Alfabeta - anno III - n. 21 - febbraio 1981

Presentiamo alcuni degli interventi italiani più interessanti tenuti al convegno «Sapere e potere> (Genova, 27-30 novembre). Per esigenze di spazio, tutti i testi sono stati ridotti. Ringraziamo gli Autori, I'Assessorato alla cultura di Genova e l'Editore Feltrinclli- che curerà gli atti del Convegno - , che hanno autorizzato la pubblicazione di questi interventi. Saper tacere (Remo Bodei) $ iamo davanti ad un fenomeno che per la sua stessa evidenza non sempre viene focalizzato in maniera sufficiente, quello della crescita contraddittoria e senza precedenti, dell'i"uzione nlla scena politica di individui, di gruppi, di popoli, che sono stati per lungo tempo subalterni. Ciò ha prodotto una serie di terremoti anche nel campo della comprensione delle questioni, ha movimentato il quadro della nostra intellegibilitàdei fenomeni e ha mosso dalla passività e dalla compattezza quel corpo sociale pigro, che. nel passato si era tentato con variericettepolitiche o di spingere in avanti con la violenza, oppure di attendere nella sua maturazione. La visibilità dell'architettonica degli eventi di potere in questo caso è resa confusa, almeno in apparenza, dalla moltiplicazione dei centri di auività, dalla perdita di rigidità delle gerarchie venicali, dalla poca saldezza dei momenti unificatori precedenti e dalla articolazione eccentricadelle forme in cui si effettua la presenza politica. (...) Probabilmente nella distribuzione sociale del sapere si è rovesciata una situzione precedente. Abbiamo cioè una concentrazione di sapere specialistico verso l'alto - mentre prima, in quanto professionale, era verso il basso; e una concentrazione di sapere generico verso il basso -mentre prima la filoso fio era l'educazione universale verso l'alto, che si tendeva a dare agli uomini colti. Ma che cosa sappiamo, e che cosa, sollo questo aspetto, non sappiamo e ci vogliono in qualche modo nascondere, senza pensare a una teoria del complotto del potere? Dobbiamo osservare come cambia il referente del nascondere nel suo meccanismo più classico cioè la censura. La censura prima avveniva sui «mores», sui costumi, sul cauivo esempio dato da individui che possono corromperne altri (la grande paura delle società antiche, delle società classiche: di Socrate che corrompe i giovani; e Catone che interviene contro la corruzione introdotta dalle donne che portano dei monili: paura sociale di un contagio da parte del cattivo esempio). Ma con la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, a partire dal libro, quindi a partire dagli ultimi decenni del '400, la censura non colpise più il cauivo esempio del singolo o non colpisce più il singolo in quanto tale: colpisce il mezzo stesso di comunicazione, in questo caso il libro e le idee che sono veicolate, perché il libro ha una vita indipendente da~'autore e moltiplicale possibilitàdi contagio. A questo proposito sarebbe interessante disegnare delle mappe sistematiche delle zone di sapere oscurate; oppure di quelle zone di sapere ad ammissione limitata in cui alcuni possono sapere, altri no. L'esempio più macroscopico che mi viene in mente è quello della ragion di Stato, delle tecniche di governo che principi e governanti debbono conoscere e che invece i sudditi non devono e non possono conoscere. Ma altrellanto interessante è ilprocesso di derubricazione della pericolosità di certi saperi. Bisogna vedere ad esempio, perché il libertino come negatore dell'esistenza di Dio oggi non è più pericoloso, mentre diventano pericolosi gli altri tipi di sapere; perché l'eresia non solo religiosa, ma ideologica, almeno in certeparti del mondo ed entro certi limiti, non è considerata più tanto pericolosa. Da noi, il potere sembra legato, nei suoi punti strategici, non al controllo diretto delle azioni o del costume né a quello dell'ortodossia delle credenze. La sua caratteristicapiù specifica, più peculiare in questi ultimi tempi è che il potere non interviene, in genere, a cose fatte, ma preliminarmente. E allora il potere interviene ad esempio nel sagomare le scelte, nel plasmare le preferenze, nel preordinare le decisioni, il che Graffiti II Seco11digli11110 può essere rubricato souo il nome di educazione, ma può essere anche visto a livello contrario come potere di preordinare in senso interessato le decisioni altrui. Io porterei due esempi di come il potere è un potere di evitaredi sapere, cioè un potere che è fallo di meccanismi inibitori del sapere-meccanismi, secondo me, ancora pochissimo studiati, su cui probabilmente non vale ancora la pena di parlare in generale, ma su cui un' analisi minuziosa, attenta, differenziale potrebbe portare risultati importanti. Un esempio è raccontato in un bel libro di Mattew Crenson, Umpolitics of air pollution cioè la non politica della polluzione dell'aria. Non è che il libro contenga molta teoria,però contiene un grande esempio. Ci sono, dice Crenson, due ciuà, East Chicago e Gary. In queste due ciuà c'è una grande industria, la V .S. Steel Corporation, che produce acciaio. Per decenni c'è una collusione tra sindacati, giornali e amministratori locali per impedire che si parli della polluzione dell'aria (pol- _luzione che tutti in qualche modo non possononon nowre,anchese l' ecolo• gia, negli anni dal 49 al 62, gli anni trattatinel libro, non eraprobabilmente così enfatizzata come oggi). Non bisogna prendere questo esempio in termini moralistici («guarda come il potere riesce a corrompere e gioca sulla pelle dei cittadini»). li problema è di metodo: si traila di capire come il potere - in questo caso quello della VS. Steel Corporation - può essere quello di tagliarealla base le possibilità di sapere; e quindi di chiedersi quanto non-sapere esiste nel potere, e di non legare sempre potere e sapere in termini positivì. L'altro esempio è quello di Walter Laqueur, lo studioso di terrorismo che ha scriuo un libro che si chiama The terrible Secret, cioè il segreto terribile sullo sterminio degli ebrei. In qualche modo si sapeva che esistevano campi di sterminio: lo sapeva il Vaticano, lo sapeva l'ambasciata svedese, lo sapevano gli ebrei stessi ali'estero, lo sapevano i tedeschi che vedevano scomparire la gente, ecc. Però solo il i 5 aprile, 1945 (volendo puntualizzare come Laqueur) quando gli inglesi arrivarono al campo di Bergen Belsen il problema dei campi di sterminio diventa un problema centrale. Ora i due esempi sono qualitativamente differenti. Le congiure del silenzio hanno dei prezzi umani e sociali di differente livello. Ma in ogni caso il controllo dell'informazione si presenta come legato allo schema del non passaggio ,alla discussione: non importa se qualcuno sa, è importante che siano tanti a non sapere. Allora noi ci chiediamo come è possibile evitare queste situazioni, perché anche a non essere nel campo della morale è certo meglio essere vivi che passare per il camino, avere i polmoni sani che non rovinati dal fumo. Come è possibile allora trovare un sapere che controlli i vari tipi di potere, tutti? Come è possibile estirpare la radice del non sapere? È chiaro che nessuno pensa agli idealimitologici della trasparenza completa; ma è altreuanto evidente che la lotta è sempre ed anche su questo campo. Bisogna combauere una tendenza che vediamo sempre più diffondersi e che, se posso esprimere un'opinione personale, mi sembra sempre più pericolos°;: quella della formazione di un consenso a naso, auraverso una serie di informazioni manipolate, di informazioni monche -e non solo di non informazioni. Andrebbe studiato un elencodiproblemi:lostatutodelsegre• to, ad esempio, cioè come nascono determinati segreti, professionali, di Stato, d'ufficio e come questi segreti vengono ad essere violati in termini discrezionali. Bisognerebbe chiedersi se il potere non stia tanto nel segreto quanto nella discrezionalità di rivelarlo o di non rivelarlo. Un altro elemento che andrebbe studiato è quello del decadere dello schema classico che per secoli ha rei/o la formazione delle coscienze, cioè il rapporto tra chi sa e chi non sa, tra dominanti e dominati. C'è il modello per cui chi comanda o chi sa nasconde ciò che sa. Non dimentichiamo che, nel Rinascimento, la scienza era considerata un segreto, e che rivelare un segreto scientifico era in parte esseremessi al bando dalla comunità scientifica. Che la scienza sia pubblica non è un fatto ovvio: lo è diventata. E potrebbe in parte ridiventare non più pubblica. Quindi un sapere in parte segreto, ma non segreto per chi comanda o comunque per chi fa parte di sfere privilegiare,e invece muto per chi deve obbedire. La produzione di miti sociali è interessante perché è differenziale rispeuo ai nostri miti novecenteschi. In Bacone per esempio, il mito veniva inteso come la verità velata: cioè «i semplici non capiscono ragionamenri complessi, diamoglieli in forma di immagini, veliamo la verità». Ora, a differenza delle precedenti mitologie, quelle del nostro secolo, (penso a Le Born, La psicologia delle folle, penso sollo un altro aspeuo a Sorel, ilmito ad uso del sindacato, pen- • so al Rosemberg del mito del X X secolo cioè la razza) sono diventare delle costruzioni scientifiche. Cioè non sono più faue per velareuna presunta verità, sono costruite tecnicamente e scientificamente perché devono funzionare. Anche Hitler diceva che in fondo non credeva alla razza, che era solo una cosa che gli serviva. E su questo forse bisogna riflettere. ' Quindi il miro è una volontà consapevole di far credere. Ma il crollo dei miri a cui per fortuna noi abbiamo assistito, il crollo di questi macro-miti non ha portato alla scomparsa del mito; ha creato una serie di miti effimeri. Anche in questo caso, a mio_avviso, bisognerebbe esaminare non tanto il contenuto di questi miri, ma la loro dinamica sociale. li problema del nascondere e del rivelare, della distribuzione sociale di ciòchesinasconde di ciòchesirivela, è un problema che ci porta alla base di un'istituzione o di un modo di governare e di vivere che noi conosciamo, cioè la democrazia. Di recente Bobbio ha detto che una volta la democrazia doveva essere una casa di vetro e che invece oggi rischia di tornare indietro e di essere oscurata. lo tradurrei così questa posizione di Bobbio: noi abbiamo avuto un lungo processo dall'assolutismo, per semplificare, a oggi, in cui sono stati abbandonati i luoghi di decisione chiusi, nascosti (il gabineuo del principe), per passare - naturalmente allraverso una lolla -alla pubblicità delle decisioni (non di tulle): convocazioni di stati generali, 1614, 1789 naturalmente, parlamenti, opinione pubblica. La richiesta di queste istituzioni è stata la richiestadi una possibilità di vedere il potere. E probabilmente il fa110che oggi noi abbiamo delle perturbazioni nel vedere il potere deriva dal fauo che ci troviamo di fronte a una drastica situazione di scelta: dobbiamo accontentarci di una democrazia che assistepassivamente al moltiplicarsidei poteri informali ed occulti, che si serve del sapere in modo spuntato? Dobbiamo accontentarci, parafrasando Kant, che parlava di una ragione pigra, di una democrazia pigra? O dobbiamo invece pensare, comepersonalmente ritengo che si debba fare, ad una democrazia un po' più attiva in cui la partecipazione ai processi decisionali, anche se dichiarata incoerente, possa funzionare a vantaggio di molti, se 1101p1ossibilme111edi tutti? Questo testo è la semplice trascrizione dell'intervento di Bodei I poteri della ragione (Franco Rella) (. .. ) N el testo nietzscheano degli anni '80 è già iscriuo I' aueggiamenro che la cultura della razionalità classica assu_meràdi fronte alla complessa trasvalutazione dell'ultimo 0110cenro: la crisi dei fondamenti e la ricerca di un nuovo sapere che percorre tutto il pensiero del nostro secolo. Da un lato, come dice Gorgoni nel- /' Introduzione al volume col/euivo Crisi della ragione, abbiamo il manteni111enro duro, poliziesco quasi, di un'immagine della ragione che «aspira a una presa così ampia» sul reale e sull'intreccio problematico che lo costituisce, da « risultare dispotica» preclusiva di «nuove possibilità e alternative che erano rimaste in ombra». E d'altro lato, in alternativa (forse solo apparente) il pensiero negativo, con il suo Trauerspiel, con la sua rappresenta, zione lu11uosadella crisi, che trova i suoi accenti più alti nel silenzio di Hofmannsthal, ma anche di Wiugenstein o del primo Benjamin. li silenzio viene assunto come unico simbolo in grado di mostrare, ma non più di rappresentare, le cose mute: le cose che non.possono più essere delle dalle parole piene che si sono ormai infrante. Quelle sottraile alla caducità e alla precarietà di cui sognerà ancora Heidegger nella sua proposta di un pensiero poetante, in grado di offrire, anche nel «tempo della miseria», nel tempo in cui gli dei sono fuggili lasciando dietro di sé labili tracce quasi indiscernibili, un tempio alla pienezza del/'essere. D'altronde, questa alternativa tra il silenzio tragico e l'utopia della parola piena percorre gran parte della cultura del nostro secolo, coagulandosi in costellazioni inusitate in cui possiamo trovarea fiancodellaparolapoetante di Heidegger la parola senza rughe di Breton e del Surrealismo. La filoso fio di Jacques Lacan ha esercitato un grande fascino anche perché una di queste costellazioni, sovente ribadita e enfatizzata, ma di fauo ben poco indagara criticamente. V) -. -. oO °' Ma esiste anche, nel .nostro secolo, !:! un pensiero che ha accellato fino in _ ~ fondo il compito di praticare i territori ~

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