guerra d'indipendenza) ma è ricacciata da tutto/tutti, in prima fila dal marito falso liberatore, nelle pastoie della nevrosi e della frustrazione». Ma le strutture narrative, anche se appartengono alla dolente storia della coscienza e della liberazione femminile, sono limitate, e per questo sembrano dire poco. È il linguaggio al quale sono ancorate che può essere in grado di dar loro lo spessore di un significato, ciò che avviene in questo testo, in cui la sperimentazione narrativa non si risolve in sporadiche «trovate» ma è sempre guidata da un'intelligenza sicura delle proprie scelte. Protagonista di questo libro sembra essere la Morte, spiata nel suo corrosivo avanzare lungo la vita, sulla faccia di ogni donna che si accorga di esistere, e che si renda conto che il tempo non è dalla sua parte, essendo stabilito e governato da qualcun'altro. Eppure è un libro spesso divertente, quando torce su se stesso il retaggio dei «buoni studi classici» e delle Norme di Vita condivise dal grado più basso a quello più alto (di zie), quando riporta l'angoscia esistenziale ai toni di quella cerebrale comédie che le si addicono, ormai. Perché Anni Sessanta, allora? Forse perché lo psicodramma femminile costruisce una propria mappa sulla pagina stampata, e si rappresenta fra le braccia di un'amica, piuttosto che suJ lettino dello psicoanalista. Isabella Pezzini MENSILEDELLSOPETTACOLO Ogni mese in edicola lprlma MENSILEDI EDITORIA Informarsi per capire meglio l'informazione In edicola a metà mese Abbonamento: 22mila (undici numeri); estero 44mila. Indirizzare assegno sbarrato intestato a Nuova Società s.r.l. via Boccaccio 35 - 20123 Milano oppure servirsi del conto corrente postale n. 38329207 intestato a Prima Comunicazione via Boccaccio 35 20123Milano
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