Lospazioc,g!'lomatico Le droit d'asile en danger Parigi, C.S.D.A. éditeur, 1977 Franco Mosconi «La convenzione europea per la repressione del terrorismo», in Rivista di diritto internazionale, 1979 Gérard Soulier «Sullo spazio giudiziario europeo», in Critica del diritto, 1980, n. 18-19; N on è tanto l'oggetto di queste riflessioni ch'è centrale quanto la necessità di pensare i nuovi modèlli di produzione di norme che gli ultimi decenni del secolo vanno facendo proprii. Il passaggio dalla produzione di norme all'evocazione di equivalenti comportamenti autorita11v1 mediante messaggi indiretti, l'assenza di confini di tali processi. Testi normativi proposti e caduti che trasmettono informazioni che faranno «come se» le norme auspicate (da chi?) fossero valide. La tensione e la distinzione tra comandi e norme si spegna nell'unità del consenso, e residuano ruderi di norme sempre meno sociali e sempre più incomunicabili. Dipoi all'esecutore sarà destinata la ininterrotta prova della reazione a progetti incompiuti- bozze di convenzioni non ratificate, proposte di legge non approvate - e della comprensione del comando silente incorporato. E il rischio è all'interprete. È lo schema reperibile nella storia delle tre convenzioni illustrata qui. La scelta del terreno, per iniziare, che individua una condanna di fondo da parte della coscienza spontanea diffusa di comportamenti manifesti come portatori di morte. Il bisogno di sicurezza cui un'epoca che si confessa senza fondamenti induce, sul quale rimbalza - e viene fatto rimbalzare- ogni evento che ci fa specchiare nella precarietà. Una richiesta di protezione indotta e dilatata che apre a un fantasma di politica dell'ordine. Cosi una sintesi empirica di questi elementi si trasforma agevolmente in iniziative di accordi internazionali. li ministro della giustizia francese propone il 22 maggio 1975 ai suoi colleghi dei paesi del Consiglio d'Europa, riuniti a Obernais, una convenzione europea che miri a rendere quasi automatica l'estrazione tra i Ventuno - i membri del Consiglio d'Europa. Una bozza viene messa a punto dal Comitato europeo per i problemi criminali nella sessione del 17-21 maggio 1976, per arrivare alla firma il 22-settembre quando si riunirà a Strasburgo il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa. Ma una prima e rivelatrice difficoltà e contraddizione: la proposta è francese ma parlare di «estradizione automatica» (cosi la definirà il 6 dicembre il ministro francese) vale ferire proprio la nozione di sovranità che rappresenta per la nazione francese un antico tabù. Una soluzione comunque è trovata e il 10 novembre 1976 i delegati dei ministri degli affari esteri del Consiglio d'Europa adottano un testo i cui termini vengono resi pubblici una settimana dopo (cfr. Le droit d'asile en danger, pp.6-15), testo che suscita numerose proteste in Francia. In Italia nessuno ne parla: quello del silenzio giornalistico è un risvolto su cui meditare. Il 27 gennaio 1977 a Strasburgo la convenzione è approvata dall'Assemblea dei Ventuno. Ma le ratifiche da parte dei singoli paesi (che devono ora affrontare i rispettivi parlamenti nazionali) tardano a venire. Allora si tenta di cortocircuitare il problema: Giscard, il 6 dicembre a Bruxelles, propone ai Nove - i paesi della Comunità europea - uno «spazio giudiziario europeo»; si tratta di fare in nove quello che non si riesce a fare in ventuno. È cosi che il 4 dicembre 1979 a Dublino i Nove firmano una convenzione, per cosi dire «ristretta», che riprende quasi parola per parola il testo di Strasburgo. - Ecco come la notizia è data da Le Monde (6 dicembre 1979, p.12): «I paesi della Comunità europea hanno firmato martedì 4 dicembre a Dublino una convenzione contro il terrorismo, in occasione della riunione dei ministri della giustizia (...). Circondata dalla più grande discrezione - si può immaginare la pubblicità cui avrebbe dato luogo l'adozione di una convenzione sui diritti dell'uomo - questo atto segna una nuova tappa nella messa in opera di une spazio giudiziario europeo, anche se il governo francese non ha né l'intenzione né la possibilità di ottenere la ratifica immediata di questo testo da parte del Parlamento( ...). In carenza di ratifica questa convenzione non sarà dunque applicata. Ma la firma di Dublino è solo una peripezia. Lo spazio giudiziario - o piuttosto repressivo - europeo è già in marcia (...). Se la firma di Dublino è un'ulteriore tappa verso la rinuncia- definitiva?- da parte della Francia del diritto d'asilo e verso l'abbandono di una parte della sua sovranità, il terreno in tal senso è già ben preparato». E alla notizia fanno seguito un puntuale commento «L'espace répressif européen», siglato B.L.G., e una «finestra» di Bernard Le Gendre, «Un trait sur le droit d'asile», dov'è svolta un'analisi critica del recente rovesciamento che la giurisprudenza francese ha subito. Scrupolo dell'informazione e rigore critico lontano dallo stile della mogia stampa italiana. Ma, lo si è detto, le convenzioni devono essere ratificate- che vale trasformate in legge interna - da ogni singolo stato, ove occorrono dibattiti e pubblicità, e, anche, magari, fare i conti con le Costituzioni in materia di estradizione. Allora bisognaesperire dell'altro, e questo sarà una - nuova-convenzione «di cooperazione penale», qualcosa che si presenta come più «tecnica». D i nuovo Le Monde (19 gennaio 1980, p.10): «(...) questa convenzione esiste per il momento allo stato di documento di lavoro. Una riunione di esperti deve aver luogo all'inizio di febbraio a Roma per metterlo definitivamente a punto. Due altre riunioni avranno luogo in maggio e aprile. Venendo dopo la convenzione di Strasburgo( ...) e quella di Dublino (...) non ratificate, la futura convenzione non sarà, a differenza delle precedenti, un accordo antiterrorista. Si tratta di una convenzione più generale che obbligherà, salvo che per i reati politici, gli Stati ad estradare gli autori di illeciti punibili con più di un anno di carcere, o, alternativamente a processarli in loco. In virtù di questo testo la Francia potrebbe trovarsi costretta a giudicare membri dell'IRA, o dell'ETA quando la Spagna si associerà ai Nove. Il rischio di 'esportazione' del terrorismo in ciò implicito spiega le freddezze verso questo progetto». E aggiungiamo, spinto dal rischio di giudicare simili spinosi casi ogni ragionevole giudice si affretterà ad estradare. Quanto agli «illeciti punibili con più di un anno di carcere» vale a escludere a malapena le contravvenzioni, come dire, ad esempio, l'ubriachezza o il maltrattamento di animali. Se la convenzione di Dublino metteva fine al diritto d'asilo la «cooperazione penale» prevede per gli stati la «facoltà» di rifiutare l'estradizione per i reati politici. Ma su questo più avanti. Inoltre la «cooperazione penale» è una convenzione completa di estradizione - a differenza delle altre - che elimina paradossi tutt'ora esistenti, non ultimo quello dell'Irlanda il cui ordinamento interno non possiede una legge di estradizione, e perciò ignora qualunque richiesta fattale, e però insieme può esigere che i membri dell'IRA le siano consegnati. Ma, dettagli a pane, chi segue la storia di quest'ultima convenzione si trova di fronte a una nuova, ma significativa, sorpresa. L'appuntamento tra i nove ministri della giustizia per la firma della «cooperazione» è fissato a Roma per il 19 giugno 1980; ma quei signori s'incontreranno - stampa italiana silente - per prendere atto che l'Olanda ha deciso di non firmare poiché non vuole attentare al diritto d'asilo e reputa sufficienti gli accordi d'estradizione in vigore. Il motivo addotto da Jacob de Ruiter, ministro olandese della giustizia, è grave, e implica una critica politica maggiore alla linea di tendenza sviluppata dalle tre (sinora tentate) convenzioni. E siccome per la «cooperazione penale» era prescritta l'unanimità il rifiuto olandese fa cadere il tutto. C'è anche un contraccolpo: la Francia, che considera prioritario il progetto di «cooperazione» rispetto alle convenzioni di Strasburgo e di Dublino - che attaccano la sua sovranità-dichiara, irritata, che rifiuterà la ratifica di quest'ultime convenzioni, benché le abbia promosse! Siamo di fronte a una delle tante anomalie della politica occidentale del!' oggi che possono essere ricondotte anche al predominio di capitale industriale su capitale finanziario, ch'è come dire multinazionalizzazione e tramonto dello stato-nazione, dislocazione dei centri decisionali altrove, in reticoli incontrollabili. Ma se ritorniamo al nuovo diritto altre anomalie appaiono e una fa perno sulla nozione di reato politico. Uno dei nuclei di tutto il lavoro descritto è la confusione di tale nozione, la sua torsione. Poiché è una «legalità politica», sia essa democratica o socialista, che si dilata, negazione di legalità «giuridica», non può più darsi reato che non sia «comune», pena la infiltrazione dell'illegalità nella legalità, la loro equipollenza assiologica. E con ciò il naufragio del giuridico - siamo ormai nell'ambito della mera descrizione - mentre il relitto giurisdizionale conviene ancora sia conservato formalmente. ella misura in cui «la violenza» (ma preferiremmo parlare di sragione) legittima il potere ogni «atto grave di violenza» assume valenza di terrorismo (e non v'è quindi da stupirsi che le convenzioni non definiscano né la categoria del terrorismo né quella del politico), mentre il relitto della categoria «reato politico» è fatta salva. Dunque conservazione della «figura», ma svuotamento per ridefinizione: è una tecnica che risale al Trattato italo-germanico del 1942. La ridefinizione è questa: non è reato politico - «agli effetti della presente Convenzione» - quello che comporti un «atto grave di violenza( ...) diretto contro la vita, l'integrità fisica o la libertà delle persone» oppure «contro i beni quando ha creato un pericolo collettivo per le persone», e ciò con esclusione delle motivazioni. E poiché siamo nell'ambito di una convenzione contro il terrorismo - così definito - ne consegue che qualunque rapina che crei «un pericolo collettivo per le persone» è terrorismo. Ma allora il reato comune che viveva la sua onorata/disonorata gemellarità con il politico perde il gemello e muore. Questa operazione - implicita neJJe convenzioni - significa riconoscere (e convalidare) una società vieppiù disarticolata ove con accelerazione crescente aumentino i «lavoratori della violenza» (e del loro «lavoro» facciano un «valore») dilatando un'eclissi totale del lavoro, cosi come inteso negli ultimi secoli, i secoli del diritto borghese. Tutto è terrorismo che è come dire tutto è privo di senso. Queste convenzioni sono dunque culturalmente importanti poiché con il loro ignorare le motivazioni politiche sanciscono la dissoluzione delle legitimità e la centralità del rifiuto (e richiamo l'interrogativo finale). Così la confusione si estende; e poiché le convenzioni hanno per oggetto anche i complici è ben facile che tali siano considerati i «simpatizzanti:. (nell'esegesi germanica quanti non esprimono esorcismi contro i «violenti») e i« teorici» (nell'esegesi stalinistica quanti criticano la ragione dominante). 11 dilatarsi dell'area grigia si anicola sulla restrizione - oggi inevitabile - della figura di reato politico nel diritto internazionale con convenzioni per comprimere la nozione che s'intreccia con l'estensione di tale reato nel diritto interno gestita dal Codice penale italiano (vigente dal 1931, è noto) ove l'art.8 tende a dilatarel'aspetto politico al fine di raggiungere il politico per ricondurlo al giuridico, che in questi processi si sfalda. Illusione liberale era quella di un grande giurista, Rolando Quadro che scriveva [voce «Estradizione (diritto internazionale)», in Enciclopedia del diritto, voi.XVI, pp.1-55, 1967, Milano] con parole antiche: «La coscienza giuridica degli Stati civili è orientata verso una limitazione più estesa dell'istituto dell'estradizione... (per evitare) ...lo scatenarsi della vendetta guidata dalle passioni di parte o da interessi che sono privi di valore al di fuori di una determinata cerchia politica». Ecco allora che ritorna la «cerchia politica». Già nel 1892 da Ginevra era partita la proposta di depoliticizzazione dei «faits délictueux qui soni dirigés contre !es bases de tonte organisation sociale»: erano in gioco gli anarchici e si era in piena crisi dell'agricoltura europea; ma si era ancora nell'ambito della cultura borghese, e i tempi non lo volevano. Oggi per «organizzazione sociale» vale «democrazia». Cosi se si pone la democrazia come un valore - anziché verificarla nel fatto - allora «sarebbe davvero incongruo che il nostro ordinamento democratico e repubblicano proteggesse in qualche modo persone che hanno commesso reati che infrangono proprio quei valori essenziali che sono alla base della nostra Costituzione» (Antonio Cassese, «Lo Stato e la comunità internazìonale», in Commentario della Costituzione a cura di Giuseppe Branca, vol.1°, 1975, Bologna-Roma, p.554). Bene. E coerentemente discende che sono invece degni di tutela «gli autori di reati commessi all'estero per opporsi a regimi illiberali ... (ad esempio mediante) ... costituzione di associazioni sovversive miranti a instaurare un ordinamento dem'i'<:ratico» (p.553). E si precisa «la norma non è e non vuole essere neutrale». Ecco dunque la figur,ildel «terrorista democratico», amico. A sfogliare le pagine della letteratura giuridica sovietica si potrebbero trovare pari proposizioni con la sola variante di «socialista/antisocialista» in luogo di «democratico/antidemocratico>. Perché questo? La democrazia è assunta come valore, non è ma vale. Allora andiamo ai classici e riflettiamo con Heidegger che «al diffuso impiego della nozione di valore fa riscontro l'indeterminatezza del suo significato> e che «è la volontà di potenza a giudicare secondo valori> («La sentenza di Nietzsche: Dio è morto», in Sentieri interroui, 1968, Firenze, p.208 e p.211 ). E necessariamente rifletteremo su chi siano gli «irrazionalisti>. Da questi temi muove Cari Schrnitt («La tirannia dei valori>, in Rassegna di diri110pubblico, 1970, pp.1-28) sul problema, appunto, dell'introduzione di valori nel diritto la quale si presenta come ultimo - e perdente- espediente contro la crisi che germina dai fatti, sopra tutto come carenza di fatti. Scrive Schmitt che «il legislatore, le cui norme devono porre normalmente precisi limiti al gioco di una libertà logica dei valori, nel suo linguaggio ufficiale può divenire preda di una delle molte filosofie dei valori> (p.2). Ciò avviene quando la crisi di legitimità - perdita di consenso si fa più viva e i sistemi di potere annebbiano i loro interessi dietro valori onde gli esecutori - dressati con le tecniche normative annotate inizialmente - accettino un coinvolgimento che altrimenti rigetterebbero. Sono operazioni che vengono presentate come nuove fondazioni asssiologiche. Ma il processo è suicida: le posizioni di valore sono aggressive (e «violente»); «i valori vengono posti e imposti e chi dice valore vuole far valere e imporre> (p.20) S orge allora il quesito se le norme giuridiche - e in panicolare quelle costituzionali - possano essere lette come valori. L'operazione si colloca nell'eccesso, è sconvolgente e riverbera sconvolgimento. Sempre Schrnitt: cli valore superiore giustifica allora pretensioni imprevedibili e svalorizzazioni; l'attuazione diretta del valore distrugge l'attuazione giuridicamente sensata, che è possibile soltanto in ordinamenti concreti, sulla base di norme precise e di chiare decisioni> (p.9) E nella lettura delle convenzioni si è, sia pure approssimativamente, verificata la dinamica dei valori che postiimposti rendono centrale il loro nonvalore. L'amico infatti viene individuato per posizionamento del nemico, la non-neutralità diviene asse portante del «nuovo diritto>. Ma più che nuovo diritto pare tecnica d'individuazione di nemico e ineguale. L'incompatibile si apre il cammino. La democrazia si costituisce in blocco quando, se valore, dovrebbe porre la democrazia dei valori, l'eguaglianza del valutare. La norma insegue sul loro terreno farsi e disfarsi di alleanze. Prospettiva cupa, panorama desolato. Ma questa cupa prospettiva e questo desolato panorama fanno emergere una memoria profonda che rifiuta i feticismi, che libera simboli di vita, che induce al distacco dalle istituzioni. Cosa diranno mai i giuristi dei valori a quanti - numerosi - pongono come loro valore il silenzio?
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