I commenti della stampa quotidiana sull'accordo Avanti! Ugo Intini, I guasti del massimalismo cavalcato da Berlinguer davanti a Mirafiori (16 ottobre, 1980). (...) Ma una cosa è chiara. Che ha commesso un grave errore Berlinguer andando avanti ai cancelli di Mirafiori e prospettando addirittura l'occupazione deÙa'fa6brica. In tal modo, ha scavalcato il sindacato su una posizione massimalista. Nel 1922, il massimalismo inconcludente ha provocato una reazione di. vasti strati della popolazione contro il movimento operaio. Oggi il corteo antisindacale che per la prima volta nel dopoguerra si è snodato in una grande città, può essere il seme di una tendenza in parte analoga. Ugo Intini, Fmito il sindacato delrautunno, evitiamo l'autunno del sindacato (17 ottobre 1980). Eppure ciò che è avvenuto a Torino rappresenta una svolta storica, che può dar luogo a un grande rinnovamento del movimento sindacale, e a una sua ripresa, oppure al precipitare di una crisi interna ormai evidente: dipenderà dal coraggio del suo gruppo dirigente, e anche dalla capacità della sinistra di compiere una vera rivoluzione culturale al suo interno, liquidando vecchi schemi e massimalismi. (...) Il sindacato dell'autunno 1969 è davvero finito a Torino, con il mito dell'assemblea e della democrazia diretta, con il massimalismo e gli slogans, con i cortei e la scarsa attenzione alla compatibilità economica. Ha avuto i suoi lati positivi, forse più numerosi di quelli negativi, ma è finito. (...) Ci si domanda se il sindacato non abbia abusato del potere di veto senza tuttavia riuscire a proporre, in positivo, delle politiche alternative, anche sul piano aziendale, dove il tema della partecipazione, della cogestione, o comunque del coinvolgimento nella guida delle fabbriche, con i diritti e i doveri che derivano, è stato forse sottovalutato. Così come è stato sottovalutato il problema degli scioperi selvaggi, o quello dell'appiattimento delle retribuzioni dovuto all'inflazione e alla scala mobile, che rischia di spezzare i legami del sindacato con gli impiegati e i quadri specializzati. Corriere della Sera Francesco Alberoni, Ma c'è un'altra «base» ( 17 ottobre I980). Il partito comunista ed il sindacato sembrano avere molti problemi in comune. Entrambi - continuano a ripeterlo- hanno difficili rapporti con la «base», entrambi stanno facendo sforzi per tenere i contatti con la «base», entrambi si sforzano di recuperare la «base». Il concetto di «base• fa venire in mente la gran massa dei lavoratori, degli iscritti ai sindacati, gli iscritti e gli elettori del Pci, milioni e milioni di persone. Se ne ricava perciò l'idea che una gran parte della popolazione non sia d'accordo con il sindacato o il Pci perché non sono abbastanza duri, abbastanza combattivi. Ma è questa la «base» a cui in realtà - in differenti contesti - i sindacalisti ed il Pci fanno riferimento? No. La «base» non è costituita né nel sindacato, né in un partito, da tutti i lavoratori e dagli elettori. È un gruppo più ristretto che non corrisponde neppure ai semplici iscritti. È più ristretta persino dei funzionari e dei militanti. La «base• di cui si parla è costituita da quell'insieme di funzionari, di attivisti, di leader spontanei - soprattutto nel caso del sindacato - che sono capaci di mobilitare, di par!dre, di influenzare, di guidare gli altri. Ebbene a me sembra che questa «base» non rappresenti più, per il sindacato, l'insieme dei lavoratori italiani. Per quanto riguarda il Pci ho seri dubbi che rappresenti il suo elettorato e soprattutto il suo elettorato potenziale. (...) Tanto il sindacato, quanto il partito comunista nel loro sistematico riferimento alla classe operaia e alla «base» sembrano non essersi accorti che in Italia è avvenuta una trasformazionestrutturaledellacomposizionedi classe e - sempre in termini marxisti - una corrispondente trasformazione sovrastrutturale. La «base> dei sindacati e del partito non è più né l'élite delle forze produttive, né la sua autentica rappresentante. Il Giornale Indro Montanelli, on erano marionette (16 ottobre 1980) (...) Questo giornale ha· sempre sostenuto che la gestione politicizzata della Trimurti e la sua arrendevolezza alle frange più estremiste della «base» era un suicidio perché non poteva che provocaref-"iÌlla fine, la ribellione di quell'elemento moderato e riformista che anche nei ceti operai rappresenta tuttavia la forza non soltanto economica, ma anche morale, della società italiana. Ma ora che la nostra previsione si è avverata, siamo i primi ad augurarci che il sindacato regga e si riprenda al più presto dal tracollo che ha subito. Nel momento in cui scriviamo, Lama, Camiti e Benvenuto sono a Torino per illustrare agli operai dela Fiat l'accordo raggiunto con l'azienda, e non sarà facile. Il lettore ci darà atto che a questo trio non abbiamo risparmiato accuse di populismo, massimalismo, demagogia e sobillazione. Ma oggi invitiamo i manifestanti di martedì, se ci leggono, e se la nostra parola ha su di essi qualche efficacia, a sostenere la loro impallinata dirigenza, appunto perché è impallinata. Il sindacato non deve diventare un Moloch, ma è indispensabile allo sviluppo e all'equilibrio della stessa economia di mercato. Il suo potere va corretto, non distrutto. Berlinguer aizzò gli scioperanti a occupare ( • _,, t:: (o(- ( e Qj la fabbrica. La fabbrica è stata occupata da coloro che vogliono lavorare. Raggiunto questo traguardo, è bene che gli operai tornino a fare gli operai e a combattere le loro giuste battaglie contro il padronato. E per farlo, hanno bisogno del sindacato. Lotta Con1inua Enrico Deaglio, E se la finissimo con le automobili? ( 19 ottobre 1980). (...) Benvenuto ha finalmente potuto dire che i ritratti di Marx gli stavano qui, Craxi ha detto che il Pci è diciannovista (che è un po' come dire drogato e brigatista, insieme), l'area socialista dice che bisogna piantarla con le assemblee e istituire il referendum ... E tutti poi stanno dietro ad Arisio Luigi, il capo dei «40.000 di Torino» e scoprono che è il sale della terra, che ha inventato la macchina per tagliare il burro, che fa l'uovo col tornio, che sa aggiustare la tapparella e nel tempo libero sa fare andare avanti la grande azienda. Davanti ad Arisio Luigi tutti gli operai scompaiono, bollati di scansafatiche, rissosi, teppisti, assenteisti. È veramente una nobile gara. Se loro- gli operai- avevano votato no, la cosa non è importante, perché i giornali hanno.detto che hanno votato sì, e come spiegano Craxi e Martelli, il «potere è l'informazione». È una questione di stile. li Manifesro M. N., La loro ragione (17 otto!,re 1980). Hanno fatto bene, ieri, le assemblee operaie, che hanno respinto l'accordo Fiat. Non si apre una lotta senza darle una prospettiva, neanche quando è l'offensiva del padrone a renderla inevitabile. Non si porta avanti una lotta senza sostenerla, materialmente e con un'iniziativa politica adeguata (...). I dirigenti sindacali così duramente contestati a Torino conoscono queste verità elementari e dunque devono sapere che hanno meritato quel voto; dopo anni di una condotta che ha portato l'organizzazione operaia dall'apparente onnipotenza, che era ancora di ieri, alla sensazione di rotta che incalza da tempo e oggi sembra avere il suo culmine. Gli operai di Torino fanno bene a segnare, con quel voto, la loro unità e il loro dissenso, la scelta politica di non considerare chiusa una battaglia che Agnelli non chiuderà e che richiede, per essere sostenuta, una radicale moI :; •• dificazione di orientamento, di strategia, anche di stati maggiori. (...) Sotto accusa è il delegato torinese dei consigli, il sindacalista di base, l'operaio di avanguardia che per trentacinque giorni ha dato battaglia da solo, quando nessuno gli dava credito all'inizio di una settimana di resistenza. E ancora ha saputo resistere quando da anni la sua forza veniva logorata da una politica che sopra la sua testa compiva le più spericolate giravolte. Il Popolo Beppe Gatti, Ha vinto la ragione (16 ottobre 1980). (...) La vertenza infatti non poteva più trascinarsi, con un progressivo inasprimento, senza generare lacerazioni profonde e non facilmente rimarginabili, coinvolgendo nella spaccatura lo stesso movimento operaio. Come Democrazia Cristiana, nei giorni scorsi abbiamo più volte espresso questa preoccupazione, ricordando, a quanti con incauta faciloneria parlavano di occupazione delle fabbriche, che dopo il 1920 è venuto il 1922 e che se il conflitto sociale si esasperava avrebbe finito per travalicare l'ambito sindacale per trasferirsi sul terreno politico, sollecitando nel Paese propensioni autoritarie o comunque per un abbassamento dei livelli di democrazia e di libertà. Un identico monito abbiamo rivolto a quella non esigua componente massimalista del sindacato torinese che, rifiutando le stesse indicazioni delle segreterie nazionali e confederali di articolazione e graduazione dell'azione sindacale, ha scelto forme di lotta che - al di là di ogni valutazione di legittimità giuridica - risultavano del tutto sproporzionate allo stato della trattativa ed al reale oggetto del contendere. La manifestazione <limartedì a Torino dei capi e dei quadri intermedi della Fiat, che ha coinvolto migliaia di operai ed impiegati, in aperta polemica con il sindacato, ha mostrato chiaramente a tutti come le nostre preoccupazioni non fossero né astratte né in.fondate. La consapevolezza che un ulteriore aggravarsi delle tensioni avrebbe reso ingovernabile la situazione, ha certamente spinto e la Fiat e il sindacato a forzare i tempi di un accordo che si stava già trascinando. La Repubblica Eugenio Scalfari, Gli effetti amari l I dell'isolamento (16 ottobre 1980). on si parla d'altro in queste ore che della vertenza Fiat, chi ha vinto, chi ha perso, come ne esce Agnelli, come ne 1;:sceil sindacato, quali duraturi effetti ne deriveranno nell'organizzazione del lavoro e nei rapporti tra .le varie forze sociali e politiche. Il titolo Fiat in Borsa è salito alle stelle non appena i termini dell'accordo siglato a Roma all'alba di mercoledì sono stati conosciuti. L'Avvocato, al ricevimento di martedì sera al Quirinale per la Regina, pare avesse l'aria di Wellington dopo la vittoria di Waterloo. li gruppo dirigente del sindacato affronta il «consiglione» della Fiat come uno stato maggiore sconfitto. E nasce intanto a Torino un Walesa alla rovescia: è Luigi Arisio, il leader dei capi Fiat, l'uomo del corteo dei Quarantamila, la cui comparsa sulla scena ha fatto precipitare il piatto della bilancia. Giorgio Bocca, Il coraggio di dire la verità (17 ottobre 1980). (...) Il sindacato confederale, lo abbiamo detto e scritto in tutte le salse, è colpevole di ritardo culturale e di sclerosi burocratica ( ...) Ma in questa ora amara e seria eh~·' in qualche modo conclude un decennio di lotte operaie con tutto ciò che di generoso e di velleitario, di innovatore e di autolesionista, di buono e di cattivo esse hanno avuto, sembra giusto dire che nel gran bordello italiano anche questo sindacato, anche questa dirigenza rappresentano ancora la ragione, restano un· punto ·fermo, una mediazione sociale irrinunciabile( ...): •• E allora diciamo che la politica ber~ lingueriana di sparare sul quartier generale del sindàcaro· e di cavalcare l'operaismo, questo • rovesciamento improvviso e frenetico anche se poco convinto, è stato- subìto obtorto collo da Lama e osteggiato sia da Camiti che da Benvenuto. Diciamo che va dato atto a Luciano Lama e agli altri di non aver perso la testa di fronte alla tempesta di Mirafiori. La Stampa Mario Pirani, Né vincitori, né vinti (16 ottobre 1980). Se occorreva un'altra prova dell'assurdità della equazione Danzica-Torino, sta lì a comprovarlo il modo con cui si è giuntj alla ipotesi di accordo, ora al vaglio della base Fiat. Questo compromesso, che è auspicabile venga accettato, è stato, infatti, se non provocato, certamente accelerato dal processo di profonda e drammatica divisione tra i lavoratori torinesi (altro che l'unità granitica degli operai polacchi contro il regime di Varsavia!) che la manifestazione dell'altro giorno aveva portato allo scoperto. (...) Per cui, se si vuole davvero che quella maggioranza non si autodefinisca polemicamente «silenziosa», i fatti di Torino ci dicono che l'introduzione di strumenti democratici di consultazione, come il referendum appaiono più che urgenti nel quadro di' un recupero reale del rapporto tra sindacato e lavoratori. (...) Va recuperato il ruolo dirigente del sindacato e delle Confederazioni che nel corso di tu'tta la vicenda-e non solo di quest'ultima - è stato fatto oggetto di pesanti insidie da parte dell'ala berlingueriana del partito comunista. li provocatorio richiamo alla «vigilanza» della base sul comportamento di Lama e dei suoi compagni, la demagogie;, ., ichiesta che le trattative si svolg.c,,,·rn «come a Danzica» con gli altoparlanti aperti e le assemblee alle porte, l'eccitamento all'occupazione, se sono serviti a recuperare al Pci un consenso nella sinistra operaia più estrema, dopo gli smarrimenti governativi degli anni scorsi, hanno però inferto un colpo alle Confederazioni, e cioè ad uno degli ultimi istituti che, malgrado tutti i loro difetti, assicurano però ancora un minimo di governabilità sociale al nostro Paese . L'Unità Adalberto Minucci, La Fiat non ha vinto (17 ottobre 1980). No, il gruppo dirigente della Fiat non ha vinto, né l'avvocato può essere scambiato per Wellington dopo la vittoria di Waterloo. (...) In realtà ci sarebbe stata vittoria padronale e sconfitta operaia - secondo la terminologia sportiva cara a molti commentatori - se fosse passata la tesi sostenuta proprio da Scalfari sin dalle prime battute della vertenza. Ovvero: assunzione della «mobilità» come unico criterio di vitalità e progressismo di un sistema sociale, nel nome e nel rimpianto delle prime rivoluzioni industriali. (...) Ma questa linea non è passata. Si legga attentamente e con spirito oggettivo la bozza dell'accordo, senza lasciarsi frastornare dal clamore delle ormai rituali campagne m:rnipolatorie. Si legga l'intiera vicenda in ciascuno dei suoi sviluppi, indubbiamente controversi e tuttavia tali da non prestarsi -. a semplificazioni grossolane. Per asse- ~ gnare la vittoria alla dirigenza Fiat, si è .s costretti a dipingere una classe operaia ~ alle corde, arroccata su posizioni cor- ~ porative, completamente isolata dal- ~ l'opinione pubblica. Ma questo quadro non corrisponde affatto allo svol- ~ gimento reale dei fatti, a Torino e in E Italia. -~ (...) E stiamo attenti a parlare di -,;s ~ «isolamento». Certo, la classe operaia -<:> non è più tanto popolare in certi am- !: bienti. E si capisce anche perché. Tut- ~ tavia la vertenza è stata segnata, in g ogni sua tappa, da manifestazioni di °' massa imponenti e unitarie. ..., ,:! l:! ... -<:, <l:!., .;
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