Alfabeta - anno III - n. 21 - febbraio 1981

_ Ilcomico U@Ec~a regola D i tutte le domande che costituiscono il panorama problematico del comico, mi limiterò quest'oggi a una sola, per ragioni di tempo, e darò per scontate le altre. Può darsi che la domanda sia male formulata, e in definitiva possa essere contestata proprio in quanto domanda. Ciò non toglie che costituisca per conto proprio un endoxon di cui occorre tener conto. Per rozza che sia, contiene qualche germe di verità problematica. Il tragico (e il drammatico)- si dice - ono universali. A distanza di secoli doloriamo ancora sui casi di Edipo e di Oreste, e anche senza condividere l'ideologia di Homais si rimane sconvolti dalla tragedia di Emma Bovary. Invece il comico sembra legato al tempo. alla società. all'antropologia culturale. Comprendiamo il dramma del protagonista di Rashomon ma non capiamo quando e perché ridano i giapponesi. Si fa fatica a trovar comico Aristofane. occorre più cultura per ridere su Rabelais di quanto non ne occorra per piangere sulla morte di Orlando paladino. È vero, si può obiettare, che esiste un comico «universale»: la torta in faccia, per esempio, la caduta del miles gloriosus nella melma, le notti in bianco dei mariti deprivati da Lisistrata. Ma a questo punto si potrebbe dire che il tragico che sopravvive non è solo il tragico altrettanto universale (la madre che perde il bambino, la morte dell'amata o dell'amato) ma anche il tragico più particolare. Anche a non sapere di cosa fosse accusato, Socrate che si spegne lentamente dai piedi verso il cuore ci fa fremere, mentre senza una laurea in lettere classiche non sappiamo esattamente perché il Socrate di Aristofane debba farci ridere. Il divario esiste anche quando si considerino opere contemporanee: chiunque freme vedendo Apocalypse Now, qualsiasi sia la sua nazionalità e il suo livello culturale; mentre per Woody Allen bisogna essere abbastanza colti, Danny Kaye non faceva sempre ridere, l'idolo delle platee messicane degli anni cinquanta, Cantinflas, ci ha lasciato indifferenti, i comedians della televesione americana sono inesportabili (avete mai sentito parlare di Sid Ceasar, ha avuto successo da noi Lenny Bruce?) come peraltro sono inesportabili in quasi tutti i paesi Alberto Sordi o Totò. Quindi non basta dire, ricostruendo parte dell'Aristotele perduto, che nella tragedia abbiamo la caduta di un personaggio di nobile condizione, né troppo malvagio né troppo buono, col quale quindi si possa simpatizzare, di fronte alla cui violazione della regola morale o religiosa noi avvertiamo la pietà per il suo destino e il terrore per una pena che colpirà lui ma potrebbe colpire anche noi, in modo tale che infine la sua punizione sia la purificazione del suo peccato e delle nostre tentazioni - di converso nel comico abbiamo la violazione di una regola commessa da un personaggio inferiore, di carattere animalesco, nei confronti del quale proviamo un senso di superiorità, così da non identificarci con la sua caduta, la quale peraltro non ci commuove perché l'esito ne sarà incruento. Né possiamo accontentarci della riflessione che nella violazione della regola da parte di un personaggio cosi diverso da noi, noi non solo proviamo la sicurezza della impunità nostra, ma anche il gusto della trasgressione per interposta persona: e, lui pagando per noi, noi possiamo permetterci di godere vicariamente di una trasgressione che offende una regola che in fondo volevamo violata, ma senza rischio. Tutti questi sono aspetti indubbia men- •te funzionanti nel comico, ma se gli aspetti fossero solo questi non potremmo spiegarci perché si verifichi questo scarto di universalità tra i due generi rivali. Il punto non sta dunque (non soltanto) nella trasgressione della regola e nel carattere inferiore del personaggio comico. Il punto che mi interessa è invece questo: qual è la nostra consapevolezza della regola violata? Eliminiamo il primo malinteso: che nel tragico la regola sia universale. per /111111agi1t!1dif'<.'cu1ui111iat!d vicolo cui la violazione ci coinvolge, mentre nel comico la regola è particolare, locale (limitata a un periodo dato, a una cultura specifica). Questo spiegherebbe certo lo scarto di universalità: sarebbe tragico un atto di cannibalismo, sarebbe comico un cinese cannibale che mangiasse un proprio simile con le bacchette invece che con la forchetra (e naturalmente sarebbe comico per noi non per i cinesi, che troverebbero il gesto abbastanza tragico). I n verità le regole ~iolate dal t_ragico non sono necessanamente umversali. È universale, dicono, l'orrore per l'incesto, ma non è universale il dovere che Oreste avrebbe di uccidere anche la propria madre. E chiediamoci perché oggi,in un'epoca di gran permissivismo morale, dobbiamo trovare tragica la situazione di madame Bovary. Non lo sarebbe in una società poliandrica ma neppure a New York; che la brava signora si conceda i suoi capriccetti extraconiugali e non ci pianga troppo sopra. Questa provinciale eccessivamente pentita dovrebbe oggi farci ridere almeno quanto il personaggio cecoviano di È pericoloso esagerare che, per aver irrorato di saliva una persona importante starnutendo a teatro, continua poi a reiterare le sue scuse oltre i limiti del ragionevole. Il fatto è che è proprio tipico del tragico, prima, durante e dopo la rappresentazione della violazione della regola, intrattenerci a lungo proprio sulla natura della regola. Il tragico offre nel copro stesso dell'opera la rappresentazione delle sceneggiature sociali (ovvero dei codici) nella cui violazione il tragico consiste. ella tragedia greca la funzione del coro è proprio quella di spiegarci a ogni passo quale fosse la Legge: solo così se ne comprende la violazione e le sue fatali conseguenze. E Madame Bovary è un'opera che anzitutto spiega quanto sia condannabile l'adulterio, o almeno quanto i contemporanei della protagonista lo condannino. E l'Angelo azzurro ci dice anzitutto quanto un professore di età matura non debba incanaglirsi con una ballerina; e la Morte a Venezia ci dice innanzitutto quanto un professore di età matura non debba innamorarsi di un ragazzino. Il secondo passo (non cronologico, ben si logico) sarà poi dire come costoro non potessero non fare il male, e non potessero non esserne travolti. Ma proprio perché la regola viene reiterata ( o come asserzione in termini di valore etico, o come riconoscimento di una costrizionesociale). Il tragico giustifica la violazione (in termini di destino, passione o altro) ma non elimina la regola. Per questo è universale: perché spiega sempre perché l'atto tragico deve incuterci timore e pietà. Il che equivale a dire che ogni opera tragica è anche una lezione di antropologia culturale, e ci permette di identificarci con una regola che magari non è la nostra. Tragica può essere la situazione di un membro di una comunità antropofaga che si rifiuta al rito cannibalico: ma sarà tragica nella misura in cui il racconto ci convinca della maestà e del peso del dovere di antropofagia. Una storia che ci racconti i patemi di un antropofago dispeptico e vegetariano che non ama la carne umana, ma senza spiegarci a lungo e convincentemente di quanto sia nobile e doverosa l'antropofagia, sarà solo una storia comica. La controprova di queste proposte teoriche starebbe nel mostrare che le opere comiche danno la regola per scontata, e non si preoccupano di ribadirla. Ed è infatti quello che credo e che suggerisco di verificare. Tradotta in termini di semiotica testuale, l'ipotesi sarebbe formulabile in questi termini. Esiste un artificio retorico, che pertiene alle figure di pensiero, in cui, data una sceneggiatura sociale o intertestuale (Eco, 1979) già nota all'udienza, se ne mostra la variazione senza peraltro renderla discorsivamente esplicita. A questo punto rimarrebbero salvi gli altri requisiti delle teorie classiche del comico. Che il tacere la normalità violata sia tipica delle figure di pensiero, appare evidente nell'ironia. La quale, consistendo nell'asserire il contrario (di cosa? di ciò che è o di ciò che socialmente si crede), muore quando il contrario del contrario venga reso esplicito. Al massimo,che si asserisca il con• trario, deve venire suggerito dalla pronunciatio: ma guai a commentare l'ironia, ad asserire «non-a», ricordando che «invece a». Che invece a sia il caso tutti devono saperlo, ma nessuno deve dirlo. Q uali sono le sceneggiature o frames che il comico viola senza doverle ribadire? Anzitutto le sceneggiature comuni, ovvero le regole pragmatiche di interazione simbolica, che il corpo sociale deve assumere come date. La torta in faccia fa ridere perché si presuppone che, in una festa: le torte si mangino e non si scaglino sul viso altrui. Si deve sapere che un baciamano consiste nello sfiorare con le labbra la mano della dama, affinché sia comica la situazione cli chi invece si impadronisca di una gelida manina e la intrida golosamente di baci umidicci e a schiocco (o proceda dalla mano al polso, e di lì al braccio - situazione invece non comica e forse tragica in un rapporto erotico, in un atto cliviolenza carnale). Si prendano le regole conversazionali di Grice. Inutile dire, come fanno gli ultimi crociani che si ignorano, che nella interazione quotidiana le violiamo cli continuo. Non è vero, le osserviamo, oppure le prendiamo per buone affinché acquisti sapore, sullo sfondo della loro esistenza disattesa, l'implica tura conversazionale, la figura retorica, la licenza artistica. Proprio perché le regole, sia pure inconsciamente. sono accettate. la loro violazione senza ragioni diventa comica. I) Massima della qua111ità: fai si che il tuo contributo sia tanto informativo quanto richiesto dalla situazione di scambio. Situazione comica: «Scusi. sa l'ora?» - «Si» 2) Massime della qualità: a) non dire ciò che credi sia falso. Situazione comica: «Mio Dio ti prego, dammi una prova della tua inesistenza!»; b) non dire ciò per cui non hai prove adeguate. Situazione comica: «Trovo il pensiero di Maritain inaccettabile e irritante. Meno male che non ho mai letto , nessuno dei suoi libri!» (affermazione di un mio professore cliuniver ità, persona! communication, febbraio l 953). 3) Massima della relazione: sii rilevante. Situazione comica: - «Sa guidare un motoscafo?» - «Perdinci e poi perbacco! Ho fatto il militare a Cuneo!» (Totò) 4) Massime della maniera: evita oscurità di espressione e ambiguità, sii breve ed evita prolissità inutili, sii ordinato. Non credo sia necessario suggerire esiti comici di questa violazione. Sovente sono involontari. N_aturalmente, insisto, questo requisito non è sufficiente. Si possono violare massime conversazionali con esiti normali (implicatura), con esiti tragici (rappresentazione di disadattamento sociale), con esiti poetici. Occorrono altri requisiti, e rimando alle altre tipologie dell'effetto comico. Quello su cui voglio insistere è che nei casi sopracitati si ha effetto comico (coeteris paribus) se la regola non viene ricordata ma presupposta come implicita. Lo stesso avviene con la violazione di sceneggiature intertestuali. Anni fa la rivista Mad si era specializzata in scenette intitolate « I film che ci piacerebbe vedere». Per esempio, banda di fuorilegge del West che legano una fanciulla ai binari del treno nella prateria. Inquadrature successive con montaggio alla Griffith, il treno che si approssima, la fanciulla che piange, la cavalcata dei buoni che arrivano in soccorso, accelerazione progressiva delle inquadrature alternate e, alla fine, il treno che sfracella la fanciulla. Variazioni: lo sceriffo che si appresta al duello finale secondo tutte le regole del film western, e alla fine viene ucciso dal cattivo; lo spadaccino che penetra nel castello dove la bella viene tenuta prigioniera dal malvagio, attraversa il salone appendendosi ai lampadari e ai tendaggi, ingaggia col mal- • vagio un duello mirabolante, e alla fine

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