Pierre Klossowski la 11ocadonsuspendue (trad. it. La vocazione interrotta. Einaudi 1980 pp. 99, lire 5.400) Italo Calvino Se una notte d'in11emoun 'Viaggiatore Torino, Einaudi, 1979 pp. 261, lire 6.000 Antonio Porta Il re del magazzino Milano, Mondadori, 1978 pp. 152, lire 4.500 Peter Handke D mondo interno dell'esterno dell'interno Milano, Feltrinelli, 1980 pp. 134, lire 3.000 L a letteratura del Novecento registra l'esperienza di un radicale ritorno del rimosso. In essa, nelle sue manifestazioni più consapevoli, non è un contenuto particolare, simbolizzato ma censurato, a ritornare (una traccia mnestica, un ricordo imbarazzante, una verità difficile): bensì ciò che ilsimbolico rimuove in generale, la forma del rimosso in generale, e cioè l'eterogeneo. Il linguaggio, la parola, possono dire tutto; ma possono dirlo in un modo solo: quello dell'omogeneità, della unitarietà di un tessuto simbolico, di un linguaggio coerente. Resta allora escluso, rimosso apparentemente senza scampo, tutto un territorio del reale (anzi, il territorio stesso del reale, non sottoposto alla falsa omogeneità delle forme simboliche): le pulsioni nella loro complessità, pluralità, non-simbolizzabilità, nella loro irriducibile eterogeneità. È contro questa rimozione dell'eterogeneo che si sono mosse esperienze della scrittura che registrano esplosivamente una forma di eterogeneità fondata sull'emergenza incontrollata della pulsione che scompagina e disarticola il tessuto del simbolico. Sono, esemplarmente, le glossolalie, la coprolalia, il linguaggio onomatopeico, l'urlo, i concatenamenti verbali fratturati dell'Artaud di Rodez e degli anni prima della morte, che segnano il limite estremo in cui il linguaggio si coniuga con la schizofrenia (e con la propria possibilità). Ma c'è un'altra forma dell'eterogeneo che vive dentro la ricerca letteraria del Novecento, una forma più complessa e meno tragica, che non attesta l'eterogeneità attraverso un problematico e lacerato oltrepassamento della rappresentazione. L'eterogeneo non è soltanto un nucleo pulsionale non simbolizzabile; è anche (come osserva bene Julia Kristeva in La révolurion du langage poétique) la condizione del rigetto che, accumulando le energie pulsionali, consente la simbolizzazione. Eterogeneo al simbolico non è solo l'oggetto della rimozione, ma anche ilsuo meccanismo. E, dentro a questo orizzonte, si può dare l'esperienza di una eterogeneità implosiva, per cui il rimosso non annienta le forme simboliche, ma viene simulato: simulacri, meccanismi smontati, tessiture modulari multiple, geroglifici formali, stratificazioni contraddittorie di senso si sostituiscono alla vecchia c:s rappresentazione, come pure alla dis- .!:; ~ seminazioneintensivae articolatadel- "'- la pulsionalità, e attestano un nuovo ;;;:; regime del discorso, che non rimuove °' l'eterogeneo pur restando nell'ordine § del simbolico. c:s In una simile esperienza dell'eterote geneo, è l'alterità che si fa strada: l'al- "' ' tro (il pulsionale, l'eterogeneità irri- ,:: ducibile, la molteplicità del reale) vie- ~ ne simulato, ci si comporta come se ~ l'eterogeneità trovasse una via di ac- <i cesso nel simbolico. in una mimesi disperata che si sforµ di restare contemporaneamente dentro e fuori della rappresentazione, di attestare nell'omogeneità del logos l'eterogeneità della pulsione. Questa forma implosiva dell'eterogeneità è presente, nella recente letteratura, in vari modi: Handke verifica l'alterità del reale rispetto al linguaggio attraverso le avventure del senso; Klossowski la natura simulacrale dell'orizzonte dei segni (e degli stessi eventi); Calvino moltiplica i livelli del récit costruendo l'azione narrativa come simulazione palese; Porta opera un confronto in re, nel vivo della scrittura, con l'inadeguatezza rappresentativa del linguaggio e un tentativo di trasformazione del tessuto verbale in microscena. L'analisi potrebbe m1Z1are con Klossowski la cui produzione simbolica si è mossa per prima all'interno di questa problematica, con ricerche molto differenziate: è un percorso di decostruzione e di raddoppiamento artificiale, di fabulazione e di irrisione della fabulazione, un sistema di rifrazioni che dissolve assolutamente ogni presunzione di realtà per lasciar posto soltanto alla mobilità delle parvenze, all'affabulazione simulacrale. L'orizzonte del simulacro attraversa tutta la produzione teorica e creativa di Klossowski, ma assume una forma particolarmente significativa nella sua prima esperienza pseudo-narrativa, La vocation suspendue, pubblicata recentemente in Italia da Einaudi (in un'edizione accurata, che tuttavia sollecita almeno un'obiezione: perché intitolare il libro La vocazione interroua quando l'originale è La vocation suspendue?) Sorta di romanzo di un romanzo, La voèation suspendue cosiituisceinvero un meccanismo assai più complesso di una pura e semplice mise en abfme - assai in voga nel romanzo del Novecento-e non ha nulla a che vedere con la figura, anch'essa diffusa, dei raccourcis microscopiques. La vocation suspendue racconta simulando di raccontare un altro testo: è una produzione di fabulazione che si realizza, si rende possibile, perché esiste già un'altra fabulazione, perché qualcosa è già entrato nell'ordine della fabulazione e si è reso accessibile alla simbolizzazione. Il reale non è mai acquisito direttamente, ma è sempre mediato da un'altra simbolizzazione; la simbolizzazione avviene solo a partire da un 'altra simbolizzazione. Il testo è sempre commento a un altro testo, linguaggio che riferisce e spiega un altro linguaggio, interpretazione che si esercita su un'interpretazione. Non si tratta semplicemente di un gioco di scatole cinesi, o di una cornice che media un quadro. Il testo non è tanto mediato, differito dalla mise en abfme, quanto sostituito global"menteda un altro testo che lo riferisce e lo commenta. Così il presunto racconto originario viene deietto nell'immaginario per esserne poi strappato qualche volta da citazioni, accuratamente virgolettate, che fingono di riconfermarne l'esistenza. I n questo gioco di riferimenti i segni vengono duplicati e inseriti in un processo di simulazione che ad un tempo investe il presunto racconto evocato (simulacro di un raccontomodello che non c'è) e il commento al raccontostesso (simulacrodi un racconto che c'è, racconto-simulacro). L'essere è sostituito dal dispiegarsi enigmatico della parvenza e il simulacro sembra diventare l'unica dimensione: «vana immagine», «menzogna che fa scambiare un segno per un altro», il simulacro è certo tutto quanto scrive Foucault (proprio a proposito di Klossowski), ma è anche una qualità diffusa dell'immagine e un procedimento che estende la derealizzazione e costruisce artifici stratificati che dissolvono ogni spazio naturale. L'idea di simulacro, molto tempo prima che diventasse un concetto fondamentale del pensiero contemporaneo (si pensi tra l'altro a Deleuze, a Baudrillard e, in Italia, a Pemiola), costituiva infatti uno degli assi centrali della riflessione e ancor più della produzione creativa di Klossowski. In un mondo in cui non esiste modello, il simulacro non è soltanto la copia di una copia, ma è anche la fine del reale. Ed il linguaggio è al centro della derealizzazione, perché l'estensione della fabula, la riduzione del mondo a fabula, di cui parlava Nietzsche, è connesso al fari cioè al dire, alla parola, all'affabulazione, come spiega Klossowski in Un si funeste désir. Se il reale esiste (è esistito), esso è assolutamente disomogeneo, cioè eterogeneo al linguaggio, irriducibile ad esso, ed il linguaggio nella sua eterogeneità e proliferazione incontrollata, ha contribuito alla dissoluzione del reale, al suo scivolare nell'orizzonte della parvenza. Così la derealizzazione che investe l'universo del narrabile sembra consentire nel linguaggio soltanto la produzione di simulacri: tutte le figureche Klossowskidelineanello spazio della scrittura sono simulacri che nel grande gioco dell'invenzione si dissolvono e ricompaiono secondo un ritmo intermittente, perfettamente segnato dalla mediazione linguistica. Non solo ne La vocation suspendue la selezione che il testo-commento fa del racconto presunto rappresenta il varco del possibile accesso al linguaggio, ma talvolta all'interno del racconto-commento il li~guaggio diventa ancora più esplicitamente il tramite di ogni possibile esistenza. Alcuni personaggi infatti appaiono soltanto attraverso quanto un altro personaggio dice di loro: in questi casi è soltanto mediante la parola di un altro che la parvenza è delineata, attraverso la parola indiretta, diventando la parola di una parola di una parola, parola dì un personaggio di un racconto-commento di un racconto-presunto. Dice il testo: «In questa seconda parte l'autore ci mostrerà il protagonista preso tra i fuochi incrociati di La Montagne e della madre Angélique. Noi non vedremo mai La Montagne se non attraverso ciò che dice di lui la madre e la madre attraverso ciò che dice di lei La Montagne. Non che non ci vengano riferiti dei fatti, ma Jérome non arriverà a vedere con i propri occhi, perché è volta a volta abitato dall'uno e dall'altro» (cioè abitato dal linguaggio dell'uno e dal linguaggio dell'altro). In questo gioco di rifrazioni e di rimandi il reale è allontanato all'infinito, di fatto riconfermato nella sua eterogeneità al sinbolico, e le avventure del linguaggio si intrecciano in una artificiosità ad un tempo lineare e complessa. Ma c'è un'altra qualità dell'eterogeneo che pulsa ne I.a vocarion suspendue: è l'eterogeneo nella sua veste di rimosso che si manifesta attraverso la dimensione del demoniaco. Il demoniaco è il rimosso che il discorso teologico insieme disincaglia e ristruttura secondo le proprie regole e subisce come alterità e violazione abnorme. Ne La vocation suspendue Klossowski trasforma il carattere esplosivo del demoniaco in regime implosivo della parola differente da se stessa; il demoniaco apparente della tentazione e del tradimento delle regole, della trasgressione e della violazione del sacro non è solo evocato indirettamente e straniato, come affogato nella casistica religiosa, ma è come doppiato e sostituito da un altro e più segreto regime del demoniaco: nel simulacro il demoniaco parla come in direzione, come struttura: il simulacro infatti è «un'immagine demoniaca» che «ha posto la somiglianza all'esterno e vive di differenza» (G. Deleuze, Differenza e ripetizione). Lf assunzione del reale come eterogeneo e la trasformazione della narrazione in simulazione esplicita del processo narrativo sono anche al centro di due tra i pochi romanzi italiani significativi degli ultimi anni,Se una noued'inverno un viaggiatore e Il re del magazzino. Si tratta in entrambi i casi di avventure della scrittura che mediano il rapporto con il narrato attraverso differenti meccanismi di finzione. Nel romanzo di Calvino il superamento della rappresentazione avviene D,NtxJVO ~
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