Alfabeta - anno II - n. 19 - nov.-dic. 1980

tito sulla crisi della ragione) e ~•quella anglosassone (la presa di coscienza del carattere storico ed eventuale della logica) è in realtà, dal punto di vista del compimento del nichilismo, una battaglia di retroguardia. Mentre ci si affannava a mostrare che anche Wittgenstein individuava, come fondamentale anche se non fondante, una zona di «silenzio•, credendo di riconoscere in ciò una sua affinità con Heidegger e, per vie diverse, con Nietzsche, ciò che di fatto accadeva {dove? nella coscienza filosofica, nel darsi dell'essere, nell'evento planetario del CeSteli hei~eggeriano) era che il nichilismo arrivava alla fase del suo compimento, si estremizzava consumando l'essere in valore. È questo l'evento che rende finalmente possibile, e necessario, per il pensiero rendersi conto che il nichilismo è la nostra (unica) chance. Dal punto di vista del nichilismo - e certo con una generalizzazione che può parere esagerata - sembra che la cultura novecentesca abbia assistito al consumarsi di ogni progetto di «riappropriazione•. In questo processo rientrano non solo le vicende della teoria, tra le quali, per esempio, anche gli sviluppi lacaniani del freudismo; ma anche, e più fondamentalmente forse, le stesse vicende politiche del marxismo, delle rivoluzioni e del socialismo reale. La prospettiva della riappropriazione - sia nella forma della difesa di una zona di valore d'uso non trasformabile in valore di scambio, sia nella forma, più ambiziosa (che accomuna, almeno sul piano teorico, marxismo e fenomenologia), della «rifondazione• dell'esistenza in un orizzonte libero dal valore di scambio e centrato sul valore d'uso ha subito un consumo non solo in termini di scacchi e fallimenti pratici, che nulla toglierebbero alla sua portata ideale e normativa. In realtà, la prospettiva della riappropriazione ha perso proprio il suo significato di norma ideale; come il Dio di Nietzsche, tale prospettiva si è rivelata, alla fine, superflua. In Nietzsche, come si sa, Dio muore proprio in quanto il sapere non ha più bisogno di arrivare alle cause ultime, l'uomo non ha più bisogno di credersi un'anima immortale, ecc. Anche se Dio muore perché lo si deve negare in nome dello stesso imperativo di verità che ci è sempre stato presentato come una sua legge, con lui perde anche senso l'imperativo della verità- e ciò, in definitiva, perché le condizioni di esistenza sono ormai meno violente; ma dunque anche, anzitutto, meno patetiche. È qui, in questa accentuazione della superfluità dei valori ultimi, la radice del nichilismo compiuto. Per il nichilista compiuto, anche la liquidazione dei valori supremi non è lo stabilimento o il ristabilimento di 11 nichilismo non presenta più le tinte fosche, wagneriane, spengleriane, fuliginose che aveva alla fine del secolo scorso. Non scaturisce più da una Weltanschauung della decadenza né da una radicalità metaf1Sica sorta dalla morte di Dio e da tutte le conseguenze che bisogna trarne. Il nichilismo di oggi è quello della trasparenza, e in un certo senso è più radicale, più cruciale delle sue forme storiche precedenti, dato che questa trasparenza, questa fluttuazione è indissolubilmente legata al sistema, e ad ogni teoria che ha la pretesa di analizzarlo. Quando Dio è morto, c'era ancora Nietzsche per dirlo - grande nichilista di fronte all'Eterno e al suo cadavere. Ma davanti alla trasparenza simulata di ogni cosa, davanti al simulacro della realizzazione materialistica o idealistica del mondo nell'iperrealtà (Dio non è morto. è semplicemente divenuto iperreale), non c'è più un Dio teorico e critico che possa riconoscere i suoi fedeli. L'universo, e noi tutti, siamo entrati vivi nella simulazione, nella sfera malefica, anzi, neanche malefica, Ìnclifferente della dissuasione: il nichilismo, cosa insolita, si è completamente reauna situazione di «valore» in senso forte; non è una riappropriazione, perché ciò che è divenuto superfluo è per J'appunto ogni «proprio» (anche nel senso semantico del termine). «Il mondo vero è diventato favola» scrive Nietzsche ael Crepuscolo degli idoli. Non però il epreteso» mondo vero, ma il mondo vero tout court. E se anche Nietzsche aggiunge che, in tal modo, la favola non è più tale perché non c'è alcuna verità che la sveli come apparenza e illusione, la nozione di favola non perde del tutto il suo senso. Essa vieta infatti di attribuire alle apparenze che la compongono la forza cogente che apparteneva all'ontos on metafisico. È questo un rischio che, nel nichilismo contemporaneo (nel pensiero che si richiama a ietzsche e lo prosegue), mi sembra ben presente: penso ad esempio a certe pagine di Differenza e ripetizione di Gilles Deleuze sulla «glorificazione» dei simulacri e dei riflessi. Fra i tanti trabocchetti e doppi fondi del testo di Nietzsche c'è anche questo: che riconosciuto al mondo vero il carattere di favola, si attribuisca poi alla favola l'antica dignità metafisica (la «gloria») del mondo vero. L'esperienza che si apre per il nichilista compiuto non è, invece, un'esperienza di pienezza, di gloria, diontos on, solo slegata dai pretesi valori ultimi e riferita invece, in modo emancipato, ai valori che la tradizione metafisica ha sempre considerato bassi e ignobili, e cosl vengono riscattati alla loro vera dignità. Cosi- e gli esempi sono dovunquealla svalutazione dei valori supremi, alla morte di Dio, si reagisce soltanto con la rivendicazione- patetica, metafisica - di altri valori «più veri» (per esempio:· i valori delle culture marginali, delle culture popolari, opposti a quelli delle culture dominanti; l'eversione dei canoni letterari, artistici, ecc.). Il termine nichilismo, anche quando si tratti di nichilismo compiuto, dunque non passivo o reattivo, nella terminologia di Nietzsche mantiene, come quello di «favola•, alcuni dei tratti che ha nel linguaggio comune: il mondo dove la verità è diventata favola è infatti il luogo di un'esperienza che non è «più autentica• di quella aperta dalla metafisica. Questa esperienza· non è più autentica perché l'autenticità - il proprio. la riappropriazione - è tramontata essa stessa con la morte di Dio. ' E questa, letta alla luce di Nietzsche, di Heidegger, del compimento del nichilismo, la vicenda della generalizzazione del valore di scambio nella nostra società: quella vicenda che a Marx appariva ancora definibile solo nei termini moralistici della «prostituzione generalizzata», della dissacrazione dell'umano. La resistenza a questa dissacrazione, per esempio la critica della cultura di massa (non. si intenda bene. del totalitarismo) di origine francofortese, non potrebbe essere descritta ancora sempre come nostalgia per la riappropriazione, per Dio, per l'ontos 011; e, in termini psicanalitici, come nostalgia per un io immaginario che recalcitra alla peculiare mobilità, insicurezza, permutabilità del simbolico? I tratti dell'esistenza nella società tardo capitalistica, dalla mercificazione totalizzata in «simulacralizzazione» al conseguente esaurimento della «critica dell'ideologia», alla «scoperta» lacaniana del simbolico- tutti fatti che rientrano pienamente in quel che Heidegger chiama il Ge-Ste/1 - non rappresentano solo gli apòcalittici momenti di una Menscheitsdammerung, di una disumanizzazione, ma sono provocazioni e appelli che indicano verso una possibile nuova esperienza umana. Heidegger, che è parso a tanti come il filosofo della nostalgia dell'essere, anche nei suoi caratteri metafisici di Geborgenheit, ha scritto invece che il Ge-Ste/1- cioè l'universale imposizione e provocazione del mondo tecnicoè anche un «primo lampeggiare dell'Ereignis•, di quell'evento dell'essere in cui ogni propriazione - ogni darsi di qualcosa in quanto qualcosa - si attua solo come tras-propriazione, in una circolarità vertiginosa in cui uomo ed essere perdono ogni carattere metafisico. La traspropriazione in cui si attua l'Ereignis dell'essere è, alla fine, la dissoluzione dell'essere nel valore di scambio: che significa, anzitutto, nel linguaggio, nella tra-dizione come trasmissione e interpretazione di messaggi. Lo sforzo per oltrepassare l'alienazione intesa come reificazione o come obnubilamento della soggettività fungente si è sviluppato sempre, nel novecento, nella direzione della riappropriazione. Ma la generale reificazione, la riduzione di tutto a valore di scambio, è proprio ilmondo diventato favola. Sforzarsi di ristabilire un «proprio» contro questa dissoluzione è sempre ancora nichilismo reattivo; sforzo di rovesciare il dominio dell'oggetto stabilendo una signoria del soggetto che però si configura reattiva mente con gli stessi caratteri di forza cogente propri dell'oggettità. 11 processo descritto esemplarmente da Sartre nella Critica della ragione dialeuica come ricaduta nella controfinalità e nel pratico-inerte mostra in modo inequivocabile il destino di questi tipi di riappropriazione. È rispetto a questo che il nichilismo appare come la nostra chance, un po' nello stesso senso in cui. in Sein und Zeit, l'essere per la morte e la decisione anticipatrice che l'assume appariva come la possibilità capace di possibilizzare davvero tutte le altre che costituiscono l'esistenza - dunque anche come una sospensione della cogenza del mondo, che situa sul piano del possibile tutto ciò che si dà come reale, necessario. perentorio e vero. La consumazione dell'essere in valore di scambio, il divenire favola del mondo vero, è nichilismo anche in quanto comporta un indebolimento della forza cogente della «realtà». Nel mondo del valore di scambio generalizzato tutto è dato- come sempre, ma in modo più evidente e smaccato come narrazione, racconto (dei media, essenzialmente, che si intrecciano in maniera inestricabile con la tra-dizione dei messaggi che il linguaggio ci porta dal passato e dalle altre culture: i media non sono dunque solo perversione ideologica, ma piuttosto una declinazione vertiginosa éliquesta stessa tradizione). Si parla, a questo proposito, di immaginario sociale; ma il mondo del valore di scambio non ha solo, e necessariamente, il senso dell'immaginario nel significato lacaniano; non è solo rigidità alienata, ma può assumere (e ciò dipende certo ancora da una decisione, individuale o sociale) la peculiare mobilità del simbolico. I vari tipi di ricaduta nel praticoinerte, nella controfinalità, ecc., o gli elementi di permanente alienazione che caratterizzano, nella forma della marcusiana repressione addizionale, la nostra società peraltro tecnologicamente capace di libertà, tutto ciò potrebbe essere interpretato come una permanente trascrizione in termini di immaginario delle nuove possibilità del simbolico messe a disposizione dalla tecnica, dalla secolarizzazione, dall'«indebolimento» della realtà che caratterizza la società tardo-moderna. L'Ereignis dell'essere che lampeggia attraverso la struttura im-positiva del Ge-Ste/1 heideggeriano è per l'appunto l'annunciarsi di un'epoca di «debolezza» dell'essere, in cui la «propriazione» degli enti è esplicitamente data come traspropriazione. Il nichilismo è chance, da questo punto di vista, in due sensi: anzitutto in un senso effettuale, politico: non necessariamente la massificazione e «mediatizzazione» - ma anche secolarizzazione, sradicamento, ecc. - dell'esistenza tardo-moderna è accentuazione dell'alienazione, espropriazione nel senso della società dell'organizzazione totale. La «derealizzazione» del mondo può non camminare solo nella direzione della rigidità dell'immaginario, verso lo stabilimento di nuovi «valori supremi», ma volgersi invece verso la mobilità del simbolico. Questa chance dipende anche dal 3. Trasparenza lizzato non tanto nella distruzione quanto nella simulazione e nella dissuasione. Da fantasma attivo, violento, che era, da mito e scena che era - anche storicamente - è passato nel funzionamento trasparente, falsamente trasparente, delle cose. Cosa resta dunque del nichilismo possibile in teoria? Quale nuova scena può aprirsi in cui si possa di nuovo rappresentare il niente e la morte come sfida, come posta in gioco? Oggi ci troviamo in una situazione nuova rispetto alle forme precedenti di nichilismo: l) Il Romanticismo ne è la prima grande apparizione: esso corrisponde, assieme alla Rivoluzione illuminista, alla distruzione delle apparenze dell'ordine delle apparenze; II) Surrealismo-Dadaismo, l'Assurdo, il nichilismo politico ne sono la seconda grande manifestazione. quella che corrisponde alla distruzione del senso e dell'ordine del senso. Il primo è ancora una forma estetica di nichilismo (dandysmo), il secondo una forma politica - storica e metafisica (terrqrismo ). Queste due forme oggi ci riguardano solo in modo parziale, o per niente. Il nichilismo della trasparenza non è Jean Baudrillard più né estetico né politico, non trae gli ultimi fuochi, o le ultime nuances di una apocalisse, né dallo sterminio delle apparenze, né da quello del senso. Non c'è più apocalisse (solo il terrorismo aleatorio tenta anco;;a di rifletterlo-, ma questo in realtà non è più politico, e non gli resta altro che un modo d'apparizione, che è nello stesso tempo un modo di sparizione: i media -, ora i media non sono una scena dove avviene qualcosa, sono un nastro, una pista, una carta perforata di cui noi siamo ben più che spettatori: ricettori). Finita l'apocalisse oggi siamo giunti alla precessione / promozione del neutro, delle forme del neutro e dell'indifferenza. Lascio in sospeso se possa esistere un romanticismo, un'estetica del neutro. Io non lo credo, tutto ciò che resta è la fascinazione per le forme desertiche e indifferenti, per la stessa operazione del sistema che ci annulla. Ora, la fascinazione (opposta alla seduzione che mirava alle apparenze, e alla ragione dialettica che mirava al senso) è una passione nichilista per eccellenza, è la passione propria del modo di sparizione. Siamo affascinati da tutte le forme di sparizione, dalla nostra sparizione. Malinconici e affascinati, questa è la nostra situazione generale in un'era di trasparenza involontaria. lo sono nichilista Io sono nichilista. Constato, accetto, assumo l'immenso processo di deterioramento, di distruzione delle apparenze (e della seduzione delle apparenze), a vantaggio del senso (la rappresentazione, la storia, la critica, ecc.) che è il fauo capitale del XIX secolo. La vera rivoluzione del XIX secolo, della modernità, è la distruzione radicale della apparenze, il disincanto del mondo e la sua terroriuazione causata dalla violenza dell'interpretazione e della storia. Constato, accetto, assumo, analizzo la seconda rivoluzione, quella del XX secolo, quella della postmodernità, che è l'immenso processo della perdita del senso, della distruzione dei racconti e delle finalità; distruzione del senso in tutto uguale alla precedente distruzione delle apparenze. Chi di senso colpisce di senso perisce. Non ci sono 36 soluzioni: la scena dialettica, la scena critica è vuota. Non esiste più la scena. E non c'è più teramodo - ed è il secondo senso del termine - in cui noi la sappiamo vivere, individualmente e collettivamente. La ricaduta nella controfinalità è legata alla permanente tendenza a vivere la «derealizzazione» in termini di riappropriazione. L'emancipazione dell'uomo consiste certo anche, come vuole Sartre, nel riappropriarsi del senso della storia da parte di coloro che concretamente la fanno. Ma questa riappropriazione è una «dissoluzione»: Sartre scrive che il senso della storia deve «dissolversi» negli uomini concreti che, insieme, la costruiscono. Questa dissoluzione va intesa in un senso molto più letterale di quanto non la intenda Sartre. Del senso della storia ci si riappropria a patto di accettare che essa non ha un senso di peso e perentorietà metafisica e teologica. 11 nichilismo compiuto di Nietzsche ha anche fondamentalmente questo significato; l'appello che ci parla dal mondo della tarda-modernità è un appello alla presa di congedo. Questo appello risuona proprio in Heidegger, troppo spesso e troppo semplicisticamente identificato come il pensatore (del ritorno) dell'essere: è Heidegger, invece, che parla della necessità di «lasciar perdere l'essere come fondamento» (Zur Sache des Denkens, p. 5-6), per «saltare» nel suo «abisso»; che però, in quanto ci parla dalla generalizzazione del valore di scambio, dal Ge-Ste/1 della tecnica moderna, non può essere identificato co11una qualche profondità di tipo teologico-negativo. Ascoltare l'appello dell'essenza della tecnica, tuttavia, non significa nemmeno abbandonarsi senza riserve alle sue leggi e ai suoi giochi; per questo, credo, Heidegger insiste sul fatto che l'essenza della tecnica non è qualcosa di tecnico, ed è a quest'essenza che dobbiamo badare. Quest'essenza fa risuonare un appello che è indistricabilmente legato con i messaggi che ci invia la Ueber-lieferung, alla quale appartiene anche la tecnica moderna, compimento coerente della metafisica cominciata con Parmenide. Anche la tenica è favola, Sage, messaggio trasmesso; vederla in questa relazione la spoglia delle sue pn,tese, immaginarie, di costituire una nuova realtà «forte», che si possa assumere come evidente o glorificare come l'ontos on platonico. li mito della tecnica disumanizzante, e anche la «realtà» di questo mito nelle società dell'organizzazione totale, sono irrigidimenti metafisici che continuano a leggere la favola come «verità» .. li nichilismo compiuto, come l'Ab-grund heideggeriano, ci chiama ad un'esperienza fabulizzata della realtà, che è anche la nostra unica possibilità di libertà. pia del senso o col senso: la stessa terapia fa parte del processo generalizzato di perdita, neutralizzazione e entropia. La stessa scena dell'analisi è divenuta incerta, aleatoria: le teorie fluttuano (in effetti, il nichilismo è impossibile, poiché è ancora una teoria - disperata - della determinazione, Weltanschauung, un .(immaginario» della fine; non coglie l'indeterrninatezza). Esistono delle culture che non hanno alcun immaginario della loro fine, ma solo della loro origine. Altre che sono ossessionate da entrambe ... Altri due casi di figure sono possibili: Non avere immaginario che della propria fine (la nostra cultura nichilista). Non avere alcun immaginario, né dell'origine né della fine (quella che si prepara, aleatoria). La stessa analisi può essere l'elemento decisivo dell'immenso processo di glaciazione del senso. Il senso addizionale che queste figure apportano, la loro competizione al livello del senso è affatto secondaria rispetto alla loro coalizione nell'operazione glaciale e quaternaria di dissezione e di trasparenza. Bisogna essere consapevoli del fatto che, in qualsiasi modo proceda

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