Alfabeta - anno III - n. 21 - febbraio 1981

seria, ma anche lagrandeUll culturale e politica dellamodernità: perché mai, in nessun luogo e in nessun tempo, sapere e potere sono stati cosl strettamente intrecciati come nella cosiddetta modernità; in tale età il sistema delle professioni colte e lo sviluppo dell'opinione pubblica hanno reso effettuale e socialiuato come non mai il sapere; e vicevena l'università moderna e il partito politico hanno acculturato e legittimato come non mai l'esercizio del potere. Effettualità del sapere e legittimità" del potere, dimensione pratica della conoscenza e razionalità della società sono state in questa età indisgiungibili; taleconnessione è per cosl dire formale e costitutiva e non riguarda i contenuti specifici della ricerca scientifica o dell'ideologia politica: per esempio, nell'ambito dell'università moderna il prodotto dell'erudizione più specialistica o più estranea ad ogni applicazione pratica è altrettanto politicamente effettuale quanto la teoria generale della società, perché entrambi sono saperi sottoposti ad un controllo di stato, legittimati dallo stato che ne garantisce la scientificità, e a loro volta quindi legittimanti lo stato. Analogamente il potere più irrazionale e aberrante, come per esempio lo stato fascista o nazista, condivide con il potere democratico l'assoluto bisogno di convincere e di far credere, di porsi come il depositario di un sapere. (.. .) Tanto la scienza quanto l'ideologia si fondano su presupposti generali che dipendono dal carattere socializzato del loro sapere: per quanto specialistica ed analitica sia l'indagine scientifica, essa implica il riferimento a principi di validità universale che disciplinano il suo metodo; analogamente per quanto locale e particolare sia una battaglia politica, essa implica il riferimento a principi ideologici che chiedono di essere ricnosciuti come universalmente validi. Sia l'una che l'altra presuppongono che la società sia un tutto e stabiliscono un rapporto di omogeneità tra la comunità politica e il sapere scientifico e ideologico: tanto la parola scientifica che quella ideologica sono interpreti di una conoscenza che è potenzialmente di tutti. Il potere del sapere scientifico, cioè la sua effettività, e il sapere del potere ideologico, cioè la sua legittimità, si reggono in fondo sul fatto che in questa civiltà politico-culturale il sapere non può fare a meno del riconoscimento e il potere non può fare a meno del consenso. Queste certezze ultime e fondamentali che rendevano il sapere efficace e il potere sapiente sono venute declinando negli ultimi anni: perciò il binomio scienza-ideologia non deve essere percepito come un peccato originale di cui si debba portare il peso, né come un passato vergognoso da tacere o da occultare, ma come l'articolazione fondamentale di un'età di cui è possibile vedere gli aspetti posiJivi e negativi proprio perché si allontana sempre più dal presente. L'eclissi dellaciviltàpolitico-culturale fondata sul binomio scienza-ideologia non dipende dal venir meno dell'equilibrio tra le due, dal prevalere della scienza sull'ideologia, come nella tecnocrazia, nell'egemonia • del sapere sulla poliJica, e nemmeno all'opposto dal prevalere dell'ideologia sulla scienza, cioè nella ideologizzazione e partiJicità della scienza, nella dipendenza del sapere dal potere poliJico. Entrambe queste due possibilità, tecnocrazia e totalitarismo, sono varianti interne della civiltà politico-culturalemoderna e non rappresentano un sostanziale mutamento dello statuto sociale del sapere e del potere: nella prima i detentori del sapere scientifico si a"ogano anche il diritto di esercitare il potere politico, e nella seconda, vicevena, i detentori del potere politico si a"ogano anche il diritto di dirimere questioni scientifiche. Ma tecnocrazia e totalitarismo portano sottano ali'estremo rispettivamente il potere del sapere scientifico e il sapere del potere ideologico affermando in modo esagerato ed oltranzista il legame tra la scienza e la società rì.elcaso dellaprima, e tra ideologia e società nel caso del secondo. La crisi dell'ultimo decennio è assai più radicale: non si tratta a/fatto di una estensione del sapere scientifico al di là Graffiti a Seco11diglia110 dell'ambito assegnatogli dalla modernità, ma al contrario di una riduzione del significato sociale del sapere scientifico che non è più il sapere della società nella sua globalità (sapere di cui la società è il soggetto), ma un sapere locale, per nulla privilegiato rispetto ad altri saperi. Tale riduzione del sapere scientifico non dipende soltanto, come sostiene Foucault, dall'emergere dei saperi disciplinari repressi nell'età moderna e dal/'insurrezione dei saperi ingenui connessi alla pratica quotidiana, e nemmeno saltano dallo scollamento tra l'istruzione universitaria e il sistema delle professioni colte: più profondamente e irrimediabilmente dipende da un processo di culturalizzazione generale della società che prescinde dal modello della scuola, dal paradigma di un insegnamento concettuale, progressivo e formativo: questo non procede mediante concetti o teorie, ma mediante immagini e simulacri. Mentre l'alfabetizzazione di massa e l'istruzione popolare, promossa dal/' Illuminismo e realizzata in Europa nel secolo scorso, erediJain fondo l'aura e la dimensione mitica della catechesi religiosa, i mass-media trasmettono un sapere che è radicalmente demitizzato. Questo s_aperenon rimanda ad un'organizzazione sistematica delle conoscenze, ma è frammentario, disorganico, occasionale: non s'iscrive in un'impresa progressiva di cui la società nel suo complesso, attraverso la mediazione dell'insegnante e del ricercatore, si sente oggettivamente responsabile, ma pare quasi già materializzato e realizzato indipendentemente e perfino contro la soggettività singola e collettiva. Non si deve tuttavia éredere che la riduzione del sapere scientifico a sapere locale, in concorrenza con ogni altra forma di espressione linguistica articolata, tolga pubblico al professore o all'uomo di scienza; avviene esattamente il contrario: egli non ha mai avuto un uditorio cosi vasto, a condizione naturalmente che sappia presentare non il sapere scientifico, ma l'immagine, il simulacro del sapere scientifico. Ma mentre nel piccolo uditorio degli allievi e dei colleghi, la parola de/I'uomo di"scienza è la voce della scienza stessa, dinanzi al grande uditorio fornitogli dai mass-media, essa è altrettanto marginale e secondaria quanto quella di chiunque altro. Sul versante del potere politico le cose vanno in modo analogo. La crisi dell'ideologia politica non deriva dalle sue ambizioni totalitarie,ma tutt'al contrario dalla riduzione del potere politico da potere globale a potere locale: se infatti cade per il politico la possibilità di porsi come interprete se non di una volontà generale, almeno di un progetto, almeno di una prospettiva culturale, di un sapere che potenzialmente riguardi la società tutta, il suo potere perde ogni carattere privilegiato non soltanto nei confronti degli altri grandi poteri tradizionali (quello economico in primo luogo), non soltanto nei confronti di quella disseminazione di piccoli poteri a carattere particolaristico e corporativistico che spesso le lotte dell'ultimo decennio hanno creato, ma soprattutto perché esso si scomra contro un processo di deideologizzazione della società che rende pateticamente inutile e controproducente la sua richiesta di consenso e di partecipazione. La politica ideologica si trova perciò coinvolta in una spirale che le è fatale: essa infa1ti quanto più nasconde ed occulta i propri connotati ideologici nella speranza di ottenere un maggior numero di consensi, tanto più perde la propria identità e la propria ragion d'essere, riveland9si sempre più debole nei confronti dei poteri tradizionali e delle spinte corporativistiche. Nella società post-moderna il politico diventa un luogo d'incrocio di poteri su cui non solo non ha alcun controllo, ma che paiono irriducibili ad una qualsiasi formulazione culturale unitaria: egli perde così ogni possibilità di persuadere o di entusiasmare chicchessia. Certamente proprio questo svuotamento dei contenuti ideologici ha, se non forza di persuasione, perlomeno un suo fascino: ma su tale terreno egli si trova in concorrenza con molti altri show-men molto più abili di lui. Una stessa crisi investe dunque la scienza e l'ideologia, l'università e il partito politico: 11ellacondizione postmoderna professori e politici non sono affatto eliminati, ma relegati in una posizione ii1argina/ee periferica che può anche di tanto in tanto essere portata alla ribaltaper ragioni che tuttavia non hanno niente che fare con la logica interna né del sapere scientifico, né della politica ideologica. Tale crisi si articola in vari aspetti: essaè innanzitutto una crisi dei rapporti del potere col saper~. cioè erosione della legittimità del potere po/irico, cui viene meno sia l'autorità di un sapere autonomo come la scienza, sia la facoltà di ouenere e mantenere il consenso mediante l'ideologia: i poteri politici post-moderni paiono dunque cronicamente esposti sia alla contestazione che, rivolgendosi contro il sapere universitario, attenta alla legittimità del regime politico (se non addirittura a quella della comunità politica), sia al dissenso che, rivolgendosi contro l'ideologia, attenta alla legittimità delle forze politiche. In secondo luogo, essa è crisi dei rapporti del sapere col potere, cioè erosione della effettualità sociale del saperescientifico, che perdendo la consapevolezza del proprio legame col potere politico diventa irresponsabile, nonché erosione della effettualità del sapere ideologico il cui compito non è più quello di delineare strategie, ma di giustificare allameno peggio i più ingiustificabili tatticismi e trasformismi. In terzo luogo, essa è crisi dei rapporti del sapere con se stesso, cioè erosione della motivazione che spinge a scegliere la scienza e la politica ideologica come professioni e a perseverare in queste: raiemotivazione diventa privata e individuale e fa decadere il lavoro intelleuuale da amività che in linea di diritto interessa la società intera (la comunità degli uomini civili - diceva Max Weber) a mera scelta personale. Infine essa è crisi dei rapporti del potere con se stesso, cioè erosione della governabilità, declino della capacità di esercitare il potere, cioè di prender decisioni e di farle eseguire. La malattia mortale dellapolitica non è certo il totalitarismo, ma al contrario la paralisi e l'inefficienza, cioè il deperimento di un potere socializzato. Nella eclissi del binomio scienzaideologia ciò che tramonta non è soltanto la possibilità di una democratizzazione del sapere e del potere, ma qualcosa di più globale e fondamenta- /e, la socializzazione del sapere e del potere. La siruazion~attualepare caratterizzata da una moltiplicazione di saperi e di poteri locali, non nel senso che siano limitati o deboli, ma nel senso che essi non riguardano più la società nella sua globalità. A ciò che Habermas chiama lo sganciamento del sistema culturale, cioè la riduzione del sapere a mero oggetto del godimento e dell'interesse privato corrisponde un analogo sganciamento del potere dalla formulazione ideologicamente impegnativa di una volontà politica. La gestione dei -saperi locali e dei poteri locali è assunta da managers culturali e bosses politici, che riducono la cultura ad una dimensione meramente decorativa e la politica in una prospettivameramente mafiosa. In questo contesto scienza e ideologia sembrano trovare una nuova vitalità nel senso che la loro messa in scena a11raverso i massmedia è senza paragone più fragorosa e spettacolare di quella che a loro garantivano i canali tradizionali della scuola e dell'opinione pubblica raziocinante, 111araie amplificazione toglie loro insieme ogni sapere o ogni potere. Si compie così 1101g1ià l'oltrepassame11to della scienza e dell'ideologia, ma il loro svuotamento e svilimento: l'equiparazione del sapere scientifico a prodo11i culturali privi d'ogni metodo e di ogni disciplina e l'utilizzazione bossistica delle ideologie. Management culturale e bossismo politico non possono infa11ipercorrere lo spazio post-scientifico e post-ideologico che la fine della modernità apre. Essi vivono sulla gestione del patrimo-· nio culturale della modernità, smembrato e snervato, perché separato dal rapporto con la società, cioè rido/lo a condizioni pre-moderne e pre-illuministiche. Management culturale e bossismo politico cronicizzano la crisi socio-cultura/e attuale. Nei confronti del rigore della scienza, nei confromi della coerenza dell'ideologia, il nichilismo manageriale-bossistico, che fa un uso del tutto arbritrario e opportunistico della contraddizione e della incompatibilità, può anche dare l'impressione della libertà: ma tale libertà è soltanto lo scioglimento del sapere da ogni effettualità e motivazione, lo scioglimento del potereda ogni legittimitàed efficacia. (...) Vie di fuga in Musil (Aldo G. Gargani) (. .. ) L a vicenda e la storia della parte che entro la nostra cultura è toccata alle funzioni del potere sono altrettanto complicate quanto lo sono gli intrighi del potere. Perché il riconoscimento delle funzioni del potere nell'area del sapere getta luce sulla nostra condotta intellettuale; ma quel medesimo riconoscimento scopre al tempo stesso, sia pure in una diversaprospettiva, l'opacità che le strategie del potere entro una forma di vita oppongono alla nostra aspirazione alla chiarezza e ai nostri bisogni intellettuali. ~osi ora l'analisi del tema sapere-po-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==