mediante un totale disvelamento del procedimento narrativo ed una sua risoluzione in simulacro. Per Calvino non si tratta semplicemente di sperimentare le modalità possibili della narrazione attraverso una serie di modelli diversi di romanzo, ma di investire la stessa questione dell'affabulazione. La struttura calibrata di Calvino, esplicitata in modo ossessivo per tutto il romanzo, non costituisce tanto una aperta avventura nelle varianti della narrativa, quanto una riproduzione del meccanismo dell'affabulazione sia attraverso una esplicitazione delle procedure che mediante una esaltazione fittizia e ipertrofica del montaggio narrativo. In Calvino tutto funziona perfettamente, la narratività è elevata ad un livello esponenziale di dispiegamento, eppure la rappresentazione è dissolta e la narrazione è diventata un gioco evidente. Ma Calvino non costruisce mistificazioni, .non afferma un eventuale valore antitetico della mistificazione e in fondo va aldilà (o, forse, resta al di qua) del significato di quell'affermazione inquietante secondo cui «la letteratura vale per il suo potere di mistificaziqne, ha nella mistificazione la sua verità». L'operazione di Calvino non va inscritta nella categoria della mistificazione, ma al contrario nell'ordine della simulazione. Se una notte d'inverno un viaggiatore è infatti un puro procedimento simulativo, un'opera di simulazione pura. Simulazione di tanti romanzi, e, più ancora, simulazione del narrare, Se una notte... costituisce invero nello stesso tempo un disvelamento critico ed un 'esperienza fortemente affermativa. Il confronto con la narratività, (il «romanzesco», dice Calvino) e la sua totale esplicitazione come meccanismo assolutamente fittizio destituito di rapporto con il reale ha infatti non tanto un carattere di mistificazione quanto una funzione magari più ovvia di demistificazione del fenomeno narrativo. Ma più in profondità l'operazione di Calvino rappresenta non tanto un disvelamento quanto una molto più significativa affermazione del carattere di simulazione della narrazione in quanto tale. In Se una notte ... la narratività è una forma possibile di organizzazione della simbolizzazione come riproduzione fittizia di concatenamenti, che simula non più presunte combinazioni di eventi ma soltanto altri concatenamenti verbali. La simulazione di Se una notte... , infatti, non si afferma come riproduzione di alcuni tipi di associazione di eventi, come possibile descrizione in forma di narrazione di alcune avventure che si svolgono nel reale, ma come simulazione di meccanismi apertamente narrativi, di strutture linguistiche organizzate secondo un principio di ragione narrativa. Il romanzo di Calvino attesta quindi l'eterogeneità del reale rispetto all'universo della narrazione e la possibilità di costruire processi narrativi soltanto come simulazione, come produzione di simulacri, come gioco fittizio che si assume in quanto tale. Sembra quasi che Calvino voglia affermare che se la narrazione è ancora possibile lo è unicamente come simulazione: l'eterogeneità del reale e la saturazione dei modi di organizzazione narrativa del simbolico sembrano non lasciare altre soluzioni. E infatti lo specchietto di «tipi possibili di romanzo» che Calvino ha delineato per Alfabeta (n. 8) è invero nello stesso tempo un elenco di soluzioni narrative davvero tutte obsolete e un elenco di possibili simulazioni di narrazione, tutte praticabili come simulazioni: (e Calvino, frequentandole tutte una dopo l'altra, ne realizza insieme l'apotesi e la fine, lasciando dietro di sé l'universo dal «romanzesco» ad un tempo esaltato e distrutto). A risultati totalmente diversi eppure singolarmente convergenti giunge Porta con il suo ultimo romanzo, Il re del magazzino. In questo romanzo Porta si misura con una ete~ogeneità esplosiva, l'eterogeneità di una catastrofe che segna la dissoluzione del soggetto definito e della civiltà del simbolico. L'itinerario del libro è la registrazione di un affondamento nella catastrofe, il percorso in una contiguità distruttiva. Ma come introdurre nell'affabulazione un evento cosi radicale ed esplosivo come una catastrofe, come descrivere un crollo ed una «trasformazione di civiltà»? Come mantenere la capacità affabulante in un processo di disgregazione totalizzante che, come tale, investe anche il simbolico? Presupporre una voce esterna alla catastrofe significherebbe riproporre un modello rappresentativo fondato sull'onniscienza dell'autore, una sorta di teologia romanzesca, che ignorerebbe tutti i processi di superamento dell'ordine della rappresentazione realizzati nel corso della letteratura del Novecento. E adottare un puntddi vista interno alla catastrofe, vivendone il processo a partire da una singolarità, significherebbe forse proporre un pattern di ragionevolezza laddove è in atto una crisi della simbolizzazione, e dunque una crisi di significazione e di razionalità. La catastrofe testimoniata dall'interno è il dissolversi dell'orizzonte del soggetto e dell'oggetto, è il precipitare della significazione nel rumore insensato, nel groviglio verba-· le spossessato del codice. Ma fuori della rappresentazione e fuori della mimesi della catastrofe, l'affabulazione può avvalersi solo di un processo linguistico che affermi la propria arbitrarietà e quindi la propria eterogeneità al reale. Cosi Porta invece di tentare un'impossibile mimesi della catastrofe pensata, mima altri linguaggi, li pone in rappresentazione, li mette in scena. L'artificialità del linguaggio è esibita sia attraverso il ricorso a spessori stilistici, a moduli espressivi, a tic fortemente personalizzati, sia attraverso l'adozione dei modelli e degli schemi linguistici dello scambio comunicativo omologato dei media. In entrambi i casi il linguaggio sembra ritrovato per essere messo in scena e costituisce quindi la struttura su cui si opera non una descrizione della catastrofe, ma una sua realizzazione scenica, cioè una sua simulazione. Tutta la procedura narrativa che Porta elabora, assume certo da un lato il senso di una frantumazione della narrazione e di una sua scomposizione ossessiva, che segue i rictus e i deliri di un soggetto coinvolto in un processo disgregativo, ma dall'altro si rivela poi, più in profondità, un esper~mento simulativo. La stessa conclusione del romanzo, improvvisamente e intensamente positiva, l'aprirsi di una possibilità diversa di vita, il delinearsi di un volo immaginario che prelude ad un'utopi;; del dopo, ad un'armonia dopo la fine, dopo la catastrofe, rappresentano in fondo nel testo un'altra apertura fittizia che mentre configura un inatteso, sbocco esistenziale, apre un'altra scena, costituisce un altro artificio. L'orizzonte discorsivo di Porta è insomma un piccolo teatro, in cui si rappresentano brandelli dell'immaginario collettivo di questi anni, una microscena, una scena miniaturizzata, in cui appaiono tracce artificiali della contemporaneità vista sotto forma della catastrofe. Parimenti allontanati dallo spessore esibito del linguaggio, ne li re del magazzino il reale e l'immaginario si mescolano e si intrecciano inscindibilmente dando luogo ad un organo palesemente fittizio, a una sorta di tableau vivant che va aldilà delle distinzioni perché è un gioco scenico in cui tutti imateriali (reali e immaginari) e tutti i soggetti (il narratore delle 32 giornate, il poeta delle 29 lettere e l'autore stesso del testo) sono intercambiabili. Oltre l'immaginario e il reale, oltre la catastrofe e il suo superamento possibile, Il re del magazzino è unicamente il simulacro di una domanda che può avere soltanto soluzioni fittizie. Ma l'operazione più radicale di disvelamento dell'eterogeneità reciproca del rèale e del linguaggio nella sua forma implosiva è la raccolta di testi di Handke Der lnnenwelt der Aussenwelt der lnne11welt (1969), pubblicata recentemente in Italia da Feltrinelli, con il titolo di Il mondo interno dell'esterno dell'interno e che costituisce forse il lavoro più complesso dello scrittore austriaco. P er Handke l'attività dello scrittore concerne unicamente il linguaggio. Lo scrittore saggia e verifica la consistenza del linguaggio, la sua struttura compatta e insieme scopre le fessure, i buchi, i vuoti, le contraddizioni. le ambiguità che lo attraversano. li linguaggio che ha di fronte è un meccanismo solo apparentemente perfetto e funzionale che deve, invece, essere smontato e decostruito. Lo scrittore conosce nell'oggettività processi di produzione della significazione, diffusi sistematicamente, ripetuti con piccolissime varianti, ormai serializzati. Ha di fronte a sé uno spazio di produzione del senso occupato da meccanismi invalsi, logorati. Tutti i percorsi gli sembrano saturati. Nei meccanismi linguistici vede una presunzione di referenzialità, una promessa di verità, di rappresentatività verbale delle cose, come una catena di trappole in cui non deve cadere. Lo scrittore (Handke) sceglie altre strade. Per lui la lelteratura significa qualcos'altro: «andare a scovare i luoghi non ancora occupati dal senso» (Das Gewicht der Welt). Per Handke non si tratta di cercare, di sperimentare avventure linguistiche, ma di trovare, cioè di produrre concatenamenti di senso ancora trascurati, di realizzare un funzionamento differente del lin.- guaggio. Ma lo spazio di un senso differente non è né il vuoto né ('altrove: esso è presente all'interno del tessuto linguistico diffuso, è una forma spettrale che vive potenzialmente nell'organizzazione consueta delle parole. Non è il vuoto ma la spettralità del linguaggio, il suo regime allucinato che cosentono una produttività significante differente. I percorsi di Handke sono altamente improbabili e la sua facilità nel trovare dissonanze semantiche là dove non pareva esserci nulla è stupefacente. Sono itinerari che non conducono mai in luoghi diversi e sconosciuti, non operano un'annessione di altri nuclei immaginativi, ma trovano il significato spettrale, il senso rovesciato, la verità differente del tessuto discorsivo. Ne li mondo interno dell'esterno dell'interno la frequentazione del linguaggio si svolge sempre ai margini della sua redditività significante, spinge le potenzialità semantiche del linguaggio sino oltre il limite, ne svincola le componenti mascherate e demoniache per rivelare l'altra faccia del meccanismo verbale. Il risultato delle concatenazioni linguistiche elaborate da Handke sono spesso, nelle esperienze più radicali, frasi false, cioè strutture che rivelano l'arbitrarietà del linguaggio, la verità come produzione (linguistica) di verità, il suo spessore seniantico come percorso ambivalente della logica e della illogicità, del senso e del non senso. Il testo n. 2, La parola tempo, rappresenta un'immersione nella falsità, nell'ambiguità ingannevole del linguaggio, che non lascia illusioni sull'arbitrarietà della produzione di senso e sull'aleatorietà della verità. Il senso e il non senso sono disposti su due serie intrecciate, costituiscono l'uno la faccia dell'altro, sono collocati in un presunto rapporto di reciproca esclusione, che invero nasconde una relazione di complementarietà e di interdipendenza. In questa prospettiva il lavoro letterario diventa una trappola continua che il non senso tende al senso, una pratica dell'espressione che diventa negazione dell'espressività, un'apertura alla rappresentazione che cela l'ambiguità del discorso, il suo regime demoniaco, simulacrale, fittizio. «Les gémissements poétiques de ce siècle ne sont que de sophismes», scriveva Lautréamont in Poésies I. Cambiata di segno, l'affermazione traccia i confini della produzione linguistica più significativa degli ultimi anni, sembra rappresentare una sorte di segnale caratterizzante dell'unico (?) modo di far letteratura, dopo Beckett e dopo Artaud. Sono probabilmente i soli procedimenti consentiti dalla separazione tra il reale e il linguaggio, dalla loro eterogeneità. In un altro testo di Handke, il n. 31, l'improvviso posarsi di un coleottero sulla pagina è insieme il pretesto per l'apertura di un discorso e l'interruzione di quello stesso procedere discorsivo: l'irrompere della vita blocca lo sviluppo della simbolizzazione, sporca irrimediabilmente la pagina. L'eterogeneità reale emerge dentro il regime implosivo dell'eterogeneo, dentro i sofismi. «C'è qualcosa sulla carta».
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==