Alfabeta - anno II - n. 19 - nov.-dic. 1980

« Chi potrà credere che Domenico Greco avessespessoper le mani i suoi dipinti e ogni tanto li ritoccasseper lasciare i colori distinti e distaccati e dare ad essi crude macchie, onde mostrarsi valente?» (FranciscoPacheco, piuore e trauatista, a proposito del Greco, 1540-16/4) «Conoscevo un distributore del mezzo· giorno che aveva una maniera del tuuo per• sonale di sistemare i film da lui giudicati un po' lenti. Vi introduceva uno spezzane che tenevasempre di riservae che rappresentava una corsa di tori. Questa corrida spuntava improvvisamente nelle commedie moderne, nelle tragedieantiche, nei drammi del mare, e dobbiamo ammeuere che, talvolta, l'effeuo era abbastanza singolare». (Jean Renoir, regista) E chi potrà credere che Steven Spielberg ha «ripreso in mano» il suo Incontri ravvicinati del terzo tipo, un film che tre anni fa ottenne un successo strepitoso di pubblico ... Limitandosi poi a «sostituire» una dozzina di minuti, e aggiungendo qualcosa nell'epilogo, Spielberg ha non solo utilizzato materiali già scartati nel montaggio del 1977, ma anche girato nuove scene. In definitiva, la «Special Edition- di Incontri ravvicinali è già in circolazione negli Stati Uniti, presto Arriverà da noi. Un fatto quasi stupefacente, nella sua dichiarata «marginalità» e secondarietà: uno dei più ricchi e «industriali» cineasti del mondo introduce di colpo nel cinema l'arte del ritocco, che si poteva supporre dimenticata e relegata nei magnifici inferni del manierismo barocco (o nei deliri lucidi e rilucidati del Greco). Stupisce, ed è un indizio nuovo e ulteriore di un gioco che si sviluppa-in questo inizio di anni Ottanta- intorno al corpo del cinema, il testo filmico con i suoi margini precari. Fino a oggi erano le istituzioni pubbliche o private e gli apparati produttivi o giuridici a porre la questione del testo filmico (in modo assai più tranchant di qualsiasi semiologia) nell'esercizio delle varie forme di censura. E il lavoro di cutting (il taglio della pellicola sul tavolo di montaggio) che precede l'ediring (il tagio della pellicola definitivo) ha sempre esposto il corpo dei film a ogni genere di intervento. Complesso, industriale, «costoso» come macchina "produttiva, il cinema produce poi oggetti estremamente fragili, tagliabili, rimontabili sempre. Dal toro dei ricordi di Jean Renoir ai quaranta minuti tolti di netto (per fare un esempio recente) nell'edizione italiana di Assassinio di un allibratore cinese di Cassavetes, il testo filmico ha sempre dimostrato di poter sublimare nella visione pubblica qualsiasi manipolazione mutilazione o protesi del suo corpo di immagini. Nel cinema(= spettacolo di massa) la continuità della visione ha sempre surrogato l'unità dell'opera. Anche per questo, l'autore cinematografico di tipo «europeo» (punte recenti: Bresson, Straub, Anghellopoulos) si costituisce proprio tendendo alla realizzazione di film «precisi» e non modificabili nel testo, affini all'ideale mallarméano del diamante inattaccabile; e per questo, in una situazione molto meno facile, John Ford sfruttando genialmente le convenzioni narrative cercava di girare in modo che il film fosse poi montabile logicamente e plausibilmente solo come voleva lui. Il controllo, l'ultima parola sulla forma da dare al corpo filmico, alla salma, è statoperottantannilamateria del contendere tra le diverse forze produttive in gioco nel cinema; molto più che ilcontrollo sulla forma e l'identità dei corpi da filmare e riprendere (i soggetti e gli attori imposti dalla produzione, dal libraccio dozzinale poco costoso o bestseller all'amante del produttore ...). Su questo piano, la storia del cinema è un cimitero sterminato di croci, come altre Storie. Infiniti nastri di pellicola impressionati e tagliati nei modi più bizzarri e difformi, o conformistki e piatti: immagini tagliate, fissate, interrotte, per essere spesso in seguito riprese, sezionate, cannibalizzate per produrre altri corpi, cadaveri bellissimi o osceni, smorti o vitalissimi. • Non sempre comunque il corpo filmico, il testo, si costituiva nella lotta tra (schematizzando a oltranza) lavolontà «economica» della produzione e quella «artistica» del regista o di altri. Non di rado le diverse «volontà» concorrevano, e spesso era la sola «volontà economica» a produrre diverse «versioni» di un corpo, finalìzzate a mercati diversi. Nel cinema di serie B, dove i bassi costi permettevano e anzi consigliavano la doppia versione, è stata pratica diffusa fino a tutti gli anni '60 quella di girare contemporaneamente due film «diversi» sullo stesso soggetto e con lo stesso regista (ma anche cambiandolo; poco importa), a volte cambiando perfino gli attori, a seconda dell'area geografico-culturale cui ci si indirizzava. Anche un film «d'autore» come Atlantide di Pabst veniva, negli anni '30, girato in due versioni. Ugualmente oggi, la differente «lunghezza» di un film, a seconda che lo si veda in Francia, in Italia, in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, non è sempre frutto di modifiche arbitrarie imposte dal peso economico della distribuzione, o di interventi censorii (come magari la scena «osée» tagliata nei cinema parrocchiali); spesso la produzione stessa apporta lievi modifiche, taglia due minuti di dialogo troppo direttamente riferiti a una situazione locale, aggiunge il primo piano di un caratterista, toglie un dito aggiusta un naso, sostituisce una canzone con un'altra. Per non parlare del doppiaggio, forse la pratica perversa più diffusa e «normale» del mondo, da sola sufficiente a raddoppiare e riscrivere i film, a produrre testi radicalmente diversi dagli «originali» (dato che la «forma film» attualmente predominante è il «film sonoro con' musica e dialoghi»). Infine, non .rara è l'abitudine delle anteprime «all'americana» (generalmente in città di provincia), dopo le quali il regista elo la produzione possono divinare in base alle reazioni del pubblico quali modifiche debbano essere attuate (un cineasta rigoroso come Stanley Kubrick limò parecchi minuti alla sua Odissea nello spazio dopo le prime proiezioni pubbliche). e iò che fa la differenza, tra le versioni e tra i testi, è in effetti la flagranza della visione«pubblica». Solo il film visto da un pubblico ragionevolmente ampio si costituisce in un corpo ben preciso, dai lineamenti in qualche modo riconoscibili. Lo scandalo o la stranezza si hanno quando un film muta corpo o cambia pelle dopo ripetute visioni pubbliche, dopo che si è costituito come «oggetto pubblico». L'operazione di smontare, tagliare, accorciare, rimontare un film già fatto, è estremamente usuale, si svolge di continuo alla moviola e dopo le visioni «private» per amici e persone coinvolte nella produzione e realizzazione; ma la si accetta (a volte tra le proteste appassionate ma flebili di critici o autori) come intervento su qualcosa che non è ancora il film, perché tale non è stato ancora definito per contratto sociale, e ancora non son state stampate le copie per la distribuzione nelle varie città. Le manipolazioni da parte della produzione, della distribuzione, o dell'autore stesso che appronta contemporaneamente due «versioni», rientrano quindi un una sorta di «normalità», o almeno fanno parte di una pratica abituale, tesa in fondo a garantire e a garantirsi un pubblico. Ultimi sviluppi di questa pratica: il lungo film televisivo a puntate condensato in due ore per i cinema secondo una discutibile classificaI zione dei tempi e dei pubblici, e il film porno «soft» interpolato dai gestori delle sale specializzate o dagli stessi confezionatori con spezzoni esplicitamente «hard» (per questo motivo si chiusero di recente quattro sale «a luci rosse» di Milano; ma da almeno cinque anni a Trieste, in un cinema che la domenica faceva film per bambini e famiglie, durante la settimana si potevano rinvenire scene hard vaganti ...). Molteplici pratiche si oppongono così a una tendenza critico-ideologica che, negli ultimi anni, ha meritoriamente richiesto favorito imposto preteso rc:clamato un rigore storico-filologico nel campo della ricérca cinematografica, sia per motivi di serietà intellettuale e scientifica, sia per rispetto nei confronti del pubblico. Essa punta proprio a stabilire dei testi corretti per i film (o meglio, per quelli «meritevoli»), a salvaguardarne margini e integrità, mentre la nozione stessa di «testo cinematografico» sembra esplodere. Anzi, questa stessa tendenza ha dato luogo a pratiche in certa misura nuove e paradossali nei confronti del corpo-cinema: le quattro ore e mezza del Ludwig «secondo le intenzioni originali di Visconti», restaurato dagli amici in base alla sceneggiatura originale ricuperata in un museo. Il film, che praticamente nessuno (forse neanche Visconti stesso) aveva mai visro in questa versione, per la riluttanza ovvia dei mercanti a distribuire un Ludwig così lungo, è stato presentato alla Biennale di Venezia, e si vedrà in televisione. Sempre a Venezia, Martin Scorsese ha messo in scena il momento più spettacolare della sua sofferta crociata per la conservazione del colore nei film, auspicando il frigorifero e ottenendo firme e plausi per la sua petizione. Serietà filologica, rigore culturale, attenzione al testo originale, paura delle contraffazioni, film DOC, probabile diffusione delle attività di restauro che già si svolgono in raffinate cineteche e università americane, ricerca delle colonne sonore originali oppure restituzione al muto di ciò che è muto, film postumi. Ma, ancor più probabilmente, materia per il lavorìo accademico di chi per anni potrà condurre memorabili studi sulle «varianti», grazie ai corpi conservati nel freddo delle celle. Ancora a Venezia, infatti, almeno due film, Loulou (di Pialat) e Lightning aver wacer (diWenders)sonostati presentati in versioni differenti da quelle già viste in occasioni precedenti, e si è visto Il misrero di Oberwald di Antonioni in due diverse versioni, televisiva e cinematografica. Alle pratiche abituali e notorie (ma occultate, o per lo meno non pubblicizzate) degli apparati di distribuzione, sembra sostituirsi con clamore evidente una tendenza da parte degli autori stessi a intervenire in tempi suecessivi su testi che parevano già completati. Non si tratta di fughe avanguardistiche verso un lavoro cinematografico in progress, né di opere particolarmente aperte come intento soggettivo. li cinema resta il cinema. Una volta tagliata, l'immagine è quella che è. Sembrerebbe se mai un maggior scrupolo del regista-autore-produttore, o una sua incertezza-paura di fronte alle aumentate responsabilità. Giovani o giovanissimi, i cineasti-produttori alla Coppola, alla Lucas, alla Spielberg, si trovano in mano un potere immenso. I loro film costano se non come una guerra almeno come una battaglia, e li coinvolgono direttamente - come produttori - dal punto di vista economico. Nelle moviole di Lucas e Coppola si è rimontato il Kagemusha di Kurosawa (già visto a Cannes) per renderlo più appetibile. E proprio a Cannes, l'anno scorso, c'era stata l'Apocalisse (now) a «svelare» e mostrare di colpo la nuova questione del testo filmico, oltre che a suonare rintocchi millenaristici un po' di morte per la concezione che siamo abituati ad averne. Accadde (si ricorderà) che il regista del più kolossal spettacolo del mondo non riusciva a concludere il montaggio del suo film: letteralmente non riusciva a finirlo, incerto almeno quanto un superottista che non riesce a decidersi e che ha tutto il tempo che vuole per essere indeciso. Francis Ford Coppola, dopo aver speso più di trenta miliardi di lire, dopo aver passato due anni nella giungla filippina, provava probabilmente la stessa incertezza «creativa» di un Bertolucci costretto a «ridurre» per gli Stati Uniti o per l'Italia le dimensioni del suo kolossal Novecento. Coppola fece una cosa molto semplice e inaudita: presentò a Cannes due finali differenti, e un altro ancora ne teneva pronto. Un anno dopo, in Italia, in alcuni cinema si proiettava una versione col finale A, in altri quella col finale B. Veniva sancita l'indecidibilità finale della sua stessa «opera» da parte del regista-autore-demiurgo, e non certo (solo) per incertezze su quale soluzione avrebbe incassato di J più. Colpiva e colpisce che un'opera tanto lavorata e «personale» e «soggettivamente industriale» risultasse poi una manifestazione palese di scacco, di autoscacco, di insoddisfazione rispettoallavolontàpersonaledi progetto: a Cannes, Coppola arrivò a un pelo dal far decidere al voto del pubblico quale sarebbe stato il finale. A i più parve un vezzo, un capriccio. In realtà, era un colpo inaugurale ma decisivo portato (dal cuore stesso dell'industria cinematografica) alla forma classica del film, testo narrativo per immagini disposto in spettacolo di massa. Proprio al margine qualcosa si inceppava, non si «chiudeva» più; non si sapeva come finire. Sbeffeggiato o trascurato come goffo tormento d'autore, il capriccio di Coppola viene oggi estremizzato e superato da Spielberg, la cui operazione di per sé sembra di gran lunga più minimale, e magari assurda. Un filmdi tre anni fa, ampiamente e trionfalmente visto, ritoccato senza nessuna precisa domanda o obbligo in tal senso. Una decisione, non a caso. E (forse per caso?) di nuovo un finale modificato. Già nel titolo, qualcosa si rivela, di quella decisione. Edizione speciale. Ancora un piccolo fremito di gioia per i filologi?, come se l'oggetto-film si avvicinasse sempre più al componimento letterario, al libro ... Invece, la solita apocalisse, già da Spielberg avviata col personale e geniale millenarismo di 1941 (il più costoso «divertimento> della storia del cinema, film giocato per perdere, di puro dispendio, opulento e macchinistico e insieme narrativamente sfilacciato), e ormai sempre presente in filigrana in questo «discorso> di finali che non finiscono ... Ediz.wne Speciale. Certo, necessità di autore, pallini personali. Ma è solo un paradosso che a distruggere i miti del cinema d'autore o dei film ben chiusi e torniti sia proprio l'espressione più avanzata e «potente> dell'autore moderno, il regista-produttore americano che filma i giochi sognati e insieme fa l'industriale. Ediz.wne speciale; industria, come il modello «sprint> o «special> di una vettura di serie; oltre che un regista desideroso di accentuare gli elementi mistici del suo film. Interessanti, e affascinanti proprio ai fini di una teoria dell'autore, non ci interessano però qui i meccanismi individuali e i tormenti artistici dei registi, o lo scrupolo morale di Wim Wenders che non sa bene cosa fare del suo film sulla morte di Nicholas Ray. È indicativo che siano proprio gli autori - e soprattutto i registi produttori americani - a introdurre l'esitazione nel concludere, il ritocco, il rifacimento. Ma solo un'ottusità teorica potrebbe cercare in ciò tracce di una nuova forza dell'autore. Come ben sa il Lucas delle Guerre stellari (che ha dato il seguito della sua creatura, L'impero colpisce ancora, in mano a un altroregista), per il regista sarà sempre più questione di «arte combinatoria», con o senza computer. Se il potere e ilcapitale restano concentrati, la «forza> si fa però diffusa, si espande micrologicamente. Ai filologi troppo seri potrebbe accadere di saltare nella maniacalità da appassionato di HI-FI. L'edizione integrale restaurata, illusoria come l'alta fedeltà. Ma quale sarà il testo integrale e definitivo, se cominciano a diffondersi

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