Alfabeta - anno III - n. 21 - febbraio 1981

Si potrà non essere d'accordo con questa spiegazione degli avvenimenti, ma almeno è un principio di spiegazione, per quanto felpata ed allusiva. Purtroppo questa non è la regola nella stampa, ma l'eccezione. li lettore è lasciato solo a districarsi in questa ragnatela di trame e di illusioni da cui dipende in maniera sempre più drammatica il futuro di tutti. Ecco perché, all'inizio, dicevamo che questo è il vero b/ack-out, il vero alleato del terrorismo, la nebbia in cui si annidano le trame e gli equivoci più esiziali, il mistero che più di ogni altra cosa terrorizza la gente e la aliena da ogni iniziativa politica di massa. Della parola black-oUl si è fatto un uso assurdo, ambiguo, che spaventa proprio per la sua imprecisione. Infatti se era in questione solo la pubblicazione dei comunicati di Trani e di Palmi, non vi era alcun black-out in gioco, poiché nessuno ha mai detto in precedenza che fra gli obblighi inforrnativi della stampa vi è quello di pubblicare, integralmente o quasi, i comunicati dei brigatisti. Sul piano dell'inforrnazione, anche i giornali che otizia, maledetta notizia Nello scorso numero, ana/iulmdo /'economia inforrnativa che presiedeva alla fatale riduzione di mezzi e di spazi che i giornali concedevano al dopo-terremoto, ci chiedevamo tra l'altro quali fossero le norme non seri/le che regolano lapermanenza o l'espulsione di una notizia dallaprima pagina. Più in generale ci chiedevamo quale fosse il paradigma di «notizia» cui i giornali stessisi appellavano come a un superiore destino per motivare l'ascesa o la scomparsa di un intero orizzonte di eventi dall'allenzione dei giornali medesimi. In effe/li, queste domande non sono di nostra esclusiva preoccupazione. Da anni i giornalisti più consapevoli e i più avvertili esperti della comunicazione stanno tentando di souoporre ad una analisi e ad una revisione critica il paradigma tradizionale di «notizia» che regola la dinamica dei grandi apparati informativi. Ci sembra perciò opportuno richiamare due interventi pronunciati negli scorsi anni e che indicano con chiarezza che questo quadro di problemi era già stato messo a fuoco da tempo, prima del terremoto o prima del rapime11to d' Urso. In particolare, l'intervento di Anto11io Cederna, giornalista del Corriere della Sera dimostrava, con u11a lucidità che i fatti si sono incaricati di verificare anche troppo duramente, quali siano le distorsio11idell'attuale modello informativo 11ell'affrontare i problemi dell'ambieflle, del territorio. degli assetti urbanistici. Rileggendo questo intervento dopo il terremoto si rimane sorpresi 11elconstatare qua11w la più dura denuncia sia stata superaw dalla realtà, quali siano i danni de/l'ideologia della notizia L'ideologia della notizia è anche al celltro dell'imervento di Umberto Eco. che risaleaddirittura al 1978, neigiomi del rapimento di Moro. L'analisi di Eco si può applicare tanto ai problemi sociali del terremoto quanto ai problemi che il terrorismo pone ai mezzi tfi comunicazione di massa; ci sembra significativa proprio perché mostra quanto sia vasta l'area in cui l'ideologia della notizia colpisce, quanto sia urgente una riforma del modello informativo che evili i pericoli sempre più gravi della manomissione dei media e della tentazione di sfuggirvi in direzione del silenzio. Di entrambi gli interventi citiamo dei passaggi più pertinellli da questo punto di vista. «(.. .) E con questo arriviamo al vizio di fondo del nostro giornalismo, cioè al culto maniacale e nevrotico della «notizia» che, secondo quanto ai giornalisti è stato insegnato fin dalla culla, deve essere il fine ultimo, la ragion d'essere esclusiva del loro mestiere: quella «notizia» che, come ci siamo sentiti ripetere fino alla nausea, deve essere, ohibò, separata dal 'commemo' come il diavolo da/I'acqua santa; quella 'notizia' infine alla quale sacrificano con civetteria ancl1è le grandi firme quando, nel hanno avuto la leadership del «fronte della fermezza» - come il Corriere dellaSera - hanno in realtà finito per dare ampie notizie, come ci sembra corretto, dei contenuti di quei comunicati; del resto la loro stessa posizione non avrebbe avuto senso alcuno se non si fossero riferiti ad essi. L'alternativa quindi era ben diversa: si trattava di pubblicare o no quéi testi come segnale politico. L'informazione c'entra poco o niente, si trattava di determinare degli schieramenti. Scalfari, nello stesso articolo citato più sopra, ha rivelato: «So di un autorevole segretario di partito che ha personalmente telefonato ad alcuni editori minacciando ritorsioni qualora i loro giornali avessero mantenuto la linea del rifiuto. E so che quell'autorevole segretario di partito, avendo ricevuto un diniego, ha commentato: 'Va bene, questo vuol dire che siete passati anche voi col Pci'. Lo stesso giorno, a pagina cinque della Repubblica, nel corso di una intervista, Giampaolo Pansa fa anche dei nomi: «Martelli ci ha chiesto con insistenza, sino all'ultimo di pubblicarli (i comunicati dei bricorso di impegnative inchieste su qualche grave problema nazionale, si rivolgono ai lettori autodefinendosi umilmente 'il vostro cronista'. Cosa per cui, come è detto ancora in quella celebre intervista, il giornalista non dovrebbe far altro che 'augurarsi che le cose accadano, che siano interessami, che lui se ne accorgaprima degli altri e che sappia prima degli altri capire come andrà a finire( ...)'. «Notizia, dunque, nella pratica corrente del nostro giornalismo, è sinonimo di 'fallo', di accidente, di cosa comunque accaduta: ed è qui che quel culto maniacale di cui dicevo produce, per quanto riguarda l'argomento che ci interessa, i suoi effetti deléteri, dal momento che, come insegna I' esperienza, le notizie ritenute degne di essere menzionate e trai/atesono quelle che si identificano con i falli compiuti, ossia co11gli evemi catastrofici. Notizia uguale a catasrrofe: questa è l'essenza del Harincs tlella purtaaei «Saratuga» nostro giornalismo nella questione ecologica e ambientale. (...) li giornalismo si riduce apassiva registrazione dei faui luttuosi quanto clamorosi, con relativa deplorazione che lascia il tempo che trova: l'ecologia viene degradata acronaca nera. Si rivela così l'inconsistenza di quell'altro sbandierato principio secondo il quale il giornalismo dovrebbe essere lo 'specchio della realtà': quegli stessi fatti catastrofici vengono regolarmente sottoposti dai signori della notizia a una selezione soggettiva, discrezionale, legata a umori e insofferenze, con tanti sa/uri alla completezza dell'informazione. I disastri soppesati in base al numero dei morti, a/l'entità delle distruzioni e dello scompiglio politico che suscitano: quelli considerati minori, e che so110 la norma, e che sommandosi portano il Paese allo sfacelo fisico vengono trascurati perché, alle solite, si assicura che annoiano e che non imeressano il lettore. gausu. dR.). E sappiamo che Craxi in persona ha premuto sulla Fiat perché La Stampa facesse altrettanto». Che cosa hanno a che fare, se queste notizie sono vere, tutto ciò con il black-our, l'umanitarismo, la fermezza, e così via? Si tratta di pressioni politiche per determinare u110schieramento, dove il terrorismo ha fatto da innesco a conflitti già esistenti. Per comodità e per chiarezza metodologica possiamo benissimo pensare che si siano esercitate pressioni anche in senso inverso: la sostanza non cambia. li pericolo per la stampa è ben più sottile, è nell'ambiguità del concetto di black-ou1,autoce11sura e simili. Si tratta di non pubblicare i testi dei comunicati o di censurare vere e proprie informazioni determinanti alla comprensione delle vicende legate al terrorismo? Si tratta di alterare solo la «scala di priorità» in cui i giornali collocano i fatti concernenti il terrorismo o si tratta di attenersi ad una sorta di «direttiva obbligata» che farebbe imboccare il piano inclinato del silenzio-stampa? È proprio in questa equivocità, nella sottile separazione di «E che dire di quell'altra fissazione di cui i signori della notizia vanno fieri quella dell"a11ualità'?A vendo identificato la 1101iziacon il disastro clamoroso, la loro 'attualità' è sempre postuma: arriva110cioè sempre, immancabilmente, malinconicame111e,comicamente i11ritardo, a morti e distruzioni avvenute, a nubi di diossina scappate, a fog11aturescoppiate, a quadri rubati, a bag11iproibiti, a boschi bruciati, a vibroni ingeriti, a frane franate. Sempre dopo, sempre a rimorchio degli eventi, per non aver affrontato e approfondito per tempo e con la necessariacosra11zai problemi: e i /euori li si fa assistere soltanto all'ultimo atto della tragedia, per di più col soffiuo del teatro che cade sulla testa degli spellarori (Solo i bimillenari, i centenari, i cinquantenari eccetera, arrivano puntuali). Altro che specchio della realtà: i nostri giornali, per quanto riguarda ambiente e sociologia. rischiano di di,·mrare semplici bollettini di guerre perdute, elenchi di morti e dispersi, fogli di soli necrologi, per di più senza alcun profluo economico per l'azienda( ...). «Sia dunque lecito avanzare qualche opinione diversa, per quanto scandalosa possa sembrare. In questo, come in altri campi, il compito del giornalismo deve essere, oltre che informativo, formativo e preventivo. L'i11formazione accidentale, improvvisata e sussultoria a rimorchio dei fa11i straordinari, i commenti deplorarori, tardivi e funerari, per qua1110doverosi, servono a poco se 1101s1ono preceduti e accompagnati da un'informazione cosw111ec, ontinua e sistematica sui problemi che va11no affrontati e risolti in sede politica e amministrativa affinché i disastri, se possibile, vengano evirati. È quindi anche ora di smetterla di co11siderare non più attuale una catastrofe ventiquallrore dopo che si è verificata», da Antonw Cederna, Trenta righe suimetodo tra risultati del tutto opposti che sta l'aspetto cruciale. Se ne è accorta la stessa Federazione della Stampa quando, senza entrare nel merito della questione dei «comunicati», ha reagito con decisione alla dottrina dell'autocensura. Forse il black-our non c'è stato e se c'è stato è durato ben poco. In pratica si può riscontrare con una certa evidenza solo nelle prime pagine di alcuni giornali del 7 gennaio, quando - per esempio - li Giorno non ha temuto di sfidare il ridicolo (o il tragico) con un titolo di testa a cinque colonne sulla lotteria di Capodanno. Il giorno seguente questa prassi è stata criticata aspramente anche da altri giornali della «fermezza»: si veda l'editoriale della Repubblica dal titolo Che buio se tutti staccano la spina. Ma non c'è da tirare sospiri di sollievo; l'equivoco rimane. Il punto non sta in una decisione autonoma, per quel che è possibile, della stampa stessa per ridurre il sensazionalismo di titolazioni e informazioni concernenti il terrorismo. Un simile orientamento sarebbe il benvenuto, proprio per i motivi l'ambiente ... se non succede qualcosa, interve1110al Convegno « Come cambia l'informazione», Milano, 21-22 febbraio 1980 (pubblicato nel Dossier, omonimo, del Convegno). «(...) Tullo questo pone oggi seri problemi alla stampa e alle telecomunicazioni: se un rerrorisw rapisce un uomo po/irico proprio perché tutti vengano a conoscenza delle sue posizioni, cosa si fa? Si pubblicano i suoi vola111ini(e si fa quindi il suo gioco), o 1101s1i pubblicano, e si fa ancora il suo gioco perché si dimostra quello che egli vuole dimostrare, che non esiste libertà di swmpa - dato che la notizia arriverà ugualmente a lutti per qualche via alternativa. A questo punto l'industria dell'informazione si accorge di quanto fragile fosse la sua ideologia tradizionale. Essa si reggeva e si regge ancora sull'idea che esiste una fon redelle notizie, che è data dalla realtà indipende111e:poi /"i11formozione, che è il servo fedele della relarà obbieuiva, trasforma i fatti, che accadono alla fonte, in messaggi e li distribuisce ai destinatari. Ora ci si accorge che la fonte noR è falla di realtà obbieuiva indipendente: essa è già sempre fatta di altri messaggi. Raramente il giornalista che scrive 'bambino investito da bicic/e11a'racconta un fauo. Di solito racconta delle 1es1imonianze (messaggi precedenti) su un fatto presunto. Solo che lo fa convinto di raccontare fa11ie cerca di convincerne i suoi destinatari. Oggi ci accorgiamo che addiriuura qualcuno può investire o fingere di investire il bambino affinché il fauo (prodotto come messaggio) produca un altro messaggio, e l'intera ideologia della notizia entra in crisi (. .. ). «Ecco che di fronte a fenomeni del genere la stessa nozione di obbiettività e/lira in crisi. Di fronte a un fa110-1101izia l'obbiettività consiste nell'assumersi già detti più sopra. Quel che preoccupa è l'intervento dei partiti politici, è il determinarsi di innaturali e ambigui schieramenti tra soggetti politicamente distanti, tra chi ieri voleva pubblicare tutto ed oggi propugna ambigui black-ow preventivi. Si veda il brusco dietro-front di Sciascia sulla Repubblica del 17 gennaio. Si veda l'intervista in cui Craxi ha affermato, dopo il rilascio di D'Urso: «Io sono per il blackout. Sì l'ho detto a un comitato centrale del mio partito qualche mese fa, ma nessuno ci ha fatto caso. Sono per il black-out, o meglio per un'informazione sobria e controllata». Saremmo meno dubbiosi se sapessimo che cosa intende Craxi per «sobria e controllata». Soprattutto, tutto ciò desterebbe meno preoccupazione se non avessimo il dubbio che il black-out può coprire sia i proclami terroristici quanto le iniziative di «compromesso» o «trattativa», ufficiali o ufficiose, le manovre e le trame. Chissà perché i giornali della «fermezza», a questo, non hanno pensato, almeno non tutti. la responsabilità di non essere obbieuivi, di palesare la propria posizione. Cosa che si faceva anche con le notizie 'tranquille', ma senza dirlo. Ma a questo punto stiamo ancora parlando dell'obbieuivirà della notizia e della completezza dell'informazione? Non stiamo forse sfiorando un luogo teorico dove la stessa nozione di notizia entra in crisi e lapratica del terrorismo appare la figlia naturale se non legiuima dell'ideologia della notizia? « È un'ideologia vecchia, che forse rimonta alla stessa nascita delle gazzette. È notizia ciò che è eccezionale. L'uomo che morde il cane, non il cane che morde l'uomo. È vero? A pensarci bene questa concezione della notizia sta all'opposto di ogni nozione storica e scientifica di fa110significativo. In storia e in scienze esaue è significativo ciò che è ripetitivo e costante, non ciò che è eccezionale (il quale semmai conferma la regola). La nozione di evento eccezionale è legata alla nozione di histoire événementielle oggi messa ampiarnente in discussione. È indubbio che esiswno eve111inodali che cambiano il corso degli altri evemi, nella storia come nella viradella natura. La bomba su Hiroshima, il terremoto di Acapulco, la n·1ortedi un Papa sono eve111i nodali di questo tipo (e anche il rapimento Moro). Ma l'industria dell'informazione, per pure ragioni di profitto, è portata a magnificare anche eventi 111inoripurdi trovare norizie eccezionali e a ripudiare i rapporti sul co111inuoe sul ripetitivo come antigiomalisrici. Inoltre la natura stessa del mezzo (un giornale ha ogni giorno lo stesso numero di pagine sia che sia accaduto o no qualcosa d'ù11eressa111iem) pone all'industria del/'ù1formazione di creare l'e1•e111a0nche quando 1101e1siste. «Ora il terrorismo che produce eve111i-1101iziasfru11a esa11ame111equesta ideologia del mezzo. Mezzi di massa e rerrorismo sono in rapporto di srreua dipendenza. Lo sono anche quando il mezzo di massa non è rei/o da ragioni di profiuo. Se /'Unità per avventura rifiutasse di dare altre notizie sensazionali sul caso Moro, perderebbe non solo i propri leuori, ma ogni credibilità, perché il pubblico chiede alla stampa notizie eccezionali e rifiuterebbe come notizia un rapporto sul modo di conduzione delle scuole sperimentali a pieno tempo. «Eppure uno dei modi per riformulare lo stesso concetto di obbiettività passa a11raversouna rieducazione del pubblico al concetto di notizia. (...) Parlare di riformulazione dell'ideologia della notizia significa parlare di un nuovo giornalismo, specie per la stampa, che deve diventare sempre più storiografia dell'istante»; da Umberto Eco, Obiettività dell'informazione: il dibattito teorico e le trasformazioni della società italiana, relazione al Convegno «Realtà e id~ologia de/l'informazione», Milano 15-16 aprile /978 (ora nel volume AA. VV, Informazione Consenso e dissenso, il Saggiarorè 1979). -. O() °' -.

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