ma nella vita stessa: si tratta della musica elettronica e della musica per ambienti. Che l'elettronica sia formidabile erogatrice di suoni inauditi e produca una prodigiosa sensibilizzazione del materiale sonoro, lo si sa da tempo. Come per tutte le macchine moltiplicatrici di effetti e concatenamenti, comunque, le possibilità che l'elettronica può produrre sul suono sono ancora impreviste e illimitate. Anche quanto ai mezzi, del resto, l'elettronica agisce come macchina della possibilità: da una parte la produzione sonora si collega con l'esplorazione di un'elettronica «maggiore» come quella degli elaboratori e dei calcolatori; dall'altra sta venendo alla luce un'elettronica soft, 0essibile, che accentua la vibratilità della musica. Ciò che è determinante, nell'elettronica, è che essa è inarrestabile conduttrice di velocità di avvenimenti. Che traccia delle linee di divenire che spostano e trasformano i modi e le forme della composizione. L'elettronica produce molteplicità e connessio1 1cielo italiano della ricerca scientifica e perciò, in parte, della cultura non è roseo, non è temporalesco, ha un grigiore novembrino: pochi i mezzi forniti dallo Stato, scarsa la sensibilità degli uomini di partito, in ben altre faccende affaccendati, spésso meccanico e artificiale il,reclutamento (la «cooptazione») di coloro che costituiscono i quadri universitari della ricerca, donde la discesa dell'Italia all'ultimo posto nella graduatoria europea della ricerca scientifica, a fanalino di coda, fenomeno verso il quale sono impotenti molti intellettuali di buona volontà e capacità e sono indifferenti gli organi di stampa, tutti concentrati sui problemi culturali di maggiore effetto, quali il sesso, l'ultimissima fase delle idee femministe, l'intervista all'autore di un best-seller e via di questo seguito. Cosl spesso in Italia accade che tutti hanno le loro buone ragioni particolari, ma il complesso è privo di senso. Un panorama, tutto sommato, abbastanza squallido con le solite rare eccezioni. Perciò, se c'è un momento in cui gli intellettuali autentici debbono farsi sentire rispondendo alle attese di rinnovamento vive nei giovani, esso è questo. Una prima operazione senz'altro utile appare quella ricognitiva: guardiamoci attorno, ci sono istituzioni culturali che funzionano (poche), altre che offrono a ritmo periodico coreografici bl3:-blacongressuali, altre dalla fantomatica vita produttrice di bollettini e rendiconti che cadono sul terreno della cultura come foglie morte. È certo utile parlare sia delle une sia delle altre, in quanto efficaci modelli o di ciò che si deve fare nel paese o di ciò che non si deve fare: può essere questo anche un invito a testimonianze dirette da parte dei lettori di Alfabeto. Ecco una delle rare istituzioni che funzionano, cioè che fanno oggi concretamente cultura: l'Accademia della Crusca. Il lettore aggrotterà le sopracciglia giacché «accademia» e «crusca» non sono di per sé termini evocativi del nuovo e dell'originale. Aggiungasi che i nove decimi degli italiani o non hanno mai sentito parlare dell'Accademia della Crusca o la credono un luogo dove arcaici puristi spaccano il capello in quattro per distinguere la purezza del toscano dalle disgustose impurità dei nostri italiani regionali. Ebbene, l'Accademia della Crusca in questi ultimi anni sotto la presidenza di Giovanni Nencioni, storico della lingua italiana di altissimo livello e ben noto teorico nell'ambito della linguistica generale, è uscita dal suo passato con una carica e un piglio culturale assai degni di considerazione. ni. Cosi, è possibile oggi una sovrapposizione praticamente illimitata di bande sonore. Così, i mezzi aud\ovisivi e i collegamenti fra sintetizzatori e telecamere danno vita a un linguaggio in cui suono e immagine scivolano l'uno nell'altra. Ed è chiaro che qualunque produzione di linguaggio che non viva questa mutazione, appare irrimediabilmente anacronistica nella sua lentezza e determinatezza. Q uanto alla musica per ambienti, nessun dubbio: si tratta della tendenza più viva, più impregnata di intensità, più gravida di effetti imprevisti, fra quante percorrono l'universo sonoro. L'ambient music evacua finalmente le zone d'ordine della rappresentazione e si irradia sugli scenari dell'esistenza. Contro l'artificio dello spettacolo, dunque, ma per una spettacolarità che scaturisca dall'imprevisto sperimentale. Dentro l'esistenza, ma contro il quotidiano: per un'estetica destabilizzante che muti le forme della percezione. La musica per ambienti svincola infatti l'avvenimento sonoro dai luoghi deputati all'ascolto. Quando Brian Eno propaga la sua Music For Airports all'aeroporto di Minneapolis, quando Robert Fripp suona nei ristoranti e nei negozi, quando i Magazzini Criminali irradiano le musiche di Eno e i propri testi dagli altoparlanti della spiaggia di Rimini, è tutto un ordine storico che va in frantumi: quello della musica come chiesa (non importa se legata alla religione dello spettacolo o a quella dell'arte), dove può mutare l'oggetto sonoro ma non la forma del rito separato. Ed è sintomatico che gli ambienti finora prescelti siano soprattutto zone di passaggio, nel mezzo. Perché «gli aeroporti, gli snack-bar delle autostrade, le stazioni della metropolitana, le spiagge, delimitano una situazione permanente di frontiera e di nomadismo che è l'unica in cui sia possibile oggi riconoscere e operare> (Sandro Lombardi, Magazzini Criminali). Perché è negli ambienti di mezzo che la velocità è maggiore, che fare il punto è impossibile, che le coordinate dell'identità si perdono e i linguaggi diventano inassegnabili (anche i film di Wim Wenders sono così, anche il ponte di Do Long in cApocalypse now>). E il mettersi in sintonia con gli ambienti imprime alla musica stessa un decisivo mutamento di funzione: da luogo centrico (com'è nell'ordine consueto) la musica si tramuta in qualcosa di affine a un arredo, a un colore, a una conversazione, a una luce, a una situazione atmosferica. Con quali effetti sulla percezione e sull'estetica è impossibile immaginare e splendidamente necessario sperimentare. Spostarsi, allora. Perché questi linguaggi mutanti non si limitano ad allargare il confine delle regioni culturali consuete, ma aprono il passaggio a un divenire illimitato. Fanno popolazione nello spazio, non nuovo genere nel territorio. Non è per fondare su di essi la nuova residenza dell'intensità, che schiudono gli orizzonti della nuova tendenza, ma perché l'assenza in essi di limiti visibili consente che finalmente l'intensità sperimenti la possibilità LaCruscfa bene Se dovessi fare la biografia di questo personaggio istituzionale, direi che gli appartengono tre vite, di cui la prima plurisecolare durò dal 1582 al 1923. Nata come allegra «Brigata dei Crusconi», vagamente dissacratoria («leggere in crusca» voleva dire «leggere per burla» e «cruscate» erano discorsi comici di tipo anti-erudito), si trasformò a poco a poco in accademia deputata in Firenze alla difesa della tradizione linguistica toscana, letteraria e no: il suo stemma fu e rimase un frullone o buratto, cioè lo strumento che serve a separare la farina dalla crusca, il suo motto fu tratto da un verso del Petrarca: «Il più bel fior ne coglie»; i suoi membri assunsero tutti un nome e uno stemma o impresa legati al campo semantico della farina, quindi della crusca: l'l11fari11ato (nientemeno che il grande Leonardo Salviati), il Lievitato, il Macinato, l'Impastato ecc.; e si veda al proposito la splendida sala con le «pale» o stemmi degli accademici e le «gerle» o sporte dei panettieri adattate a sedie nell'attuale sede illustre, la villa medicea di Castello, alla periferia di Firenze. In varie situazioni storico-sociali l'Accademia fu campo sudato di battaglia della questione della lingua italiana: per esempio, si disputò in più riprese fra i «Deputati al Vocabolario» se si dovesse «metter tutto l'uso, tanto plebeo quanto magnifico», se si dovesse tener conto dell' «autorità de' moderni»; dibattiti di grande importanza se aveva ragione Gramsci a scrivere che quando in Italia si discute di lingua, si discute sempre di qualcosa che sta dietro la lingua. -·-- Maria Corri N el 1923 proprio in seguito ad uno dei più polemici e infiammati dibattiti culturali, mentre era in corso la stampa della quinta «impressione» del Vocabolario della Crusca giunta alla lettera o (per essere precisi, alla parola ozono; le precedenti impressioni sono del 1612, 1623, 1691, 1738), l'allora ministro della pubblica istruzione Giovanni Gentile senza ombre di incertezza soppresse l'Accademia e la sua attività lessicografica, lasciando in piedi solo un Istituto filologico, che ereditò l'altra funzione della Crusca, quella di editrice di testi antichi. Così l'Italia, che aveva al suo'attivo la più antica tradizione lessicografica europea, ammirata da Voltaire che la contrapponeva ai lavori dell'Accademia francese, così come Ludovico di Anhalt l'aveva presa a modello della «Fruchtbringende Gesellschaft» e lo stesso più tardi fecero gli spagnoli per il Diccionario de la lengua castellana, l'Italia, dicevamo, vide amputata tutta la sua illustre tradizione lessicografica proprio in questo ventesimo secolo in cui l'Inghilterra si gloria del New English Dictio11aryon Historical Principles di Oxford e a Monaco si lavora al Thesaurus Linguae Latinae. Ma noi siamo fatti così: con un decreto improvviso e improvvido mandiamo all'aria il lavoro dal basso di generazioni. Eppure vi erano stati vari tentativi per salvare l'Accademia e anche la stampa allora era assai attenta a problemi come la continuazione di un vocabolario nazionale; leggiamo per esempio sul Corriere della Sera: «Sessantamila lire l'anno per la compilazione e la • . . stampa, e da ultimo ottantamila, con le spese cresciute immensamente. Meno di ciò che costa un'automobile, in un anno, per la vivacità di un sottosegretario». Come si vede, certe cose in alto sono veramente sempre uguali! Chiusa la Crusca, come era possibile lavorare con qualcosa che non esisteva più? Eppure grossi filologi, quale Michele Barbi, e la nascita negli anni successivi di una nuova disciplina nel nostro contesto culturale, la Storia della lingua italiana, permisero una seconda vita della Crusca attraverso l'Istituto filologico (e qui è nata la «nuova filologia» italiana). Solo nel 1964, quando la competenza del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) fu estesa dall'ambito delle discipline scientifiche a quelle umanistiche, l'Accademia della Crusca poté iniziare la sua terza vita, quella che sta dando frutti degni di attenta segnalazione. Un cenno alla nuova sede: essa è la famosa villa medicea di Castello, che i nipoti di Cosimo il Vecchio acquistarono nel 1477 e dove sino al 1815 ornarono le pareti qualcosa come la Primavera e la Nascita di Venere del Botticelli, villa passata a Giovanni dalle Bande Nere e poi al granduca Cosimo I, che commissionò a vari artisti come il Buontalenti, il Giambologna, l'Ammannati quel mirabile giardino all'italiana (uno dei primi) con statue e fontane, celebrato dal Vasari e da Montaigne e che oggi esercita il suo fascino non solo sui turisti visitatori, ma sugli studiosi che in Crusca possono ammirarlo dalle grandi finestre quattrocentesche a mensola. Credo~;~ ~ ' ;.: ' ~ ij dell'infinitezza (cosl «Crollo Nervoso> dei Magazzini Criminali, che parla simultaneamente scena e movimento, suono e video, testo e pelle, e si ambienta simultaneamente a Mogadiscio 1985, Los Angeles 1990,Saigon 1975, Africa 2001). Quello che la mutazione linguistica in corso reclama, non è dunque soltanto un adeguamento delle coordinate culturali, ma uno scarto, uno spostamento di angolazione. Perché ormai qualunque linguaggio non sia incondizionatamente sperimentale e metamorfico, non si sintonizzi sull'imprevedibile frequenza dell'elettronica, non prenda forma al di là della semplice mescolanza dei generi, è linguaggio d'ordine o, nel migliore dei casi, linguaggio moribondo. L' cambient musio di Brian Eno, cApocalypse now> di Francis Coppola, «Crollo Nervoso> dei Magazzini Criminali, la c24h? Satie», «Nel Corso del Tempo> di Wim Wenders: qui il linguaggio è diventato inassegnabile, perfettamente in-finito. E chi non è qui, adesso? molto importante lavorare in un luogo dove regna una strana bellezza e le stesse pietre emanano intelligenza artistica e costruttiva. Si diceva che oggi la Crusca non conserva soltanto, come altri Enti, ma costruisce; essa lo fa attraverso una struttura assai articplata: da un lato tre Centri di ricerca, dall'altro l'«Opera del Vocabolario>. Vi è un «Centro di studi di filologia italiana>, diretto da Domenico De Robertis, che non solo ha una sua prestigiosa rivista annuale, gli Studi di filologia italiana, nata nel 1927, ma stampa rigorose edizioni critiche di testi letterari e scientifici in varie collezioni: i «Quaderni> (ultimo del 1979 le Rime di Monte Andrea, uno dei più raffinati lirici del Duecento, a cura di F. F. Minetti), la collezione «Autori classici e documenti di lingua> (di cui ci si limita a citare Mirycae del Pascoli, a cura di G. Nava), l'altra «Scrittori italiani e testi antichi> (ultima del 1979 la deliziosa Versione ligure-piemontese del Dialogo di San Gregorio, a cura di M. (Marzio Porro); oltre a testi fuori collana come i Sonetti di F. Brunelleschi. Questo Centro inoltre sceglie e prepara filologicamente i testi su cui !'«Opera del Vocabolario> farà gli spogli: anche un profano può capire che un'edizione cattiva (e ce ne sono molte) o un manoscritto di epoca molto posteriore al testo non offrono certo materiale lessicale pertinente. La seconda struttura organizzata è il «Centro di grammatica italiana>, diretto dallo stesso Nencioni, presidente della Crusca, che affianca alla propria rivista annuale Studi di grammatica italiana, nata nel 1971, la collana dallo stesso titolo, di cui si segnala almeno un testo, gli Atti del seminario sull'icalia110parlato del 1977, che fanno un po' il punto sulla lingua che noi oggi parliamo oltre che sulle regole tipiche dell'oralità. Recentissimi i seminari sull'anafora (1978) e sul tempo verbale e le strutture quantificate in forma logica (1979). Terzo il «Centro di studi di lessicografia italiana>, diretto da D'Arco Silvio Avalle, che ha esso pure dal 1979 la sua rivista annuale, Studi di lessicografia italiana, oltre alla sua collana dedicata ai vocabolari dialettali e a lessici tecnici in via di preparazione, preziosi per l'approfondimento dei linguaggi settoriali, come dire delle varie tecniche e artigianati, armi, tessitura, moda, arti figurative, architettura ecc. L'«Opera del Vocabolario>, a cui Avalle ha comunicato il suo ben noto dinamismo, sta portando a termine insieme al Centro di lessicografia addirittura tre grosse imprese: le «Concordanze della lingua poetica italiana del-
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