Rudolph Arnheim The Dynamics of Architectural Form University of California Press. Berkeley. 1977. pp. 281 (di prossima pubblicazione presso Feltrinelli) Seminario presso l'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Bologna, 1978 Paolo Castelnovi La città: istruzioni per l'uso Torino. Einaudi. 1980 pp. 315, lire 6.800 Gilbert Durand Le strutture antropologiche dell'im• maginario Bari. Dedalo. 1972 pp. 249, lire 4.500 Lucien Sebag L'invenzione del mondo fra gli indiani Pueblo Bari. Dedalo. 1976 pp. 136, lire 4.500 Percorrere i viali. le strade e le piazze. che scandiscono i vuoti e i pieni della città. è in pratica percepire. attraverso l'occhio dell'abitudine. ciò che si presenta come ambiente edificato ai margini dello spazio da camminare. Questa continuità percettiva non condiziona solo nei momenti di disattenzione. ma anche quando si chiedono più precise informazioni all'ambiente. Il turista colto e il passante distratto sono l'esempio di due atteggiamenti urbani che però si risolvono in un'unica immagine mentale della città, una «macchina per abitare». Dopo questa breve premessa. il paragone tra macchina e città trova pertinenza nell'etimologia. il greco dorico «machanà». e cioè «ordigno». infatti. aldilà degli scarti semantici che la parola «macchina» ha sopportato negli ultimi duecento anni. in modo particolare dopo la rivoluzione industriale e la trasformazione dell'economia tradizionale in una economia urbana fondata sulla tecnologia. rimane in essa qualcosa di oscuro e complesso che trattiene ad un tempo il diabolico rumore dell'infernale e l'imprevedibile accadimento della sorpresa. Un esempio non troppo recente, ma contemporaneo. di questa varianza di significato della parola «macchina» si trova nei testi dei futuristi italiani. In questi testi essa viene allontanata in quanto mito tecnologico dal contesto del suo uso pratico. e disumanizzata. Le poesie di Marinetti sono inclicati.ve di questo atteggiamerto. In precedenza. già Manzoni aveva chiamato «macchina» il Duomo di Milano. intendendo così rilevare la grandiosità. la presenza architettonica del gotico internazionale. del quale si rivalutavano. nel.romanticismo lombardo. le capacità costruttive e non solo la religiosità. Produrr@,,JJa piazza Questa precisazione è importante in relazione al fatto. forse banale. che l'architettura. confermando la precedente definizione dì ordigno imprevedibile. passa continuamente dalla passività all'azione offensiva. da uno statuto di circoscrizione di spazio interno e uterino a quello della delimitazione dello spazio esterno. territoriale o etnico. È per questo che. percettivamente. non si riesce mai del tutto a distinguere l'aspetto polemico e offensivo esteriore dalla quiete dello spazio interiore e protetto. È un'ambiguità. questa. che l'architetto rinascimentale subisce nella progettazione dei palazzi. Infatti. è impossibile immaginare mentalmente nello stesso momento forma interna e forma esterna. Bachelard. ad esempio. sottolinea la separazione che si determina nella configurazione strutturale fra la presenza architettonica e l'intenzione di fatto offensiva degli involucri protettori. dalla corazza alla fortezza. così arroganti nella loro proiezione simbolica e autoritaria lungo il divenire storico e materiale della forma urbana più in generale. La piazza costituisce uno dei casi in cui un particolare momento del divenire storico si fissa e si cristallizza. anche percettivamente. entro una sagoma che si presenta come storica e già data. ma che in realtà si rivela parallela allo sviluppo tecnologico e scientifico. Anche se la storia delle tecniche e del loro rapporto col dominio. come già notava Marx. è poco progredita. non sembra as urdo considerare questo rapporto come «tecnica del dominio etnico». F acciamo un esempio. Piazza Maggiore a Bologna è uno spazio informato simbolicamente dalla tecnica costruttiva e dalle «invenzioni». E ciò viene confermato dal suo aspetto. il quale risale. per la configurazione territoriale degli edifici attuali. ad un processo che inizia nella seconda metà del XIII secolo. sulle basi dell'antico assetto romanico. e termina. con approssimazione. intorno alla seconda metà del XVI secolo. Vi sono poi i restauri del XIX secolo che hanno intaccato pericolosamente l'aspetto iconografico. trasmesso dai modelli culturali precedenti. in cambio di una idealizzazione del Medio Evo. È il periodo in cui Giosuè Carducci scrive la celebre poesia Nella Piazza di San Petronio. dove vuol rievocare «il tempo della bellezza antica». il colore tipico delle architetture bolognesi. L'immagine carducciana «che nella bigia pietra. nel fosco vermiglio mattone/ par che risvegli l'anima dei secoli. I e un desio mesto· pe'l rigido aere sveglia/ di rossi maggi di calde aulenti sere» si preoccupa non solo di fornire le tipologie formali della «fo ca e turrita Bologna» che tutti conosciamo. ma ture appartenenti ad un passato remoto che si vorrebbe raggiungere. In questo modo. Carducci riconosce anche quel valore percettivo della piazza che tecnicamente si chiama «immagine portata». laddove la distingue dall'immagine strutturale del «rigido aere». Così l'immagine portata. utilizzata poeticamente. è l'immagine tonale della piazza. L'aspetto rappresentativo di Piazza Maggiore si può localizzare nel Quattrocento e non è lontanissimo dall'idea di foro porticato che troviamo negli scritti dell'Alberti. del Palladio e del Barbaro. Sebbene la piazza bolognese sia la somma di architeiture che vanno dal medioevo al manierismo. come abbiamo detto. si può vedervi tuttavia la piazza del primo rinascimento. in quanto lo spazio si qualifica come polifunzionale e come centro di vita civile e religiosa. La mancanza di un edificio visivamente accentratore. la presenza di portici su tre lati dell'impianto a forma quadrangolare confermano i caratteFi tipici delle piazze del Quattrocento. non lontane dalla concezione dello spazio prospettico che Panofsky ha chiamato «moderna antropocfazia». sottolineando cosi il rapporto stretto che intercorre tra concezione dello spazio rinascimentale e concezione dello spazio prospettico. dove lo spazio visivo viene matematizzato nella costruzione ordinata dell'immagine visiva. La piazza. dunque. può essere analizzata come sistema di forze e di relazioni entro le quali si organizza l'esperienza collettiva dell'uomo sociale. Esperienza che. dalla generalità del termine. va ricondotta in questo caso alla rappresentazione simbolica delle anche il tono crepuscolare di archite:t:· ----------====----.., - immagini che nella piazza si gerarchizzano e si informano al passo dei poteri. Vedremo poi come questa teorizzazione. appena abbozzata. ricongiunga sostanzialmente il lavoro teorico di due studiosi di metodologia apparentemente opposta, cioè Bachelard e Arnheim. ' La forma della piazza. la sua configurazione. non va confusa esattamente con l'immagine che essa dà di sé. I tipi di architetture. gli ornamenti. i codici stilistici. cioè. non vanno confusi con la sua rappresentazione scenografica. Non è un caso che durante il Rinascimento. epoca in cui piazza Maggiore si è riformata dal modello medievale. il termine scenografia indicava. nel significato andato poi alla deriva. la rappresentazione prospettica di una immagine tridimensionale su piano. e quindi un modello interpretativo della realtà. il quale. anche nel caso della piazza. diventa interazione attiva del modello culturale sulla realtà medesima. Allora. se non confondiamo configurazione e aspetto scenografico. la piazza è significante per come si rappresenta. Più esattamente. si significa. si espande nell'immaginario. e diventa importante per come essa assume l'aspetto di archetipo urbano percettivo. codificandosi come variazione di sensi sulla stessa forma. V olgendo l'attenzione dal senso. o uso. al modello percettivo che la città ambientale forma nella piazza. sarà chiaro che «il materiale visivo. ricevuto dall'occhio. si organizza per farsi comprendere dalla mente; ma soltanto per compiere un'analisi e trinseca si può separare la configurazione da quanto essa rappresenta». Infatti. «quando si percepisce la configurazione la si prende. consapevolmente o no. come rappresentazione di qualche cosa. e quindi come forma di un contenuto» (Arnheim. p. 93). La vecchia e satura querelle. tra sostenitori del primato della forma e sostenitori del primato del contenuto. si dimostra. almeno qui. di grande utilità. poiché per ragioni storiche sarebbe impossibile differenziare i valori d'uso dalla piazza. i quali non si distinguono dalla forma e dal contenuto ma si esplicano. nel divenire ,torico. tra tecnica e dominio. Tecnica e dominio a loro volta s'impongono sempre allo scambio generalizzato o nel caso parziale allo scambio dello spazio. In questo modo. possiamo cosi ricongiungere il valore d'uso al valore di scambio. in realtà mai divisi. ponendo nel passaggio da un modo di produzione all'altro la produzione dello spazio e il valore d'uso della piazza in: mercato. luogo della festa. luogo del comizio. luogo dell'informazione. luogo del dominio. Questa impostazione non è convaliI : • • • •• •• l • • data dall'ultimo intervento sull'argomento (Paolo Castelnovi. La cillà: istruzioni per l'uso, cit.). L'autore ambiziosamente Studia il sistema di relazione fra spazi. oggetti e il loro uso in quanto reazioni a i truzioni che sono lette, da parte degli utenti. negli oggetti stessi. Gli utenti a loro volta dovrebbero sostenere un ruolo decisionale nel momento della progettazione spaziale e quindi nel momento della formazione di una cultura urbana. Castelnovi. applicando l'apparato teorico della semiotica di Hjelmslev alla struttura urbana si confronta metodologicamente con le tesi di Prieto. Eco. Rossi-Landi. Il confronto appare pedantesco e. come riconosce lo stesso autore. privo di risoluzioni operative. Dunque: fallimentare. r.er chiarire. il ruolo della semiologia sarebbe quello di cercare i'e regole collettive di conformazione dei materiali significanti e quindi di comunicare le «istruzioni per l'uso della città». Secondo l'autore. queste istruzioni si troverebbero nella relazione semica tra il piano del contenuto e il piano dell'espressione. cioè tra la funzione sociale di un edificio e la sua forma. Inoltre. Castelnovi si pone criticamente nei confronti dei «positivismi» che esaminano sistematicamente le percezioni visive. li testo è comunque ricco di indicazioni utili all'analisi della comunicazione ambientale della città. Tornando di nuovo alla forma della-' piazza. a proposito della configurazione. Arnheim continua: essa «non si percepisce mai come forma di una sola cosa particolare. ma sempre di un genere di cose» (p. 93). Infatti Arnheim. in una serie di conferenze tenute nel 1978 a Bologna ha precisato che occorre distinguere la rappresentazione di un determinato medium dello spazio e la percezione dello spazio. Su alcuni problemi trattati il) questo scritto. uscirà tra breve tempo la traduzione italiana. di The Dynamics of Archi1ec1ura/form. presso la Feltrinelli. La configurazione. quindi. è un concetto che ha due sensi diversi. «primo perché ogni configurazione è vista come un genere di configurazione( ...] secondo perché ogni genere di configurazione è visto come forma di un intero genere di oggetti». Per questi motivi «la forma supera sempre la funzione pratica delle cose trovando nella loro configurazione le qualità visive di rotondità e acutezza. forza e fragilità. armonia e discordia. e in tal modo le legge simbolicamente come immagini della condizione umana» (Arnheim. p. 93). L'affermazione che la forma supera sempre la funzione pratica. allargando il concetto di funzione simbolica, porta all'intuizione cassireriana che «quanto più ricco diviene il conte-
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