to qualifica complessivamente il sistema della repressione penale. Del resto se i primi lager nazisti vennero introdotti come misura speciale per «terroristi», paradossalmente la penalità politica di un regime apenamente autoritario può essere a modo suo «garantista»: è incontrovenibile che il codice Rocco lo sia assai di più della legislazione speciale di questi ultimi anni e di cui altrimenti non si spiegherebbe la ragione. Che i principi di tale legislazione rimangano poi speciali o - più esattamente eccezionali visto che si trattaproprio di principi opposti a quelli costituzionali -è una pia e colpevole illusione. C'è una legge di resham anche in questo campo. La definizione di nemico dello Stato è difalli letteralmente pre-giudiziale. Ciò è apparso chiaro in quel singolare dibattilo che si è aperto sul garantismo, dopo il 714. Garantismo? Si, certo, ma per le per- , sone per bene, non ceno per chi si mette volontariamente fuori e contro il rispetto delle leggi e dell'ordine costituùo. Poiché la distinzione in concreto tra normale e deviante - di questo si tratta infaui - è affidata alle Procure della Repubblica (di cui è ben noto lo spirito democratico) e alla loro capacità d'interpretare i bisogni di ordine pubblico è inevitabile e irresistibile un processo di slargamento delle tecniche di repressione dei «nemici dell'ordine costùuito» che ripete quelle usate contro il terrorismo: inversione sosta11zialedell'onere della prova, carcere preventivo come misura di sicurezza, uso di fai/ispecie associative al di fuori di qualsiasi co11nessio11perobatoria col compimento di singoli reatie con cui si vorrebbero colpire «reti», «trame» ecc. Ciò che accade in realtà è che si vuole (si è costreui) a leggere sistematicamente fenome11idi devianza politica e/o social.ei11termini di complouo. Ma, come s'è dello, il primo slargametilo dei pri11cipi del diritto-penale speciale -principi, è be11eribadirlo con tuua chiarezza, del lllllo nazisti - avviene ovviamente all'interno della sua area di applicazione origi11aria,vale a dire 11ella'mbito di procedimenti contro l' eversio11e. Il 714è probabilmente l'esemplificazione più massiccia di quesw te11denza. Vediamo11ealcuni s11odi. 1. Le accuse. Dilatazio11ee indeterminatezza delle accuse sono il primo esempio, e il più tradizionale, di rovesciamento dei principi tradizio11alidel processo. Il modello è quello classico: l'accusa 1101è1già quella di avere fallo questo o quello, ma di essere un «sovversivo» (un eretico, w1 age111deell'imperialismo e via dicendo). E lo strumento quello altreuanto classico dei reati «associativi», di cui è piena la storia della repressione poli1ica. Ma nel caso del 7/4 siamo ben oltre la pura e semplice dilatazione del conceuo di associazione vietata (e sua contemporanea sussunzione nella figura del complouo): siamo ad una dilatazione tal.eche la sua determinazione concreia è frullo di scelte del giudice puramenle I arbitrarie. É bene ricordare (perché pochi ormai lo ricorderanno) che nella deter- ' minazione iniziale delle impwazioni, cioè nei mandali di cattura di Calogero, vi era ancora un qualche rapporto con la forma, almeno, della giustizia non «speciale». Esse erano due, in ordine a due fenomeni diversi: associazione sovversiva, in rapporto ad autonomia operaia e banda armata (per alcuni) in rapporto a Briga1e Rosse. Nello spezzone padovano dell'inchies1a questa duplicità è rimasta nei suoi 1ermi11i, almeno formalmente, carrelli: vale a dire in termi11idisgiuntivi: Se il fenomeno associativo da giudicare è unico esso può essere o associa:,.ionesovversiva o banda armala, non l'uno e l'altro insieme (ed è forse il caso di rammentare che 1u11ele sentenze di condanna fi· nora emesse dai Tribunali nei confronti dell'autonomia ha11no optato per la prima alternativa). Le differenze «pratiche» sono minime, ma è grande la differenza di «annuncio»: la volontà di Calogero di giungere a Padova ad una condanna per banda armala rijleue esclusivamente il desiderio del Pci di ol/enere un certificato statale di «Ierrorismo» nei confronti de/l'autonomia. 2. La competenza. Ben diversamente sono andate le cose nello spezzone romano. Ma i11questo caso, si potrebbe obieuare, un'accusa determinata c'era, eccome: l'accusa Moro! E 110nc'è dubbio che l'effetto di attrazio11es,pecie sui media, di questa accusa è stata tale da oscurare ogni altro aspe/lo del problema 714.Oggi, ad un anno e mezzo di dista11za,caduta com'è nei confronti di lutti gli imputati del 714,sarebbe interessante ricos1ruire come e da chi essa ven11erealmente mossa. É queslo un fondamentale capitolo della cosiddetta ricostruzione dei servizi segre1i che andrebbe urgentemente portato alla luce. Ma per intanto quell'accusa serve a spostare a Roma ilproce'sso.Si creaper la verità una situazione paradossale. L'unico impu1ato è Negri (solo più tardi si aggiu11gerannoPace e Piperno) ma per una misteriosa e mai molivata «co11nessio11esogge11iva» una parte degli impu1a1ipadovani si 1rovaad essere trasferita a Roma in forza di PANIC -~,fJ e ~ TOP un'imputazione a loro mai comestata e li a dover al/endere (in carcere) che la cosa si chiarisca senza poter fare nulla. Ma ancora più paradossale è la situazione auuale: caduta quella accusa, che ci fa ancora il processo a Roma? Se la causa del trasferimento a Roma è stato Moro, logica vorrebbe che, caduto Moro, gli imputati fossero restituiti al loro giudice naturale. Ma ad ogni richiesta in questo senso i giudici romani oppongo110il sile11zioo il più pervicace fin de non recevoir. 3. L'insurrezione. La consapevolezza della fragilità dell'accusa Moro è probabilmente ali'origi11edella mossa successiva, vale a dire del nuovo mandato di cattura del luglio '79 che introduce per tu/li gli imputati la nuova pesantissimaaccusadi insurrezio11e. Da una parte si ritiene così di radicare definitivameme a Roma la competenza nella presunzione, giuridicamente inconsistente, che per un reato del genere essa non possa che essere romana. La proposta di usareproprio tale imputazione allo scopo di concentrare in primo luogo a Roma i processi per eversione era del resto uscita, nei primi mesi del '79, dal solito documento segreto - redattore (presumibilmente) Vitalone - trasmesso da alcuni romani al Consiglio Sup. della magistratura. Allora alle proposte del documento vennero opposte, dal CSM, obiezioni di dubbia cos1illlzionalità:vero e proprio sanscrito evidentemente; dall'altra si torna ad incidere sul tessuto delle imputazio11i, rendendone la formulazione semplicemente paradossale. Non solo la doppia accusa di associazione sovversiva a banda armata vie11ea perdere ogni riferimento a una duplicità di fenomeni organizzativi, per quanto connessi -l'ipotesi dell'accusa è al contrario quella dell'uni1arietà - ma ad esse si sovrappone senza neppure assorbirle, quella d'insurrezione. Un'accusa da cui è praticamente impossibile dife11dersi.Non solo perché, nellamancanza di qualsiasi precedente, si traila di una riedizione del celeberrimo «plagio» di Braibanti ma perché 11ell'impostazio11edatane dai giudici romani essa coincide, né più né meno, col «fine» eversivo dell'associazione i11criminata.Con l'ovvia consegue11za che non c'è, a questo punto, alcun bisogno di contestare elementi di prova specifici onde provare che almeno un THE POCKETPOETSSERIES «tentativo» di insurrezione c'è stato, e dove e quando. Una giuridicità da gulag è pur sempre giuridicità. Ma qui siamo oltre qualsiasi parvenza di proporzionalità tra fauispecie normativa e fai/ispecie concreta. Una rete accusatoria totalmente indeterminata entro la quale il giudice è del 1u110libero di fissare e rijissare, a suo completo arbitrio e al di fuori di qualsiasi rapporto con la difesa (a cui nulla viene comunicato), le più varie e famasiose ipotesi -o come si usa dire i più vari «teoremi - sul concreto fenomeno che ha di fronte. 4. La pena preventiva. L'effeuo pratico più cospicuo di questo tipo di struttura accusatoria è quello di far precedere la pena a qualsiasi sentenza. Il terminedicarcerazionpereventivaperilreato d'insurrezione è di cinque anni e mezzo fino all'emissione della sentenza di primo grado. É evidente che con termini del genere non ha alcun senso parlare di «custodia» preventiva: è una vera, e pesante, pena detentiva injliua al di fuori di ogni garanzia offerta dal pubblico dibattito sulle prove. Più esattamente si traila del completo rovesciamento della «logica» del processo penale in quella della combinazione di misure di sicurezza: il che 1101è1afta/lo sorprendente visto che quest'ultima è per l'appunto ilmodello intrinsecamente omogeneo ad un regime autoritario. (Per citare solo un esempio: alcuni imputati hanno visto l'ultima volta il giudice nel luglio del '79! E da allora nulla è stato loro comunicato). La cosa ha immediato rilievo pratico: se non fosse intervenuta l'accusa di insurrezione, tutti gli imputati avrebbero dovuto essere messi in libertà, e ciò malgrado l'ulteriore e palesemente incostituzionale aumento dei termini di carcerazione preventiva introdotto dal recente decreto, con effetto retroattivo. Manca solo una perla all'uso scopertamente strumentale delle imputazioni al solo scopo di prolungare indefinitamente la carcerazione «preventiva», vale a dire una chiusura del/' istrulloria per i soli reati associativi e uno «stralcio» per quello d'insurrezione. Si tratterebbe di una vera mostruosità, dal momento che l'insurrezione è solo un'ulteriore qualificazione degli stessi fatti per cui si procede per i reati associativi e perciò non è in corso per essa (e non potrebbe perciò «continuare») THE LOVEPOEMS OF KENNETH PATCHEN alcuna autonomia istruuoria. Ma una mostruosità che minaccia di rientrare perfettamente nello stile dei magistrati romani che conducono l'istruuoria 714 e della loro feroce volontà di impedire con tulli i mezzi, la scarcerazione degli imputati. 5. I pentiti. Un caso a sé è quello di Negri o di alcuni altri imputati del 21/12. Sulla parabola ormai conclusa de~accusa Moro si è inserita quella, per molti versi repugnante, de/l'accusa Saronio. Ogni tentativo di ouenere una chiarificazione preventiva e definitiva su questa imputazione (sulla quale è bene ricordare anche questo, si svolse già a suo tempo un'istrulloria e un processo di primo grado) si è finora scontrato col silenzio e l'inerzia voluti dei giudiciromani.Qui intervienel'ultimo punto rilevante di quella deformazione in termini di giuridicità da gulag di cui l'inchiesta 714 • 21/12 si è rivelata in quest'anno e mezzo un efficace modello. Vale a dire il ruolo dei testimoni pentiti, il cui capofila è appunto Fioroni. Non è questa la sede per entrare nel merito delle dichiarazioni di costui e della montagna di falsità che contengono (a cominciare proprio da/l'affare Saronio). Né di ent;are nel merito del dibaltito politico interno al movimento sulle ragioni di fondo della caduta di solidarietà che la galleria di pentiti ha finora evidenziato, in maniera individualmente più o meno ignobile. Qui interessa cogliere l'uso che il potere fa del pentito, in primo luogo nell'ambito del processo penale stesso. Parlare di testimonianza sembra davvero fuori luogo. L'Accertamento della verità o non verità di ciò che il teste ha da dire, ne~'ambito del processo tradizionale, è operazione sottoposta a tulla una serie di controverifiche, confronti, controlli - a partire da quello relativo a/l'auendibilità del testee al suo interessepersonale nella causa-che nel caso del «pentito» diventano del tulio secondari. La cosa è già emersa, con effe11ianche comici, nell'affare Cossiga-Donai Callin: il superteste Sandalo si è rivelato in questo caso improvvisamente «inallendibile»! Ciò che interessa del teste pentito è per l'appunto il «pentimento», e solo in via del tulio subordinata quanto ha da «rivelare». Del resto è ovuio che l'inflazione di pentiti e la squallida galleria di figure che ha presentato, riduce oggettivamente la credibilità di simili personaggi. Tanto più testardo lo sforzo dei media, oltre che dei giudici, di sostenere quella che si rivela essenzialmente un'operazione «culturale». li superteste deve prima di tutto confermare con le sue confessioni, la potenza dello Stato. Solo nello Stato è lecito riporre fiducia, quali ne siano i prezzi - ogni altro tipo di solidarietà deve venirmeno. Ma né la fosca tragedia delle «confessioni» dei processi staliniani né l'opaco isterismo delle «rivelazioni» del maccartismo riescono ad avere un'eco effe11ivo in un'operazione del genere. La tragedia çi ripresenta come farsa; igrandi pentiti di un tempo come una triste combriccola di fraticidi, stupratori, balordi, travet dell'omicidio. Un'osservazione conclusiva s'impone, a questo punto; e riguarda la totale bancoro11a di posizioni puramente «garantiste» messa in luce da questa vicenda del 7/4. Prendiamo la parola d'ordine su cui si sono al/estati fin dall"inizio i garantisti: fa richiesta di processo subito. Che questa fosse - un anno e mezzo fa-una sacrosanta pretesa degli stessi imputati non toglie che, per i garantisti, finisse per essere un 111odoper non entrare nel 11:,eritodel grosso problema politico che /'operazione 7/4 sollevava. Ma oggi, dopo quasi due anni di istruuoria? Continuare a chiedere il «processo subito», con i tempi medi della giustizia italiana, significherebbe infliggere ancora anni di carcerepreventivo a decine di persone, di cui ipocritamente si pretende di «presumere» l'innocenza. Ma, s'intende, ai nostri garantisti non basta il coraggio di pretendere l'unica cosa decente, pulita, civile, che è giusto pretendere a questo punto: vale a dire /'immediata liberazione di tutti gli imputati del 7/4-21/12, affinché possano affrontare ilprocesso e la sentenza in condizioni di effeuiva parità con l'accusa. Ed ecco il silenzio, infastidito e imbarazzato, di quasi tuui. E non è un caso che a tirare questa operazione-silenzio - che è anche un'operazione generale di restaurazione culturale, di quietistica acceuazione dello statu quo, infiocche/lato di tutti i barocchismi della moda quotidiana - siano proprio quelle posizioni (la linea Espresso-Repubblica per intendersi) che pur avevano rappresentato, nella prima parte degli anni seuanta, una proposta effettiva di slargamento in senso· «liberal» del dibattito civile in questo paese. Aver scelto la parte di chaperon del difficile connubio Agnelli-Berlinguer, come anima laica del compromesso storico, Sia dando i frutti che merita; un rientro in grande stile (ma ne erano mai usciti davvero?) della cultura «borgheseprogressista» nell'imperitura tradizione italiana della normalizzazione controriformistica. Carcere di Trani - sel/embre I 980
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