su questo fronte che continua la polemica fra i giornali; questa volta è il Tempo ad attaccare il Corriere e i suoi inviati, accusati di aver ingannato i lettori, indignandosi per essere giunti prima dei soccorritori. La macchina dei soccorsi. spiega Giovanni Gozzer, era per forze di cose più lenta; di qui il titolo «montanelliano»: I corvi/No agli istigatori e agli stnunentalizzatori. 28 novembre, venerdì. I titoli delle prime pagine sono ancora dominati dal «terremoto politico» seguito al discorso di Pertini. Ecco una rapida rassegna: u,"iere della Sera. Titolo di testa: Bufera politica dopo il messaggio di Pertini / ella pioggia e nel fango la generosa battaglia di soldati e volontari in aiuto ai terremotati. Sotto si spiega la «bufera>: U Pci per un governo senza Dc - Vertice della maggioranza, Rognoni resta. ILGiornale. Titolo di testa: Forlani respinge le dimissioni di Rognoni / U governo deciso a difendersi dall'offensiva det Pci. el sommario si legge: «Piccoli parla di 'complotto internazionale massonico' contro la Dc». IL Giorno. Terremoto politico rientrato IL Messaggero. Titolo di testa: U paese è con Pertini. La Repubblica. Titolo di testa: La Dc contro Pertini / Craxi e Berlinguer appoggiano il Quirinale/ Evitata la crisi. Rognoni rimane. L'articolo di fondo di Scalfari è intitolato Ora bisogna costruire l'alternativa. La Stampa. Rognoni rimane, Pertini è d'accordo / Gelo e pioggia su 400.000 senzatetto. IL Tempo. Sfiorata la crisi di governo; a metà pagina: Vivaci reazioni della Dc al «richiamo» del Quirinale. Articoli di fondo e di commento consentono di chiarire ulteriormente l'atteggiamento assunto da ciascun quotidiano. Sul Corriere, Leo Valiani e Aldo Sandulli scendono in campo a sostegno di Pertini, ma anche per sconfessare interpretazioni indesiderate. Il governo Forlani deve rimanere al suo posto come il ministro Rognoni, scrive Valiani: «L'Italia ha bisogno di una ventata di patriottismo e di purificazione e non già di quel cambio della guardia che il Pci reclama oggi, con esclusione del partito di maggioranza relativa». Su questo punto cruciale le strade del Corriere e della Repubblica divergono. el suo editoriale, Scalfari, parla di dissidio fra «paese legale» e «paese reale», incarnato da Pertini nel suo messaggio; si è aperto fatalmente un contrasto istituzionale fra Presidenza della Repubblica e Potere Esecutivo, fra Pertini e la Dc. L'unica soluzione, conclude Scalfari, è «interrompere l'identificazione tra il Potere Esecutivo e la Democrazia Cristiana», costruendo un'alternativa di governo laica. ILGiorno si sottrae a un commento propriamente politico, difende «moralmente» Pertini con la penna di Giovanni Ferrara, ma pone qualche dubbio di opportunità politico-costituzionale con la penna di Giorgio Vecchiato. Anche il direttore del Messaggero, Vittorio Emiliani, prende le parti di Pertini (Ha ridato voce all'Italia), difendendone le ragioni civili, senza addentrarsi nell'esame delle conseguenze politiche. La Stampa rompe finalmente gli indugi con un autorevole editoriale non firmato, U Quirinale e gli altri. Pertini «ha detto cose giuste in un momento sbagliato. Lo sdegno e il dolore del Presidente hanno rischiato di mettere in crisi il governo e in questo momento un vuoto di potere sarebbe stato un fatto gravissimo». Pertini ha avuto il «polemico consenso della maggioranza degli italiani,.. stanca della sua classe politica; il Paese «può essere tentato di cambiarla ... ma deve farlo all'interno del sistema, senza i sogni pericolosi di una seconda repubblica che ogni tanto si affacciano senza dire con chiarezza dove si vuole arrivare». Ancora più esplicito l'articolo del Tempo, firmato da Domenico Fisichella (Senso dello Stato e Stato senza senso): «Di fronte alla tragedia che ha colpito la nazione, la classe politica (...) avrebbe un dovere fondamentale: parlare meno possibile ... Invece parla. li Presidente della Repubblica parla con linguaggio di capo dell'opposizione, dando il tocco finale alla Babele istituzionale». Ma le punte più aspre contro Pertini sono raggiunte da Montanelli, nell'editoriale Kramer contro Kramer. Pertini dov'era, chiede Montanelli, quando si perpetravano gli errori e i misfatti da lui denunciati? «È lui che chiede a noi dove sono finiti i miliardi del Belice?». C'è il sospetto che Pertini abbia voluto tutelare la sua immagine di popolarità. «Ma anche se ci costa fatica (e ce ne costa) dobbiamo respingere questo sospetto. Preferiamo addebitare il bizzarro messaggio di mercoledì sera a uno di quegli scatti di umore cui l'uomo ci ha ormai abituati>. Intanto prosegue, alla spicciolata, il ritiro di alcuni inviati eh"- i giornali avevano mandato nelle zone terremotate nei giorni scorsi. Insieme al «terremoto politico» sta rientrando anche il terremoto autentico? Le tavole da noi elaborate riassumono il quadro quantitativo dell'informazione nei primi giorni--dopo il terremoto. Venti giorni dopo: il Meridione sul banco degli accusati La storia di questo terremoto resta da scrivere. Sabato, 13 dicembre. In meno di due settimane lo scenario si è ribaltato: sul banco degli accusati non è più lo Stato, ma il Mezzogiorno corrotto. L'accusatore è il Settentrione probo ed efficiente. Sciacallaggio, passività della popolazione, camorra, rivendicazioni dei «non-terremotati», denuncia della «speculazione politica» che attacca la Dc e lo Stato: giorno dopo giorno il quadro informativo cambia. Già dopo il discorso di Pertini e la proposta comunista di un governo senza la Dc il flusso delle notizie aveva cambiato rotta, il notiziario politico romano aveva preso il sopravvento sulle notizie dal Sud disastrato. Attorno al 10 dicembre la rottura è compiuta. Un terremoto da dimenticare? Il comportamento della stampa «indipendente» suggerisce un progressivo oblio, nonostante le grida di allarme lanciate nel vuoto. Vediamo i dati. Sabato 13 dicembre il Corriere della Sera - che alla fine di novembre aveva dieci inviati speciali nell'area terremotata - ne ha lasciati tre; li Giorno, Il Messaggero e La Repubblica hanno sul posto un inviato e un corrispondente ciascuno; La Stampa ha due inviati, /I Tempo uno. /I Giornale, che il 28 novembre aveva quattro inviati, ne ha conservati tre: a che cosa gli servono lo vedremo tra poco. el complesso delle sette testate, gli inviati speciali, che il 26 novembre erano 47 e due giorni dopo erano già scesi a 39, ora sono ridotti a 13. Anche lo spazio dedicato al tema è sceso notevolmente: dalla sessantina di pagine della fine di novembre si è passati a una dozzina, compresi gli elenchi delle sottoscrizioni e gli articoli di commento. Il notiziario dall'area del terremoto è sempre più rarefatto ed ha sempre meno rilievo, sempre più raramente ottiene un titolo di testa in prima pagi- '-'- Perché ciò accade, ci chiedevamo all'inizio? Quale meccanismo ineluttabile entra in azione? Ora sappiamo che il meccanismo investe tutti i giornali di informazione, indipendentemente dalla proprietà e dall'orientamento politico. Se ne deve dedurre che si tratta di un fenomeno «strutturale», connaturato a un medesimo «modello produttivo». Ci sembra che una delle spiegazioni del meccanismo vada ricercata nella economia de/l'apparato giornalistico, quale risulta dalla attuale organizzazione del lavoro. Probabilmente, nessun quotidiano si può permettere il lusso di mantenere costantemente impegnati su un solo tema dieci inviati o anche cinque soltanto, per quanto importante sia il tema. Una priorità assoluta di questo genere finirebbe per sacrificare pesantemente, nell'organizzazione del lavoro esistente, altre sfere...informative. Una decisione in questo senso non è stata presa da nessun giornale, nonostante i fieri propositi di uno Scalfari. Si dirà che, nell'attuale sistema, non esiste un'alternativa praticabile. È un alibi da non concedere a cuor leggero. L'alternativa esiste ed è stata già spe- ~ -••"-•• s_._.. ,~.:: I - :~.•~• ,,._. ":;l- - na. C'è uno schema che sembra seguito sostanzialmente da tutte le sette testate: in prima pagina un articolo di medio calibro, accompagnato da un eventuale commento; gli altri servizi dalle/sulle zone terremotate in una pagina interna, con densità variabile; eventuale elenco della sottoscrizione fra i lettori. Un certo «sforzo» in più si nota forse nella Repubblica che, grazie al formato ridotto, tiene a disposizione tre pagine fissse (ma mentre andiamo in tipografia, mercoledì 17 dicembre, vediamo che le pagine sono diventate due e il terremoto è sparito completamente dalla prima pagina). Il confronto di questi dati con quelli della fine di novembre è assai eloquente. La «grande stampa» ha retrocesso il dopo-terremoto al rango dei temi di seconda categoria, indipendentemente dalle opzioni politico-ideologiche di ciascuna testata. Particolarmente rivelatore è il fatto che nessuna delle testate abbia mantenuto più di tre inviati e che diverse ne abbiano uno soltanto. li terremoto fa notizia, il dopo-terremoto no. Eppure si era spergiurato il contrario. Eppure proprio ora emergono le conseguenze a più vasto raggio. proprio ora gli eventi escono dalla dimensione del «disastro» per mettere a nudo la questione sociale del Mezzogiorno. Ma proprio in questo momento la stampa «molla», in ossequio alla logica fatale della «notizia». li problema essenziale non sembra stare nello spazio disponibile: le duetre pagine che alcune testate ancora mantengono sul tema sarebbero sufficienti a un'informazione decente e a un lavoro di inchiesta permanente. li punto cruciale riguarda lo «scivolamento» dalla prima pagina; riguarda. innanzitutto, la scarsezza degli inviati e il loro scarso coordinamento in vista del «controllo» di un'area di eventi così ampia geograficamente e così socialmente profonda. CEIEIITIII rimcntata, oltre che teorizzata da alcuni esperti delle comunicazioni di massa. Nel caso del terremoto, si può pensare a un gruppo di inviati che coordini il lavoro di una piccola «rete» semi-professionale costituita in loco da radio locali, organismi culturali, gruppi di base «spontanei» attrezzati allo scopo. È un'alternativa che, di solito, non riceve credito perché, oltre che una struttura invalsa, contrasta una intera «filosofia dell'informazione», dominante nella società capitalistica. Ma occorre sapere che esiste e che si mostra non eludibile ogni volta che i grandi mezzi di informazione provano di essere senza mezzi in situazioni sociali molto estese, si tratti dello sciopero della Fiato del terremoto nel Sud. Esistono indubbiamente altri fattori che spingono a «dimenticare il terremoto». Per esempio, bisogna spiegare lo «scivolamento» dalla prima pagina: qui l'economia i11for111a1iva si manifcsta in forme più sfuggenti, legate a un «modello di lettore» invalso, agli schemi professionali che regolano la produzione giornalistica. Anche qui si tratta di fattori che operano in tutti i grandi quotidiani; non possiamo neppure abbozzare l'analisi: si ripropongono problemi di portata così generale da imporre una continuazione del discorso nel prossimo numero del Giornale dei Giornali. Ma c'è un'altra categoria di spinte a «dimenticare il terremoto»: e questa non è uguale per tutti i giornali. Fra le vittime lasciate dal sisma si rischia di rinvenire anche ilcadavere della «questione meridionale». Montanelli e li Giornale lo avevano fatto intravvedere fin dall'inizio. L'll dicembre Montanelli riprende la penna per un editoriale che raccoglie inmodo clamoroso i fermenti di una nuova dottrina «settentrionalista» in incubazione da qualche giorno in settori diversi della stampa e dell'opinione pubblica. La titolazione è questa: Via le mani della mafia dalle offerte dei nostri lettori • A che servono questi quattrini. L'articolo è accompagnato da un Primo rapporto dal Sud firmato dall'inviato speciale Egisto Corradi, in cui si recano testimonianze del mafioso rifiuto che i «meridionali» hanno opposto agli aiuti disinteressati degli onesti «milanesi». Vale la pena di riportare un brano dell'articolo di Montanelli: «Che nessuno venga a dirci, domani, che la ricostruzione non funziona perché lo Stato è impari ai suoi compiti come lo fu nel Belice eccetera ... in questo caso lo Stato non c'entra: se una colpa ha, è quella di lasciare a piede libero, e magari di proteggere, quelle masnade di profittatori che si apprestano a ingrassare sui lutti e le rovine della loro terra. Però è quella terra, non lo Stato, che li produce. Ed è la rassegnazione e la paura della popolazione che li fa prosperare ... La corruzione in Italia, non scende solo dall'alto; sale anche dal basso. 'li Sud tradito' si dice. Ma da chi tradito, se non da se stesso?». on si creda che queste tesi montanelliane trovino cittadinanza solo nelle cerchie ultraconservatrici che si riconoscono nel Giornale. La Repubblica, è vero, ha duramente polemizzato con Montanelli (Caro Montanelli la prossima volta non turarti il naso, editoriale del 13 dicembre). Ma si veda quello che ha scritto il 12 dicembre l'organo ufficiale della Fiat e della borghesia «illuminata», La Stampa, in un corsivo di prima pagina dal titolo I due terremoti: «A Napoli ... ancora non si sa quanti siano gli edifici lesionati dal sismo - ci si oppone alla verifica, tanto che i tecnici debbono essere scortati dall'esercito - ma si rileva che tutti i senzatetto corrono a iscriversi nelle liste dei terremotati ... I senzatetto preferiscono la promiscuità, la mancanza di spazio, condizioni sub-igieniche, ma si rifiutano di fare i pendolari. Come se il pendolarismo non fosse un fenomeno - duro fin che si vuole - di tutte le città industriali, non solo dell'Italia, ma di altre nazioni. Il rifiuto di lasciare Napoli, per accettare una sistemazione nelle case _lungo la costa, è dovuto al timore di perdere un 'buon' posto nelle liste dei candidati a una casa. In più, chi rimane a Napoli riceve vitto gratuito mattina e sera». Lo spazio non consente di ampliare questa piccola antologia del «neo-settentrionalismo», come vorrebbe la completezza. Si prenda dunque atto che un altro mito è crollato; come ha detto Montanelli, «dobbiamo liberarci dalla melassa delle menzogne di comodo». L'ondata del Riflusso si abbatte ora anche sul Meridione, terremotato e non, travolgendo macerie, cada• veri, secoli di storia e intere biblioteche scritte sull'argomento. Una domanda, che coinvolge anche Alfabeta: la cultura italiana di sinistra non ha niente da dire in proposito?
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