A.M. Mura «Il pubblico e la fruizione», in Storia dell'arte italiana, voi. II Torino, Einaudi, 1979 pp. 484, lire 40.000 C. Herchendroder D mercato dell'arte Milano, Bompiani, 1980 pp. 336, lire 12.000 G. Bemier Arte e denaro Torino, SEI, 1980 pp. 372, lire 8_-000 La committenza difficile. Enti pubblici e ute contemponmea. Seminario di studio coordinato da E. Crispolti, V. Fagone, L. Zingarelli, Expo Arte Bari, marzo 1980 (Atti in preparazione). I I È vero che il numero di persone '' che sono in diretto contatto con l'arte è fortemente limitato sia dalla relativa rarità del talento artistico, sia dalle barriere sociali (limitata possibilità per alcuni strati di accedere all'educazione artistica e alle opere d'arte), tuttavia nei suoi risultati l'arte colpisce anche coloro che non sono in contatto diretto con essa». Con questa citazione da La funzione, la norma e il valore estetico come fatti sociali di Mukafovsky, testo fondamentale (del 1936) per la sociologia dell'arte, inizia il bel saggio di Anna Maria Mura, «Il pubblico e la fruizione», che si può leggere nel II volume della Storia dell'arte italiana di Einaudi. Difficile pensare un inizio più centrato, chè in queste poche righe si ritrova sintetizzata tutta la problematica di fondo a cui far riferimento per impostare un'analisi del rapporto fra arte e pubblico, intendendo per pubblico una gamma diversificata di fruitori, che va dal collezionista (grande, medio, piccolo) fino ai visitatori generici dei musei e delle esposizioni pubbliche e addirittura alla grande massa di gente che dell'arte figurativa ha solo sentito vagamente parlare e ha letto qualcosa sulle riviste di larga diffusione (ricordandosi, tutt'al più, che esistono per l'arte del passato Giotto, Leonardo, Raffaello e Michelangelo e per quella contemporanea Picasso e, forse, de Chirico, oltre naturalmente Manzù, Annigoni, Sciltian e Guttuso). Equest'ultima categoria è di gran lunga la più numerosa, sicuramente più dell'ottanta per cento della popolazione. Ma tutti, indiscriminatamente, anche i più ignoranti, hanno, bene o male, del1' cArte» un'alta concezione: non sono in grado, magari, di formulare alcun giudizio critico, ma sanno che ha «valore». Il fatto è che l'arte è un valore ideologico per eccellenza, questo è noto, che tra l'altro trova (o tenta di trovare) la sua legittimazione sul piano concreto in termini strettamente economici; e viceversa, attraverso la conferma del suo valore monetario si propone e si impone agli occhi del pubblico come oggetto di alta considerazione e stima. In altri termini, l'informazione che normalmente arriva al grande pubblico sulle opere d'arte ha spesso poco a che fare con la loro specifica natura culturale. Un esempio tipico è il seguente che peschiamo a caso in un numero recente di una rivista vendutissima (Gente, 27 giugno 1980): 5 miliardi per un quadro di Turner. N. York. Record all'asta di Sotheby. Un acquirente sconosciuto ha pagato sei milioni e quattrocentomila dollari (oltre cinque miliardi di lire) per un'opera del pittore britannico Tumer, vissuto il secolo scorso: è la cifra più alta mai pagata per un quadro. Il dipinto Giuditta e la governante era stato messo in vendita da Aora Whitney Miller. ..quotazioni da capogiro ... Chi sia poi Tumer e che Ilmercatodell'arte senso abbia la sua pittura non ha importanza; ha importanza la notizia di un prezzo-limite, così clamoroso per una semplice tela. Guardando solo a queste cose il rapporto arte-pubblico, in ultima istanza, sembrerebbe avere come principale catalizzatore il valore economico, che in quanto equivalente universale, darebbe automaticamente un senso a tutto ciò che rientra sotto la sua sfera. È ovvio, comunque, che il problema relativo alle motivazioni della fruizione artistica è ben più complesso, anche se questo aspetto è tra i principali. L'entrare in diretto contatto con l'arte, ci dice Mukafovsky, dipende in larga misura da questioni di classe («barriere sociali»), essendo funzione del grado di istruzione, per quello che riguarda la fruizione dal punto di vista culturale e dello spessore del portafoglio per quanto concerne il possesso materiale delle opere. Non varrebbe qui neanche la pena accennare alla mistificante ideologia che dichiara (in modo esplicito o implicito) l'inutilità della mediazione culturale per la comprensione della qualità dei «capolavori» (che in quanto tali susciterebbero chi sa quali sensazioni ed entusiasmi anche negli analfabeti) se non per ricordare che questa rappresenta il risultato più deteriore della feticizzazione dell'arte, frutto appunto del tipo di informazione di cui si è detto. Feticizzazione, tuttavia, quanto mai utile, ad esempio, per stimolare l'interesse all'acquisto di opere d'arte in chi pretende di elevare e legittimare il proprio status socio-culturale attraverso l'esibizione di opere d'arte di sua proprietà; spesso, anche se non sempre, lo stesso discorso vale, in grande, per i magnati (come quelli americani) che comprano e donano a musei opere d'arte soprattutto per nobilitare la propria immagine pubblica (oltre che per avere sgravi fiscali). S i è voluto qui far riferimento, insieme, a testi fra loro così diversi _ come il saggio della Mura da un lato e i libri di Bernier Arte e denaro e çli Herchenroder Il mercato dell'arte dall'altro, e anche al seminario di studio La committenza difficile. Enti pubblici e arte (di cui usciranno gli atti fra breve), perché mi pare diano la possibilità di articolare un'analisi sul rapporto arte-pubblico da differenti punti di vista, con particolare attenzione ai problemi della committenza nella situazione contemporanea (che è l'argomento che maggiormente ci interessa toccare). Le pagine di Anna Maria Mura che si inseriscono coerentemente nel resto del volume, impostato tutto secondo un taglio prevalentemente sociologico, rappresentano un'approfondita riflessione critica su quella che è la complessa problematica di una storia dell'arte «dalla parte del pubblico», zona di ricerca fino ad ora abbastanza inesplorata. Delle numerose indicazioni relativé per esempio all'opposizione arte d'élite/arte di massa (a partire da Benjamin), alle strategie dell'uso dell'immagine artistica nei diversi momenti storici, allo spettatore come produttore di un sistema di attese, al ruolo delle istituzioni mediatrici e delle strutture di produzione e diffusione dell'arte, dobbiamo limitarci a sottolineare qui solo quanto si riferisce più strettamente agli effetti della logica mercantile nella determinazione dell'immagine dell'«opera d'arte» sia all'interno del microambiente artistico (dove il pubblico tende a coincidere con la clientela) sia all'esterno, a livello di macroambiente, dove, come scrive la Mura, «'l'opinione', in altre parole 'il pubblico che non paga' ha solo un ruolo di amplificazione pubblicitaria (non importa se come adesione o come rifiuto; e dunque anche - se non principalmente-come successo di scandalo)». Francesco Poli E questo per ricollegarci in modo diretto ai due libri sul mercato dell'arte (senza però dimenticare l'importanza del ruolo delle istituzioni mediatrici, in particolare gli spazi espositivi pubblici, in riferimento al dibattito sulla democratizzazione della cultura, argomento tra i principali del seminario di Bari). Quelli di Georges Bernier e di Christian Herchenroder sono due testi strettamente funzionali alla difesa e promozione del mercato e dei valori ideologici ad esso implicitamente ed esplicitamente connessi. Entrambi scritti da mercanti ed entrambi incentrati sulle vendite ed acquisti ad altissimo livello (che avvengono soprattutto attraverso le più importanti case d'asta mondiali), se da un lato non si preoccupano di affrontare criticamente l'effettiva incidenza di questo sistema di mediazione tra arte e pubblico, inserendosi nella tradizione dei libri che per attirare l'attenzione puntano molto sull'effetto che producono le grandi cifre e i clamorosi affari sulla fantasia del lettore (in particolare il libro di Bernier che tende a mitizzare le figure e le vicende dei mercanti e dei collezionisti), dall'altro, essendo contributi molto ben documentati attraverso una notevole quantità di dati e notizie (quello di Herchenroder, più sistematico ed analitico) rappresentano un utilissimo punto di riferimento per chi intenda approfondire la conoscenza delle condizioni di esistenza e circolazione della produzione artistica, antica e moderna soprattutto nella situazione attuale. In effetti, come nel caso di precedenti noti libri sull'argomento tipo The Econimics of Taste di Gerald Reitlinger (London 1961) e L'affascinante storia del collezionismo di Maurice Rheims (Torino 1964) o le suggestive autobiografie di grandi mercanti quali Ambroise Vollard (Quadri in vetrina, Torino 1959) e Daniel-Henry Kahnweiler (Entretiens avec Francis Crérnieux, Paris 1961) non si può pretendere da operatori" di mercato un atteggiamento che non sia sostanzialmente favorevole ad esso. Le indicazioni più interessanti che si possono trarre da questi libri riguardano per esempio la storia della formazione delle grandi collezioni contemporanee, a partire da quelle dei magnati americani (a cui si riconnette la nascita, in America, di importantissimi musei); il ruolo delle case d'asta (principalmente le inglesi Sotheby e Christie, diventate multinazionali) e dei principali mercanti (da DurandRuel a Parigi nella seconda metà del1'800 a Frank Lloyd della Marlborough Ltd, oggi, per l'arte contemporanea; oppure per l'arte antica e in genere per i massimi valori del mercato i fondatori di gallerie tuttora ai vertici mondiali come Wildenstein); la ~ prassi collezionistica dei musei; i settori collezionistici dai mobili d'antiquariato allé opere d'avanguardia; le fluttuazioni del mercato anche in rapporto alle diverse congiunture economiche generali; le modalità di formazione dei prezzi e le operazioni speculative; i falsi. I In sostanza si tratta di tutto un insieme di aspetti che hanno strettamente a che fare con la determinazione concreta dei valori culturali dominanti e con la formazione del gusto, anche del grande pubblico: è soprattutto all'interno delle strutture del mercato (sia quello di vertice sia quello di importanza minore ma diffuso capillarmente) che si mette in moto il complesso processo di interrelazione (rapporto di connessione-contrapposizione) fra valore artistico e· valore economico, attraverso cui avviene la legittimazione ai diversi livelli (a breve o lungo termine) del prodotto «opera d'arte». Anche se, come ha detto il re del cioccolato e grande collezionista tedesco Peter Ludwig, «in confronto alla vendita delle sigarette il mercato d'arte è una pulce», la sua importanza per gli effetti e i condizionamenti (non sempre necessariamente negativi) sulla cultura nel suo complesso e in particolare su quella specifica delle arti figurative, non è facilmente misurabile; infatti oltre all'incidenza sul «consumo» diretto privato (i collezionisti) e pubblico (nei musei), bisognerebbe valutare anche quella sulla grande massa di gente che con l'arte ha un contatto mediato soprattutto dai mass-media (e, in generale, nei termini ·distorti a cui si è già accennato). I n queste analisi di Bernier e Herchenroder sui massimi sistemi del mercato artistico, peraltro di notevole utilità, come s'è detto, dal punto di vista dell'informazione statistica e della descrizione di un modello dominante di definizione dei valori, non viene assolutamente preso in considerazione uno dei termini fondamentali della situazione, vale a dire il pubblico; il riferimento a questo riguardo tuttalpiù è indiretto, implicito, in quanto presupposto essenziale dell'esistenza stessa dei grandi musei come il Metropolitan Museum di New York o la National Gallery di Londra, di cui co11tinuamente si parla in veste di protagonisti delle accese battaglie per accaparrarsi questo o quel capolavoro. Eppure, anche senza entrare nel merito di problemi relativi alle diverse modalità di fruizione, il pubblico che non compra quadri e sculture rappresenta per il mercato dell'arte, ·inteso in un'accezione più vasta (e cioè non solo come mercato delle opere d'arte) l'oggetto di maggior interesse; basti pensare al numero dei visitatori paganti alle grandi mostre spettacolari (al Beaubourg, per es., quasi un milione di presenze alla mostra di Dalì), oppure agli acquirenti di libri d'arte. E tutto questo è ancora, in ultima analisi, condizionato dalla strategia culturale del mercato privato tesa a stimolare un interesse per l'arte che trova nel possesso privato dell'opera il massimo della soddisfazione. Ma le cose stanno incominciando, in qualche modo, a cambiare: non si tratta, di per sé, di una crisi irreversibile del mercato tradizionale (che anzi, l'opera d'arte, in questi tempi di crisi -economica, ha riacquistato in larga misura il soo ruolo di bene rifugio), bensì di un ampliamento della domanda, in termini diversi, vale a dire come domanda di cultura (anche quindi per quello che riguarda l'arte figurativa) rivolta alle amministrazioni pubbliche locali (domanda, per la verità da queste stesse stimolata intenzionalmente). Questo significa che l'ente pubblico, nel campo dell'arte, oltre alla normale e consueta attività di acquisto di opere per i musei (sempre purtroppo scarsa) tenderà a diventare sempre di più finanziatore di manifestazioni artistiche, creando cosi le condizioni per una committenza pubblica, secondo criteri che dovranno necessariamente andare al di là della logica mercantile di carattere privatistico. Quanto si è detto ora, in sintesi, è l'argomento centrale attorno a cui è ::::; ruotato il dibattito del seminario La "' committenza difficile. Enti pubblici e -5 arte contemporanea, che tra ammini- ~ stratori pubblici, rappresentanti poli- e:, tici e sindacali, artisti, critici, mercanti, ~ ha visto la partecipazione di una set- -. tantina di persone. Anche se sicura- J; mente si è trattato di un primo tentati- ~ vo ancora scoordinato di affrontare il -~ problema, mi pare sia importante se- ~ gnalare i risultati di questo convegno, .z per quanto provvisori, perché indica- ~ no con sufficiente chiarezza in che 0 termini va oggi impostata, operativa- s:: mente, la questione del rapporto fra 2: arte e pubblico.
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