Alfabeta - anno III - n. 21 - febbraio 1981

Mensile di informazione culturale Febbraio 1981 Spedizione in abbonamento postale gruppo Illi70 Printed in Italy Napoli: 111w po/11eriera chi' J/(1/1 scoppia GLENGRANI' ilpuro\fflisky dipuromalto d'orzo. I. Mereu: La civiltà del sospetto * C. Donati: Lo spazio automatico U. Eco: La regola e il comico* F. Oua<lri: Il teatro dei meteci *S. Blazina: Oltre il giardino Cfr.*Testo: R. Bodei, F. Rella,.~. Perniola.,__A.G.Gargani: Le oscillazioni del sapere G. Grami2!}a: Il monaco e il novizio * b. Di Fonzo: Penna o la tras(!arenza F. Bolelli e S.Lombardi: La passione fredda* R. Bossaglia: I realismi al Beaubourg R. Barilli: Il novissimo Montale* A. Ricucci: Altri viaggi Blackout: A. Leoni, P. Pozzi* Giornale dei Giornali: Dal terremoto al terrorismo Poesie di L. Di Lallo * Lettere * Immagini di T. Conti

Galleria Nazionale d'Arte Moderna Roma Assessorato Cultura Comune di Roma Arei Roma Paesaggio Metropolitano (Nuova performance, Nuova spettacolarità) Gennaio/febbraio 1981 giovedì 8 gennaio Arte e Metropoli nella soc,eta post m,oderna Intervento dibattito venerdì 9 gennaio La Ga,a Scienza Inventario sfilata di modi domenica 11 gennaio Filiberto Menna L'uso analitico martedì 13 gennaio Dal BoscoVaresco Killer di primavera mercoledì 14 gennaio Jean Baudrillard Rappresentazione, simulazione seduzione giovedì 15 gennaio Taroni Civ1d1n Come chiarità di diamante venerdì 16 gennaio F. Moschini A Ross, Un'idea di Teatro e Teatro del mondo domenica 18 gennaio Achille Mango L'uso tecnologico martedì 20 gennaio Antonio S1xty Da «Kennedyne» giovedì 22 gennaio Ascari Cristadoro Quiescente obliqua venerdì 23 gennaio Beat 72 Nuova spettacolarità domenica 25 gennaio Giuseppe Bartolucc, Teatro domani martedì 27 gennaio Colosimo Valeri Il grande sonno della trapezista giovedì 29 gennaio Marcello Sambat, Avventura venerdì 30 gennaio Franco Bolell1 Rock e dintorni domenica 1 febbraio Germano Celant Confronti ottanta martedì 3 febbraio Benedetto Simonell, Senza titolo giovedì 5 febbraio Falso movimento Controllo totale domenica 8 febbraio Gilio Dorfles Vuoti d'aria domenica 8 febbraio Giancarlo Cardini Cardini suona Intrapresa martedì 1 O febbraio De Angelis Lucariello Sehnsucht giovedì 12 febbraio Teatro Studio Caserta Noi soltanto noi questo è l'inizio venerdì 13 febbraio Achille Perl1ni lntercodice domenica 15 febbraio Italo Moscati marted1 17 febbraio Wright MolaIon1 L'invasione della regione centrale mercoled118 febbraio Jean Franco,s Lyotard giovedì 19 febbraio Marchingegno Emergenze Architettoniche venerdì 20 febbraio Magazz1n1Crim,nal, Nuova spettacolarita domenica 22 febbraio N1colin1Purin, Meraviglioso urbano Parco centrale martedì 24 febbraio Andrea Ciullo Dopo la catastrofe mercoledì 25 febbraio Seminario Mostra Art, Teatro gioved1 26 febbraio Paesaggio Metropolitano venerdì 27 febbraio Pro1ez1oneParco Centrale domenica 1 marzo Alberto Boatto Lo sguardo del fuori le immagini diquestonumero Perdura l'endemico costume clientelare tuttora immune ai tentativi di modernizzazione moralizzazione della Giunta Rossa. Resiste l'economia del vicolo «...come un'economia chiusa e clandestina che ha come locus classico la casbah». Le forme legali e illegali di estrazione di reddito sono da sempre multiformi. diffuse. frammentate, molecolari. territoriali e extraterritoriali. extranazionali. Il reddito viene erogato tramite la cassamalattia, l'assistenza pubblica e privata, tramite la cassa integrazione guadagno, corsi di qualificazione e riqualificazione, corsi di avviamento e preavviamento al lavoro. E di reddito ci si ri-appropria tramite forme antiche e rinnovate di controbando, prostituzione, doppio lavoro, borseggio, assenteismo programmato e organizzato e tramite la lotta per un «lavoro stabile e sicuro». I napoletani sono ma1:stri dell'«arte Sommario La rivista Alfabeto si è costituita il 9 dicembre 1980 in cooperativa, per cura del comitato direttivo, con l'elezione di un consiglio di amministrazione; l'edizione del giornale viene affidata con incarico di gestione ad altra cooperativa, «Intrapresa», già dal numero 20 di gennaio 1981. Italo Mereu La civiltà del sospetto pagina 3 Cesare Donati Lo spazio automatico (Le droit d'asile en danger; La convenzione europea per la repressione del terrorismo, di Franco Mosconi; Sullo spazio giudiziario europeo, di Gérard Soulier) pagina 4 Umberto Eco La regola e il comico pagina 5 Franco Quadri Il teatro dei meteci (Nomades et vagabonds, di AA. VV.; Autodissolurion e/es ava111-gardes,di Re11é Lourau; Mille Plateaux, di G. Deleuze et F. Guattari; Classifyng the Thousand longest Rivers in the World, di A. Boe/li e A.M. Sauzeau-Boetti; Le thétitre depuis I 968, di Colette Godard; Magazzini Criminali) pagina 6 Sergio Blazina Oltre il giardino (Oltre il giardino, di Hai Ashby; Presenze, dilerzy Kosinski; Discorso sulla stupidità, di Robert Musi/) pagina 11 Cfr. pagina 12 Testo Remo Bodei, Franco Rella, Mario Perniola, A.G. Gargani Le oscillazioni del sapere pagine 15-18 Napoli: una poh•eriera che non scoppia di arrangiarsi». proprio quella di Macondo, modello di economia per giovani metropolitani elevato a dignità di scelta politica, di «grande rifiuto» dell'organizzazione capitalistica del lavoro. Ma nella geografia della forza lavoro «nuovi soggetti» con fattezze simili all'«operaio sociale» del nord si vanno consolidando a misura di zona «depressa» dell'economia· nazionale. Nuove figure produttive della fabbrica diffusa che utilizzano il vicolo come reparto di produzione. apoli è tutto questo. Napoli: dal centro antico ai quartieri periferici l'impressione è di visualizzare il quadro marxiano di archeologia industriale descritto ne Il trapasso della manifattura e del lavoro a domicilio moderni alla grande industria; abitazioni organizzate ai fini della produzione, microimprese della manifattura, fabbrichette come un residuo in via di estinzione Franco Bolelli e Sandro Lombardi La passione fredda (Ambient 2-The PlareauxofMirror, di Brian Eno e Harold Budd; Cheap Imitation, di Jhon Cage; Giancarlo Cardini suona Erik Sarie; Wakt, di Yash Chopra; National Geographic; Mo111e verità, di Harold Szeeman; Crollo Ner voso, di Magazzini Criminali; Classifyng the Thousand longest Rivers in the World, di A. Boetti e A.M. Sauzeau Boetti) pagina 19 Amedeo Ricucci Altri viaggi (L'empire des steppes, di R. Grousset; Nomades et vagabonds, di AA. VV.; Music [or Airports, di Brian Eno) pagina 21 Giulio Di Fonzo Penna o la trasparenza (Tulle le poesie-Stranezze-Un po' di febbre-Confuso sogno, di Sandro Penna) pagina 23 Renato Barilli Il novissimo Montale (L'opera in versi di E. Momale, a cura di E. Beuarini e G. Comini) pagina 25 Rossana Bossaglia I realismi al Beaubourg pagina 26 Giuliano Gramigna Il monaco e il novizio (Il nome della rosa, di Umberto Eco; Dalle memorie di un piccolo ipertrofico, di Tommaso O11onieri) pagina 27 Giornale dei Giornali Dal terremoto al terrorismo A cura di Index-Archivio Critico del- /' Informazione pagina 30 Poesie Lino Di Lallo Sulla resta pagina 14 Blackout Andrea Leo'ni e Paolo Pozzi Il terrorista informatico pagina 2,4 Lettere Lettera di Piero del Giudice a Mario Spinella Lettera di Enio Giapponesi a Alfabeto pagina 29 Le immagini Tonino Conti di forme arcaiche di organizzazione del lavoro. apoli: la realtà è un enorme laboratorio artigianale diffuso sul territorio, strettamente integrato alla fabbrica, che ha esportato fasi di lavorazione non automatizzate per evitare strozzature nel ciclo di produzione, e che ha già percorso la ristrutturazione e il decentramento produttivo. Napoli. pertanto: polveriera inondata da una moderna «fonte di ricchezza» data dalle potenzialità e capacità del capitale di prodursi e riprodursi, di trasformarsi fino a mostrare ai «subalterni» sembianze disarmanti e accattivanti. Iperreale realtà del neocapitalismo post-industriale in un quadro dalle vecchissime tinte, quasi un dagherrotipo elettronico. Tonino Conti Nota redazionale per tutti gli scritti di collaborazione (richiesta o proposta) ad Alfabeto Gli articoli devono essere sempre dattiloscritti con chiarezza sufficiente. Gli scrilli di carattere recensivo devono recare in testa tulle le indicazioni bibliografiche (autore, titolo, eve11tuale tradu11ore;luogo di stampa, editore o stampatore, numero di pagine, e a11che prezzo di vendita) dei libri a cui la recensione è riferita; di quelli di cui la recensione fa menzione esplicita nel. suo co111estovanno pure dati fra parentesi i dati bibliografici utili. Lo scritto desti11atoa tenere una pagina di Alfabeta è di cartelle 6-7 di ba11ute2000 l'una. L'autore è invitato a i11viareil suo articolo in triplice copia, perlome110 e a comunicare: indirizzo, telefono, e anche codice fiscale. Occorre in fine tenere co1110che il criterio indispensabile del lavoro intelle11ualeper Alfabeta è l'esposizione degli argome111-ie negli scri11irecensivi dei temi dei libri - in termini utili ed evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e 1101s1pecialista. Ma11oscri11di,isegni e fotografie non si restituiscono. La redazione alfabeta mensiledi informazioneculturale dellacooperativaAlfabeta Comitato di direzione anni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio. Umberto Eco. FrancescoLeonetti. Antonio Porta, PierAldo Rovatti, Gianni Sassi.Mario Spinella, Paolo Volponi Redazione Vincenzo Bonazza. Maurizio Ferraris. Carlo Formenti. Marisa Giuffra (segretariadi redazione). Bruno Trombetti (grafico) Art director Gianni Sassi Redazione, amministrazione Intrapresa Cooperativadi promozioneculturale - via Goffredo Sigieri, 6- 20135 Milano, telefoni, (02) 541692, 541254 Coordinatoreeditoriale Gigi Noia Composizione GDB fotocomposizionevia Commenda41, Milano, Tel. 544.125 Tipografia S.A.G.E. S.p.A., Via S. Acquisto 20037 PadernoDugnano (Milano) Distribuzione MessaggeriePeriodici Abbonarne/Ilo annuo L. 20.000 estero L. 25.000 (postaordinaria) L. 30.000 (posta aerea) Inviare l'importo a: Intrapresa. Via Goffredo Sigieri, 6 20135 Milano Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 281 del 1975. ResponsabileG. Di Maggio

Laciviltàd,,@soI spètto Il presente schema è stato steso come un contributo per il 2° gruppo di lavoro: «La protection des droits de l'- homme dans une Europe en mutation rapide> b): cl.es droits de l'homme dans la pratique:o del Convegno sull'intolleranza in Europa, organizzato dal Consiglio d'Europa (Friburgo, dic. '80). Una trattazione organicamente più completa ho cercato di darla nel mio volume Storia dell'intolleranza in Europa. Sospettare e punire (Milano, Mondadori, 1979), al quale rimando per tutte le affermazioni chepotrebbero sembrare non documentate o non documentabili. L'intoUennza e la •civiltà del sospetto» S toricamente si può stabilire una perfetta equivalenza: potere = intolleranza, cioè violenza (legale o illegale). Cambiano i regni, mutano le dinastie e i gruppi dirigenti, al dominio di una classe succede quella di un'altra, ma la violenza legale-diversamente motivata - o come succede oggi, rifiutata a parole, ma perseguita nell'effettività resta come un dato immutabile. Gli arresti arbitrari, il carcere, la tortura, i roghi, le forche, le ghigliottine, le fucilazioni, le sedie elettriche, le camere a gas, le deportazioni, i lager, i campi di concentramento; come gli autodafé, gli indici dei libri proibiti, le censure e le autocensure, le purghe, le abiure, le ammonizioni, i domicilii coatti, ecc. ecc. potrebbero essere i capitoli di una storia ancora tutta da scrivere. Sono fatti ma non ancora datti storici>. Ma sono fatti che come scogli riemergono più irremovibili e lucidi dopo ogni ondata di chiacchiere (tanto per servirmi di un'immagine di Francesco Ruffini, uno dei dodici professori che, in Italia, rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo). E qui si pone una domanda: che cosa s'intende per intolleranza e come mai è sempre in rapporto con il sospetto? Perché dove c'è l'una, l'altro non può mancare? Cominciamo da una constatazione: intolleranza e sospetto sono le manifestazioni certe di uno stesso tumore della ragione. L'intolleranza è l'assoggettam.ento servile ad un'idea, che si crede l'unica da sostenere, anche con la forza, perché non possono esisterne diverse e migliori. È la _!:ertezzafanatica di possedere la sola verità pos$ibile, con la volontà inesorabile di imporla contro l'errore, combattendo con ogni mezzo. Il sospetto è il radar magico che difende tale idea-verità da qualunque influsso dannoso e da qualunque possibile attentato. Sempre in opera, tende a segnalare non solo le idee diverse, per abbatterle e renderle innocue, ma serve anche a soffocare tutto ciò che - da un minimo segnale - si presume possa contrastare o mettere in pericolo l'idea in cui crediamo. È conie una sentinella un po' stupida ma sempre all'erta. Spara su tutto ciò che le sembra non rientri nella consegna ricevuta. L'intolleranza e 11 sospetto. sono, dunque, due forme di stupidità che derivanoe dipei:idonosempreda un'idea ossessiva - chiamata anche fede - in cui si crede come alla sola e alla vera. È in quest'accecamento l'origine del tumore. Sta qui il punto di partenza di tutte le reazioni che subito seguiranno. La fede esclusiva e intollerante in un principio (ad. es. quello religioso), in un'istituzione (ad es. la proprietà), in un avvenimento storico (ad es. la rivo- /u.zione ), in una classe sociale (ad es. la borghesia e il proletariato), è il virus che tutto infetta. È la droga che una volta ingerita, distrugge inesorabilmente qualunque capacità di ragionamento e porta alla visione beata di un domani senza problemi, con molte bandiere al vento. Strettamente legata c'è l'ortodossia, cioè l'unico modo corretto d'intendere la fede. Essa viene fissata in principi - chiamati anche dogmi- assolutamente indiscutibili, in cui bisogna credere e basta. Da fede e ortodossia, nasce il concetto d'obbedienza, che deve essere pronta ed assoluta verso l'autorità gerarchica che rappresenta e guida l'istituzione. L'istituzìone (chiesa, monarchia, partito) rappresenta storicamente la fede, ed assume, nei confronti dei singoli e della collettività, la funzione della cgrande Madre» che tutto risolve e realizza. Immagini del/'economia del vicolo llistituzione è governata da una I. classe dominante (sacerdoti, guerrieri, politici, funzionari) che si proclama rappresentante della fede per mandato ricevuto - dalla divinità, dalla «fortuna», o dagli uomini- e che si costituisce in gruppo dirigente, privilegiato ed intoccabile. Dalla fede derivano fedeltà ·e fedele. Sono termini con cui viene qualificato il comportamento devoto e obbediente dei seguaci. Dal IV secolo ai giorni nostri, la fedeltà, intesa come la totale ficfuciàin chi comanda, è una caratteristica che ogni potere cerca di mettere in evidenza con atti particolari: i/"battesimo, il gÌÙramento, l'iscrizione al partito; e con cerimonie associanti: processioni, autodafé, dimostrazioni, con cui si cerca di dimostrare il perfetto accordo di tutti. In opposizione alla fede, all'ortodossia, all'obbedienza, é alla fedeltà, c'è la devianza. È una parola oggi di moda come i blue jeans. Ma il concetto è vecchio di secoli. Devianza è l'allontanamento dalla «retta via», cioè, dalla «vera fede», che è solo quella del gruppo che comanda. La devianza è come un<!scala. Ha tanti gradini. Il primo è quello di simpatizzante del nemico (cosi viene (s) qualificato sempre chi la pensa in modo diverso). Il secondo è quello di fiancheggiatore, cioè di chi collabora - o comunque aiuta il nemico-senza mai impegnarsi apertamente. Il terzo è quello del sospettato, cioè di chi ha fatto o detto qualche cosa che può essere interpretata anche come dannosa e contraria all'idea. C'è poi l'eretico dichiarato, cioè, colui che viene condannato dall'autorità, perché fuori dalla fede comune. C'è l'apostata e, come viene chiamato oggi, il transfuga o rinnegato. C'è lo scismatico, cioè colui che si ribella, si allontana e costituisce, con altri, un gruppo nuovo in opposizione a quello preesistente. C'è il diverso, (pagani, ebrei, mussulmani, popoli di colore, oppure omosessuali, sotto-proletari, ecc.) che è sempre stato tratta.to seguendo il principio che si può riassumere nella formula: o consenso o repressione. Per nascondere o mascherare l'intolleranza che questi termini esprimono c'è, come imbellettamento, l'ipocrisia giuridica che si esprime con la parola tolleranza, uno dei concetti più equivoci e torbidi di cui il «modello cattolico» si è sempre servito. Se l'unica idea giusta è quella in cui crede l'istituzione,si tollera, cioè si sopporta, anche un'idea contraria perché non esistono altri mezzi da opporre, e non si è in condizioni politiche per eliminarla con la forza. La tolleranza, dunque, è un fatto anomalo, provvisorio ed eccezionale. È uno stato di necessità che nasce dall'impossibilità momentanea di un'affermazione totalitaria. Tolleranza, cioè, è un concetto postribolare che il linguaggio burocratico italiano ha subito accolto usando il sintagma «casa di tolleranza» come sinonimo dotto del popolare «bordello» o «casino». Questi concetti che abbiamo elencato sono tutti legati tra di loro. Dove c'è l'uno, l'altro non può mai mancare. E tutti non mirano che a uno scopo: propagandare, affermare e difendere la sola verità in cui si crede contro tutte le altre, opposte e diverse, anche usando la forza. (Si pensi, ad esempio, alle crociate, all'inquisizione nel Medioevo e nell'epoca moderna, alla ghigliottina e al terrore durante la rivoluzione francese; al domicilio coatto e alla _ strage dei popoli colonizzati durante il periodo «liberale»: alle fucilazioni e alle deportazioni in massa durante e dopo la rivoluzione bolscevica; alle «purghe» e alla legislazione speciale nel periodo fascista; ai lager e alle camere a gas durante il nazismo, ecc. ecc.). Deriva da ciò l'importanza che, in una società organizzata seguendo il principio di intolleranza ha il fatto di essere considerato un fedele dell'istituzione, per ottenere certi incarichi importanti e redditizi. Già dal IV secolo esser chiamati cristiani era una delle condizioni indispensabili per poter essere chiamato a ricoprire posizioni di comando. Gli altri (gli apostati, gli eretici, i pagani e gli ebrei) erano sempre esclusi quando non venivano perseguitati. Come pure, è chiaro quanto sia dannoso l'esser considerato un sospetto deviante. Esser chiamato cataro o albigese nel Medioevo; luterano, calvinista, o pa" pista (fra i protestanti) nel Cinquecento; copernicano oppure galileista nel Seicento; aristocratico durante la rivoluzione francese; giacobino o liberale nel periodo della Restaurazione; anarchico, repubblicano o socialista, nell'Italia «liberale», massone, ebreo, o comunista, durante il periodo fascista, è. un modo per squalificare una persona; per metterla fuori gioco e per farla arrestare rendendola sospetta all'autorità. e reatrice -e sostenitrice prima di questa politica fondata sul principio d'intolleranza è stata la Chiesa -cattolica (e qui si tenga presente che si parla della Chiesa non come comunione di credenti, ma della Chiesa come organizzazione giuridico-politica). Se-prima del IV secolo essa aveva sempre sostenuto che la libertà era l'unico mezzo per convertire gli uomini, perché nessuna religione può essere imposta con la forza, con la tortura e con il sangue, dopo il IV secolo, cioè dopo il compromesso storico con l'impero romano, il discorso cambia radicalmente. L'intolleranza diventa sovrana. La religione cattolica non è una delle tante, ma la sola, l'unica, la vera. Tutte lç altre non sono che errore e pazzia, e vanno combattute. Rappresentano un pericolo sociale da cui la società deve difendersi con ogni mezzo, anchecon l'impiegodella forza. Derivano da tale impostazione i principi che prima abbiamo esaminato: quello di ortodossia, quello di deviante, quello di eretico e tutti gli altri. Nasce cosl la civiltàdel sospetto. Essa si concreta nelle leggi speciali, nell'arresto, nel carcere, nella tortura, nei roghi, ed avrà la sua espressione tipica nel metodo inquisitorio, così chiamato perché inventato dall'Inquisizione, il primo tribunale speciale e segreto creato dalla Chiesa per controllare i fedeli e per difendere la purezza della fede. La novità del metodo inquisitorio consisterà in questo: l'autorità potrà arrestarvi in base a un semplice sospetto d'eresia e voi, per tornare in libertà, dovrete dimostrare che l'accusa è infondata, portando delle prove. Abbiamo così quella che i giuristi chiamano l'inversione de~onere della prova. In italiano corrente significa che l'obbligo (l'onere) di provare che l'accusa è infondata è del denunciato e non del denunciatore (come avveniva con il precedente sistema accusatorio, con il quale chi denunciava doveva dimostrare la verità dei fatti). Ora, con il nuovo sistema, neanche dimostrando la propria innocenza, il sospettato è certo di tornare in libertà, perché l'inquisizione, sulla base del solo sospetto, potrà condannarlo all'abiura, ai remi o al carcere. È per questa ragione che è stato detto: «Si può lasciarel'inquisizione senza essere arsi, ma non già senza restarne scottali». Q uesto nuovo metodo, inventato dalla Chiesa e tutto fondato sulla intolleranza e sul sospetto, sarà subito accolto da tutti gli stati laici - con esclusione dell'Inghilterra - e adottato per i delitti comuni e soprattutto per quelli politici. Resterà immutato fino al 1808, quando Napoleone creerà quello che i giuristi chiamano il sistema misto. Si dividerà il processo in due parti: quella istruttoria e quella dibattimentale. La prima- per l'accertamento dei fatti-svolta seguendo del tutto il sistema medioevale, con il giudice istruttore che accoglie nei verbali • solo quelle testimonianze e quei documenti che, a suo giudizio, è necessario conservare per il dibattimento pubblico, il quale si svolgerà - in un secondo tempo- con ilmetodo accusatorio. Avremo così l'istruttoria congelata, che verrà sciolta e controllata nel giudizio pubblico. Questosistema misto ( o congelato)- che otterrà il più grande successo e verrà adottato da tutti gli stati a sistema inquisitorio - è una «burletta», come è stato definito da un giurista italiano. Infatti, non è chi.non avverta l'ipocrisia che c'è in un dibattimento che si chiama di «rito accusatorio» e che si celebra a distanza di anni dagli avvenimenti che si tratta di giudicare, quando alcune prove non sono più ripetibili, il ricordo dei fatti è sfocato, molte persone che avrebbero dovuto testimoniare o sono morte o hanno la memoria ingiallita, mentre resta vincolante solo la congelazione che ha operato il giudice istruttore nel verbale, la sola.che possa dare una testimonianza certa, l'unica in base alla quale i giudici del dibattimento sono costretti - loro malgrado - a giudicare. Se volessimo cercare le ragioni del successo in campo laico, vedremo che sono le stesse della sua afferrµazione in campo ecclesiastico. Come analoghe saranno le giustificazioni. E se la Chiesa aveva giustificato l'impiego .del _metodoinquisitorio con il dovere assolutoche essa avevadi salvarel'anima dell'individuo, gli stati laici lo giustificheranno con l'altrettanto imprescinqibile necessità di salvare il bene cornune. Con tali presupposti l'intolleranza e il sospetto entrano fra i mezzi leciti che il potere può usare per arrestare i presunti attentatori dell'ordine costituito.

Lospazioc,g!'lomatico Le droit d'asile en danger Parigi, C.S.D.A. éditeur, 1977 Franco Mosconi «La convenzione europea per la repressione del terrorismo», in Rivista di diritto internazionale, 1979 Gérard Soulier «Sullo spazio giudiziario europeo», in Critica del diritto, 1980, n. 18-19; N on è tanto l'oggetto di queste riflessioni ch'è centrale quanto la necessità di pensare i nuovi modèlli di produzione di norme che gli ultimi decenni del secolo vanno facendo proprii. Il passaggio dalla produzione di norme all'evocazione di equivalenti comportamenti autorita11v1 mediante messaggi indiretti, l'assenza di confini di tali processi. Testi normativi proposti e caduti che trasmettono informazioni che faranno «come se» le norme auspicate (da chi?) fossero valide. La tensione e la distinzione tra comandi e norme si spegna nell'unità del consenso, e residuano ruderi di norme sempre meno sociali e sempre più incomunicabili. Dipoi all'esecutore sarà destinata la ininterrotta prova della reazione a progetti incompiuti- bozze di convenzioni non ratificate, proposte di legge non approvate - e della comprensione del comando silente incorporato. E il rischio è all'interprete. È lo schema reperibile nella storia delle tre convenzioni illustrata qui. La scelta del terreno, per iniziare, che individua una condanna di fondo da parte della coscienza spontanea diffusa di comportamenti manifesti come portatori di morte. Il bisogno di sicurezza cui un'epoca che si confessa senza fondamenti induce, sul quale rimbalza - e viene fatto rimbalzare- ogni evento che ci fa specchiare nella precarietà. Una richiesta di protezione indotta e dilatata che apre a un fantasma di politica dell'ordine. Cosi una sintesi empirica di questi elementi si trasforma agevolmente in iniziative di accordi internazionali. li ministro della giustizia francese propone il 22 maggio 1975 ai suoi colleghi dei paesi del Consiglio d'Europa, riuniti a Obernais, una convenzione europea che miri a rendere quasi automatica l'estrazione tra i Ventuno - i membri del Consiglio d'Europa. Una bozza viene messa a punto dal Comitato europeo per i problemi criminali nella sessione del 17-21 maggio 1976, per arrivare alla firma il 22-settembre quando si riunirà a Strasburgo il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa. Ma una prima e rivelatrice difficoltà e contraddizione: la proposta è francese ma parlare di «estradizione automatica» (cosi la definirà il 6 dicembre il ministro francese) vale ferire proprio la nozione di sovranità che rappresenta per la nazione francese un antico tabù. Una soluzione comunque è trovata e il 10 novembre 1976 i delegati dei ministri degli affari esteri del Consiglio d'Europa adottano un testo i cui termini vengono resi pubblici una settimana dopo (cfr. Le droit d'asile en danger, pp.6-15), testo che suscita numerose proteste in Francia. In Italia nessuno ne parla: quello del silenzio giornalistico è un risvolto su cui meditare. Il 27 gennaio 1977 a Strasburgo la convenzione è approvata dall'Assemblea dei Ventuno. Ma le ratifiche da parte dei singoli paesi (che devono ora affrontare i rispettivi parlamenti nazionali) tardano a venire. Allora si tenta di cortocircuitare il problema: Giscard, il 6 dicembre a Bruxelles, propone ai Nove - i paesi della Comunità europea - uno «spazio giudiziario europeo»; si tratta di fare in nove quello che non si riesce a fare in ventuno. È cosi che il 4 dicembre 1979 a Dublino i Nove firmano una convenzione, per cosi dire «ristretta», che riprende quasi parola per parola il testo di Strasburgo. - Ecco come la notizia è data da Le Monde (6 dicembre 1979, p.12): «I paesi della Comunità europea hanno firmato martedì 4 dicembre a Dublino una convenzione contro il terrorismo, in occasione della riunione dei ministri della giustizia (...). Circondata dalla più grande discrezione - si può immaginare la pubblicità cui avrebbe dato luogo l'adozione di una convenzione sui diritti dell'uomo - questo atto segna una nuova tappa nella messa in opera di une spazio giudiziario europeo, anche se il governo francese non ha né l'intenzione né la possibilità di ottenere la ratifica immediata di questo testo da parte del Parlamento( ...). In carenza di ratifica questa convenzione non sarà dunque applicata. Ma la firma di Dublino è solo una peripezia. Lo spazio giudiziario - o piuttosto repressivo - europeo è già in marcia (...). Se la firma di Dublino è un'ulteriore tappa verso la rinuncia- definitiva?- da parte della Francia del diritto d'asilo e verso l'abbandono di una parte della sua sovranità, il terreno in tal senso è già ben preparato». E alla notizia fanno seguito un puntuale commento «L'espace répressif européen», siglato B.L.G., e una «finestra» di Bernard Le Gendre, «Un trait sur le droit d'asile», dov'è svolta un'analisi critica del recente rovesciamento che la giurisprudenza francese ha subito. Scrupolo dell'informazione e rigore critico lontano dallo stile della mogia stampa italiana. Ma, lo si è detto, le convenzioni devono essere ratificate- che vale trasformate in legge interna - da ogni singolo stato, ove occorrono dibattiti e pubblicità, e, anche, magari, fare i conti con le Costituzioni in materia di estradizione. Allora bisognaesperire dell'altro, e questo sarà una - nuova-convenzione «di cooperazione penale», qualcosa che si presenta come più «tecnica». D i nuovo Le Monde (19 gennaio 1980, p.10): «(...) questa convenzione esiste per il momento allo stato di documento di lavoro. Una riunione di esperti deve aver luogo all'inizio di febbraio a Roma per metterlo definitivamente a punto. Due altre riunioni avranno luogo in maggio e aprile. Venendo dopo la convenzione di Strasburgo( ...) e quella di Dublino (...) non ratificate, la futura convenzione non sarà, a differenza delle precedenti, un accordo antiterrorista. Si tratta di una convenzione più generale che obbligherà, salvo che per i reati politici, gli Stati ad estradare gli autori di illeciti punibili con più di un anno di carcere, o, alternativamente a processarli in loco. In virtù di questo testo la Francia potrebbe trovarsi costretta a giudicare membri dell'IRA, o dell'ETA quando la Spagna si associerà ai Nove. Il rischio di 'esportazione' del terrorismo in ciò implicito spiega le freddezze verso questo progetto». E aggiungiamo, spinto dal rischio di giudicare simili spinosi casi ogni ragionevole giudice si affretterà ad estradare. Quanto agli «illeciti punibili con più di un anno di carcere» vale a escludere a malapena le contravvenzioni, come dire, ad esempio, l'ubriachezza o il maltrattamento di animali. Se la convenzione di Dublino metteva fine al diritto d'asilo la «cooperazione penale» prevede per gli stati la «facoltà» di rifiutare l'estradizione per i reati politici. Ma su questo più avanti. Inoltre la «cooperazione penale» è una convenzione completa di estradizione - a differenza delle altre - che elimina paradossi tutt'ora esistenti, non ultimo quello dell'Irlanda il cui ordinamento interno non possiede una legge di estradizione, e perciò ignora qualunque richiesta fattale, e però insieme può esigere che i membri dell'IRA le siano consegnati. Ma, dettagli a pane, chi segue la storia di quest'ultima convenzione si trova di fronte a una nuova, ma significativa, sorpresa. L'appuntamento tra i nove ministri della giustizia per la firma della «cooperazione» è fissato a Roma per il 19 giugno 1980; ma quei signori s'incontreranno - stampa italiana silente - per prendere atto che l'Olanda ha deciso di non firmare poiché non vuole attentare al diritto d'asilo e reputa sufficienti gli accordi d'estradizione in vigore. Il motivo addotto da Jacob de Ruiter, ministro olandese della giustizia, è grave, e implica una critica politica maggiore alla linea di tendenza sviluppata dalle tre (sinora tentate) convenzioni. E siccome per la «cooperazione penale» era prescritta l'unanimità il rifiuto olandese fa cadere il tutto. C'è anche un contraccolpo: la Francia, che considera prioritario il progetto di «cooperazione» rispetto alle convenzioni di Strasburgo e di Dublino - che attaccano la sua sovranità-dichiara, irritata, che rifiuterà la ratifica di quest'ultime convenzioni, benché le abbia promosse! Siamo di fronte a una delle tante anomalie della politica occidentale del!' oggi che possono essere ricondotte anche al predominio di capitale industriale su capitale finanziario, ch'è come dire multinazionalizzazione e tramonto dello stato-nazione, dislocazione dei centri decisionali altrove, in reticoli incontrollabili. Ma se ritorniamo al nuovo diritto altre anomalie appaiono e una fa perno sulla nozione di reato politico. Uno dei nuclei di tutto il lavoro descritto è la confusione di tale nozione, la sua torsione. Poiché è una «legalità politica», sia essa democratica o socialista, che si dilata, negazione di legalità «giuridica», non può più darsi reato che non sia «comune», pena la infiltrazione dell'illegalità nella legalità, la loro equipollenza assiologica. E con ciò il naufragio del giuridico - siamo ormai nell'ambito della mera descrizione - mentre il relitto giurisdizionale conviene ancora sia conservato formalmente. ella misura in cui «la violenza» (ma preferiremmo parlare di sragione) legittima il potere ogni «atto grave di violenza» assume valenza di terrorismo (e non v'è quindi da stupirsi che le convenzioni non definiscano né la categoria del terrorismo né quella del politico), mentre il relitto della categoria «reato politico» è fatta salva. Dunque conservazione della «figura», ma svuotamento per ridefinizione: è una tecnica che risale al Trattato italo-germanico del 1942. La ridefinizione è questa: non è reato politico - «agli effetti della presente Convenzione» - quello che comporti un «atto grave di violenza( ...) diretto contro la vita, l'integrità fisica o la libertà delle persone» oppure «contro i beni quando ha creato un pericolo collettivo per le persone», e ciò con esclusione delle motivazioni. E poiché siamo nell'ambito di una convenzione contro il terrorismo - così definito - ne consegue che qualunque rapina che crei «un pericolo collettivo per le persone» è terrorismo. Ma allora il reato comune che viveva la sua onorata/disonorata gemellarità con il politico perde il gemello e muore. Questa operazione - implicita neJJe convenzioni - significa riconoscere (e convalidare) una società vieppiù disarticolata ove con accelerazione crescente aumentino i «lavoratori della violenza» (e del loro «lavoro» facciano un «valore») dilatando un'eclissi totale del lavoro, cosi come inteso negli ultimi secoli, i secoli del diritto borghese. Tutto è terrorismo che è come dire tutto è privo di senso. Queste convenzioni sono dunque culturalmente importanti poiché con il loro ignorare le motivazioni politiche sanciscono la dissoluzione delle legitimità e la centralità del rifiuto (e richiamo l'interrogativo finale). Così la confusione si estende; e poiché le convenzioni hanno per oggetto anche i complici è ben facile che tali siano considerati i «simpatizzanti:. (nell'esegesi germanica quanti non esprimono esorcismi contro i «violenti») e i« teorici» (nell'esegesi stalinistica quanti criticano la ragione dominante). 11 dilatarsi dell'area grigia si anicola sulla restrizione - oggi inevitabile - della figura di reato politico nel diritto internazionale con convenzioni per comprimere la nozione che s'intreccia con l'estensione di tale reato nel diritto interno gestita dal Codice penale italiano (vigente dal 1931, è noto) ove l'art.8 tende a dilatarel'aspetto politico al fine di raggiungere il politico per ricondurlo al giuridico, che in questi processi si sfalda. Illusione liberale era quella di un grande giurista, Rolando Quadro che scriveva [voce «Estradizione (diritto internazionale)», in Enciclopedia del diritto, voi.XVI, pp.1-55, 1967, Milano] con parole antiche: «La coscienza giuridica degli Stati civili è orientata verso una limitazione più estesa dell'istituto dell'estradizione... (per evitare) ...lo scatenarsi della vendetta guidata dalle passioni di parte o da interessi che sono privi di valore al di fuori di una determinata cerchia politica». Ecco allora che ritorna la «cerchia politica». Già nel 1892 da Ginevra era partita la proposta di depoliticizzazione dei «faits délictueux qui soni dirigés contre !es bases de tonte organisation sociale»: erano in gioco gli anarchici e si era in piena crisi dell'agricoltura europea; ma si era ancora nell'ambito della cultura borghese, e i tempi non lo volevano. Oggi per «organizzazione sociale» vale «democrazia». Cosi se si pone la democrazia come un valore - anziché verificarla nel fatto - allora «sarebbe davvero incongruo che il nostro ordinamento democratico e repubblicano proteggesse in qualche modo persone che hanno commesso reati che infrangono proprio quei valori essenziali che sono alla base della nostra Costituzione» (Antonio Cassese, «Lo Stato e la comunità internazìonale», in Commentario della Costituzione a cura di Giuseppe Branca, vol.1°, 1975, Bologna-Roma, p.554). Bene. E coerentemente discende che sono invece degni di tutela «gli autori di reati commessi all'estero per opporsi a regimi illiberali ... (ad esempio mediante) ... costituzione di associazioni sovversive miranti a instaurare un ordinamento dem'i'<:ratico» (p.553). E si precisa «la norma non è e non vuole essere neutrale». Ecco dunque la figur,ildel «terrorista democratico», amico. A sfogliare le pagine della letteratura giuridica sovietica si potrebbero trovare pari proposizioni con la sola variante di «socialista/antisocialista» in luogo di «democratico/antidemocratico>. Perché questo? La democrazia è assunta come valore, non è ma vale. Allora andiamo ai classici e riflettiamo con Heidegger che «al diffuso impiego della nozione di valore fa riscontro l'indeterminatezza del suo significato> e che «è la volontà di potenza a giudicare secondo valori> («La sentenza di Nietzsche: Dio è morto», in Sentieri interroui, 1968, Firenze, p.208 e p.211 ). E necessariamente rifletteremo su chi siano gli «irrazionalisti>. Da questi temi muove Cari Schrnitt («La tirannia dei valori>, in Rassegna di diri110pubblico, 1970, pp.1-28) sul problema, appunto, dell'introduzione di valori nel diritto la quale si presenta come ultimo - e perdente- espediente contro la crisi che germina dai fatti, sopra tutto come carenza di fatti. Scrive Schmitt che «il legislatore, le cui norme devono porre normalmente precisi limiti al gioco di una libertà logica dei valori, nel suo linguaggio ufficiale può divenire preda di una delle molte filosofie dei valori> (p.2). Ciò avviene quando la crisi di legitimità - perdita di consenso si fa più viva e i sistemi di potere annebbiano i loro interessi dietro valori onde gli esecutori - dressati con le tecniche normative annotate inizialmente - accettino un coinvolgimento che altrimenti rigetterebbero. Sono operazioni che vengono presentate come nuove fondazioni asssiologiche. Ma il processo è suicida: le posizioni di valore sono aggressive (e «violente»); «i valori vengono posti e imposti e chi dice valore vuole far valere e imporre> (p.20) S orge allora il quesito se le norme giuridiche - e in panicolare quelle costituzionali - possano essere lette come valori. L'operazione si colloca nell'eccesso, è sconvolgente e riverbera sconvolgimento. Sempre Schrnitt: cli valore superiore giustifica allora pretensioni imprevedibili e svalorizzazioni; l'attuazione diretta del valore distrugge l'attuazione giuridicamente sensata, che è possibile soltanto in ordinamenti concreti, sulla base di norme precise e di chiare decisioni> (p.9) E nella lettura delle convenzioni si è, sia pure approssimativamente, verificata la dinamica dei valori che postiimposti rendono centrale il loro nonvalore. L'amico infatti viene individuato per posizionamento del nemico, la non-neutralità diviene asse portante del «nuovo diritto>. Ma più che nuovo diritto pare tecnica d'individuazione di nemico e ineguale. L'incompatibile si apre il cammino. La democrazia si costituisce in blocco quando, se valore, dovrebbe porre la democrazia dei valori, l'eguaglianza del valutare. La norma insegue sul loro terreno farsi e disfarsi di alleanze. Prospettiva cupa, panorama desolato. Ma questa cupa prospettiva e questo desolato panorama fanno emergere una memoria profonda che rifiuta i feticismi, che libera simboli di vita, che induce al distacco dalle istituzioni. Cosa diranno mai i giuristi dei valori a quanti - numerosi - pongono come loro valore il silenzio?

_ Ilcomico U@Ec~a regola D i tutte le domande che costituiscono il panorama problematico del comico, mi limiterò quest'oggi a una sola, per ragioni di tempo, e darò per scontate le altre. Può darsi che la domanda sia male formulata, e in definitiva possa essere contestata proprio in quanto domanda. Ciò non toglie che costituisca per conto proprio un endoxon di cui occorre tener conto. Per rozza che sia, contiene qualche germe di verità problematica. Il tragico (e il drammatico)- si dice - ono universali. A distanza di secoli doloriamo ancora sui casi di Edipo e di Oreste, e anche senza condividere l'ideologia di Homais si rimane sconvolti dalla tragedia di Emma Bovary. Invece il comico sembra legato al tempo. alla società. all'antropologia culturale. Comprendiamo il dramma del protagonista di Rashomon ma non capiamo quando e perché ridano i giapponesi. Si fa fatica a trovar comico Aristofane. occorre più cultura per ridere su Rabelais di quanto non ne occorra per piangere sulla morte di Orlando paladino. È vero, si può obiettare, che esiste un comico «universale»: la torta in faccia, per esempio, la caduta del miles gloriosus nella melma, le notti in bianco dei mariti deprivati da Lisistrata. Ma a questo punto si potrebbe dire che il tragico che sopravvive non è solo il tragico altrettanto universale (la madre che perde il bambino, la morte dell'amata o dell'amato) ma anche il tragico più particolare. Anche a non sapere di cosa fosse accusato, Socrate che si spegne lentamente dai piedi verso il cuore ci fa fremere, mentre senza una laurea in lettere classiche non sappiamo esattamente perché il Socrate di Aristofane debba farci ridere. Il divario esiste anche quando si considerino opere contemporanee: chiunque freme vedendo Apocalypse Now, qualsiasi sia la sua nazionalità e il suo livello culturale; mentre per Woody Allen bisogna essere abbastanza colti, Danny Kaye non faceva sempre ridere, l'idolo delle platee messicane degli anni cinquanta, Cantinflas, ci ha lasciato indifferenti, i comedians della televesione americana sono inesportabili (avete mai sentito parlare di Sid Ceasar, ha avuto successo da noi Lenny Bruce?) come peraltro sono inesportabili in quasi tutti i paesi Alberto Sordi o Totò. Quindi non basta dire, ricostruendo parte dell'Aristotele perduto, che nella tragedia abbiamo la caduta di un personaggio di nobile condizione, né troppo malvagio né troppo buono, col quale quindi si possa simpatizzare, di fronte alla cui violazione della regola morale o religiosa noi avvertiamo la pietà per il suo destino e il terrore per una pena che colpirà lui ma potrebbe colpire anche noi, in modo tale che infine la sua punizione sia la purificazione del suo peccato e delle nostre tentazioni - di converso nel comico abbiamo la violazione di una regola commessa da un personaggio inferiore, di carattere animalesco, nei confronti del quale proviamo un senso di superiorità, così da non identificarci con la sua caduta, la quale peraltro non ci commuove perché l'esito ne sarà incruento. Né possiamo accontentarci della riflessione che nella violazione della regola da parte di un personaggio cosi diverso da noi, noi non solo proviamo la sicurezza della impunità nostra, ma anche il gusto della trasgressione per interposta persona: e, lui pagando per noi, noi possiamo permetterci di godere vicariamente di una trasgressione che offende una regola che in fondo volevamo violata, ma senza rischio. Tutti questi sono aspetti indubbia men- •te funzionanti nel comico, ma se gli aspetti fossero solo questi non potremmo spiegarci perché si verifichi questo scarto di universalità tra i due generi rivali. Il punto non sta dunque (non soltanto) nella trasgressione della regola e nel carattere inferiore del personaggio comico. Il punto che mi interessa è invece questo: qual è la nostra consapevolezza della regola violata? Eliminiamo il primo malinteso: che nel tragico la regola sia universale. per /111111agi1t!1dif'<.'cu1ui111iat!d vicolo cui la violazione ci coinvolge, mentre nel comico la regola è particolare, locale (limitata a un periodo dato, a una cultura specifica). Questo spiegherebbe certo lo scarto di universalità: sarebbe tragico un atto di cannibalismo, sarebbe comico un cinese cannibale che mangiasse un proprio simile con le bacchette invece che con la forchetra (e naturalmente sarebbe comico per noi non per i cinesi, che troverebbero il gesto abbastanza tragico). I n verità le regole ~iolate dal t_ragico non sono necessanamente umversali. È universale, dicono, l'orrore per l'incesto, ma non è universale il dovere che Oreste avrebbe di uccidere anche la propria madre. E chiediamoci perché oggi,in un'epoca di gran permissivismo morale, dobbiamo trovare tragica la situazione di madame Bovary. Non lo sarebbe in una società poliandrica ma neppure a New York; che la brava signora si conceda i suoi capriccetti extraconiugali e non ci pianga troppo sopra. Questa provinciale eccessivamente pentita dovrebbe oggi farci ridere almeno quanto il personaggio cecoviano di È pericoloso esagerare che, per aver irrorato di saliva una persona importante starnutendo a teatro, continua poi a reiterare le sue scuse oltre i limiti del ragionevole. Il fatto è che è proprio tipico del tragico, prima, durante e dopo la rappresentazione della violazione della regola, intrattenerci a lungo proprio sulla natura della regola. Il tragico offre nel copro stesso dell'opera la rappresentazione delle sceneggiature sociali (ovvero dei codici) nella cui violazione il tragico consiste. ella tragedia greca la funzione del coro è proprio quella di spiegarci a ogni passo quale fosse la Legge: solo così se ne comprende la violazione e le sue fatali conseguenze. E Madame Bovary è un'opera che anzitutto spiega quanto sia condannabile l'adulterio, o almeno quanto i contemporanei della protagonista lo condannino. E l'Angelo azzurro ci dice anzitutto quanto un professore di età matura non debba incanaglirsi con una ballerina; e la Morte a Venezia ci dice innanzitutto quanto un professore di età matura non debba innamorarsi di un ragazzino. Il secondo passo (non cronologico, ben si logico) sarà poi dire come costoro non potessero non fare il male, e non potessero non esserne travolti. Ma proprio perché la regola viene reiterata ( o come asserzione in termini di valore etico, o come riconoscimento di una costrizionesociale). Il tragico giustifica la violazione (in termini di destino, passione o altro) ma non elimina la regola. Per questo è universale: perché spiega sempre perché l'atto tragico deve incuterci timore e pietà. Il che equivale a dire che ogni opera tragica è anche una lezione di antropologia culturale, e ci permette di identificarci con una regola che magari non è la nostra. Tragica può essere la situazione di un membro di una comunità antropofaga che si rifiuta al rito cannibalico: ma sarà tragica nella misura in cui il racconto ci convinca della maestà e del peso del dovere di antropofagia. Una storia che ci racconti i patemi di un antropofago dispeptico e vegetariano che non ama la carne umana, ma senza spiegarci a lungo e convincentemente di quanto sia nobile e doverosa l'antropofagia, sarà solo una storia comica. La controprova di queste proposte teoriche starebbe nel mostrare che le opere comiche danno la regola per scontata, e non si preoccupano di ribadirla. Ed è infatti quello che credo e che suggerisco di verificare. Tradotta in termini di semiotica testuale, l'ipotesi sarebbe formulabile in questi termini. Esiste un artificio retorico, che pertiene alle figure di pensiero, in cui, data una sceneggiatura sociale o intertestuale (Eco, 1979) già nota all'udienza, se ne mostra la variazione senza peraltro renderla discorsivamente esplicita. A questo punto rimarrebbero salvi gli altri requisiti delle teorie classiche del comico. Che il tacere la normalità violata sia tipica delle figure di pensiero, appare evidente nell'ironia. La quale, consistendo nell'asserire il contrario (di cosa? di ciò che è o di ciò che socialmente si crede), muore quando il contrario del contrario venga reso esplicito. Al massimo,che si asserisca il con• trario, deve venire suggerito dalla pronunciatio: ma guai a commentare l'ironia, ad asserire «non-a», ricordando che «invece a». Che invece a sia il caso tutti devono saperlo, ma nessuno deve dirlo. Q uali sono le sceneggiature o frames che il comico viola senza doverle ribadire? Anzitutto le sceneggiature comuni, ovvero le regole pragmatiche di interazione simbolica, che il corpo sociale deve assumere come date. La torta in faccia fa ridere perché si presuppone che, in una festa: le torte si mangino e non si scaglino sul viso altrui. Si deve sapere che un baciamano consiste nello sfiorare con le labbra la mano della dama, affinché sia comica la situazione cli chi invece si impadronisca di una gelida manina e la intrida golosamente di baci umidicci e a schiocco (o proceda dalla mano al polso, e di lì al braccio - situazione invece non comica e forse tragica in un rapporto erotico, in un atto cliviolenza carnale). Si prendano le regole conversazionali di Grice. Inutile dire, come fanno gli ultimi crociani che si ignorano, che nella interazione quotidiana le violiamo cli continuo. Non è vero, le osserviamo, oppure le prendiamo per buone affinché acquisti sapore, sullo sfondo della loro esistenza disattesa, l'implica tura conversazionale, la figura retorica, la licenza artistica. Proprio perché le regole, sia pure inconsciamente. sono accettate. la loro violazione senza ragioni diventa comica. I) Massima della qua111ità: fai si che il tuo contributo sia tanto informativo quanto richiesto dalla situazione di scambio. Situazione comica: «Scusi. sa l'ora?» - «Si» 2) Massime della qualità: a) non dire ciò che credi sia falso. Situazione comica: «Mio Dio ti prego, dammi una prova della tua inesistenza!»; b) non dire ciò per cui non hai prove adeguate. Situazione comica: «Trovo il pensiero di Maritain inaccettabile e irritante. Meno male che non ho mai letto , nessuno dei suoi libri!» (affermazione di un mio professore cliuniver ità, persona! communication, febbraio l 953). 3) Massima della relazione: sii rilevante. Situazione comica: - «Sa guidare un motoscafo?» - «Perdinci e poi perbacco! Ho fatto il militare a Cuneo!» (Totò) 4) Massime della maniera: evita oscurità di espressione e ambiguità, sii breve ed evita prolissità inutili, sii ordinato. Non credo sia necessario suggerire esiti comici di questa violazione. Sovente sono involontari. N_aturalmente, insisto, questo requisito non è sufficiente. Si possono violare massime conversazionali con esiti normali (implicatura), con esiti tragici (rappresentazione di disadattamento sociale), con esiti poetici. Occorrono altri requisiti, e rimando alle altre tipologie dell'effetto comico. Quello su cui voglio insistere è che nei casi sopracitati si ha effetto comico (coeteris paribus) se la regola non viene ricordata ma presupposta come implicita. Lo stesso avviene con la violazione di sceneggiature intertestuali. Anni fa la rivista Mad si era specializzata in scenette intitolate « I film che ci piacerebbe vedere». Per esempio, banda di fuorilegge del West che legano una fanciulla ai binari del treno nella prateria. Inquadrature successive con montaggio alla Griffith, il treno che si approssima, la fanciulla che piange, la cavalcata dei buoni che arrivano in soccorso, accelerazione progressiva delle inquadrature alternate e, alla fine, il treno che sfracella la fanciulla. Variazioni: lo sceriffo che si appresta al duello finale secondo tutte le regole del film western, e alla fine viene ucciso dal cattivo; lo spadaccino che penetra nel castello dove la bella viene tenuta prigioniera dal malvagio, attraversa il salone appendendosi ai lampadari e ai tendaggi, ingaggia col mal- • vagio un duello mirabolante, e alla fine

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==