Alfabeta - anno III - n. 21 - febbraio 1981

..... oO °' ..... Giornale dei Giornali Dalterremotoal terrorismo U n mese dopo il terremoto, negli ultimi giorni del 1980, le prime pagine dei quotidiani italiani sono in gran parte assorbite dalle vicende del terrorismo, che fanno perno sul sequestro D'Urso; lo resteranno per un altro mese e con crescente intensità. Dopo gli scandali, dopo la catastrofe del Sud ecco un nuovo capitolo di quello che - tempo fa - avevamo chiamato il «romanzo italiano»: una serie ormai sterminata di «capitoli» che via via occupano le prime pagine, senza nesso apparente fra un capitolo e quello successivo. Di tanto in tanto emergono tra vari «capitoli» legami più o meno oscuri- ma quasi sempre inquietantimagari ad anni di distanza, poiché nessun «capitolo» è mai veramente concluso. li lettore ha talvolta la sensazione di afferrare un bandolo della matassa, un filo per dipanare ciò che accade in Italia da più di dieci anni. Ma la stampa raramente insiste; si passa al «capitolo» successivo, via via misteri e problemi irrisolti si accumulano e un cerchio buio sembra chiudersi attorno agli «avvenimenti-del giorno», momentaneamente sotto i riflettori della pubblica attenzione. Privati di un loro quadro di spiegazione, gli «avvenimenti del giorno» divengono essi stessi un enigma, un mattone nel muro di tenebre. li vero black-out ci sembra questo, anche se non vi è stata nessuna «decisione» della stampa in proposito, ma soltanto una passività che rende i giornali veicoli di questa politica sommersa in cui sembra risolversi sempre più ogni politica superstite. Osserviamo che la tendenza a concentrare in modo esasperato l'attenzione sul «caso» del momento è incontinuo sviluppo; domani il «caso» verrà messo in ibernazione in attesa di eventuali «colpi di scena». Forse la stampa italiana dovrebbe tornare ad occuparsi del romanzo italiano nel suo insieme, rinunciando alle esasperazioni isteriche, alle illazioni, alle «quasi-informazioni» clamorose sul «fatto del giorno». Certo, la stampa non porta la responsabilità primaria di questa situazione; al contrario, sono le regole della «politica sommersa» a imporle un condizionamento crescente poiché implica un uso sempre più spinto della manipolazione informativa. Eppure, proprio per questo, la stampa - per non degradarsi a megafono o «silenziatore» - non ha altra strada che rompere con una prassi che la degrada a passacarte di servizi segreti (caso Isman-Russomanno) e di gruppi terroristici o di maldefiniti «fronti umanitari» (caso Scialoja-D'Urso). L'alternativa non è quella, proposta dal mal definito «fronte della fermezza», distaccare laspina. Al contrario, il problema è quello di portare alla luce la «politica sommersa», è quello di dire di più, non di meno. Esiste un disegno per far scivolare nel buio tutta la popolazione, immergendola nella disinformazione e in una ridda di polemiche inservibili, fra l'indifferenza di una metà e l'isterismo dell'altra metà. Forse la stampa, da sola, non può contrastare questo disegno, forse occorre che un movimento di opinione e di massa la aiuti a disincagliarsi dalle secche delle veline, dei «comunicati» e della misinformazione programmata. Da questo punto di vista, tra terremoto e terrorismo c'è un legame profondo, e sta nella logica del «silenzio stampa» strisciante che Maria Corti ha analizzato nello scorso numero di Alfabeto. Sta nella disinvoltura con cui si «stacca la spina» da una parte con il pretesto che bis~gna atta·ccarla da A cura di lndex-Archivio Critico de/l'Informazione un'altra parte, al nuovo «fatto del giorno». Sta nelle pressioni crescenti per imporre dall'esterno nuovi condizionamenti a apparati di informazione .già abbastanza condizionati dalle loro stesse strutture interne. Un mese fa, alla metà di dicembre, abbiamo osservato la progressiva scomparsa dalle prime pagine dell'informazione dalle zone terremotate. Alla data del 13 dicembre annotavamo: «Nel complesso delle sette testate, gli inviati speciali che il 26 novembre erano 47 e due giorni dopo erano già scesi a 39, ora sono ridotti a 13. Anche lo spazio dedicato al tema è sceso notevolmente: dalla sessantina di pagine della fine di novembre si è passati a una dozzina, compresi gli elenchi delle sottoscrizioni e gli articoli di commento». A distanza di un mese, il dopo-terremoto sta scomparendo anche dalle pagine interne e gli inviati speciali sono stati tutti chiamati a casa, salvo sporadiche eccezioni. li «terremoto da dimenticare» è stato dimenticato, la «spina è stata staccata»: le informazioni - scarsissime - giungono solo attraverso l'ANSA e qualche corrispondente da Napoli. In tre giorni (13, 14 e 15 gennaio) su un complesso di sette quotidiani (Corriere della Sera, Il Giornale, li Giorno, Il Messaggero, La Repubblica, La Stampa, li Tempo) abbiamo contato 9 articoli firmati. Ciò significa che, in media, non si arriva neppure ad un articolo ogni due giorni. Ma la media è poco indicativa, perché, a questo livello, torna a esserci una certa differenziazione tra le varie testate. Dei 9 servizi 5 sono pubblicati dalla RepubbliMarine. della portaerei «Saratuga» ca, l'unico quotidiano che sembra mantenere un minimo di collegamento continuo attraverso il corrispondente da Napoli, Ermanno Corsi; il 13 La Repubblica ha anche pubblicato l'unico servizio «dal nostro inviato speciale». Due sono gli articoli pubblicati dal Messaggero e due quelli che compaiono sulla Stampa. Nelle altre testate le informazioni si limitano a qualche notizia non firmata, presumibilmente di agenzia. Abbastanza clamoroso il caso del Corriere della Sera che nei «giorni caldi» aveva il più alto numero di inviati e dove, ora, le notizie della zona terremotata sono praticamente scomparse; da segnalare solo un articolo di commento di Antonio Ghirelli, in terza pagina, Non «aggiustare» il Mezzogiorno. Vuoto quasi pneumatico nel .Giornale, nel Giorno e nel Tempo. Tra il 13 dicembre e il 13 gennaio si è sviluppai~ il caso ,D'Urso. Questi sono i risultati: il b/ack-out di fallo sul Mezzogiorno terremotato. Non fa più notizia, l'attenzione è tutta per il «fatto del giorno». Ma la pura analisi quantitativa, già di per sé molto elo- • quente, non dice tutto. Vediamo i titoli dei pochi servizi pubblicati nei tre giorni di riferimento: 13 gennaio. Sulla Repubblica l'unico pezzo di prima pagina di questi tre giorni; è una breve notizia non firmata da Napoli: La camorra spara a due ingegneri; in settima pagina, un articolo di Ermanno Corsi ( Cortei, proteste, lacrimogeni/ A Napoli una giornata di caos) e un servizio dell'inviato Domenico Del Rio (Avellino: sono state riaperte le scuole/Quindicimila sfollati attendono la casa). Sul Messaggero in diciassettesima pagina un articolo, da S. Angelo dei Lombardi, di Gianni Festa: Per i crolli 87 sotto accusa. 14 gennaio. Sulla Repubblica, in settima, due articoli di Ermanno Corsi: I «guappi» lanciano una nuova sfida (da Napoli) e Per i «palazzi di carta» altri venti denunciati ( da Avellino). Sulla Stampa, in sesta, un articolo di Adriaco Luise: La camorra del terremoto ha sparato ai due tecnici. SuJ Messaggero, in sedicesima, un breve servizio di Gianni Festa, Da Roma 3 miliardi ai Comuni irpini. 15 gennaio. Articolo di Ermanno Corsi sull'ottava pagina della Repubblica, I tecnici a apoli hanno paura/«O e.iscortano o niente perizie». Sulla Stampa, in nona pagina, un servizio siglato A.L.: È difficile allontanare i senzatetto da apoli. È facile constatare che i toni da cronaca nera (la camorra, le denunce giudiziarie) prevalgono nettamente sull'informazione di carattere «sociale». Esemplare, da questo punto di vista, la scelta fatta il 13 dalla Repubblica: in prima pagina la camorra, in pagina interna i cortei e la protesta della popolazione. Si noti che su questi ultimi avvenimenti l'unico articolo è quello della Repubblica, le altre sei testate tacciono. Di questo atteggiamento da «cronaca nera~ è emblematico il comportamento del Giornale montane!-. liano, teorico dèlla «corruzione dal basso» e ·della «criminalità diffusa» della popolazione meridionale; il 14 l'articolo del corrispondente da Napoli è intitolato: L'80 per Napoli è stato l'anno più tragico: con 148 omicidi stab,ilitoun t_!'isteprimato. L'informazione sul terremoto è affidata a una notizia di agenzia, da Sant'Angelo dei Lombardi, Centosette avvisi di reato per i crolli facili del sisma. Naturalmente, fornire le notizie sull'attività della camorra è importante; ma il punto è che queste sono quasi le uniche notizie, le più facili da reperire perché corrispondono a collaudati paradigmi di «cronaca». :È l'inchiesta, il lavoro permanente di reportage il grande assente. Alcuni fenomeni rasentanò l'assurdo. Ad esempio, il Corriere della Sera e il Tempo, che per tre giorni non hanno praticamente pubblicato una sola notizia dalla zona del terremoto, se ne «ricordano» improvvisamente quando Walesa incontra i terremotati ad Avellino (// Tempo). Lo stesso giorno poche righe di agenzia informano che a Laviano è stato estratto dalle macerie il corpo dell'ultima vittima. In questi pochi esempi c'è una intera «filosofia della notizia», un paradigma del fare informazione proprio dei grandi apparati giornalistici di oggi. Su questo aspetto avevamo promesso ai lettori di tornare per un approfondimento: ad esso dedichiamo la «finestra» di questo numero, riportando un intervento di Antonio Cederna ed uno di Umberto Eco. Se vi fosse qualche dubbio sul nesso profondo che collega in un quadro unico terremoto e terrorismo, nella logica perversa del «romanzo italiano», si veda il titolo di apertura del Giorno di sabato I 7 gennaio, all'indomani del rilascio di D'Urso e del voto di fiducia al governo Forlani. Su sette colonne. a caratteri di scatola si legge: O così o elezioni; sopra l'occhiello recita: Terremoto e caso D'Orso hanno reso impossibili nuove maggioranze. Ecco emergere nel candore del direttore del Giorno, Guglielmo Zucconi, ex-direttore del settimanale Dc La Discussione, un pezzo di «politica sommersa» dove il terremoto «dimenticato» e il «caso del giorno» si inseriscono perfettamente come fattori della stessa equazione. Lo stesso giorno, il titolo d'apertura dell'Avanti! è: Craxi: è stata vinta la battaglia per salvare la vita di un uomo. Per chi rientrasse in Italia da un lungo viaggio in terre lontane sarebbe assai difficile comprendere ilnesso con la terza riga del titolo del quotidiano socialista: Con 353 voti favorevoli e 243 contrari, piena fiducia al governo. Ecco venire alla luce uno degli equivoci di fondo che stanno alla base dell'informazione durante l'arco del sequestro D'Urso e alla base dei dilemmi «cedimento/fermezza», «pubblicare/ non pubblicare i comunicati». :È l'equivoco dell'«umanitarismo», del «miglior modo> per salvare vite umane. Su questo punto bisogna convenire con quei giornali che hanno motivato politicamente il rifiuto di pubblicare i comunicati di Trani e di Palmi: era in gioco una contrapposizione fra pani politiche su questioni politiche di fondo. Ridurre la vicenda al semplice «umanitario> della salvezza di una vita significa intorbidare le acque per nascondere la «politica sommersa». Ma, a loro volta, che cosa hanno fatto i giornali del «fronte della fermezza> per spiegare la natura di questa contrapposizione politica che tagliava in due Io schieramento dei partiti italiani, su una linea ben diversa da quella tra maggioranza e opposizione? Se Craxi e Pannella sono scesi ad una «trattativa», come si è letto, perché lo hanno fatto, al di là degli impulsi umanitari e libertari che vogliamo pure concedere con beneficio di inventario? Sono essi «fiancheggiatori» delle Brigate Rosse, come i più accesi sostenitori della «fermezza> hanno pure affermato nelle polemiche verbali riferite dai giornali? Ed è vero, viceversa, quanto afferma Pannella che il «fronte della fermezza» era mosso in realtà da un disegno golpista che doveva passare attraverso la morte di D'Urso? Queste domande rimangono in buona parte senza una risposta chiara nella stampa italiana, rinchiusa nel cerchio di ferro delle polemiche tra «umanitarismo> e «fermezza contro il terrorismo>. Lo stesso fenomeno terrorista rimane così nella nebbia e si può continuare a credere, secondo Io strano «macluhanismo> di ritorno ora in voga, che il problema del «partito armato» fosse quello di conquistare un po' di spazio nei mezzi di comunicazione, proprio mentre otteneva risultati dirompenti sul piano politico, per esempio scavando un fosso tra Pci e Psi che alcuni dirigenti socialisti hanno dichiarato «quasi incolmabile». Da questo punto di vista, bisogna riconoscere a Scalfari di avere fatto un passo avanti, sia pur modesto, nello spiegare questo lato fondamentale della «politica sommersa» di cui il terrorismo è componente primaria, Nell'editoriale del 19 gennaio L'obiettivo politico del partito armato, Scalfari scrive: «Fino ad ora gli interlocutori delle Br erano principalmente i carabinieri e la / polizia; adesso i loro interlocutori primari sono diventati i partiti. Questo mutamento non è improvviso, Cominciò con il sequestro di Moro. Anche allora l'obbiettivo dei terroristi era di rendere impossibile l'attuazione d'una formula politico-parlamentare: quella dell'alleanza tra Dc e Pci. Ci riuscirono. Adesso, con l'operazione D'Urso, hanno frantumato sul nascere l'alternativa di sinistra, perché il fossato tra comunisti e socialisti, dopo i 33 giorni di prigionia del giudice e quanto accaduto nel corso di essi, è diventato quasi incolmabile. Questo modo di procedere merita attenzione. Si direbbe infatti che il p~ito armato abbia come punto ·dj arrivo quello di isolare sempre e comunque il partito comunista.,. Se questo è il fine dei terroristi - e tutto dimostra che sia questo - le forze politiche democratiche dovrebbero porre la massima cura nel mandarlo a vuoto. Ma accade esattamente il contrario. Le forze politiche, non tutte ma alcune di apprezzabile rilievo, sembrano cogliere al volo l'occasione che le Br .offrono ed operano anch'esse per raggiungere il medesimo risultato, cioè l'isolamento del Pci. Si assiste così ad un tragico carnevale».

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