gli optionals? L'irrealtà, l'astrattezza della ricerca e costituzione di un testo filmico sicuro ( contro censure e predoni, contro i graffi dell'usura temporale), perdente e meritoria nei confronti della distrazione del pubblico in sala (si ha mai ricordo esatto dei lineamenti di un film?) estremizzata nel salotto televisivo, si fa palese e non scusabile in questa nuova situazione possibile. I mezzi sempre maggiori a disposizione per conoscere, criticare, restaurare (per es. l'agilità di intervento e di impiego del videotape), sono gli stessi che contribuiscono alla dissoluzione e allo spezzettamento del testo. L'industria stessa supera l'obiezione teorica e filosofica (da Adorno in giù) alla «scarsa attenzione al testo e al senso,. indotta dal cinema. Forse si scambiano i ruoli traapocalittici e integrati. Il rifugio individuale, nel cinema, sarà proprio il film come è stato fino a oggi, forma desueta, letteraria o teatrale a seconda dei casi; naturalmente, fatto col superotto, o col videotape, insomma con la sempre profetizzata e attesa «caméra-stylo,., a basso costo salvo mecenati o eredità. Per la critica, forse, una branca particolare delle arti visive. Per il pubblico, rispezzettato, si può invece ipotizzare un futuro di forme diverse, e la dissoluzione degli Brian Eno/David Byrne My Life in the Busb of Ghosts inedito, 1980 Brian Eno/Jon Hassell Po sible Musics EG, 1980 Talking Heads Remain in Ligbt Sire, 1980 Magazzini Criminali Crollo ervoso, 1980 Gilles Deleuze/Oaire Pamet Conversazioni Milano; Feltrinelli, 1980 p. 174, lire 4.000 24b? Satie Milano, 12-13 aprile 1980 e ome le tecnologie, i viaggi e gli amori, il linguaggio, ogni forma di linguaggio, è innanzitutto possibilità. È affermazione del possibile contro l'esistente, dell'imprevisto contro la rappresentazione, degli spazi contro i confini. delle intensità contro le identità. Ogni altro percorso che non sia quello illimitato della potenzialità e del divenire consegna il linguaggio a una funzione d'ordine che non è certo quella per cui esso esiste. Tanto più oggi, che il linguaggio sta vivendo una mutazione senza precedenti: più che dei linguaggi specifici. più che della loro contaminazione, è ormai dell'infinitezza che si tratta. Se sullo scenario degli scorsi anni la tendenza era costituita dagli incontri fra i diversi generi, ora la corrente si è lasciata indietro i luoghi delle confluenze e si propaga in zone nelle quali dei generi specifici non rimane traccia. Dalla simbiosi di forme altre fra loro sono ormai nate nuove tendenze nelle quali le diversità originarie non sono che caratteri genetici. Il linguaggio è diventato corpo inassegnabile. E intensità degenere. illimitata molteplicità di concatenamenti. forma multidimensionale imprevista e metamorfica. Nell'attraversare l'universo sonoro, la nuova corrente produce effetti di mutazione dentro la musica e oltre. È, dentro il mondo dei suoni, l'apertura di spazi vibrazionali nei quali non sologgetti-film, proprio per la loro maggior vicinanza tecnologica, la loro riproducibilità (il videotape), la loro smontabilità, la loro mutevolezza combinatoria. oppola non ha avuto il coraggio di Lucas, non ha dis-integrato il testo facendo realizzare (sulle decine di migliaia di metri di pellicola girata) dieci film diversi a altrettanti registi, dieci versioni disintegrali. Spielberg si è fatto da sé la sua «edizione speciale». Ma la tendenza potrebbe essere questa, e si può supporre che l'industria ci stia già pensando, sotto la spinta della facile pirateria indotta dalla riproducibilità diffusa (tramite TV) dei film anche più prestigiosi e protetti: dall'edizione speciale, agli optionals, alla scatola di moniaggio. Il cinema come industria che appronta scatole di montaggio da cui poi i clienti costruiscono il loro «film». I «registi» professionisti gireranno, con concentrazioni enormi di capitali, riprese tecnicamente «straordinarie» e «meravigliose» (o, per i mercati depressi, riprese semplici e piatte), brevi sketch narrativi con gli stessi personaggi o attori, lunghe sequenze di paesaggi o di battaglia, intercambiabili, con sonori e doppiaggi a loro volta variati (o da «inventare» a cura del singolo consumatore assemblatore). Nudità dell'industria e del mercato. Senza l'illusione odierna che ilcinema, se non arte, sia almeno industria, quando invece è essenzialmente un mercmo (o il mercato). Già oggi, con poca spesa, chi possiede un videoregistratore potrebbe «montarsi» - usando i pezzi dei film registrati-un suo mètafilm immaginario. Già oggi, soprattutto, ci si sta abituando a una fruizione del cinema «a pezzi», sia per effetto del pulsante televisivo di selezione programma (spezzettamento selvaggio e distrat-· to), sia per scelta di chi magari non registra più un intero «film», ma solo le sequenze che più gli piacciono e interessano. Per effetto della velocità elettronica, o per riflessività, i film ormai si fermano anche, si blocca la continuità magica che in fondo assicurava sempre la presenza (anche smozzicata e interpolata) di un corpo. E il corpo, fermato, si sgretola, si dissolve o si mostra in pezzi; sempre sezionato, sarà sempre un Frankenstein da ricostruire. ' I film «scatola di montaggio» (studiare Guerre stellari...) potrebbero anche produrre una nuova forma-film, il film-spartito, il film-canovaccio, il film come materiale di repertorio, il film-attore da far montare-dirigere al consumatore-regista. Il film stesso come «soggetto», da integrare magari con le sequenze «povere» dei propri filmini personali. Poter mettere nello stesso film un marlonbrando e la propria famiglia. Nella diffusione pirotecLascen.,J.~mpura tanto è completamente cancellata ogni linea di demarcazione fra generi, ma a smarrire qualunque ragion d'essere è la stessa storica distinzione fra sperimentazione e piacere (o, dicendo peggio, fra ricerca e comunicazioJ}e, o ancora, dicendo malissimo, fra avanguardia e consumo). E questa è l'«ambient music» di Brian Eno, la «Frippertronics» di Robert Fripp. l'area della «Lovely Music» (Robert Ashley, Blue Gene Tyranny ...). Oltre la costellazione dei suoni, è l'irradiazione di un linguaggio nel quale il suono cospira con l'immagine, con il movimento e la scena. con la parola scritta e parlata (e questi sono i video di Eno e di Ashley. le performances dei Magazzini Criminali, ed è anche «Apocalypse now),.. Lungo queste traiettorie, che si aprono ben oltre il terreno della contaminazione, il linguaggio non ha più nome, né genere, né luogo. È «corpo senza organi» che sfugge all'abbraccio delle specificità come a quelli della storia e della memoria non attraverso la negazione e la rottura, ma per spostamento; non perché la memoria e la storia siano ostili, ma in quanto sono ormai perfettamente irrilevanti. Non c'è più. dunque, un limite da trasgredire che con la sua oscurità dà luce alla via d'uscita: quello in cui la nuova tendenza si propaga è uno spazio incondizionatamente aperto, un deserto popolato di intensità, che vive di luce propria, autonomamente. È, finalmente, spaziare nell'assenza del limite, sperimentare l'infinitezza. • Davanti a tanta apertura di orizzonti, la pletora dei linguaggi determinati appare sempre più anacronistica. Identità fisse, strutture chiuse, modelli, formule, generi, lingue unidimensionali. nulla di tutto cio risulta ancora usufruibile dall'intensità e dall'energia inventiva. Perché oggi in un'epoca elettronica, metropolitana e destinata a essere sempre più elettronica e metropolitana qualunque forma di linguaggio e di esistenza che si riferisca a un limite determinato. sia pure per trasgredirlo, è invariabilmente sottomessa a quel limite; ogni pratica trasgressiva è speculare all'ordine di riferimento. Ed è così, indifferentemente, tanto per.i linguaggi cadaverici che per quelli ribelli. Perché l'identità ribelle, la regione trasgressiva, è l'ultimo appiglio della distribuzione dei ruoli definiti, l'ultima casella prevedibile sulla scacchiera dell'ordine dominante. Così il free jazz in rapporto alla musica nera, l'arte povera in rapporto all'espressione visiva, la postavanguardia in rapporto al teatro. la no wave in rapporto al rock: estreme identità trasgressive, ultimi colpi dirompenti all'edificio delle rispettive grammatiche, a partire dai quali o scompaiono definitivamente i generi e i limiti negati o anche la ribellione partecipa alla restaurazione di un'identità d'ordine. È la grande intuizione di quanti, da Antony Braxton a Demetrio Stratos, da Jean-Luc Godard a Bob Wilson, da Joseph Beuys a Mauricio Kagel, si sono resi latitanti da qualunque identità fissa, rifiutando di mettere radici nel terreno della negazione e praticando la più irriducibile molteplicità. N emmeno il rock. lingua ribelle per eccellenza, si sottrae a questa funzione d'ordine che i linguaggi determinati hanno irrimediabilmente assunto. Convogliare la carica di ribellione che lo alimenta sul terreno della rappresentazione: è questo il mortale limite del rock. Ridurre in formula prevedibile le nuove forme che esso stesso suscita: è così che il rock difende la propria identità unidimensionale, ripetendo il proprio ruolo autorizzato, schierandosi con l'esistente contro il possibile. L'energia trasgressiva di cui è investito agisce dunque come puro accessorio di una funzione d'ordine che è propria ormai di tutte le identità fisse. Perché q·ualunque identità (quella del rock o del jazz, o un'identità storica culturale. sociale, esistenziale) che non sappia lasciarsi trasportare verso nica della figura del regista (dove invece di attori, cose, paesaggi il regista ha a disposizione filmati predisposti di essi), a perdersi sarebbe probabilmente la sacralità casuale e misteriosamente economica dell'autore e regista di oggi. Un effetto secondario forse non negativo e anzi più o meno (in)consciamente voluto dagli stessi registi più personali; nel senso· p. es., in cui il «personale» alla Woody Allen - Manhauan - è già sintetico, «da discoteca», omogeneizzato nelle cellule culturali e filmiche e non solo negli obbligatori meccanismi di proiezione. Il ritorno alla realtà che può imporsi a questo punto del discorso non può dimenticarsi di ricordare (anche ai fanatici del testo correttamente «stabilito») come già ottantanni fa uno dei primi «testi» celebri della storia del cinema, il protowestern The great train robbery (1903), fosse messo in distribuzione con una bobina aggiuntiva contenente la famosa scena dello «sparo in macchina» (cioè del pistolero che ci guarda fissi e poi spara su «noi» del pubblico). Nelle istruzioni per i proiezionisti, si diceva che quella scena poteva essere messa in testa, o nel mezzo, o in coda. Era appena iniziato (il cinema), e già allora (o ancora) non importava come finire. Che ognuno decidesse, dopo avere pagato. forme impreviste, funziona ormai in senso conservatore. Quel che viene alla luce in tutti i suoi limiti non è dunque semplicemente una vecchia identità, ma la forma stessa dell'identità, il suo meccanismo di fondo. Non si tratta allora di trovare, dopo il jazz o dopo il rock o dopo le loro propaggini più radicali, una nuova forma di trasgressione, ma piuttosto di spostarsi e mettere a fuoco linguaggi finalmente autonomi. Perché se i linguaggi determinati e le identità fisse sono il corrispettivo di un'esistenza fondata sulla rivendicazione della propria legittimità e di un'organizzazione sociale relativamente semplice, se la contaminazione combacia con un assetto metropolitano nel quale le connessioni si moltiplicano e impulsi e comunicazioni si propagano con velocità crescente, il linguaggio di un'epoca in cui le strutture urbane sono un brulicare di linee di fuga, i flussi vitali si irradiano sulla banda del polimorfismo, i concatenamenti formali non cessano mai di profondere effetti di metamorfosi, i media elettronici cancellano ogni memoria, questo linguaggio dunque non può non tendere all'ubiquità, all'infinitezza, alle sovrapposizioni simultanee. Non può non essere linguaggio dell'intensità, piuttosto che dell'identità. In queste macchine linguistiche mutanti, la musica trasporta la sua sensibilità prefiguratrice, la sua natura di forma in divenire. Perché, come scrive Claire Parnet, «non si può fare il punto in musica. La musica è un'antimemoria. Velocità della musica, anche la più lenta. È solo per caso che la musica ~onosce unicamente delle lin.ee e non dei punti?». E la straordinaria velocità di propagazione del suono (e dell'immagine, e dei movimenti asintetici) è proprio ciò che gli consente di spalancare spazi vertiginosi, nei quali gli o))J)osti (sperimentazione e piacere per Blue Gene Tyranny, freddezza e . passione per Eno, ripetizione e differenza per Steve Reich) vengono a coincidere. Al di là della produzione sperimentale che si compie su un terreno squisitamente musicale, è attraverso due percorsi di deterritorializzazione che il suono viene a confondersi con altre forme e che libera un divenire che si inscrive non più nella materia specifica
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