Hai Ashby Oltre il giardino (film) (Being there, USA, 1980) Jerzy Kosinski Presenze Milano, Mondadori, 1972 pp. 140, lire 2.200 Robert Musil Discorso sali.a stupidità Brescia, Shakespeare & Company, 1980 pp. 54, lire 2.500 11 giardiniere Chance non è mai uscito dalla villa dov'è nato e cresciuto: ha sempre curato le piante, parlato con la cuoca e guardato la TV. Quand'è costretto, in seguito alla morte del padrone, a lasciare la casa per inoltrarsi nel mondo, non ne diventa vittima ma, con qualche favore delle circostanze, protagonista: affascina finanzieri e uomini politici, si accattiva la fiducia del presidente degli Stati Uniti, conquista le donne dell'alta società e le masse televisive; sarà- pare- il candidato vincente alle elezioni presidenziali. La trama del romanzo di Kosinski Being there (1971; tr. it. Presenze), ripresa assai fedelmente dal film omonimo di Ashby con Peter Sellers tratto dal libro, è la dimostrazione narrativa di un paradosso: un individuo che conosce soltanto strutture limitate ed elementari acquista, in un mondo complesso e informatizzato, reputazione di uomo eccezionale e risolutore. La sostanziale coincidenza fra il libro e il filmal livello della trama (Ashby elimina solo due scene erotiche - con l'omosessuale e con EE -, inserisce un episodio di ragazzi negri, aggiunge alcuni particolari umoristici sul presidente e ristruttura il finale) non esclude una differenza, ovvia ma interessante per le conseguenze che determina, fra le due opere: il romanzo descrive i processi mentali del personaggio, il film - che adotta il modulo della narrazione oggettiva e non la soluzione letteraria del narratore fuori campo- mette in risalto soprattutto la mimica, in negativo, come non-mimica, del protagonista: l'espressione di Seller si mantiene fissae vuota di messaggi. La figura di Chance appare, dalle due angolazioni, in qualche modo diversa: Kosinski, penetrando nell'interiorità del personaggio (descrive il suo rapporto di imitazione rispetto ai modelli televisivi, i vuoti assoluti che si aprono nel suo pensiero, l'identificazione ch'esso stabilisce fra immagine e principio di realtà, facoltà di vedere e possesso delle cose), concede al lettore una posizione di vantaggio: gli mostra ciò che gli interlocutori di Chance non possono sapere e su cui si interrogano continuamente: cosa pensa, cosa sente, cosa intende dire? La situazione è del tutto esplicita e l'avventura del giardiniere appare in primo luogo come un gioco di fraintendimenti. Lo spettatore del film·ha anch'egli a disposizione le chiavi di smascheramento dell'equivoco: conosce il «misterioso» passato del protagonista su cui i servizi segreti delle superpotenze indagano invano e rileva facilmente il contrasto fra l'assoluta piattezza delle frasi di Chance e i sottointesi che gli altri immaginano di cogliervi. Ma Ashby si occupa, più che di smontare il trucco, di mostrare i punti di forza che lo rendono efficace. Dell'effettoChance il regista svela il meccanismo superficiale dell'inganno, ma lascia attiva la provocazione. Lo spettatore non cade nell'illusione ottica che sovrappone a Chance the gardiner il misterioso, astuto e potente Chancey Gardiner, ma è indotto ugualmente a leggere in questa sostituzione un senso e un fondo di verità: profondità, genio, successo sociale da un lato e stupidità dall'altro non scambiano forse solo occasionalmente le parti, qui, per errore; confinano, e anche, talvolta, coincidono. Se Kosinski conclude il romanzo accertandoci definitivamente di quel vuoto interiore di Chance che tutti Oltreilgiardino scambiano per pieno («Non un pensiero si levò dal cervello di Chance. La pace gli riempiva il petto», p. 140), Ashby presenta il personaggio, in un finale dal simbolismo evidente quanto ironico, sospeso fra riferimento evangelico e surrealismo pittorico, mentre cammina sulla superficie di uno stagno, immergendo nell'acqua l'ombrello: la figura del giardiniere conserva e anzi accentua il proprio carattere di eccezionalità, e allude ancora, fino all'ultimo, ad un 'astuzia nascosta (se non di Chance, degli eventi). Sul per-. sonaggio resta sospesa una domanda, un'insinuazione: il legame ambiguo fra genio e stupidità ch'egli incarna sopravvive all'equivoco. O di quale stupidità si parla? M usil, nel Discorso sulla stupidità del 1937 (testo di una conferenza tenuta a Vienna per la Federazione austriaca del Lavoro), dove sostiene l'impossibilità di fornire una definizione unitaria del concetto di stupidità e nega il suo rapporto di antinomia rispetto al concetto di intelligenza, divide la stupidità in due tipi principali. La prima è «semplice eonesta», lenta e ingenua, «luminosa» per l'immediatezza concreta, l'effetto naif che la contraddistingue e ci colpisce. «Preferisce le cose banali, perché le si fissano bene in mente attraverso la loro frequente ripetizione, e quando una volta si è impresso in mente qualcosa non intende farselo togliere tanto facilmente, o farselo analizzare, o stare essa stessa a rifletterci sopra» (p. 48). La seconda stupidità è più elevata e pretenziosa: consiste nel quotidiano fallimento dell'intelligenza che «contribuisce alla movimentatezza della vita intellettuale, e specialmente alla sua instabilità e infruttuosità» (p. 50). Il modello della stupidità «luminosa» può essere considerato come un ritratto molto aderente di Chance. Una coincidenza vuole poi che fra gli esempi, tratti dal Manuale di psichiatria di Bleuler, citati da Musil per illustrarla si trovi: «Giardino: in giardino è sempre bel tempo» (p. 50). Ma è la stupidità pretenziosa ad aver destato in passato gli interessi letterari più vivi, a causa della sua maggior diffusione, perché le spettano tradizionalmente F11bhriche111d1i scarpe li co11du:iu11e familiare ruoli di responsabilità p1u gravi, ma soprattutto, direi, perché costituisce un oggetto di descrizione e di satira più vasto e disponibile. È significativo, a questo proposito, che il più famoso trattatore della stupidità «intelligente», Flaubert, abbia. sempre affrontato l'argomento seguendo un'utopia enciclopedica, nella prospettiva, parrebbe, di esaurire il campo, rinchiudendolo in un sistema, in una summa definitiva: Bouvard e Pécuchet, la cui vicenda è dominata proprio da quei caratteri di fallimento, «instabilità e infruttuosità» della vita Sergio Blazina intellettuale definiti da Musil, passano in rassegna, nella serie dei loro tentativi, tutti i settori dello scibile umano; e gli appunti flaubertiani che preludono o ruotano intorno al romanzo incompiuto - il Dizionario dei luoghi comuni, il Catalogo delle idee chic, lo Scioccheuaio e l'Album della marchesa - ripropongono regolarmente progetti di vocabolario e di catalogo. La stupidità «intelligente» appare insomma come il paradigma e il motore del mondo, l'espressione più autentica dello «spirito del tempo». Per esorcizzarla, si cerca di dominarla con la tassonomia, convogliando le sue voci numerose e sparse in un archivio. li rischio è naturalmente quello di scoprire che l'enciclopedia della stupidità è l'Enciclopedia, e l'unica inesauribile, e che lo spazio della parola e del pensiero rimane esiguo e incerto fuori del suo territorio. Anche Musil, nella prima parte de L'uomo senza qualità - sei anni prima del Discorso - affermava: «Se di dentro la stupidità non somigliasse straordinariamente all'intelligenza, se di fuori non si potesse scambiare per progresso, genio, speranza, perfezionamento, nessuno vorrebbe esser stupido e la stupidità non esisterebbe. (...) Non esiste una sola idea importante di cui la stupidità non abbia saputo servirsi, essa è pronta e versatile e può indossare tutti i vestiti della verità» (Torino, Einaudi, 1957, voi. I, p. 54). E proprio questa stupidità «intelligente» viene rappresentata nell'USQ, che ne descrive almeno tre diverse manifestazioni: le opinioni correnti e i prodotti culturali inferiori, che si modificano nelle varie epoche storiche e di cui sono un eccellente parametro, secondo Musil, i «Giornali per le Famiglie» (cfr. parte I, cap. 16); le idee imprecise, e dunque trascinanti, «grandi e commoventi» (l'«anno austriaco», ad esempio), che non permettono di ess~r spiegate razionalmente e nemmeno espresse indiscorso (cfr. parte I, cap. 27); i «punti fissi», infine, come quelli che ispirano le proposte inviate dai sudditi al conte di Leinsdorf con l'obiettivo di sradicare, attraverso particolari riforme (un nuovo tipo di sputacchiera, o l'abolizione delle saliere nei ristoranti, un metodo stenografico rivoluzionario, una teoria metapsichica astrale ...) i mali cronici dell'umanità (cfr. parte I. cap. 37). Mentre i «punti fissi» rappresentano opinioni individuali, o al massimo di ristretti club, gli altri due tipi di stupidità, secondo Musil, posseggono - rassicurante l'una, idealistica l'altra. ma spesso sovrapposte - una forza persuasiva in grado di raggiungere l'anima collettiva:« In un autentico luogo comune v'è certamente più umanità che in una nuova scoperta» (voi. I, p. 54). A oche Chance, che pur appartiene al mondo della stupidità «luminosa», persuade, rassicura, dà impressioni di saggezza paterna. Il suo successo è certo basato in parte sull'equivoco: chi avvicina il giardiniere volg~ solitamente in metafora, allegoria, doppio senso le sue affermazioni perfettamente letterali, mutandole in luoghi comuni (o nel luogo comune della saggezza). Oltre al discorso sulle stagioni del giardino che, inteso in rapporto alle prospettive dell'economia nazionale, suscita un entusiasmo unanime, altri episodi testimoniano con chiarezza dello slittamento verso il figurato che le parole di Chance subiscono nell'interpretazione degli interlocutori: quando parla della «stanza al piano di sopra,. che gli è stata assegnata dai Rand dopo l'abbandono della casa e del giardino, il vecchio Ben pensa che egli alluda alla prossimità della morte; quando l'ambasciatore russo lamenta gli scarsi contatti fra diplomatici e uomini d'affari, la frase di Chance («Le nostre sedie si toccano, quasi») è giudicata una mossa politica decisiva; e, dall'editore che vorrebbe convincere il giardiniere (completamente analfabeta) a pubblicare un libro di memorie, la dichiarazione di Chance di non saper né scrivere né leggere viene interpretata secondo quel significato di insufficienza letteraria che le si attribuisce comunemente nelle società avanzate e considerata come un atto di prudenza e di modestia. Il mondo attraversato dall'eroe, in mano alla stupidità «intelligente», pare aver smarrito del tutto l'uso e la nozione del senso letterale; conosce solo il metaforico, l'impreciso, e metaforizza di continuo, per abitudine linguistica, il discorso rigorosamente referenziale di Chance. Ma la ritraduzione e l'inglobamento in codici sofisticati dei discorsi del protagonista non riesce mai completa-. mente. Se cosi fosse, e se l'immagine e le parole di Chance si appiattissero al livello delle infinite altre che le circondano, il loro effetto persuasivo e l'aura che le accompagna non si spiegherebbero. C'è dunque un resto irriducibile di messaggio che gli altri personaggi percepiscono e verso cui sono attratti: è la tanto lodata «naturalezza» di Chance, la sua capacità di arrivare al nocciolo delle questioni e di ridurre il complesso al semplice, la sua calma imperturbabile che infonde sicurezza. Ma è anche, benché non sia mai dichiarata esplicitamente, la qualità poetica delle sue parole. Ancora Musil, nella conferenza del '37, nota che le frasi appartenenti alla stupidità «semplice e onesta» ricavate dal manuale di BleulP.r (oltre all'esempio del giardino, altri casi, sempre ottenuti con l'uso di parole-stimolo, si avvicinano allo stile di Chance: «Accendere: il fornaio accende il legname»; «Inverno: è composto di neve» Fa/1hriche111d1i ~rnrpe " cull(/uziu11e familiare (p. 49)) mostrano tratti poetici evidenti: «La naività e la grande plasticità di queste risposte, la sostituzione di concezioni più elevate con la semplice narrazione, l'importanza data nella narrazione a elementi superflui, localizzazione e aggiunte, poi altre volte la condensazione abbreviatrice( ...), tutti questi sono antichissimi strumenti della poesia» (p. 50). «Antichissimi» indica qui probabilmente non solo l'origine remota, ma il carattere specificamente arcaico di questi usi. E lo stile di Chance risponde proprio ai connotati che comunemente si ascrivono ad un linguaggio arcaico: è ridotto nel lessico, organizzato in strutture paratattiche, legato a contenuti concreti, incline al tono sapienziale. Anche il carattere figurato, con molte immagini naturalistiche, che gli interlocutori «vedono» nelle frasi di Chance concorda con questa linea di lettura. Che consiste senza dubbio in una serie di luoghi comuni, sia nella rappresentazione del linguaggio di tipo «primitivo» sia nell'apprezzamento delle sue virtù: affascina perché è naturale, cioè realistico, semplice, autentico ... Il trionfo privato e politico dei discorsi del giardiniere non richiede né garanzie né prove di fatto: è lo stile-nel senso strettamente letterario del termine- a persuadere e a muovere gli eventi. L a seconda arma di Chance è il silenzio, l'inespressività immobile, il vantaggio della sfinge. Tacendo, il giardiniere guadagna un'apparenza di superiorità, astuzia, profondità. Il nulla da dire, trasformato nell'enigma del non detto, alimenta la sua fortuna. Per lo spettatore, il silenzio di Chance ha una funzione meno criptica ed illusionistica; non si lega tanto ad un'impressione psicologica di mistero e di scaltrezza, quanto ad un dato strutturale, di scena. È infatti la collocazione del silenzio in un contesto sovrabbondante di parole e di informazioni a rendere l'afasia e l'immobilità di Chance significative: in un ambiente saturo di messaggi in rapidissima circolazione, l'assoluta inespressività del protagonista produce un effetto di straniamento. Questa presa di distanza non è ironica, ma indifferente; esprime rispetto alla realtà circostante un'insensibilità che, fra l'altro, non è estranea alla radice etimologica di «stupidità»: «stupeo» indicava, oltre che uno stato di sbalordimento e di ammirazione, una condizione fisica di torpore, tramortimento, paralisi, un sintomo analogo alla «sordità» che Musil, nel Discorso, analizzando l'etimologia del termine tedesco torisch, lega semanticamente al conc\!tto di stupidità (cfr. p. 41). Essere sbalorditi, oppure sordi, insensibili di fronte al nuovo: sono le due possibilità che un individuo radicalmente estraneo alle convenzioni sociali può imboccare quando si trova improvvisamente nel mondo ch'esse regolano. La prima possibilità, lo sbalordimento del candore, è un meccanismo tematizzato ripetutamente dalla letteratura di ispirazione moralistica: l'atteggiamento e il metodo con cui l'ingenuo, il selvaggio, il bambino, il morto in visita sulla terra, l'ibernato, il dio o l'extraterrestre osservano, stupiti, la vita degli uomini, svelandone i vizi e gli errori, sono un topos molto antico e diffuso. La seconda possibilità - quella di Chance - va in senso opposto: non è una vista più acuta (perché più pura) ma una scissione della vista dall'intelligenza. «A me piace guardare», ripete Chance; ma il suo guardare è un assistere in posizione neutrale, un «guardare le figure» senza capire né cercare le didascalie. Il carattere taciturno del giardiniere si fonda proprio sull'annullamento dell'interpretazione e del giudizio, che invece dilagano nei codici dominanti, dove gli oggetti stessi del discorso sono già interpretazioni. Lo stile arcaicizzante delle poche parole pronunciate e i molti silenzi colmi di profondità inesistenti rappresentano insomma i perni maggiori del potere retorico esercitato. da Chance sugli astanti. Con l'impiego di questi strumenti, la stupidità «luminosa» ottiene i riconoscimenti del genio. Perché è proprio la nozione di genio a subire, nella vicendadel giardiniere, uno svuotamento totale: del suo significato tradizionale, ormai tramontato, resta solo una memoria imprecisa, un fantasma male inteso. Nei mondi dell'informazione massificata l'immagine della genialità sembra essere pensabile solo come un'incrinatura, un interrompersi inaspettato e casuale della ripetitività dei messaggi. ...... 00 °' .....
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